TAR Piemonte Sez. I n.1142 del 12 settembre 2016
Rifiuti.Misure precauzionali
La messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni. Se è vero, per un verso, che l'Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l'individuazione dell'eventuale responsabile
Pubblicato il 12/09/2016
N. 01142/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01327/2010 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1327 del 2010, proposto da:
Federal-Mogul Italy S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Pes C.F. PSESFN49B05I452C, Pier Francesco Federici C.F. FDRPFR54A18D969C, Francesco Goisis, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Stefano Pes in Torino, corso Stati Uniti, 41;
contro
Città Metropolitana (già Provincia di Torino), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Silvana Gallo C.F. GLLSVN53M56G953I, Nicoletta Bugalla C.F. BGLNLT69S67A859U, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura della Città di Torino, in Torino, corso Inghilterra, 7/9;
Regione Piemonte, Comune di San Gillio, Asl To3, Comune di Alpignano, Bonatto S.r.l. non costituiti in giudizio;
Arpa Piemonte, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Bruna Bruni C.F. BRNBRN57H65A182Y, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto, 65;
nei confronti di
N.K.E. S.p.A. non costituita in giudizio;
per l'annullamento
- della lettera della Provincia di Torino, n. prot. 681787 del 1.9.2010;
- della relazione tecnica ARPA n. prot. 85278 del 30.7.2010;
- di ogni altro atto o comportamento presupposto, consequenziale o connesso, anche non conosciuto, ove interpretabile nel senso di affermare la responsabilità per l'inquinamento extra situ di Federal Mogul, ivi comprese, per quanto occorrer possa, la delibera della VIII conferenza di servizi del 17.2.2009 e di ogni altra delibera della competente conferenza di servizi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana, già Provincia di Torino, e di Arpa Piemonte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società Federal-Mogul Italy S.r.l., (da ora anche solo FM) ha dato avvio, previa comunicazione del 10 luglio 2002 agli enti competenti, ad un procedimento di bonifica dell’area su cui insiste un suo stabilimento, nel comune di Alpignano, precisando di agire in qualità di mera parte interessata, non di responsabile dell’inquinamento.
Sull’area era stata riscontrata una situazione di contaminazione del terreno da idrocarburi e cromo totale e delle acque sotterranee per il parametro cromo esavalente e per alcuni composti clorurati.
In esito alla conferenza di servizi del 19 febbraio 2009, durante la quale è stato evidenziato uno stato di inquinamento anche della falda acquifera esterna alla suddetta area, rilevato dal piezometro MW20, veniva disposto il monitoraggio sul livello di inquinamento della falda, con la installazione di ulteriori piezometri, per le indagini di approfondimento.
Con nota del 1 settembre 2010 n. prot. 681787, la Provincia di Torino ha dichiarato che la responsabilità dell’inquinamento di detta falda andava attribuito alla società ricorrente, in base alla relazione dell’Arpa del 30 luglio 2010, per cui veniva imposto a FM l’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza.
Avverso gli atti indicati in epigrafe la società ricorrente ha articolato le seguenti censure:
1) in via principale: violazione del principio chi inquina paga, di cui agli artt. 3 ter d. lgs. 156/2006 e 174 Trattato; violazione degli artt. 239, 242, 244 e 253 d. lgs. 156/2006, violazione dell’art 23 Cost.; eccesso di potere per travisamento dei fatti, perplessità, illogicità manifesta, inattendibilità degli accertamenti e assenza dei presupposti: la responsabilità della FM è stata affermata facendo applicazione del principio della vicinitas, in quanto si tratta dell’unica società che ha una attività produttiva in zona limitrofa alle falde; tuttavia questa deduzione contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, in forza del quale l’Amministrazione ha l’onere di ricercare e individuare l’effettivo responsabile dell’inquinamento. Secondo l’orientamento consolidato, richiamato dalla ricorrente, è necessario, al fine della dichiarazione di responsabilità, che venga provato il nesso di causalità, ex art 41 c.p.: nel caso in esame invece la società è stata chiamata a rispondere per un fatto di cui non è responsabile, non essendo stata fornita alcuna reale spiegazione sulla modalità con cui l’inquinamento presente nel sito di FM si sarebbe esteso anche all’esterno del sito.
La società evidenzia una serie di contraddizioni nell’attività istruttoria:
- le concentrazioni di inquinanti sono maggiori all’esterno del sito rispetto a quelle rilevate all’interno; la giustificazione dell’Arpa sul punto, cioè che questo può essere determinato dalla particolare circolazione sotterranea connessa ad irregolarità morfologiche, non è condivisibile, in quanto è smentita dai dati rilevati dagli stessi piezometri;
- il piezometro MW20, ove vi sarebbe una alta concentrazione all’esterno del sito, maggiore rispetto a quella interna, è posta al margine di un campo agricolo lungo un fossato di scolo perimetrale, facente parte di una estesa rete di canali ad uso anche industriale e collegati ad un’altra area industriale; non si possono quindi escludere contributi provenienti anche da altre attività industriali;
l’istruttoria è stata superficiale, perché è stato omesso di ricostruire l’attività svolta nella zona, di analizzare il ciclo produttivo passato e presente, di ricercare le materie prime e i rifiuti prodotti da tutte le industrie della zona.
La relazione parla di “probabilità” della contaminazione, ma manca la prova della effettiva riconducibilità all’attività di FM;
2) in via subordinata: eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità manifesta, violazione del principio del contraddittorio, violazione dell’art 7 L. 241/90 e dell’art 233 disp. att. c.p.p.: le verifiche eseguite sono inficiate da errori, proprio nella fase della ricerca del responsabile dell’inquinamento, anche a causa del mancato coinvolgimento dei soggetti interessati;
3) in via ulteriormente subordinata: eccesso di potere per difetto ed illogicità della motivazione: il provvedimento viene motivato con il semplice rinvio alla relazione Arpa, senza alcuna valutazione circa l’elemento di imputabilità soggettiva, presupposto necessario per affermare la responsabilità del soggetto inquinatore;
4) in via ulteriormente subordinata: incompetenza e violazione dell’art 242 d. lgs. 152/2006, assenza del passaggio della conferenza di servizi; violazione dell’art 244 d. lgs. 152/2006, incompetenza per violazione dell’art 107 c. 2 TUEL: il provvedimento è stato adottato senza la previa convocazione della conferenza di servizi, come previsto dall’art 242 d. lgs. 152/2006;
5) in relazione alle misure di sicurezza imposte, eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità manifesta, violazione del principio di proporzionalità, violazione dell’art 240 e 242 d. lgs. 152/2006: le misure di contenimento imposte si rivelano inadeguate e in ogni caso sono state disposte in assenza di una situazione di urgenza, dal momento che la presenza di uno stato di inquinamento era già stata accertata nel febbraio 2009.
La società ricorrente chiede altresì il risarcimento dei danni, che si riserva di quantificare nel corso del giudizio.
Si sono costituite in giudizio l’Amministrazione provinciale (ora città metropolitana) e l’Arpa, chiedendo il rigetto del ricorso.
In particolare le difese delle amministrazioni hanno evidenziato gli elementi in base ai quali l’inquinamento della falda possa essere ricondotto all’attività della società ricorrente, secondo il criterio giurisprudenziale del “più probabile che non”.
All’udienza del 13 luglio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1) La società in epigrafe ricorre avverso il provvedimento con il quale la Provincia di Torino ha disposto in via d'urgenza l'obbligo per la stessa di adottare gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, ai sensi dell’art 242 d. lgs. 152/06 al fine di contenere l'inquinamento riscontrato nell’area di sua proprietà e nella falda esterna.
Si deve evidenziare come i fatti di causa si innestino in un complesso scenario costituito dalla situazione di inquinamento rinvenuta nell’area della ricorrente, in ordine alla quale la stessa FM aveva avviato un procedimento di bonifica e gli altri Enti interessati, in particolare ARPA e Provincia, hanno posto in essere una complessa e articolata attività di indagine.
Ritiene il Collegio opportuno evidenziare alcuni elementi che hanno caratterizzato la vicenda:
a) il procedimento di bonifica è stato avviato dalla stessa società, nel 2002, a seguito del rinvenimento di uno stato di contaminazione da metalli nelle acque sotterranee all’interno dello stabilimento; si trattava in particolare di cromo esavalente e solventi clorurati, prodotti utilizzati dall’attività di cromatura svolta da FM;
b) nel corso dei successivi anni venivano effettuati monitoraggi della falda freatica, da cui emergeva l’aumento della contaminazione: in particolare nel pozzo MW20 la concentrazione di cromo esavalente raggiungeva livelli molto superiori al limite di legge (circa 9000 mg/l a fronte del limite di 5mg/l);
c) nella relazione dell’ARPA si ripercorrono tutte le fasi di monitoraggio delle acque, effettuato attraverso il posizionamento dei piezometri all’interno del sito della FM (MW4), all’esterno (MW20) e a confine (MW22), nonchè attraverso i piezometri MW18 e MW19 posti a valle della zona industriale di San Gillio, in cui la presenza delle suddette sostanze inquinanti risultava particolarmente bassa;
d) in ragione delle risultanze dell’attività istruttoria condotta dall’Arpa, la Provincia, ente competente in quanto l’inquinamento interessava il territorio di più comuni (Alpignano e San Gillio), ha notificato il provvedimento impugnato, chiedendo alla società FM di adottare gli opportuni interventi di messa in sicurezza d’emergenza ex art 242 d. lgs. 152/2006, al fine di impedire la propagazione della contaminazione all’esterno del sito, nonché di trasmettere i dati in precedenza rilevati e di aggiornare la documentazione progettuale con riferimento alla estensione della contaminazione riscontrata nelle acque sotterranee.
Nel ricorso la società contesta esclusivamente l’ordine di messa in sicurezza d’emergenza ex art 242 d. lgs. 152/2006, sostenendo di non potere essere ritenuta soggetto responsabile dell’inquinamento della falda e quindi di non avere alcun obbligo di effettuare l’intervento di messa in sicurezza.
2) Il primo motivo è incentrato sul profilo della responsabilità. Sostiene infatti la difesa di FM l’assenza dei presupposti per ricondurre l’inquinamento della falda all’attività svolta da FM, che è stata ritenuta responsabile solo in base al principio della vicinitas, in palese violazione al principio “chi inquina paga”.
Lamenta il difetto di istruttoria sull’accertamento del nesso di causalità, che emerge da una serie di contraddizioni dei dati, in particolare dal fatto che le concentrazioni di inquinanti sono maggiori all’esterno del sito rispetto a quelle rilevate all’interno e la giustificazione dell’Arpa sul punto, cioè che questo può essere determinato dalla particolare circolazione sotterranea connessa ad irregolarità morfologiche, non sarebbe condivisibile, in quanto viene smentita dai dati rilevati agli stessi piezometri.
2.1 E’ utile schematizzare e riepilogare le regole che possono ricavarsi dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (in particolare nel Titolo V della Parte IV) e dalla giurisprudenza interna e comunitaria formatasi sugli obblighi di messa in sicurezza:
a) il proprietario non responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell'art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. 1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";
b) il proprietario responsabile invece ai sensi dell’art 242 d. lgs. 152/2006, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, deve mettere in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione;
c) gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (art. 244, comma 2).
Pertanto vengono distinte le attività di prevenzione da un lato da quelle di riparazione, messa in sicurezza e bonifica.
Va però richiamato un recente orientamento in argomento, secondo cui la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni: “è stato d'altra parte puntualizzato che, se è vero, per un verso, che l'Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l'individuazione dell'eventuale responsabile (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2015, n. 3544 e Consiglio di Stato, sez. V, 14/04/2016, n. 1509).
Viene quindi data una differente configurazione all’attività di messa in sicurezza, ricondotta tra le misure precauzionali, quindi tra le attività che possono anche essere poste in capo al proprietario non responsabile.
2.2 In materia di accertamento del nesso causale, tra operatore e inquinamento, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, il criterio oggi maggiormente applicato è quello del “più probabile che non”, secondo cui per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%) (cfr. Tar Lazio Roma, n. 998 del 2014; Cassazione sentenza n. 21619 del 2007), escludendo invece la possibilità di applicare il criterio penalistico che richiede una certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (T.A.R. Pescara, (Abruzzo), sez. I, 30/04/2014, n. 204).
Posizione che è stata ribadita dalla Corte di Giustizia nella pronuncia del 4 marzo 2015, in concausa C - 534/13 in cui si è affermato che l'obbligo di riparazione incombe sugli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento.
Afferma però la Corte di Giustizia, in tema di prova del nesso causale tra l’attività dell’operatore e l’inquinamento, tra operatore e danno ambientale (punto 58) che “conformemente all'articolo 8, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/35, in combinato disposto con il considerando 20 della stessa, l'operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione adottate in applicazione di tale direttiva quando è in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l'esistenza di idonee misure di sicurezza, o sono conseguenza di un ordine o di un'istruzione impartiti da un'autorità pubblica (v., in tal senso, sentenza ERG e a., EU:C:2010:126, punto 67 e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza Buzzi Unicem e a., EU:C:2010:129, punto 46).
Allorché non può essere dimostrato alcun nesso causale tra il danno ambientale e l'attività dell'operatore, tale situazione rientra nell'ambito dell'ordinamento giuridico nazionale, alle condizioni ricordate al punto 46 della presente sentenza (v,. in tal senso, sentenza ERG e a., EU:C:2010:126, punto 59, e ordinanza Buzzi Unicem e a., EU:C:2010:129, punti 43 e 48)”.
La Corte pare quindi porre in capo al privato l’onere di dimostrare non solo la sua estraneità all’inquinamento, ma anche di indicare chi sia l’effettivo responsabile, laddove afferma che “l'operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione adottate in applicazione di tale direttiva quando è in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo”.
2.3 Facendo applicazione dei principi sopra riportati, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia legittimo, sia quanto alla individuazione del soggetto responsabile, sia rispetto all’ordine impartito.
La messa in sicurezza d’emergenza è infatti la misura necessaria al fine di contenere la diffusione della contaminazione che trova la sua origine nell’attività produttiva di FM.
Non appare analiticamente ed efficacemente contestato dalla ricorrente che le sostanze inquinanti rinvenute nella falda costituiscono scarti e prodotti industriali tipici dell'attività esercitata da FM.
La contaminazione parte dall’area di proprietà della ricorrente e si è estesa ai confini e all’esterno:
- il piezometro MW4 posto all’interno ha sempre fatto rilevare valori elevati di cromo esavalente;
- il piezometro MW22 di confine del sito e quello MW20, posto a valle, presentano gli stessi elementi di inquinamento, sempre con valori elevati;
- a monte non sono mai stati rinvenuti superamenti del suddetto parametro;
- nei piezometri MW17-18-19 situati nelle alte zone industriali di San Gillio e Alpignano non è stato rinvenuto il superamento per il parametro di cromo esavalente e solventi clorurati.
Ne deriva che la contaminazione della falda discende ragionevolmente dalla contaminazione interna del sito di FM.
Il dato “anomalo” rappresentato dal fatto che vi sarebbe una maggiore concentrazione nel pozzo esterno MW20, rispetto a quello interno, è stato giustificato dall’Arpa con una motivazione che risulta coerente e logica: vi è infatti una inusuale circolazione idrogeologica, per cui l’acqua sotterranea si divide in differenti percorsi, per poi ricongiungersi in prossimità del pozzo MW20, con conseguente aumento della concentrazione di inquinanti.
Se poi si aggiunge che per altro verso la messa in sicurezza del sito ha una finalità precauzionale, al fine di evitare la propagazione ulteriore all’esterno e quindi ben può essere ricondotta all’azione preventiva, che grava sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente, la misura imposta non solo non viola il principio “chi inquina paga”, ma viene legittimamente imposta al proprietario, al fine di prevenire il peggioramento dell’inquinamento.
La riprova della correttezza dell’attività istruttoria e della misura imposta, si rinviene anche nella circostanza che nel corso degli anni l’inquinamento è stato ridotto, grazie alla barriera idraulica realizzata dalla ricorrente in attuazione al progetto di messa in sicurezza delle acque.
La FM né in sede procedimentale né in sede giudiziale ha dimostrato l’idoneità delle altre attività produttive a causare l’inquinamento o quanto meno a poter essere una fonte concorrente, come invece avrebbe dovuto provare al fine di dimostrare l’erroneità dell’istruttoria condotta dall’Arpa.
La doglianza va quindi respinta.
3) Nel secondo motivo si contesta il difetto e l’illogicità della motivazione, in quanto la ricerca del responsabile sarebbe stata inficiata da carente istruttoria, per la mancata prova della sussistenza dell’elemento di imputabilità soggettiva, presupposto necessario per affermare la responsabilità del soggetto inquinatore. Inoltre sarebbe mancato un effettivo coinvolgimento della ricorrente nella fase delle verifiche.
Anche questa doglianza non può trovare accoglimento.
La dimostrazione del rapporto di causalità tra l'attività di FM e il superamento dei limiti di contaminazione, fa sì che, sotto il profilo soggettivo, non possa dubitarsi dell'imputabilità dell'inquinamento alla stessa ricorrente, per le ragioni sopra esposte.
Quanto alla lamentata violazione delle garanzie partecipative, si deve invece osservare come il procedimento sia stato caratterizzato da un costante contraddittorio, a partire dalla prima conferenza di servizi, per tutta la fase di analisi della falda, avendo avuto la ricorrente possibilità di assistere alle varie analisi e di presentare proprie osservazioni alla relazione finale depositata dall’Arpa.
4) Dalle considerazioni sopra riportate si deve evincere anche l’infondatezza del terzo motivo in cui si lamenta l’inadeguatezza della motivazione per l’acritico rinvio alla relazione Arpa.
Avendo la Provincia condiviso le conclusioni cui è pervenuta l’Arpa sia sul soggetto responsabile, sia sui rimedi da porre in essere, la motivazione ben poteva consistere nel mero rinvio "per relationem" alla relazione tecnica, allegata al provvedimento.
5) Ugualmente infondata la quarta censura, sulla violazione dell’art 242 d. lgs. 152/2006 e dell’art 107 c. 2 TUEL, perché non sarebbe stata indetta la conferenza di servizi prima della emanazione del provvedimento, o quanto meno, come prescritto dall’art 242, per la mancata acquisizione dei pareri dei comuni interessati.
Il motivo è contraddetto dagli atti stessi: la decisione di intervenire sulla falda risale già alla conferenza di servizi del 2009, cui hanno partecipato anche i rappresentanti della società e delle amministrazioni locali.
Nel provvedimento gravato si dà atto che la messa in sicurezza è disposta “nel rispetto delle richieste già formulate dagli enti nel corso della conferenza di servizi tenutasi presso il Comune di Alpignano in data 17.2.2009”, a riprova del coinvolgimento degli enti interessati.
Nello spesso motivo viene sollevato un profilo di incompetenza perché l’atto è sottoscritto dal dirigente del servizio solo per presa visione (con l’apposizione del “visto”).
Anche questo rilievo non è condivisibile, in quanto il provvedimento, (che porta l’intestazione del Servizio Gestioni rifiuti e bonifiche), è stato sottoscritto dal funzionario (dott.ssa Claudia Viotto), dal responsabile dell’ufficio discariche e bonifiche (Dott. Gian Luigi Soldi), e per sola presa visione dal Dirigente del servizio.
Non si ravvisa quindi alcun profilo di illegittimità, dal momento che la firma è stata apposta dal responsabile del procedimento ed è comunque ammissibile la doppia sottoscrizione di un provvedimento, perché anche questa prassi non può far sorgere dubbi circa l'effettiva volontà manifestata dall'amministrazione, né è indice di valutazioni o di posizioni contraddittorie (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 febbraio 2014, n. 186).
6) L’ultimo motivo verte invece sulle misure di sicurezza imposte alla FM: lamenta la ricorrente la violazione del principio di proporzionalità e la non adeguatezza perché l’ordine di messa in sicurezza è stato dato in assenza di una situazione di urgenza, dal momento che lo stato di inquinamento era accertato già da febbraio 2009.
Anche questa doglianza è infondata.
Il tempo decorso dai primi accertamenti (febbraio 2009) al provvedimento (1 settembre 2010), è stato necessario al solo fine di effettuare l’attività istruttoria per il monitoraggio della falda e per individuare il responsabile: la Provincia una volta ricevuta la relazione dell’Arpa, nel mese di agosto 2010 ha poi rapidamente adottato l’atto impugnato.
6) Il ricorso va quindi respinto in toto, compresa la domanda di risarcimento dei danni.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in € 4.000,00 (quattromila,00), oltre oneri di legge, da liquidarsi, ripartite in parte uguale, a favore della Città Metropolitana di Torino e dell’ARPA Piemonte.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Silvana Bini, Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvana Bini Domenico Giordano
IL SEGRETARIO