La nozione di produttore dopo il d.l. n. 92/2015
di Vincenzo PAONE
Le riflessioni che seguono scaturiscono dalla lettura a caldo del d.l. 4 luglio 2015, n. 92, recante "Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività di impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale" emanato per far fronte alla chiusura dei cantieri navali della Fincantieri di Monfalcone disposta in attuazione del sequestro preventivo richiesto dalla Procura della Repubblica di Gorizia.
Una prima considerazione riguarda la tempistica dell’intervento del Governo che ricorda tanto da vicino quello attuato nel 2012 nel caso cd. Ilva: era proprio necessario intervenire «dopo» che la Magistratura aveva ordinato il sequestro delle aree o non era più opportuno – tralasciamo qui la discussione sul rischio di compromissione dell’attività dell’autorità giudiziaria ad opera del potere esecutivo – adottare le correzioni del d.leg. n. 152/06 all’indomani della sentenza della Cassazione del 9 luglio 2014, depositata il 10 febbraio 2015, n. 5916, che aveva stabilito che l'accumulo dei rifiuti nel porto di Monfalcone era qualificabile non già come "deposito temporaneo", bensì come "stoccaggio", soggetto a specifica autorizzazione?
Tralasciando questo profilo della questione perché, si sa, in Italia la mano destra non sa quel che fa la sinistra, una più pregnante osservazione riguarda il merito del provvedimento con particolare riferimento all’innovazione concernente la nozione di "produttore di rifiuti" di cui all'art. 183, lett. f), cit. dec.
Per meglio intendere il senso della modifica, occorre ricordare che nel giudizio davanti ai Giudici di legittimità la difesa degli indagati, per attribuire (anche) alla Fincantieri la qualità di produttore dei rifiuti – per così legittimare il realizzato deposito temporaneo - aveva invocato la sentenza della Corte di cassazione 21 gennaio 2000 n. 4957 che aveva qualificato come produttore di rifiuti "non solo il soggetto dalla cui attività deriva la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione".
Ciò posto, vediamo l’attuale nozione di produttore: «il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale) e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)».
Come appare più che evidente, il Governo ha inserito nella disposizione proprio il concetto espresso nel 2000 dalla Cassazione.
Tuttavia, per un caso di eterogenesi dei fini, il principio su cui si è basato il Governo per ampliare la nozione di produttore del rifiuto con l'evidente scopo di dettare una deroga al regime ordinario (consentire cioè di effettuare un deposito temporaneo anziché uno stoccaggio soggetto ad autorizzazione) era stato concepito per il fine esattamente opposto e cioè estendere la responsabilità di soggetti diversi rispetto al mero produttore materiale del rifiuto.
Infatti, la più volte citata sentenza n. 4957/2000, imp. Rigotti, (Foro it., 2000, II, 700, Riv. pen., 2000, 919, Impresa, 2000, 819), affrontando per la prima volta la questione di chi debba considerarsi produttore del rifiuto nell’ipotesi in cui, ad esempio, il proprietario o possessore di un bene, mediante contratto di appalto o di prestazione d’opera, affidi ad altro soggetto l’esecuzione, sul medesimo bene, di un’attività dalla quale originano rifiuti, aveva stabilito che per produttore di rifiuti, ai sensi dell’art. 6, 1º comma, lett. b), d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22, dovesse intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale fosse quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile come di garanzia, l’obbligo, sancito dall’art. 10, 1º comma, del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti (nella specie, è stato considerato produttore di rifiuti il titolare di una concessione edilizia la cui realizzazione aveva richiesto la demolizione di edifici preesistenti con conseguente accumulo di una cospicua quantità di materiali di risulta).
La Cassazione ha ribadito lo stesso principio con la sentenza 9 aprile 2003, De Michelis (RivistAmbiente, 2003, 1353), ma nella successiva Cass. 22 settembre 2004, Lilli, n. 40618 (Foro it., 2005, II, 465; Riv. pen., 2005, 152; Impresa, 2005, 481) ha sostenuto che “Sarebbe profondamente sbagliato...sostenere che anche il committente di lavori edili o urbanistici è "garante" della corretta gestione dei rifiuti da parte dell'appaltatore e quindi penalmente corresponsabile del reato di abusiva attività dì raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti che l'appaltatore abbia effettuato nell'esecuzione dell'appalto. E infatti, neppure con una interpretazione estensiva si può sostenere che il committente sia coinvolto nella produzione o distribuzione e nemmeno nell'utilizzo o nel consumo di "beni da cui originano i rifiuti" ai sensi dell'art. 2, 3° comma; o che sia un produttore o detentore dei rifiuti gravato dagli oneri dello smaltimento a norma dell'art. 10, 1° comma. Per riprendere il caso di specie, il committente é soltanto il soggetto che, dal momento in cui riceve in consegna l'opera appaltata e ultimata, diventa in certo qual modo utilizzatore o consumatore dei rifiuti, impiegati come sottofondo delle opere di urbanizzazione appaltate: nessun rapporto diretto ha mai avuto, invece, con i "beni da cui originano i rifiuti" o con la attività di produzione, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti stessi”.
E’ significativo anche il passo della decisione in cui si chiarisce l’assenza in capo al committente di una posizione di garanzia rilevante ex art. 40, 2° comma, cp: “Responsabilizzare un soggetto per non aver impedito un evento, anche quando egli non aveva alcun potere giuridico (oltre che materiale) per impedirlo, significherebbe vulnerare palesemente il principio di cui all'art. 27/1 Cost. Alla luce di questo principio è evidente come il committente di lavori edili o urbanistici non può essere "garante" della corretta gestione di rifiuti da parte dell'appaltante, e quindi penalmente responsabile della abusiva gestione di rifiuti eventualmente effettuata dal secondo... Discorso non dissimile deve farsi anche quando - come nel caso di specie – il committente dei lavori è pure proprietario dell'area su cui i lavori siano eseguiti, giacché come proprietario egli non ha alcun potere giuridico specifico verso l'appaltatore, posto che i rapporti reciproci sono regolati soltanto dal contratto di appalto”.
A nostro avviso, è preferibile la tesi che interpreta restrittivamente la nozione di produttore del rifiuto. A parte il fatto che l’opinione contraria non chiarisce se al “committente” 1 vada attribuita la qualifica di produttore del rifiuto in via esclusiva o concorrente con il terzo prestatore dell’opera o del servizio, il problema va risolto a livello teorico riflettendo su quei casi in cui i rifiuti originano per distacco, smembramento o sostituzione di un bene del committente a seguito di opere svolte dall’appaltatore o dal prestatore d’opera.
In queste situazioni, al committente non appartiene il “rifiuto”, ma casomai l’oggetto ottenuto per materiale distacco dal bene originario. Ebbene, secondo un criterio fondato sull’id quod plerumque accidit, il committente non ha alcun interesse a trattenere in suo possesso l’oggetto che si origina dall’attività materiale svolta dall’appaltatore e perciò, salvo per l’appunto che non voglia trarne vantaggi sul piano economico, il committente non rivendicherà di certo la titolarità dei residui lasciando così l’appaltatore libero di decidere se disfarsi o meno delle cose ottenute in esecuzione del contratto stipulato.
Ne deriva che l'effettivo produttore del rifiuto è solo il prestatore del servizio o l'appaltatore dell'opera e non il proprietario originario.
Questa opinione trova un riscontro anche in sede comunitaria. Infatti, la Corte di Giustizia 7 settembre 2004, causa C-1/03 (Foro it., 2005, IV, 41) ha affermato (par. 58-60) che:
«58. Dalle disposizioni citate nei tre punti precedenti 2 risulta che la direttiva 75/442 distingue la materiale realizzazione delle operazioni di recupero o smaltimento – che essa pone a carico di ogni «detentore di rifiuti», indipendentemente da chi sia il produttore o il possessore degli stessi – dall’assunzione dell’onere finanziario relativo alle suddette operazioni, che la medesima direttiva accolla, in conformità del principio «chi inquina paga», ai soggetti che sono all’origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti od anche fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti.
59. Una stazione di servizio aveva acquistato, per le proprie necessità aziendali, degli idrocarburi che si sono accidentalmente sversati a causa di una fuoriuscita dagli impianti di stoccaggio della stazione stessa. Tali idrocarburi si trovano dunque in possesso del gestore della stazione di servizio. Inoltre, costui è il soggetto che li aveva in deposito, per i bisogni della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti e che può dunque essere considerato come colui che li ha «prodotti» ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442. Alla luce di tali circostanze, il gestore della stazione di servizio, essendo al tempo stesso possessore e produttore di tali rifiuti, deve essere considerato come loro detentore ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 75/442.
60. Tuttavia, qualora nella causa principale, sulla scorta di elementi valutabili soltanto dal giudice a quo, risultasse che il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi sono imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, sarebbe possibile affermare che quest’ultima, per effetto della propria attività, ha «prodotto rifiuti», ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva 75/442, e può dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti».
Questa analisi ci pare chiara nell'escludere che si possa attribuire una responsabilità a carico di colui nel cui interesse o a cui favore sia stata svolta l’attività materiale produttiva del rifiuto: in altri termini, i soggetti diversi dal produttore materiale del rifiuto possono essere responsabilizzati a condizione che, in conseguenza di un comportamento materiale che si ponga in rapporto di causalità, anche indiretta, con l’origine ("fisica") del rifiuto, abbiano «prodotto» rifiuti.
La giurisprudenza nazionale più recente ha abbracciato, senza tentennamenti, la tesi restrittiva in materia di responsabilità del “committente” affermando, anche implicitamente, che non è produttore dei rifiuti in senso giuridico.
V. infatti:
- Cass. 29 aprile 2010, n. 22760, Laudisi Ambiente e sviluppo, 2011, 264 (il committente dei lavori edili di demolizione non è responsabile, unitamente all’assuntore dei lavori, dell’abbandono incontrollato dei rifiuti derivanti dalla predetta attività);
- Cass. 25 maggio 2011, n. 25041, Spagnuolo, Ced Cass., rv. 250676 e Ambiente e sviluppo, 2012, 173 (il committente di lavori edili ed il direttore dei lavori non hanno alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente);
- Cass. 17 aprile 2012, n. 19072, Sanchi, Ambiente e sviluppo, 2012, 1066 (l'appaltatore, in ragione del rapporto contrattuale che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto e pertanto su di lui gravano i relativi oneri; ne deriva che, salvo i casi in cui, per la particolarità dell'obbligazione assunta o per la condotta del committente, concretatasi in ingerenza o controllo diretto sull'attività dell'appaltatore, detti oneri non si estendono anche al committente);
- Cass. 5 febbraio 2015, n. 11029, D'Andrea, allo stato inedita, (l'appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, che lo vincola al compimento di un’opera o alla prestazione di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio è, di regola, il produttore del rifiuto e su di lui, quindi, gravano i relativi oneri).
Insomma, sulla questione qui dibattuta, la giurisprudenza si era ormai consolidata nel senso di escludere che andasse considerato produttore dei rifiuti (anche) colui nel cui interesse fosse svolta l’attività da cui traggono origine i rifiuti, estendendo quindi la paternità degli stessi all’attività “giuridica” del committente. Secondo questa impostazione, dunque, le responsabilità per la gestione dei rifiuti fanno capo solo a carico di chi materialmente svolge l’attività da cui originano i rifiuti.
In questo quadro, il recente intervento governativo, dettato dalla volontà di sanare la grave situazione di Monfalcone, rischia perciò di aprire (o ri-aprire!) la strada alla criminalizzazione di soggetti che, come detto, finora sono stati esclusi dalle responsabilità penali relative alla illecita gestione dei rifiuti.
Dubitiamo fortemente che questo effetto – probabilmente non previsto da chi ha redatto la norma – sia da salutarsi positivamente. Per quanto illustrato in precedenza, non crediamo infatti che esistano valide ragioni logico-giuridiche per addossare il peso degli obblighi in tema di gestione dei rifiuti su soggetti ulteriori rispetto al materiale produttore 3.
Un’ultima osservazione: nel caso di specie, il deposito dei rifiuti era frutto dell'intervento diretto di Fincantieri (ed era eseguito in un'area distinta rispetto a quella ove i rifiuti venivano prodotti 4) che provvedeva a prelevare i rifiuti, prodotti dalle ditte subappaltatrici, da bordo nave per trasferirli sulla terraferma ove erano oggetto di cernita. Peraltro, se il trasbordo dei rifiuti sulla terraferma fosse stato compiuto direttamente dalla ditta appaltatrice, quest’ultima poteva anche effettuare il loro deposito temporaneo, consentendo alla stessa Fincantieri di decidere il successivo destino dei medesimi.
Insomma, per sanare una situazione di illegalità sicuramente evitabile con una diversa organizzazione del lavoro (o comunque con l’ottenimento delle prescritte autorizzazioni), il decreto legge, ove convertito senza modifiche in legge, porterà nelle nostre asfittiche aule giudiziarie una nuova pletora di soggetti senza che a questo fatto corrisponda una effettiva maggiore tutela dell’ambiente.
1 Utilizziamo questa espressione in senso onnicomprensivo e cioè non solo per connotare la classica fattispecie del proprietario di un immobile che ne commissiona la demolizione a terzi, ma anche per indicare situazioni diverse come, ad esempio, il proprietario di un fondo contaminato che incarica una ditta specializzata dell’asportazione del terreno inquinato, l’affittuario di un’azienda che provveda alla manutenzione ordinaria di un macchinario mediante sostituzione di un pezzo, il possessore di un autoveicolo che ne fa sostituire la batteria esausta, ecc.
2 E cioè l’art. 1, lett. c), che stabilisce che il detentore è «il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene»; l’art. 8 che stabilisce che detti obblighi sono a carico di «ogni detentore di rifiuti; l’art. 15 che prevede che, conformemente al principio «chi inquina paga», il costo dello smaltimento dei rifiuti sia sopportato dal detentore che consegna i rifiuti ad un operatore incaricato del loro smaltimento e/o dai precedenti detentori o dal fabbricante del prodotto causa dei rifiuti stessi.
3 Va da sé che questo discorso riguarda soltanto la responsabilità del cd. produttore iniziale e non tocca certo la diversa questione delle responsabilità che gravano su ciascun successivo detentore.
4 Questo è un aspetto del tutto irrilevante perché, una volta esclusa la qualità di produttore, viene meno del tutto la legittimazione a realizzare un deposito temporaneo sia nel luogo stesso di produzione del rifiuto sia in un altro luogo contiguo, nella disponibilità dell’impresa produttrice e funzionalmente collegato al primo (come insegna la consolidata Cassazione sul punto che ha ampliato la possibilità di effettuare un lecito deposito temporaneo).