TAR Lazio (RM), Sez. I-Ter, n. 7001, del 15 luglio 2013
Rifiuti.Bonifica dei siti di ridotte dimensioni. impossibilità di chiudere la procedura MISU in autocertificazione
Se non vi è prova dell’avvenuto sversamento del contenuto dei serbatoi interrati nel terreno circostante, l’intervento di asportazione del terreno non può essere ricondotto alla messa in sicurezza di emergenza (MISE) sia perché difetta il requisito della repentinità, sia perché l’intervento non investe la sola sorgente primaria di contaminazione. Nel caso specifico essendo stati attuati interventi di MISU che costituiscono veri e propri interventi di bonifica eseguiti d’urgenza, la verifica dell’efficacia degli interventi compete alla Provincia, dunque non è consentito chiudere il procedimento in autocertificazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 07001/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10317/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10317 del 2012, proposto da:
Soc Kuwait Petroleum Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Bruno, Matteo Benozzo, con domicilio eletto presso Francesco Bruno in Roma, via XX Settembre, 5;
contro
Comune di Viterbo, rappresentato e difeso dall'avv. Gioia Maria Scipio, con domicilio eletto presso Paolo Ricciardi in Roma, v.le Tiziano, 80; Provincia di Viterbo, rappresentato e difeso dall'avv. Francesca Manili, con domicilio eletto presso Roberto Venettoni in Roma, via Cesare Fracassini, 18; Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Lazio Arpa Lazio; Regione Lazio, rappresentato e difeso per legge dall'Avv. Elisa Caprio, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
per l'annullamento
della nota della Provincia di Viterbo prot. n. 54873 del 6.9.2012, della nota del Comune di Viterbo prot. n. 0036638 del 3.10.2012, della nota di ARPA Lazio prot. n. 0030516 del 24.4.2012, della nota della Regione Lazio prot. n. 34363/DA/02/11 del 25.1.2012.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Viterbo, della Provincia di Viterbo e della Regione Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2013 il dott. Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente si occupa della distribuzione di prodotti petroliferi su tutto il territorio nazionale con propri punti vendita di carburanti a marchio Q8.
Con nota del 27/2/12, ha comunicato al Comune di Viterbo l’inizio dei lavori di smantellamento del punto vendita Q8 sito in Viale Raniero Capocci, debitamente autorizzati con DIA, comprensivi della rimozione dei serbatoi interrati di stoccaggio dei carburanti.
Nell’eseguire i lavori di rimozione dell’impianto di distribuzione di carburanti ha dato esecuzione alle prescrizioni imposte dall’ARPA Lazio, Sezione Provinciale di Viterbo, che prevedevano la pulizia dei serbatoi prima della loro rimozione, la predisposizione di una zona di stoccaggio temporaneo dei materiali di risulta e delle terre di scavo, la verifica dell’eventuale contaminazione dell’area con saggi da raccogliere lungo le pareti e sul fondo dello scavo di alloggio dei serbatoi, l’invio del programma di lavori da compiere con la relativa tempistica.
Nell’estrarre i serbatoi, è stata rinvenuta una potenziale contaminazione da idrocarburi nel terreno, e quindi la ricorrente – informando gli enti della possibilità di superamento nel sito delle concentrazioni soglia di contaminazione (c.d. CSC) – ha annunciato l’esecuzione di varie misure di messa in sicurezza d’emergenza (c.d. MISE) ed in particolare, la recinzione della zona di cantiere, la raccolta e smaltimento del terreno alterato e l’avvio di indagini ambientali approfondite per giudicare la congruità delle MISE poste in essere e considerare eventuali altre attività da compiere.
In presenza dei tecnici dell’ARPA, la società ricorrente, tramite il proprio tecnico ambientale Mares, ha provveduto a raccogliere 8 campioni di terreno lungo le pareti al fine di verificare lo stato qualitativo del sottosuolo (non sono stati invece raccolti campioni sul fondo essendovi una soletta di cemento integra).
Ha fatto eseguire le analisi di laboratorio sui campioni di terreno i cui risultati hanno dato esiti negativi per tutti gli analiti richiesti dall’ARPA.
Ha quindi trasmesso a tutti gli enti pubblici la relazione di Mares a conferma dello stato qualitativo del sottosuolo del punto vendita ed i risultati negativi riscontrati, procedendo alla chiusura del procedimento avviato.
Con nota del 26/4/12 l’ARPA Lazio ha comunicato alla società ricorrente che il procedimento non si sarebbe potuto chiudere in autocertificazione, essendo necessaria la certificazione finale della Provincia, in quanto gli interventi eseguiti sul sito non avrebbero potuto qualificarsi come messa in sicurezza di emergenza (MISE), ma come messa in sicurezza d’urgenza (MISU), essendovi stata la movimentazione del terreno.
L’ARPA ha richiamato al riguardo la nota della Regione Lazio prot. n. 34363/DA/02/11 del 25/1/12 che detta specifiche prescrizioni in materia.
Sia il Comune di Viterbo che la Provincia di Viterbo hanno concordato con l’ARPA in merito all’impossibilità di chiudere la procedura in autocertificazione, ed hanno chiesto la presentazione del progetto unico di bonifica (PuB) corredato dalle relative garanzie finanziarie.
La ricorrente ha contestato l’assunto delle Amministrazione rilevando che il Titolo V del DLgs. 152/06 prevede accanto alla procedura ordinaria, una procedura di bonifica semplificata per le aree di ridotte dimensioni (art. 249 e allegato 4) tra le quali rientrano quelle relative alla rete di distribuzione di carburanti, in caso di superamento delle SCC.
La procedura semplificata inizia con una comunicazione al Comune alla Provincia e alla Regione, prosegue con l’eventuale messa in opera di misure di prevenzione e di interventi di MISE al termine dei quali possono verificarsi tre casi:
__a) il rientro dell’emergenza;
__b) la necessità di ulteriori opere di bonifica;
__c) la contaminazione dell’acqua di falda.
Nel caso a) compiute le indagini ed accertato che i livelli di contaminazione sono al di sotto delle CSC si può chiudere la procedura con semplice aggiornamento della comunicazione iniziale.
Se invece sono stati eseguiti interventi di MISE la cui esecuzione ha riportato i livelli di inquinamento al di sotto dei limiti di legge, oltre alla relazione occorre inviare anche una autocertificazione di avvenuto ripristino dei luoghi che annulla la comunicazione iniziale.
Il caso b) ricorre, invece, quando si accerta che vi è stato un superamento delle CSC anche dopo l’esecuzione delle MISE, in questo caso il soggetto responsabile è obbligato a continuare la procedura e scegliere se procedere ad un risanamento “tabellare” per riportare i valori di inquinamento al di sotto delle CSC, ovvero determinare per il sito le specifiche concentrazioni soglia di rischio (CSR) mediante analisi del rischio e proseguire con una bonifica eventuale solo al superamento accertato di esse.
In entrambi i casi deve essere eseguita la caratterizzazione dell’area e predisposta la redazione del PuB: il PuB quindi assolve alla funzione di descrivere le attività svolte, la contaminazione del sito e a proporre gli interventi di bonifica.
La ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
__1. Illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione e falsa applicazione degli artt. 240, 242 e 249, nonché degli allegati 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 152/06 e violazione degli artt. 1, 3, 6 e 10 della L. 241/90; eccesso di potere sotto ogni profilo e figura sintomatica, con particolare riferimento all’errore e falsità dei presupposti, al travisamento dei fatti e all’erronea loro valutazione, all’incompletezza dell’istruttoria, all’irragionevolezza e alla contraddittorietà nell’agire e alla mancata valutazione degli scritti di parte.
Contesta la ricorrente di aver eseguito lo scavo e la movimentazione di terreno, essendosi limitata a recuperare dal fondo scavo solo il materiale derivante dalla rimozione dei serbatoi, unico terriccio che risultava visivamente con valori per gli idrocarburi superiori alle CSC.
Deduce, poi, che la semplice movimentazione di terreno potrebbe intervenire nell’ambito delle MISE; rileva, inoltre, che la differenza tra MISE ed interventi di bonifica non riguarderebbe in astratto l’attività da compiere, ma dipenderebbe dall’entità della contaminazione del sito, dalle dimensioni delle opere da compiere e dalla repentinità dell’intervento necessario, in quanto in genere i quantitativi ridotti sarebbero riconducibili nella MISE e non nelle opere di bonifica.
Il semplice riferimento alla movimentazione di terreno non sarebbe idonea di per sé ad escludere la configurazione delle MISE.
Inoltre, il terreno potenzialmente contaminato, essendo già scavato e giacente nella fossa di alloggiamento dei serbatoi, ed essendo di minima entità, costituirebbe rifiuto e quindi fonte primaria – e non secondaria – di contaminazione unitamente ai serbatoi.
Sostiene poi la ricorrente che non vi sarebbe differenza tra MISE e MISU e che – comunque – anche in caso di MISU si potrebbe chiudere la procedura in autocertificazione, svuotandosi altrimenti di significato la disciplina semplificata.
__2. Illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione e falsa applicazione degli artt. 242 e 249, nonché dell’allegato 4 del D.Lgs. 152/06 e violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e10 della L. 241/90; eccesso di potere sotto ogni profilo e, in particolare, per errore nei presupposti, mancanza di motivazione e ingiustizia manifesta.
Ribadisce la ricorrente che non sarebbe rinvenibile nella legge l’assoggettamento ad autorizzazione preventiva o postuma della semplice movimentazione di terreno, senza tener conto dei quantitativi movimentati.
__3. Illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione e falsa applicazione degli artt. 242 e 249, nonché dell’allegato 4 del D.Lgs. 152/06 e violazione e falsa applicazione degli artt.1 e 6, nonché 3 e 10 della L. 241/90; eccesso di potere sotto ogni profilo e, in particolare, per sviamento, irragionevolezza, sproporzionalità e carenza di istruttoria.
La richiesta della Provincia e del Comune di presentazione del PuB sarebbe illegittima in quanto il piano sarebbe del tutto inutile, oltre che irragionevole, non essendovi superamenti attuali delle CSC,
come accertato dalla stessa Arpa.
__4. Violazione dell’art. 249 e dell’allegato 4 alla Parte Quarta del D.Lgs. 152/06 ed eccesso di potere per irragionevolezza e violazione del principio di proporzionalità.
I provvedimenti impugnati sarebbero irragionevoli ed adottati in violazione del principio di proporzionalità.
__5. Illegittimità del provvedimento della Provincia di Viterbo per incompetenza.
Sostiene la ricorrente che ai sensi dell’art. 6 della L.R. Lazio 9/7/98 n. 27, come modificato dalla L.R. 5/12/06 n. 23, le funzioni amministrative in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati assegnati dal D.Lgs. 152/06 alla Regione, sono state trasferite dalla Regione Lazio ai comuni, e dunque nel caso di specie, al Comune di Viterbo.
La provincia di Viterbo difetterebbe della necessaria competenza.
La Regione Lazio si è costituita in giudizio ed ha eccepito, preliminarmente, la tardività del ricorso proposto avverso la nota regionale impugnata rilevando che il suo contenuto era stato già comunicato alla ricorrente dall’Arpa Lazio con nota del 26/4/12 prot. n. 30516 inviata a mezzo fax; ha poi chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Anche la Provincia di Viterbo si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Il Comune di Viterbo nel costituirsi in giudizio ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione proposta nei suoi confronti rilevando che l’atto comunale sarebbe privo di connotazioni provvedimentali. Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
In prossimità dell’udienza di discussione, le parti hanno depositato memorie nelle quali hanno meglio illustrato le loro tesi difensive.
All’udienza pubblica dell’11 aprile 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La presente controversia investe, innanzitutto, la legittimità del provvedimento del Dipartimento Istituzionale e Territorio – Direzione Regionale Protezione Civile – Area Bonifica e Recupero Area e Siti inquinati della Regione Lazio, datata 25 gennaio 2012 prot. n. 34363/DA/02/11, che contiene chiarimenti in merito ai procedimenti amministrativi riguardanti il procedimento di bonifica dei siti di ridotte dimensioni (quali quelli derivanti dalla dismissione di impianti di carburante), per i quali si applicano le procedure semplificate d’intervento previste dall’art. 249 del D.Lgs. 152/06, e disciplinate dall’allegato 4, parte IV, Titolo V dello stesso D.Lgs. 152/06, dettando le relative direttive alle Amministrazioni interessate dal procedimento.
Gli ulteriori atti impugnati – adottati rispettivamente dalla Provincia e dal Comune di Viterbo oltre che dall’ARPA Lazio – si limitano – infatti – a riportare e a dare attuazione a quanto disciplinato dalla Regione Lazio con la suddetta nota di chiarimenti.
Infatti, la nota dell’ARPA Lazio del 26/4/12, relativa al procedimento di bonifica del sito di Via Capocci nel Comune di Viterbo, recepisce l’interpretazione fornita dalla Regione Lazio che esclude la possibilità di chiudere il procedimento di bonifica mediante autocertificazione, ritenendo necessaria la certificazione rilasciata dalla Provincia di Viterbo; la nota della Provincia di Viterbo del 6/9/12 recepisce anch’essa quanto sostenuto dalla Regione Lazio e dall’ARPA Lazio in merito all’impossibilità di chiudere la procedura di bonifica mediante autocertificazione, ed infine la nota del Comune di Viterbo del 3/10/2012 ribadisce i medesimi principi e richiede la produzione del progetto unico di bonifica del punto vendita.
E’ pertanto opportuno riportare, in estrema sintesi, quanto rappresentato dalla Regione al fine di valutare – alla stregua dei motivi di ricorso – la legittimità dell’atto.
La Regione ha dapprima riportato la norma di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) che disciplina la messa in sicurezza di emergenza; ha poi rilevato che qualora in seguito al superamento dei valori soglia di contaminazione (CSC) siano necessari oltre agli interventi di MISE anche opportuni interventi di messa in sicurezza d’urgenza (MISU) e/o di bonifica (quali la movimentazione ed eventuale asportazione di terreno) per riportare la situazione al di sotto delle CSC, il soggetto responsabile, una volta effettuate le comunicazioni previste dall’art. 242 comma 1, dovrà presentare agli Enti competenti il Progetto unico di Bonifica (PuB) (2° caso previsto nell’allegato 4), contenente la descrizione delle attività eseguite ed una proposta di indagine adeguata al caso, finalizzata alla verifica e al controllo, da parte dell’Autorità competente, del ripristino delle concentrazioni del sito al di sotto delle CSC.
Unitamente al PuB dovranno essere fornite le garanzie finanziarie ed il PuB dovrà essere approvato dalle Autorità competenti prima di eseguire le opere di bonifica.
L’ARPA dovrà svolgere le necessarie verifiche redigendo una relazione finale finalizzata alla chiusura del procedimento di bonifica ed al rilascio, da parte della Provincia, della certificazione di avvenuta bonifica che chiuderà il procedimento di notifica ex art. 242 del D.Lgs. 152/06.
In sostanza, quindi, la Regione ha negato la possibilità di concludere il procedimento in autocertificazione.
Il Collegio, prima di passare ad analizzare le varie censure, ritiene necessario riportare la normativa applicabile al caso di specie.
Ai sensi dell’art. 240 comma 1 lett. m) costituisce “messa in sicurezza d'emergenza: ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”; a sua volta la lettera t) della stessa norma dispone che costituiscono “condizioni di emergenza: gli eventi al verificarsi dei quali è necessaria l'esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio;
1) concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;
2) presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda:
3) contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;
4) pericolo di incendi ed esplosioni.
Ai sensi dell’Allegato 3 “gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati alla rimozione e all’isolamento delle fonti inquinanti, e al contenimento della diffusione degli inquinanti per impedirne il contatto con l’uomo e con i recettori ambientali circostanti”; hanno carattere di urgenza in caso di rilasci accidentali o di improvviso accertamento di una situazione di contaminazione o di pericolo di contaminazione (e costituiscono quindi la messa in sicurezza di urgenza).
Secondo quanto dispone l’Allegato 3 “gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza sono mirati a rimuovere le fonti inquinanti primarie e secondarie, ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, ad impedire il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente”.
L’Allegato 4 disciplina, poi, le procedure semplificate – che si applicano nel caso di siti di ridotte dimensioni (quali la rete di distruzione di carburanti) - e stabilisce che nel caso di superamento dei valori delle concentrazioni soglia di contaminazione il responsabile deve effettuare la comunicazione di potenziale contaminazione agli Enti competenti (comune, provincia, regione) e che “qualora gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza riportino i valori di contaminazione del sito al di sotto delle CSC, la comunicazione di cui al punto precedente sarà aggiornata, entro trenta giorni, con una relazione tecnica che descriva gli interventi effettuati ed eventuale autocertificazione di avvenuto ripristino della situazione antecedente il superamento con annullamento della comunicazione”.
Dalla disamina della normativa emerge che il presupposto indispensabile per poter chiudere la procedura in autocertificazione – come preteso dalla ricorrente – è l’avvenuta esecuzione di interventi di messa in sicurezza di emergenza che abbiano riportato i valori di contaminazione al di sotto delle CSC.
Occorre dunque verificare se l’intervento attuato dalla ricorrente – rimozione dei serbatoi e del terreno adiacente risultato inquinato - possa ricondursi al concetto delle MISE o debba essere inquadrato, come sostiene la Regione, nelle MISU.
La messa in sicurezza di emergenza riguarda le sole fonti primarie di inquinamento, come può agevolmente desumersi dalla definizione contenuta nell’art. 240 c. 1 lett. m); la messa in sicurezza di urgenza, invece, riguarda sia le fonti primarie che quelle secondarie di inquinamento; la messa in sicurezza di emergenza presuppone la repentinità dell’evento di contaminazione, mentre la messa in sicurezza d’urgenza può essere adottata sia in caso di incidenti che in seguito all’improvviso accertamento di una situazione di contaminazione o di pericolo di contaminazione dell’ambiente o di rischio per la salute umana; entrambe le misure servono a isolare o a rimuovere le fonti di contaminazione.
Nel caso di specie non vi è dubbio che la fonte primaria di inquinamento sia costituita dai serbatoi interrati contenenti idrocarburi: non vi è prova dell’avvenuto sversamento del loro contenuto nel terreno circostante (ed anzi la ricorrente sembra affermare il contrario, avendo rilevato di aver seguito le istruzioni dell’ARPA ed avendo svuotato i serbatoi prima della loro rimozione), il che fa presumere che l’inquinamento del terreno circostante non sia un evento repentino, quanto piuttosto una contaminazione “storica” che si è prodotta negli anni (cfr., al riguardo, quanto dedotto dalla Provincia di Viterbo nella memoria di costituzione, ed in particolare il doc. n. 5 prodotto dalla stessa Provincia); la contaminazione ha interessato, come già detto, il terreno limitrofo ai serbatoi, terreno che è stato scavato e portato via per essere smaltito in altro luogo, al fine di evitare la successiva contaminazione delle aree circostanti: l’intervento eseguito non può essere quindi ricondotto alla figura della messa in sicurezza di emergenza sia perché difetta il requisito della repentinità, sia perché l’intervento non investe la sola sorgente primaria di contaminazione.
Non può, infatti, condividersi la tesi della ricorrente secondo cui il terreno sarebbe esso stesso fonte primaria di contaminazione, essendo del tutto evidente che l’inquinamento del suolo è derivato dai serbatoi contenenti idrocarburi, e che quindi il terreno adiacente ai serbatoi – risultando potenzialmente pericoloso – è stato rimosso al fine di evitare che costituisse esso stesso per derivazione un’ulteriore causa di inquinamento (e quindi una fonte secondaria di contaminazione).
Né può ritenersi che nel caso di specie non vi sia stato scavo e movimentazione di terreno in quanto dalla relazione di Mares prodotta in giudizio risulta che per l’estrazione dei serbatoi sono stati eseguiti lo scavo del terreno e la successiva rimozione di n. 36,49 tonnellate di terreno, né può condividersi l’assunto della ricorrente secondo cui il terreno costituirebbe di per sé “rifiuto”, e dunque fonte primaria di inquinamento, essendo evidente che la contaminazione del terreno è stata prodotta dai serbatoi contenenti idrocarburi, che costituiscono la fonte primaria di contaminazione; infine, non può assegnarsi rilievo dirimente alla quantità del terreno asportato, in mancanza di parametri certi per individuare quale sia la quantità di terreno necessaria per integrare l’una o l’altra misura, con le relative conseguenze in tema di conclusione del procedimento.
Infine, ritiene il Collegio che la Regione abbia correttamente interpretato la disciplina contenuta nell’allegato 4, atteso che solo nel primo caso – quando sono stati effettuati i soli interventi di messa in sicurezza di emergenza – è stata prevista dal Legislatore la possibilità di chiudere il procedimento in autocertificazione, mentre nel caso in questione, essendo stati attuati interventi di MISU che costituiscono veri e propri interventi di bonifica eseguiti d’urgenza, la verifica dell’efficacia degli interventi compete alla Provincia.
Le suesposte considerazioni consentono di respingere i primi quattro motivi di ricorso ribadendosi che l’obbligo di presentazione del PuB discende dalla stessa previsione contenuta nell’Allegato 4, in quanto non essendo configurabile nel caso di specie la messa in sicurezza di emergenza, automaticamente si ricade nella disciplina relativa al cosiddetto “2°caso”, con la precisazione che l’interpretazione fornita dalla Regione – anche se onerosa - è basata sul dato letterale contenuto nella disposizione normativa di riferimento, e trova la sua giustificazione nella preminente finalità di tutela e di ripristino ambientale perseguita dalla normativa di settore il che implica l’infondatezza della censura di violazione del principio di proporzionalità.
Deve essere infine respinto anche il quinto motivo di ricorso con il quale la ricorrente ha dedotto il vizio di incompetenza nei confronti del provvedimento della Provincia di Viterbo: come ha correttamente dedotto la difesa provinciale il conferimento di delega ai comuni di specifiche funzioni amministrative in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati non ha fatto venir meno la competenza provinciale ad esprimere opinioni sulla procedura da eseguirsi ai fini della corretta esecuzione dell’intervento di bonifica, e a ricevere il progetto unico di bonifica del sito ai fini del rilascio della prescritta certificazione di avvenuta bonifica (art. 242 e 248 D.Lgs. 152/06).
In conclusione, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.
L’infondatezza del ricorso esime il Collegio dall’obbligo di esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa delle parti resistenti.
Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti tenuto conto della novità e complessità della questione esaminata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
Rita Tricarico, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)