 TAR Piemonte Sez. I n. 4376 del 2 dicembre 2010
TAR Piemonte Sez. I n. 4376 del 2 dicembre 2010
Rifiuti. Ordinanze contingibili ed urgenti
E’ noto il principio che sottende il legittimo esercizio del potere di ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco, della residualità dello strumento giuridico, legittimamente adottabile solo qualora l’ordinamento non predisponga strumenti ordinari per far fronte alla situazione di pericolo che si vuole scongiurare.
N. 04376/2010 REG.SEN.
 N. 00431/2000 REG.RIC.
 N. 01973/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
 
 (Sezione Prima)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 431 del 2000, proposto da:
 Cantoni Wanda, rappresentata e difesa dagli avv. Prof. Vittorio Barosio, Carlo  Simoncini, con domicilio eletto presso il prof. Vittorio Barosio in Torino,  corso G. Ferraris, 120;
 contro
 Comune Alessandria, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Taverna, Orietta  Bocchio, Cristiana Rossi, con domicilio eletto presso l’avv. Daniela Sannazzaro  in Torino, corso Re Umberto I, 6;
 
 
 sul ricorso numero di registro generale 1973 del 2001, proposto da:
 Cantoni Wanda, rappresentata e difeso dagli avv. Prof. Vittorio Barosio, Carlo  Simoncini, con domicilio eletto presso il prof. Vittorio Barosio in Torino,  corso G. Ferraris, 120;
 contro
 Comune Alessandria, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Pizzetti, Orietta  Bocchio, Cristiana Rossi, con domicilio eletto presso Daniela Sannazzaro in  Torino, corso Re Umberto I, 6;
 
 per l'annullamento
 
 quanto al ricorso n. 431 del 2000:
 
 dell'ordinanza del Sindaco di Alessandria 16.11.1999, notificata in data  4.12.1999, a mezzo della quale si ordina al ricorrente di eseguire opere di  recupero e smaltimento di rifiuti abbandonati su terreni di sua proprietà;
 
 di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso o conseguenziale.
 
 quanto al ricorso n. 1973 del 2001:
 
 dell'ordinanza del Sindaco di Alessandria 12.7.2001 n. 215, notificata in data  27.7.2001, a mezzo della quale si ordina alla ricorrente di eseguire opere di  messa in sicurezza e recinzione di un terreno di sua proprietà sul quale  verrebbero abbandonati rifiuti, nonché di presentare un progetto di bonifica e  ripristino ambientale.
 
 
 Visti i ricorsi e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Alessandria e di Comune  Alessandria;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del  giorno 18 novembre 2010 il Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le  parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO e DIRITTO
 
 1. Con i ricorsi in epigrafe, che stante le ragioni di oggettiva connessione  vanno riuniti e decisi con un’unica sentenza, la ricorrente impugna i  provvedimenti sindacali con i quali, sull’unico presupposto della titolarità di  diritto di proprietà in capo alla medesima su un fondo ubicato nel Comune di  Alessandria, le viene ingiunta la rimozione di rifiuti abbandonati sul di lei  terreno e la messa in sicurezza e recinzione con apposizione di cartelli di  divieto di scarico.
 
 Il Comune di Alessandria si costituiva con produzione del 8.10.2010 e memoria  del 18.10.2010, cui seguiva memoria di replica della ricorrente depositata il  26.10.2010.
 
 Il gravame è affidato a tre motivi, di seguito illustrati in uno con il loro  distinto scrutinio.
 
 Il ricorso 1973.2001 è seguito anche da due atti per motivi aggiunti, volti  all’annullamento di due provvedimenti successivamente adottati aventi il  medesimo tenore imperativo di quello impugnato con il gravame principale.
 
 Con il secondo dei mezzi aggiuntivi è gravata l’ordinanza del 15.3.2004 con la  quale era ordinata l’esecuzione d’ufficio delle attività imposte con i  provvedimenti assunti in precedenza.
 
 Pervenuto l’affare alla pubblica Udienza del 18.11.2010, sulle conclusioni delle  parti e sulla relazione del Referendario Alfonso Graziano la causa è stata  ritenuta in decisione.
 
 2.1. Deve preliminarmente il Collegio scrutinare l’eccezione di improcedibilità  per sopravvenuto difetto di interesse, sollevata dal Comune con la memoria di  costituzione sul rilievo che dal sopralluogo effettuato dal’ARPA il 9.8.2000  emergeva che non erano più presenti sul fondo della ricorrente i rifiuti oggetto  dell’ordinanza censurata, per cui la stessa poteva ritenersi ottemperata.
 
 Il verbalizzante precisava peraltro che il provvedimento imponeva alla  destinataria di comprovare l’avvenuto smaltimento dei rifiuti stessi in un  centro di raccolta autorizzato, dandone comunicazione all’ufficio ecologia del  Comune, adempimento non posto in essere dalla ricorrente.
 
 La difesa comunale fa discendere dalla suindicata parziale ottemperanza  all’ordinanza impugnata la sopravvenuta carenza di interesse al gravame.
 
 Contesta la ricorrente la pretesa esecuzione del provvedimento,dichiarando con  la memoria del 26.10.2010 di non aver prestato esecuzione all’ordine impartito,  inferendo che presumibilmente i rifiuti de quibus sono stati rimossi da ignoti e  insistendo per l’ottenimento della pronuncia giurisdizionale alla quale in  sostanza assume di avere interesse anche solo morale, quanto meno per  scongiurare ulteriori provvedimenti del Comune.
 
 2.2. Ritiene la Sezione che l’eccezione in esame non si presti a positiva  valutazione vada e per l’effetto respinta.
 
 Costituisce ius receputm, a cui il Collegio aderisce, il principio per il quale  l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse, comportando  la chiusura della parentesi giurisdizionale aperta dal ricorrete con  l’interposizione del gravame è conseguenza a cui il Giudice può pervenire solo  se il provvedimento impugnato sia stato sostituito da un altro che rechi un  assetto di interessi del tutto nuovo e integralmente satisfattivo della pretesa  azionata in giudizio, ovvero quando le circostanze di fatto sopravvenute o la  situazione di diritto determinatasi siano tali da rendere del tutto inutile per  il ricorrente la pronuncia di annullamento, alla quale il deducente non possa  avere più alcun interesse, quantunque di natura meramente morale.
 
 Rammenta al riguardo il Collegio come la giurisprudenza sia ormai concordemente  attestata sulla delineata opzione ermeneutica, avendo anche di recente chiarito  che “Nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso  per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di  una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a  quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere  certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venire meno per  il ricorrente qualsiasi (anche soltanto strumentale o morale o comunque residua)  utilità della pronuncia del giudice”(Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre  2010, n. 6549; Consiglio di Stato, sez. V, 13 luglio 2010, n. 4540).
 
 Nel caso all’esame, come avvertito, la ricorrente dichiara di aver ancora  interesse alla decisione del ricorso, quanto meno allo scopo di scongiurare  ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, che, come dimostra la successiva  interposizione di motivi aggiunti, sono stati di fatto successivamente adottati.
 
 Ma al di là della manifestazione di volontà della deducente osta a parere del  Collegio all’affermazione della sopravvenuta carenza di interesse al gravame, la  circostanza, correttamente rilevata dall’ARPA nel sopralluogo del 9.8.2000 (doc.  6 Comune) che la ricorrente, anche ammesso che abbia rimosso i rifiuti, non ha  ottemperato alla accessiva prescrizione formale di comprovarne l’allontanamento  dal fondo e la loro collocazione presso un centro di raccolta autorizzato,  inviando formale comunicazione al Comune.
 
 Siffatta omissione, che probabilmente suffraga l’assunto di parte ricorrente,  secondo cui l’ottemperanza al provvedimento non è stata effettuata da lei ma da  ignoti, induce ad affermare che l’esecuzione dell’ordinanza è stata solo  parziale, difettando l’obbligatoria comunicazione al Comune dell’avvenuta  allocazione dei rifiuti presso un centro di raccolta autorizzato.
 
 L’eccezione va pertanto disattesa.
 
 3.1. Va esaminata anche l’ulteriore eccezione preliminare di rito articolata dal  la difesa comunale, secondo la quale la procura ad litem apposta in calce al  ricorso sarebbe nulla siccome da intendersi riferita non al ricorso cui accede  ma ad altro non meglio identificato gravame, non ancora introdotto.
 
 L’eccezione è palesemente destituita di giuridico fondamento.
 
 Una mera rapida lettura del mandato defensionale incorporato nel ricorso  notificato al Comune, getta piena luce sulla ritualità del negozio procuratorio  difensivo, atteso che la ricorrente con esso delega l’avv. Simoncini e il Prof.  Barosio a rappresentarla e difenderla “nel presente procedimento pendente  davanti il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte”.
 
 Deduce la difesa comunale che il giudizio di cui al ricorso in epigrafe non  poteva definirsi ancora pendente all’atto della notifica del ricorso  introduttivo, poiché la pendenza sorge all’atto del deposito del gravame.
 
 3.2. Deve il Collegio dissentire da siffatta prospettazione, rilevandone il  carattere meramente nominalistico, posto che appare ictu oculi che la ricorrente  quando ha rilasciato la procura intendeva riferirla al ricorso nel quale la  stessa risultava incorporata mediante la spillatura del foglio separato ma ad  esso congiunto, nel quale l’atto procuratorio è stato steso.
 
 Che la signora abbia adoperato, per individuare il ricorso, l’attributo  “pendente”, in luogo, magari, di quello più appropriato di “su esteso” è  questione meramente terminologica che non è idonea ad intaccare la regolarità  del conferimento dello ius postulandi ai legali da lei prescelti.
 
 4.1. Approdando al merito dell’azione, lamenta con il primo mezzo la ricorrente  violazione dell’art. 38 della L. n. 142/1990 e dell’art. 13 del d.lgs. n.  22/1997 deducendo come il ricorso all’ordinanza contingibile ed urgente  contemplata dalla prima norma rivesta per giurisprudenza pacifica, carattere di  sussidiarietà, essendo consentito solo laddove l’ordinamento non preveda altri  strumenti di intervento ordinari per far fronte alla situazione di urgenza. Nel  caso all’esame, siffatti strumenti giuridici sono costituiti dall’ordinanza ex  art. 13 del d.lgs. n. 22/1997 e, del resto, difettano anche i presupposti  sostanziali della contingibilità ed urgenza richiesti dall’art. 38 della L: n.  142/1990 poiché la situazione di fatto contestata alla ricorrente è in essere da  molti anni.
 
 4.2. Le ricostruite doglianze si prestano a positiva considerazione e vanno  accolte.
 
 E’ noto il principio che sottende il legittimo esercizio del potere di ordinanza  contingibile ed urgente del Sindaco, della residualità dello strumento  giuridico, legittimamente adottabile solo qualora l’ordinamento non predisponga  strumenti ordinari per far fronte alla situazione di pericolo che si vuole  scongiurare.
 
 Ora, nel caso delle situazioni di abbandono di rifiuti pericolosi, un tale  rimedio è apprestato in via generale dall’ordinamento dall’art. 13 del Decreto  Ronchi, che consente l’adozione di un’ordinanza per rimediare ad “urgente ed  eccezionale necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente”, previa  indicazione delle norme derogate e del parere degli organi tecnico – sanitari  locali, espressi con specifico riferimento alle conseguenze ambientali.
 
 Nel caso in disamina, benché il provvedimento sia stato assunto sulla scorta del  sopralluogo dell’ARPA del 15.11.1999 (doc. 1 Comune), va osservato, intanto, che  nulla è motivato nel provvedimento come nel presupposto richiamato sopralluogo,  ad una situazione di eccezionale urgenza, ovverosia di contingibilità.
 
 4.3. Rammenta al riguardo la Sezione come la contingibilità, ossia  l’eccezionalità della situazione di fatto generatasi e la correlativa  eccezionale urgenza a provvedere, sostituisca prerequisito imprescindibile per  l’esercizio sia del potere specifico di ordinanza contemplato all’art. 13 del  Decreto Ronchi, sia del generico e residuale potere di ordinanza di cui all’art.  38 dell’abrogata L. n. 142/1990.
 
 Nella vicenda al vaglio del Tribunale, invece, la situazione cui il  provvedimento ha inteso porre rimedio rimonta a svariati anni addietro, com’è  comportato dalla circostanza che il Comune ha emanato, per la medesima  circostanza e nei riguardi della stessa ricorrente, ben tre ordinanze: una nel  1988, l’altra nel 1992 (impugnata con ricorso r.g. n. 642/2002 accolto con  Sentenza n. 913/2000) e l’altra ancora nel 1999, oggetto del gravame in  epigrafe.
 
 Ne consegue con evidenza che nessuna contingibilità può riconoscersi nella  situazione di fatto posta a base del provvedimento impugnato.
 
 4.4. Del pari degno di risalto è il rilievo, già rimarcato dalla Sezione con la  citata sentenza, per il quale l’art. 13, comma 3 del d.lgs. n. 22/1997 richiede  ai fini del’adozione dell’ordinanza in questione, che vengano contestualmente  indicate le norme di legge derogate, nonché menzionato il parere degli organi  tecnico – sanitari locali “che lo esprimono con specifico riferimento alle  conseguenze ambientali”.
 
 Orbene, il verbale di sopralluogo richiamato nell’ordinanza gravata è del tutto  carente sul punto, poiché – oltre alla non menzione nel provvedimento delle  norme derogate – contiene un generico riferimento alla “necessità urgente di  sgombrare dal sito tali rifiuti, considerati pericolosi per l’ambiente  circostante”. Siffatta generalissima asserzione non è sufficiente ad integrare  il delineato parere da esprimersi con specifico riferimento alle conseguenze  ambientali, poiché, come già rimarcato con la Sentenza 28.7.2000, n. 913, “a  parte un generico riferimenti alla salvaguardia dell’ambiente nessuna ulteriore  motivazione è fornita, nel’atto in parola, delle ragioni che giustificherebbero  l’imposizione a carico del soggetto obbligato delle prestazioni richieste”.
 
 E’ pertanto fondata la dedotta violazione sia dell’art. 38 della L. n. 142/1990,  per la suaccennata insussistenza del requisito della contingibilità e per la  violazione del principio di residualità intessuto nell’art. 38 citato, sia  dell’art. 13 del d.lgs. n. 22/1997.
 
 5.1. Con il terzo motivo di gravame la deducente si duole della violazione degli  artt. 10, 14 e 50 del d.lgs. n. 22/1997, poiché tali norme sanciscono la  responsabilità del proprietario del fondo, in ordine alla rimozione dei rifiuti,  in solido con l’autore della violazione, solo nel caso in cui egli versi in  situazione di dolo o colpa, laddove la ricorrente non ha mai avuto alcun  rapporto concreto col terreno in controversia, ignora totalmente le attività  abusive eventualmente da ignoti compiute su di esso, atteso che risiede in  provincia di Bergamo.
 
 5.2. La censura è fondata. La Sezione ha già in argomento statuito che “Ai sensi  dell'art. 14 d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, è obbligata alla rimozione dei  rifiuti depositati sull'area di sua proprietà, in solido con il responsabile  dell'inquinamento, la società che non abbia controllato debitamente l'operato  del proprio ausiliario o preposto” (T.A.R. Piemonte, sez. I, 21 luglio 2009, n.  2067). Si era in quell’occasione precisato che “ben potrebbe comunque ravvisarsi  una responsabilità colposa omissiva sotto il profilo civilistico, non solo nel  proprietario che tollera il deposito di materiale ignoto da parte di ignoti pure  colti sul fatto sul proprio terreno, ma ancor di più di colui che  civilisticamente risponde del fatto illecito del proprio ausiliario o preposto”.
 
 La ricorrente, tuttavia, non ha colto sul fatto gli autori del deposito dei  rifiuti, né si è avvalsa di ausiliari o preposti.
 
 Non può del resto neanche esserle ascritta una responsabilità per omissione,  poiché, come allega in fatto e non è contestato dal Comune resistente, ella in  forza della prima ordinanza del maggio 1988 provvide sia ad incaricare l’Azienda  per l’ambiente di Alessandria di bonificare il terreno (doc 7, fattura n.  72/1988), sia a recintare il medesimo e ad approvi i cartelli recanti il divieto  di scarico di rifiuti.
 
 Non è pertanto predicabile in capo alla deducente alcuna responsabilità colposa  neanche a titolo di omissione, in ordine all’abbandono dei rifiuti de quibus sul  terreno di sua proprietà.-
 
 Segnala al riguardo il Collegio come di recente il Consiglio di Stato abbia ben  tratteggiato i presupposti del potere scolpito all’art. 1 del decreto Ronchi e  della correlativa possibilità di ordinare la rimozione dei rifiuti anche al  proprietario, avendo precisato che “A differenza di quanto previsto per la  bonifica dei siti inquinati, per la rimozione dei rifiuti non è stato previsto  dal legislatore alcun onere reale a carico del proprietario, che possa  giustificare l’emanazione dell’ordinanza anche nei suoi confronti. Sussiste,  quindi, la necessità dell’accertamento della colpa del proprietario che è,  peraltro, affermata anche dalla giurisprudenza più recente, nel senso che in  tema di abbandono di rifiuti, sebbene l’art. 14, comma 3, d.lg. 5 febbraio 1997  n. 22 (applicabile “ "ratione temporis"”) preveda la corresponsabilità solidale  del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento  sull’area ove sono stati abusivamente abbandonati o depositati rifiuti, solo in  quanto la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa”  ritenuta ravvisabile, in ossequio al principio comunitario di precauzione, anche  nella mancata adozione delle cautele necessarie a scongiurare il pericolo di  abusivo abbandono di rifiuti (Consiglio di Stato, sez. V, 16 luglio 2010 , n.  4614).
 
 5.2. Ma l’omissione delle cautele in parola – che peraltro la ricorrente allega  di avere debitamente profuso, avendo recintato il fondo e avendovi apposto anche  il cartello di divieto di scarico – non è stata accertata dal Comune, che  avrebbe dovuto correttamente indagare ed assodare che la ricorrente versava in  situazione quanto meno di colpa per omissione.
 
 Accertamento e motivazione che non è consentito al Collegio ravvisare nel  provvedimento oppugnato, né negli atti preparatori dello stesso.
 
 Dal che discende la fondatezza del quarto mezzo di gravame, che rubrica eccesso  di potere per manifesta ingiustizia, travisamento dei fatti e difetto di  motivazione, lamentando che non si comprende su quale base e ragionevole  principio di responsabilità colpevole il Comune abbia potuto attribuire “in  eterno” l’evento rilevato alla deducente che aveva debitamente ottemperato  all’ordinanza emessa nel 1988.
 
 Anche il quarto motivo di ricorso merita pertanto di essere accolto.
 
 In definitiva, l’accoglimento dei tre motivi di gravame finora scrutinati  consente al Collegio di accogliere il ricorso, con assorbimento della censura di  incompetenza di cui al secondo mezzo.
 
 La domanda risarcitoria spiegata nelle conclusioni non può invece trovare  favorevole esito stante l’assoluto difetto di allegazione e prova al riguardo.
 
 Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
 
 definitivamente pronunciando sui ricorso, come in epigrafe proposti, previa loro  riunione, li accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.
 
 Condanna il Comune di Alessandria a pagare alla ricorrente le spese di lite, che  liquida in € 2.000,00 oltre accessori di legge.
 
 Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2010 con  l'intervento dei Magistrati:
 
 Franco Bianchi, Presidente
 Richard Goso, Primo Referendario
 Alfonso Graziano, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 02/12/2010
 
                    




