T.A.R. Toscana Sez. II n. 334 del 17 febbraio 2011, n. 334
Rifiuti. Autorizzazioni
Non vi è identità di contenuti tra le autorizzazioni previste, rispettivamente, dagli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006 perché dal raffronto tra l’art. 210 e l’art. 208, comma 4 (e non comma 11) non può che concludersi che l’art. 208, comma 4, non ha una previsione omologa – quanto ad adempimenti procedurali prescritti – all’interno dell’art. 210. Che il raffronto debba farsi rispetto all’art. 208, comma 4, e non rispetto al successivo comma 11, è dimostrato dalla circostanza che è il comma 4, alla lett. b), a prescrivere l’acquisizione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali (dato per assodato che in queste esigenze rientri la verifica di conformità urbanistica); il comma 11, invece, si limita, alla lett. b), a menzionare tra i contenuti dell’autorizzazione i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, senza, però, specificare se si tratti della compatibilità sotto il profilo urbanistico.
N. 00334/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01724/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1724 del 2007, proposto dalla
Ditta Cantini Marino S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig.ra Silvia Cantini, rappresentata e difesa dall’avv. Alberto Maria Bruni e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, via Lamarmora n. 14
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Sansoni e Gianna Rogai e con domicilio eletto presso la Direzione Avvocatura, in Firenze, p.zza della Signoria (Palazzo Vecchio)
Provincia di Firenze, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lina Cardona, Francesca De Santis ed Elena Possenti e con domicilio eletto presso l’Avvocatura della Provincia, in Firenze, via de’ Ginori n. 10
per l’annullamento
- del provvedimento dirigenziale della Provincia di Firenze n. 2055 del 15 giugno 2007, contenente diniego dell’autorizzazione richiesta dalla ditta ricorrente per l’avvio dell’attività di recupero rifiuti speciali non pericolosi, di tipo inerte, con riguardo all’impianto ubicato nel Comune di Firenze, via dello Scalo n. 10;
- della nota della Provincia di Firenze prot. n. 140493 del 2 maggio 2007, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione;
- della verbale della Conferenza di servizi del 17 gennaio 2007, avente ad oggetto il procedimento di approvazione dell’autorizzazione richiesta dalla ditta Cantini Marino S.r.l.;
- della nota della Provincia di Firenze – Direzione Avvocatura del 23 aprile 2007, recante parere in ordine alla Conferenza di servizi del 17 gennaio 2007;
- del parere del Comune di Firenze – Direzione Urbanistica – Servizio Pianificazione e Grandi progetti, presentato nella Conferenza Servizi del 17 gennaio 2007 ed allegato agli atti della predetta Conferenza;
- di ogni ulteriore atto del procedimento presupposto, connesso e/o conseguente
e per la condanna
della Provincia di Firenze e del Comune di Firenze al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla ricorrente in conseguenza del diniego gravato.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Firenze e della Provincia di Firenze;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 22 dicembre 2010, il dr. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
La ricorrente, ditta Cantini Marino S.r.l., espone di esercitare in Firenze attività di recupero di rifiuti inerti provenienti da costruzione e demolizione, all’interno di un cantiere adibito alla produzione e vendita di materiali inerti (ad imprese che poi lo usano in sottofondi di piazzali, massicciate stradali, ecc.), con ingresso in via dello Scalo n. 10.
Nel vigore del d.lgs. n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi) i rifiuti inerti vennero classificati come rifiuti recuperabili non pericolosi e, pertanto, la ditta esponente presentò comunicazione di inizio attività alla Provincia di Firenze, ai sensi dell’art. 33 del decreto legislativo in discorso. Nel 2003 la società ottenne poi il rinnovo dell’autorizzazione a svolgere l’attività di recupero di materiali inerti (fino al 2008).
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambiente) e del d.m. n. 186 del 5 aprile 2006, la società esponente manifestava alla Provincia di Firenze l’intenzione di avvalersi del regime transitorio previsto dall’art. 11 del d.m. 5 febbraio 1998 (come modificato dal d.m. n. 186/2006) per le imprese che non soddisfacevano più i requisiti per poter beneficiare della procedura semplificata ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 (comunicazione di inizio attività), al fine di consentire alle stesse di presentare la domanda di autorizzazione al cd. regime ordinario (già regolato dall’art. 28 del d.lgs. n. 22/1997). Valendosi delle proroghe accordate dalla Provincia, la ditta Cantini presentava, quindi, istanza di autorizzazione ex art. 210 del d.lgs. n. 152/2006 per l’attività da svolgere nell’impianto di via dello Scalo n. 10.
Convocata dalla Provincia di Firenze la Conferenza di servizi per acquisire gli elementi necessari al fine del completo esame della pratica, nella riunione del 17 gennaio 2007 si decideva di sospendere il procedimento e di richiedere un parere alla Direzione Avvocatura della medesima Provincia. Ciò, in quanto il Comune di Firenze aveva eccepito l’inserimento dell’area interessata in zona omogenea F (attrezzature ed impianti di interesse generale), sottozona F1 (verde pubblico, sportivo, campeggi) all’interno del parco dell’Arno e della più vasta area di trasformazione “Argingrosso”, precisando di poter prestare assenso solo al rilascio di un’autorizzazione per un periodo assai inferiore a quello di legge e comunque condizionata all’inizio della realizzazione delle opere pubbliche (purché ritenuta ammissibile). La Direzione Avvocatura, interpellata sul punto, esprimeva tuttavia avviso contrario. Per l’effetto, la Provincia di Firenze adottava la comunicazione ex art. 10-bis della l. n. 241/1990 e, dopo la memoria di replica dell’esponente, l’atto dirigenziale n. 2055 del 15 giugno 2007, con cui l’istanza di autorizzazione presentata dalla società veniva respinta.
Avverso il predetto diniego di autorizzazione, nonché avverso gli atti ad esso presupposti specificati in epigrafe, è insorta la ditta Cantini Marino S.r.l., impugnandoli con il ricorso parimenti indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento.
A supporto del gravame, con cui ha chiesto, altresì, la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti e subendi, ha dedotto i seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006, eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, violazione del giusto procedimento, illogicità e contraddittorietà, e per sviamento, giacché la P.A. avrebbe avviato una verifica circa la conformità urbanistica dell’impianto non prevista dalla normativa di settore, la quale ammetterebbe soltanto la ben diversa verifica della compatibilità del progetto presentato con le esigenze ambientali e territoriali;
- ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006 ed eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà, e per sviamento, in quanto il diniego è stato adottato in relazione ad un impianto esistente e già da tempo attivo, per il quale, perciò, non sarebbe stato possibile evidenziare alcun contrasto urbanistico, tenuto, altresì, conto che nel 2005 ne era stato autorizzato un intervento di recupero funzionale e risanamento conservativo;
- ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006, violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 51 delle N.T.A. del P.R.G. di Firenze approvato con deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana n. 385 del 2 dicembre 1997, violazione e falsa applicazione del Piano Strutturale, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Firenze n. 39 del 20 aprile 2004, violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 63 della l.r. n. 1/2005, eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà, e per sviamento, perché nella vicenda in esame non sarebbe comunque ravvisabile alcun contrasto urbanistico, data la decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio di cui agli artt. 50 e 51 cit., nonché delle misure di salvaguardia introdotte dal Piano Strutturale, per scadenza del loro termine naturale di validità, come, del resto, confermato dalla Direzione Urbanistica del Comune di Firenze in sede di Conferenza di servizi.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Firenze, depositando in prossimità dell’udienza pubblica una memoria con documentazione allegata ed eccependo l’infondatezza del ricorso, ivi compresa la domanda di risarcimento dei danni.
Si è costituito in giudizio, altresì, il Comune di Firenze, depositando una relazione della Direzione Urbanistica con documentazione allegata e confermando il venir meno dei vincoli e delle misure di salvaguardia considerati ostativi all’intervento. La difesa comunale ha depositato, altresì, memoria, illustrando le ragioni dell’operato del Comune e chiedendo il rigetto della domanda di risarcimento dei danni.
La società ricorrente ha depositato a sua volta memoria, insistendo per l’integrale accoglimento del gravame, inclusa la domanda risarcitoria. Ad essa ha replicato la difesa provinciale, precisando: a) che la Provincia non ha mai richiesto in sede di procedura semplificata la conformità urbanistica e che, perciò, il relativo accertamento si è reso necessario quando la ricorrente ha avanzato istanza di autorizzazione secondo la procedura ordinaria; 2) che la ricorrente ha continuato a gestire la stessa quantità di rifiuti prima e dopo l’istanza respinta, non patendo, quindi, nessun danno. Anche la ditta Cantini Marino S.r.l. ha formulato memoria di replica, insistendo sui motivi di gravame ed in specie sul venir meno delle misure di salvaguardia.
All’udienza pubblica del 22 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso indicato in epigrafe viene impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, il diniego della Provincia di Firenze sull’istanza di autorizzazione presentata dalla società ricorrente ai sensi dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006.
I primi due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi sui piani logico e giuridico, devono essere respinti.
In sintesi, la società ricorrente lamenta di aver presentato istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006 e che, nondimeno, l’iter procedimentale portato avanti dalla P.A. su tale istanza è stato quello previsto dall’art. 208 del d.lgs. n. 152 cit. per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti. Ciò, sebbene l’impianto per cui è causa non fosse nuovo, trattandosi di un impianto preesistente e già precedentemente utilizzato, per il quale, oltretutto, non veniva proposto alcun tipo di intervento strutturale. Ne sono derivate, secondo la società, plurime illegittimità sotto i profili formale e sostanziale, a partire dall’assoggettamento dell’istanza al modulo procedimentale della Conferenza di servizi, prescritto dall’art. 208, comma 3, cit., ma non menzionato dall’art. 210 cit.; quest’ultima norma, che delinea uno schema procedimentale improntato a maggior celerità, del resto, non impone al richiedente né di allegare alcun progetto dell’impianto, né di depositare alcuna documentazione tecnica prevista per l’esecuzione del progetto dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica (come invece impone l’art. 208, comma 1). Soprattutto, trattandosi di procedimento che concerneva un impianto già esistente, per il quale veniva richiesto solo il mutamento della gestione, dal “regime semplificato” a quello “ordinario”, senza alcuna altra modificazione (né delle strutture o attività, né dei quantitativi o tipologie dei rifiuti trattati), non vi sarebbe stata nessuna esigenza di verifica della conformità urbanistica: verifica non prevista dall’art. 210 cit., ma, come si afferma nel primo motivo, neppure dal precedente art. 208, il quale, al comma 4, lett. b), prevede l’acquisizione e valutazione, da parte della Conferenza di servizi, di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali. E l’ora indicato concetto di “esigenze ambientali e territoriali” nulla avrebbe a che vedere con la verifica dell’inesistenza di difformità urbanistiche, in quanto, sulla base della giurisprudenza, anche costituzionale, i concetti di “urbanistica”, “ambiente” e “territorio” sarebbero nettamente distinti e non fungibili: la previsione dell’art. 208, comma 4, lett. b), cit. concernerebbe la valutazione di tutte quelle caratteristiche del territorio non paesaggistiche (cioè non esteticamente rilevanti), costituenti l’habitat dell’uomo ai fini della tutela della sua salute e dei valori ecologici e culturali di conservazione della natura, non intendendo la previsione stessa riferirsi a valutazioni neppure indirettamente di tipo urbanistico, ossia afferenti alla pianificazione e programmazione dell’edilizia o delle opere pubbliche.
Le suesposte argomentazioni, pur trovando un appiglio sul piano positivo, con particolare riguardo alle differenze tra il modulo procedimentale regolato dall’art. 208 del cd. Codice ambiente e quello di cui al successivo art. 210 ed al differente, rispettivo oggetto di siffatti moduli procedimentali, nel caso di specie debbono, tuttavia, essere disattese.
Va premesso che, per quanto qui rileva, il contesto normativo di riferimento è costituito dai già più volte menzionati artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006. Il primo, che disciplina il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, prende le mosse dalla domanda dai soggetti che intendono realizzare e gestire il nuovo impianto, corredata del progetto definitivo e della documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto de quo dalle disposizioni vigenti nelle materie urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. L’impianto va sottoposto alla valutazione di impatto ambientale, se rientrante tra quelli per i quali la V.I.A. è prescritta. Il procedimento autorizzatorio si articola in una Conferenza di servizi (cui è invitato a partecipare il richiedente l’autorizzazione), che entro novanta giorni dalla sua convocazione: procede a valutare il progetto; acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali (v. lett. b) del comma 4); acquisisce, ove previsto, la valutazione di compatibilità ambientale; invia le proprie conclusioni alla Regione. Quest’ultima, se la valutazione è positiva, rilascia, entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza, l’autorizzazione alla realizzazione e gestione dell’impianto, che è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile, contestualmente approvando il progetto. E tale approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, concessioni, ecc. di organi regionali, provinciali e comunali, costituendo, se occorra, variante allo strumento urbanistico e valendo come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Il termine del procedimento è di complessivi centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda, entro cui si adottano l’autorizzazione o il diniego motivato della stessa: tale termine può essere interrotto una sola volta da eventuali richieste istruttorie all’interessato e ricomincia a decorrere dal ricevimento degli elementi che quest’ultimo si premura di fornire.
L’art. 210, invece, disciplina il procedimento di rilascio dell’autorizzazione per casi particolari, tra i quali l’ipotesi in cui si intenda chiedere una modifica dell’autorizzazione alla gestione di cui si è in possesso; il procedimento, che si applica anche a quanti intendono avviare un’attività di recupero o di smaltimento dei rifiuti in un impianto già esistente, utilizzato in precedenza, è molto più agile di quello ex art. 208, dovendosi concludere entro novanta giorni dalla presentazione dell’istanza e non comportando la convocazione di alcuna Conferenza di servizi.
Da quanto esposto si potrebbe desumere che, effettivamente, sebbene la ricorrente avesse presentato un’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006, tuttavia l’Amministrazione ha istruito e portato avanti nel concreto il diverso procedimento previsto e disciplinato dall’art. 208 del medesimo decreto legislativo, concludendolo negativamente. Sul punto, non convince la difesa della Provincia di Firenze, laddove cerca di fondare la legittimità del proprio operato sull’identità di contenuti delle autorizzazioni previste, rispettivamente, dagli artt. 208 e 210 del d.lgs. n. 152/2006, sottolineando l’identità normativa dell’art. 208, comma 11, e dell’art. 210, comma 3, dalla quale si ricaverebbero: a) l’estensione dell’obbligo della Conferenza di servizi dal procedimento ex art. 208 a quello ex art. 210; b) la necessità per la P.A. di svolgere, nei procedimenti ex art. 210, i medesimi accertamenti previsti per quelli ex art. 208 e, dunque, anche gli accertamenti e verifiche in ordine ai profili urbanistici ed ambientali, ivi compresa la conformità urbanistica. Ma l’argomentazione non può essere condivisa, perché trascura che il raffronto va fatto tra l’art. 210 e l’art. 208, comma 4 (e non comma 11) e che, sulla base di tale raffronto, non può che concludersi che l’art. 208, comma 4, non ha una previsione omologa – quanto ad adempimenti procedurali prescritti – all’interno dell’art. 210. Che il raffronto debba farsi rispetto all’art. 208, comma 4, e non rispetto al successivo comma 11, è dimostrato dalla circostanza che è il comma 4, alla lett. b), a prescrivere l’acquisizione di tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali (dato per assodato che in queste esigenze rientri la verifica di conformità urbanistica); il comma 11, invece, si limita, alla lett. b), a menzionare tra i contenuti dell’autorizzazione i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, senza, però, specificare se si tratti della compatibilità sotto il profilo urbanistico: di qui l’inutilizzabilità del predetto comma 11 per la ricostruzione ermeneutica proposta dalla difesa provinciale. Per di più, la tesi della Provincia è contraddittoria, sottolineando essa, da un lato, la specialità dell’art. 210 del d.lgs. n. 152/2006, disposizione che non trova un suo corrispondente articolo nel d.lgs. n. 22/1997 (al contrario dell’art. 208, che unifica i previgenti artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 22 cit.); dall’altro, pretendendo di rinvenire unitarietà di ratio e di disciplina tra gli artt. 208 e 210, laddove, invece, ad avviso del Collegio tra le due disposizione esiste un rapporto generale (l’art. 208)-speciale (l’art. 210) che le rende reciprocamente inconciliabili. Coglie, invece, nel segno l’ulteriore argomento difensivo della Provincia di Firenze, basato sulla circostanza che, in sede di procedura “semplificata”, l’Amministrazione provinciale non ha mai richiesto la conformità urbanistica, sicché il fatto che in passato la ricorrente avesse svolto la propria attività secondo il cd. regime semplificato ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 è irrilevante ed anzi conferma l’esigenza che, in sede di passaggio alla procedura “ordinaria”, si verificasse la suddetta conformità.
In altre parole, non ha alcun rilievo che l’impianto della ricorrente fosse preesistente e già adibito in precedenza all’attività di recupero e smaltimento di rifiuti inerti e che, dunque, non trattandosi di un nuovo impianto, per esso il procedimento autorizzatorio non potesse essere quello ex art. 208 cit. (il quale ha ad oggetto i nuovi impianti): ciò, perché è incontestato tra le parti – anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010 – che nel vigore del cd. decreto Ronchi l’attività venisse ivi svolta dalla ditta ricorrente in base a comunicazione di inizio attività, cioè con procedura “semplificata” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 e che per tal ragione la Provincia di Firenze non abbia mai eseguito alcuna verifica della conformità urbanistica dell’impianto in esame. Nel senso di detta affermazione depone, del resto, il parere legale depositato dalla Provincia (cfr. doc. 10), indirizzato all’Ufficio Speciale Avvocatura della Provincia stessa, che opta per l’estraneità delle valutazioni di tipo urbanistico rispetto al procedimento “semplificato” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997. Ma, allora, risulta condivisibile l’asserzione della Provincia secondo cui, in sede di passaggio della ricorrente al regime “ordinario”, con il procedimento ex art. 210 del Codice Ambiente e sfruttando la disciplina transitoria dettata dall’art. 11 del d.m. 5 febbraio 1998 (come novellato dal d.m. n. 186 del 2006), si sia posta per la prima volta l’esigenza, divenuta a quel punto ineludibile, di accertare la conformità urbanistica dell’impianto da autorizzare. Non si è trattato, cioè, di un’applicazione illegittima della disciplina procedimentale prevista dall’art. 208 del d.lgs. n. 152 cit. anche all’istanza autorizzatoria della ricorrente, sebbene quest’ultima l’avesse presentata ai sensi del successivo art. 210. Ad avviso del Collegio, si è trattato di colmare una lacuna dell’iter procedurale di cui al predetto art. 210, che non prevede espressamente alcun verifica urbanistica per gli impianti appartenenti a soggetti già in possesso dell’autorizzazione secondo lo schema “semplificato”, i quali intendano passare al regime “ordinario”: lacuna che non poteva essere colmata se non eseguendo, in occasione del procedimento ex art. 210 cit., per la prima volta l’indicata verifica di conformità urbanistica. Ciò, al fine di evitare il rischio che, diversamente opinando, si finisse per autorizzare impianti non in regola sotto il punto di vista della disciplina urbanistica, in quanto mai controllati con la procedura “semplificata” ex art. 33 del d.lgs. n. 22/1997 e neppure ora, in sede di passaggio al regime “ordinario”, sottoposti ad una verifica sotto questo profilo: eventualità, quest’ultima, manifestamente irragionevole e contraria ai principi di buona amministrazione ex art. 97 Cost..
Donde, in definitiva, l’infondatezza delle doglianze dedotte con i primi due motivi del ricorso, che devono perciò – come già detto – essere respinti.
A conclusioni del tutto diverse deve, invece, pervenirsi in relazione al terzo motivo di gravame, che risulta meritevole di condivisione, alla luce degli elementi forniti dal Comune di Firenze.
Sul punto, vi è innanzitutto da osservare che già nella Conferenza di servizi del 17 gennaio 2007 la rappresentante della Direzione Urbanistica – Servizio Pianificazione e Grandi progetti del Comune di Firenze aveva ammesso che il vincolo preordinato all’esproprio impresso all’area interessata dal P.R.G. era decaduto. L’assunto ha poi trovato conferma nell’ulteriore corrispondenza intercorsa tra Comune e Provincia di Firenze, in particolare nella nota comunale prot. n. 36432/08/07 (richiamata nella relazione della Direzione Urbanistica del Comune di Firenze del 29 agosto 2008, doc. 1 della difesa comunale), nella quale “si confermava che il vincolo “zona F” gravante sull’area era ormai decaduto per inutile decorso del quinquennio di sua efficacia” (così testualmente la relazione del 29 agosto 2008). Ad identica conclusione si deve inoltre pervenire anche per quanto riguarda il vincolo impresso sull’area de qua dal Piano Strutturale adottato con deliberazione del Consiglio Comunale del 20 aprile 2004, tramite il suo inserimento all’interno dell’U.T.O.E. n. 6 “Cascine/Argingrosso”, quale parte dalla più vasta area di trasformazione “Argingrosso”: le relative misure di salvaguardia, infatti, ai sensi dell’art. 61, comma 3, della l.r. n. 1/2005, avevano un’efficacia di tre anni dalla data di adozione del predetto Piano Strutturale e, dunque, risultano venute meno al 20 aprile 2007 (dopo la Conferenza di servizi, ma ben prima dell’emanazione del diniego gravato). Ad abundantiam deve poi osservarsi che il nuovo Piano Strutturale, adottato nel luglio del 2007, non contempla più l’area dell’Argingrosso quale “area di trasformazione” (così la relazione del Comune del 29 agosto 2008), con il corollario che la disciplina urbanistica sopravvenuta non dispiega alcuna efficacia preclusiva alla decisione del ricorso in epigrafe per il fatto di non essere stata impugnata, giacché essa non è di ostacolo all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione per cui è causa.
In definitiva, il ricorso è fondato, attesa la fondatezza del (solo) terzo motivo e deve essere accolto, disponendosi, per conseguenza, l’annullamento del diniego gravato e degli atti ad esso presupposti e connessi specificati in epigrafe.
Deve essere, invece, respinta la domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla ditta ricorrente, in quanto rimasta del tutto sfornita di apparato probatorio, al quale la ditta stessa non ha provveduto né nel ricorso introduttivo, né nelle memorie successive, essendo sul punto manifestamente inadeguata l’affermazione per cui la presenza di danni ingenti sarebbe “intuitiva”: ma è sin troppo evidente che una siffatta affermazione non può valere ad esonerare la ricorrente dall’onere di fornire la prova dei danni sofferti, anche in virtù del costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova, e non, invece, l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 23 marzo 2009, n. 1716). Al contrario, si deve ritenere raggiunta la prova dell’inesistenza di danni a carico della ditta Cantini Marino S.r.l., anzitutto in ragione della documentazione che la difesa provinciale ha depositato con riguardo alla quantità di rifiuti gestiti prima e dopo il diniego impugnato (che è rimasta la stessa, ed anzi è aumentata); inoltre, perché la domanda di autorizzazione conteneva a pag. 2 l’indicazione che il progetto presentato non avrebbe contemplato variazioni di dimensioni in relazione ai quantitativi recuperati ed a quelli stoccati.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, tenuto conto della soccombenza della società ricorrente in ordine ai primi due motivi del ricorso ed alla domanda di risarcimento dei danni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per conseguenza, annulla gli atti con esso impugnati, come indicato in motivazione, respingendo, invece, la domanda di risarcimento dei danni.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2010, con l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/02/2011