TAR Piemonte, Sez. I, n. 480, del 20 marzo 2014
Rifiuti.Legittimità ordinanza del Sindaco per rimozione delle lastre ondulate in Eternit poste a copertura dell'immobile di proprietà

E’ condivisibile l’indirizzo operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni tecnico scientifiche, unicamente laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del manufatto. Nessuna di dette circostanze è stata riscontrata nel caso di specie, tenuto conto dell’accentuata condizione di danneggiamento della copertura e della sua considerevole superficie, fattori ai quali corrisponde, in misura proporzionale, un altrettanto elevato rischio di esposizione agli agenti atmosferici e di conseguente dispersione del materiale pernicioso per la salute. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00480/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00870/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 870 del 2013, proposto da: 
Meneghello Danilla, Paola Tognolo, Paolo Luigi Trivero e Marina Fossarello, rappresentati e difesi dagli avv.ti Marcella Allasio, Daniel Casarotto e Giovanni Sala, con domicilio eletto presso la prima in Torino, corso Einaudi, 20;

contro

Comune di Caluso, rappresentato e difeso dall'avv. Monica Morgando Vigna, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte Segreteria in Torino, corso Stati Uniti, 45; Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Piemonte, rappresentata e difesa dall'avv. Beatrice Bernardini, con domicilio eletto presso Francesco Martinotti in Torino, corso V. Emanuele II, 108; A.S.L. To 4 - Chivasso;

nei confronti di

Caluso Mobili di Osmando Marasigan & C. S.a.s., rappresentata e difesa dall'avv. Elia Dogliani, con domicilio eletto presso Fabrizio Gaidano in Torino, via Assietta, 7;

per l'annullamento

dell'ordinanza del Sindaco di Caluso del 24.6.2013, prot. n. 46/2013, notificata il 9.7.2013, con cui si è ordinato ai ricorrenti di provvedere alla rimozione e all'avvio allo smaltimento da effettuarsi tramite ditta autorizzata delle lastre ondulate in eternit poste a copertura dell'immobile di proprietà sito in via Piave 85, nonché per l'annullamento degli altri atti presupposti, quali

la nota dell'ASL TO4 in data 22.5.2013 prot. n. 3259/0050719;

la relazione tecnica dell'ARPA Piemonte in data maggio 2013;

ogni altro atto consequenziale o presupposto.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Caluso e di Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Piemonte e di Caluso Mobili di Osmando Marasigan & C. S.a.s.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2014 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto l’ordinanza ex art. 54 d.lgs. 267/2000 con la quale il sindaco del Comune di Caluso, sulla base dei previ accertamenti tecnici compiuti dall’A.R.P.A. Piemonte, ha ordinato ai ricorrenti di rimuovere le lastre ondulate in eternit poste a copertura dell’immobile di loro proprietà sito in via Piave n. 85 e attualmente condotto in locazione dalla Caluso Mobili s.a.s in liquidazione.

1.1 Più precisamente, il complesso immobiliare, risalente agli anni ’70 e dotato di una superficie complessiva di circa 4500 mq, si compone di un fabbricato a tre piani fuori terra, destinato a esposizione e vendita di mobili, e di un basso fabbricato ad uso deposito.

1.2 Il procedimento ex art. 54 d.lgs. 267/2000 ha preso avvio a seguito di un esposto-denuncia (del 18 marzo 2013) presentato da alcuni comproprietari dell’immobile (nonché soci della Caluso Mobili s.a.s.) nel quale si evidenziava la friabilità delle lastre di eternit poste a copertura degli immobili e il dilavamento delle fibre di amianto all’interno dei locali provocate dalle infiltrazioni piovose, con conseguente grave rischio per l’incolumità dei frequentatori dell’area interna ed esterna al complesso immobiliare.

1.3 In relazione a dette infiltrazioni d’acqua pende innanzi al Tribunale Ordinario una controversia civile tra i proprietari degli immobili e la società conduttrice (Caluso Mobili s.a.s.).

1.4 Gli esiti degli accertamenti dell’A.R.P.A., condotti a seguito dell’esposto e poi confluiti nell’ordinanza qui impugnata - sono illustrati nella relazione tecnica del 13 maggio 2013, ove viene evidenziata la necessità della rimozione entro 12 mesi delle lastre in eternit poste a copertura degli immobili oggetto di sopralluogo, “essendo le stesse in stato di conservazione scadente ed essendo stato rilevato un livello medio di esposizione alle fibre di amianto per la popolazione".

1.5 Il Comune ha provveduto ai sensi dell’art. 54 L. 267/2000, ordinando ai proprietari "la rimozione e l'avvio dello smaltimento delle lastre ondulate in eternit”, precisando che "l'intervento di bonifica dovrà essere concluso entro e non oltre anni 1 dalla notifica della presente ordinanza".

2. Sono state impugnate nel presente giudizio tanto l'ordinanza sindacale quanto i presupposti atti istruttori di A.R.P.A. e di A.S.L. T04.

3. Alcune censure dedotte in ricorso attengono a profili procedimentali e si riferiscono, in particolare: a) alla mancata comunicazione di avvio del procedimento; b) all’asserita incompetenza dell’organo A.s.l. al quale è stata rimessa la valutazione dell’indice di esposizione all’amianto; c) all’assenza di adeguata motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla scelta del metodo di bonifica imposto (rimozione e smaltimento della copertura), ritenuto dai ricorrenti particolarmente gravoso e non strettamente indefettibile, stante la possibilità di ricorrere a soluzioni parimenti efficaci e meno gravose (ad es. l’incapsulamento); d) all’assenza dei presupposti di urgenza e di pericolo per la pubblica incolumità individuati dall’art. 54 d.lgs. 267/2000 quali requisiti per l’adozione dei provvedimenti contingibili e urgenti; e) all’incompetenza del sindaco ai fini dell’adozione del provvedimento, dovendo questo inquadrarsi tra gli atti di pura gestione e non tra i provvedimenti extra ordinem a lui rimessi dal citato art. 54.

4. Quanto al merito degli accertamenti condotti dall’A.R.P.A., i ricorrenti hanno segnalato una serie di irregolarità che finirebbero per inficiare l’attendibilità del parere espresso nella relazione tecnica del 13 maggio 2013. In particolare: a) si lamenta la parzialità dell'esame condotto nel corso del sopralluogo da parte di A.R.P.A., in quanto lo stesso si sarebbe concentrato esclusivamente sull’angolo visuale relativo alla zona di accesso al tetto del c.d. magazzino (nei pressi della botola di ingresso); sicché la campionatura delle lastre in eternit, posta a base dell’accertamento, non risulterebbe pienamente rappresentativa dello stato complessivo del manufatto; b) viene contestata la modalità di esecuzione dei prelievi, effettuata senza l'ausilio di un cestello elevatore e mediante il calpestio diretto degli operatori sulle lastre in cemento-amianto, quindi con sistemi capaci di contaminare il sito oggetto di analisi; c) viene censurato il metodo di valutazione dei reperti recensiti (muschi, licheni, fibre affioranti, stalattiti e materiale in canale di gronda), in quanto non esteso sul totale della superficie in esame e della lunghezza del bordo lastra; d) ancora, viene contestata la modalità di valutazione della consistenza del materiale, e in particolare l'osservazione del tecnico A.R.P.A. secondo cui lo spessore del bordo lastra "si spezza facilmente senza l'uso di attrezzi", stante la contraddizione insita tra detta affermazione e il fatto che la lastra abbia retto il peso dell’operatore che vi camminava sopra; e) infine, la valutazione espressa da ASL TO 4 sull’indice di esposizione non avrebbe tenuto conto delle differenti peculiarità della copertura dello showroom rispetto a quella del magazzino.

5. Si sono costituiti in giudizio, per resistere alle domande dei ricorrenti, il Comune di Caluso, l’ARPA Piemonte, la Caluso Mobili s.a.s in liquidazione.

6. A seguito dello scambio di memorie e repliche in vista della discussione, il ricorso è stato trattenuto a decisione all’esito dell’udienza pubblica del 6 marzo 2014.

DIRITTO

1. Sul piano formale il provvedimento si sottrae a tutti i rilievi contenuti in ricorso inerenti la legittimità dell’iter procedimentale che ha condotto all’adozione dell’ordinanza contingibile.

1.1 Innanzitutto, vanno respinte le tre censure (a, d, e) riferite alla qualificazione giuridica dell’atto impugnato, alle garanzie partecipative che ad esso si correlano e alla competenza ad adottarlo da parte del sindaco.

Le deduzioni svolte sul punto dai ricorrenti, infatti, si pongono in termini dissonanti rispetto al pacifico orientamento giurisprudenziale che ascrive tale tipologia di provvedimenti alla categoria delle ordinanze sindacali contingibili e d'urgenza in materia di igiene e sanità pubblica, ex art. 54 d.lgs. 267/2000. Si tratta di atti pacificamente rientranti nella competenza del sindaco e sottratti, in ragione del loro carattere cautelare e urgente, all’obbligo della previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7, l. n. 241 del 1990 (Cons. St, sez. II, 28 aprile 2004, n. 3444; T.A.R. Pescara sez. I, 13 maggio 2010, n. 433; T.A.R. Basilicata sez. I, 21 giugno 2012, n. 296; Cons. St., sez. V, 19 settembre 2012, n. 4968; T.A.R. Bari sez. I, 01 agosto 2013, n. 1217).

Con specifico riguardo al caso in esame, la sussistenza in concreto del presupposto del danno grave e imminente per l’incolumità pubblica risulta esplicitata nel provvedimento, sia attraverso un diretto riferimento allo scadente stato di conservazione delle lastre, e quindi al livello medio di esposizione alla fibre di amianto; sia per relationem agli accertamenti tecnici condotti dall’ARPA.

Essa non è contraddetta, peraltro, dal fatto che siano stati concessi 12 mesi per l’esecuzione dell’intervento di rimozione. Nel calibrare i tempi di esecuzione, l’amministrazione ha infatti dovuto contemperare l’urgenza dell’opera di messa in sicurezza con la necessità di concedere un termine congruo e tecnicamente proporzionato ai tempi dell’autorizzazione e della realizzazione dell’intervento, tenuto anche conto dell’entità della superficie da bonificare (4500 mq) e dei necessari protocolli procedurali imposti dalla normativa vigente in materia.

Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, inoltre, sussistevano in concreto i presupposti della contingibilità e urgenza, posto che l'accertato (da parte dell'Azienda Sanitaria) rischio di dispersione delle fibre di amianto nell'ambiente, eziologicamente riconducibile allo stato di conservazione, alla friabilità e all'estensione dei pannelli, per di più collocati in area aperta al pubblico, assumeva i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità nonché di urgenza (intesa come impellente necessità di provvedere al fine di non pregiudicare l'interesse pubblico, che può essere definitivamente danneggiato con il trascorrere del tempo) richiesti dalla legge e dalla giurisprudenza per la legittima adozione del provvedimento contingibile e urgente. Alla luce dei citati presupposti e di un'urgenza da considerare quindi, ad avviso del collegio, sufficientemente qualificata (come pure evincibile dalla valutazione specificamente resa dal Sindaco, sul punto, nell'atto impugnato) legittimamente si è ritenuto di prescindere dall'effettuazione delle modalità partecipative tipiche dell'azione amministrativa ordinaria, secondo i canoni di cui alla legge n. 241/90 (art. 7).

1.2 A questo riguardo trova adeguati margini applicativi al caso di specie anche la disposizione di cui all'art. 21 octies della legge 241/1990, se solo si considera, per un verso, che le parti resistenti hanno fornito adeguata dimostrazione che il tenore dell’atto impugnato non sarebbe mutato in caso di regolare comunicazione dell'inizio del procedimento, stante l’inconferenza dei rilievi critici sollevati sul punto dei ricorrenti. Per altro verso, l’affermazione secondo cui il contraddittorio con la parte privata avrebbe consentito di selezionare meglio la soluzione operativa da adottare, è contraddetta dal fatto che neppure in sede processuale i ricorrenti hanno allegato concreti elementi - inerenti il grado di efficacia e di onerosità dei diversi interventi contemplati dalla letteratura scientifica - dai quali possa desumersi l’effettiva maggiore vantaggiosità delle misure di bonifica tralasciate rispetto a quelle prescelte dall’amministrazione.

Pertanto, anche sotto il profilo della scelta (certamente connotata da margini di discrezionalità) dei rimedi da adottare al fine di scongiurare il temuto danno alla salute, la parte ricorrente non ha provato di aver risentito un concreto pregiudizio dall’omesso esercizio delle facoltà partecipative.

D’altra parte, la censurata omissione deve essere valutata alla luce del principio ormai costantemente accolto dalla giurisprudenza, per cui le norme in materia di partecipazione procedimentale vanno interpretate non in senso formalistico, ma coerentemente con l'effettivo e oggettivo vulnus che la parte possa subire in relazione al rapporto controverso; dal che consegue che il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla sua legittimità sostanziale e, quindi, allorché il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. Stato Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 449; 31 gennaio 2012, n. 480).

1.3 Va respinta anche la censura di incompetenza dell’organo A.s.l. al quale è stata rimessa la valutazione dell’indice di esposizione all’amianto. Rileva sul punto la parte ricorrente che il servizio deputato alla verifica dei parametri in ambienti di lavoro è il Servizio A.s.l. di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro, e non già il Servizio Igiene e Sanità pubblica, che nel caso di specie si è occupato di rendere la valutazione.

La prospettazione in esame muove, tuttavia, da un assunto non condivisibile, secondo cui l’accertamento dell’A.s.l. avrebbe avuto un oggetto circoscritto alle condizioni di sicurezza e di salubrità del luogo di lavoro. Al contrario, le verifiche condotte miravano ad appurare la sussistenza in senso ampio di profili di pericolo per la pubblica incolumità, determinati nell’ambiente - sia interno che esterno - dalla presenza delle lastre di copertura in eternit.

Tanto deve ritenersi in considerazione sia della nota volatilità delle fibre di amianto, la cui lesività è accentuata dalla loro propensione a propagarsi facilmente nell’ambiente circostante; sia della collocazione delle lastre a copertura di un fabbricato aperto al pubblico, in quanto adibito a rivendita di mobili e in relazione al quale, pertanto, emergeva primariamente un problema generale di tutela della collettività.

Stando così le cose, la competenza in materia è stata correttamente individuata in capo al Servizio Igiene e Sanità pubblica, preposto a vigilare sui rischi per l’incolumità pubblica a livello generale.

1.4 Anche l’asserita assenza di adeguata motivazione del provvedimento impugnato, sotto il profilo della proporzionalità del metodo di bonifica imposto (rimozione e smaltimento della copertura), appare smentita dal rimando alle risultanze delle verifiche condotte dagli organi tecnici, nelle quali da un lato viene illustrata l’entità del livello di esposizione alle fibre di amianto e, dall’altro, in linea consequenziale, viene individuata nella rimozione del manufatto la soluzione più consona per arginare il pericolo in atto.

2. Sugli accertamenti condotti in merito al rischio di dispersione delle fibre di amianto occorre operare un preliminare distinguo.

Un primo profilo del temuto pericolo per la pubblica incolumità attiene all’accertata presenza di infiltrazioni piovose che si producono attraverso il manto di copertura in eternit dell'edificio principale. Che detta copertura non sia più idonea ad assolvere alla sua funzione di riparo dall'acqua, è circostanza che emerge sia dalla relazione tecnica della N.S.A. Service, incaricata dagli odierni ricorrenti, nel luglio 2010, di effettuare una valutazione del "rischio amianto" (prodotta dai ricorrenti come doc.5); sia dal verbale di sopralluogo del CTU, nominato dal Tribunale di Ivrea, in data 22 giugno 2013, nel quale risultano evidenziate diverse problematiche inerenti, tra le altre cose, la copertura e le relative infiltrazioni; sia, infine, dall’assenza di specifiche contestazioni sul punto da parte dei ricorrenti.

In particolare, dalla relazione tecnica della NSA Service del 2010 risulta che lo stesso perito incaricato dai ricorrenti aveva segnalato alla proprietà la necessità di curare gli adempimenti previsti dal D.M. 6 settembre 1994, inclusa tra questi la rimozione delle lastre in amianto depositate all'esterno dell'edificio e nel locale di accesso al tetto, al fine di limitare il rilascio di materiale fibroso nell'ambiente.

Ciò posto, è chiaro che l’effetto combinato della cattiva tenuta all’acqua della copertura in eternit e dello stato di degrado delle lastre, è destinato a determinare il verificarsi di infiltrazioni di acqua mista a fibre di amianto all’interno dell’edificio. Risulta quindi assodato un primo profilo di rischio per l’incolumità e la salute pubblica connesso al dilavamento delle fibre di amianto.

3. Gli accertamenti condotti da ARPA si sono concentrati, invece, sulla problematica della dispersione delle fibre nell’aria, nell’osservanza delle prescrizioni tecniche dettate in materia dal D.M. 06/09/1994 ("Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6 comma 3 e dell'art. 12 comma 2 della Legge 27 marzo 1992 n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego di amianto") e dalla D.G.R. 40-5094 del 18 dicembre 2012 (approvazione del Protocollo regionale per la gestione di esposti/segnalazioni relativi alla presenza di coperture in cemento-amianto negli edifici).

Oltre che su dati visivi, gli accertamenti sono stati condotti attraverso analisi di laboratorio su campioni di materiale prelevato in loco.

Da ultimo, con relazione del 18 ottobre 2013 l’A.R.P.A. - in replica alle osservazioni critiche formulate in questo giudizio dai ricorrenti - pur senza operare integrazioni alle indagini visive e di laboratorio già condotte, ha fornito più approfondite delucidazioni sulle attività svolte e sulle modalità operative adottate. Alla luce di tali chiarimenti, appare definitivamente smentita l’asserita sussistenza di profili di incongruenza nelle indagini e nelle successive valutazioni tecniche che hanno condotto all’adozione della misura contingibile e urgente.

3.1 Nell’ordine, le prime contestazioni svolte in ricorso si appuntano sulle modalità di esecuzione del sopralluogo, che si sarebbe concentrato esclusivamente sull’angolo visuale relativo alla zona di accesso al tetto del c.d. magazzino (nei pressi della botola di ingresso), dando così luogo ad una campionatura limitata e non rappresentativa del materiale da sottoporre ad analisi.

3.2 Invero, la documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica di A.R.P.A. del mese di ottobre 2013, ma riferita al medesimo sopralluogo del 28 marzo 2013, evidenzia chiaramente che i tecnici hanno esaminato l'intera copertura, e non solo quella circostante il punto di accesso, come sostenuto dalla parte ricorrente.

3.3 Quanto alle modalità del campionamento, esse si sono attenute alle prescrizioni del D.M. 06.09.1994, laddove impongono che si proceda al "prelievo di una piccola aliquota del materiale, che sia sufficientemente rappresentativo e che non comporti alterazioni significative dello stato del materiale in sito".

Come si evince dalla relazione integrativa A.R.P.A., i "campioni sono stati prelevati in più punti della copertura - e non in uno solo, come sostenuto dai ricorrenti”. Inoltre la scelta dei tecnici A.R.P.A. di prelevare campioni anche dalla superficie più esposta ad usura, in quanto a loro giudizio tecnico "sufficientemente rappresentativi", risulta conforme alla lettera della normativa di riferimento, tesa alla salvaguardia della salute umana e alla prevenzione e tutela dell'ambiente, obiettivi che verrebbero disattesi ove non si tenesse conto anche degli elementi di rischio più acuti.

3.4 Circa le modalità dell’accesso alla copertura, la relazione dell’A.R.P.A. dà atto che lo stesso è avvenuto mediante l’uso di una scala interna per quanto riguarda l’immobile adibito a showroom, e mediante l’impiego di una piattaforma aerea per quanto concerne l’immobile adibito a magazzino, come si evince dalle foto contenute nella relazione integrativa.

3.5 A.R.P.A. ha quindi smentito, con dovizia di riscontri documentali, la circostanza secondo cui i suoi operatori avrebbero camminato sul tetto del fabbricato adibito a showroom: oltre ai riscontri fotografici, depone in tal senso la segnalata presenza di un parapetto di oltre un metro lungo il perimetrale dell'immobile, all’interno del quale è possibile camminare senza arrecare danno alla struttura.

È inoltre contestato da A.R.P.A. che il risultato delle analisi possa essere falsato da un’eventuale sollecitazione delle lastre; trattasi di affermazione, peraltro, non adeguatamente argomentata, su base tecnica, dalla stessa parte ricorrente.

3.6 Appaiono concludenti e persuasive anche le repliche dell’A.R.P.A. in ordine alle asserite irregolarità commesse nella valutazione del materiale prelevato (muschi e licheni, fibre affioranti, stalattiti e materiale in canale di gronda). Le osservazioni peritali della parte ricorrente su questo punto e in merito alla presunta non rappresentatività dell'intera estensione dei manufatti, trascurano il fatto che il campionamento e l’indagine sulla copertura, come già esposto, sono stati estesi alla totalità della superficie; e che le coperture del magazzino e dello showroom sono coeve (anni '70), mentre le isolate riparazioni intervenute in anni successivi appaiono ben evidenti e chiaramente circoscritte, come emerge dalla stessa documentazione fotografica prodotta da A.R.P.A.. È pertanto plausibile e supportata da oggettivi elementi di riscontro l’affermazione di A.R.P.A. circa la piena rappresentatività del materiale prelevato, trattandosi di "materiale mediamente omogeneo".

In sostanza, l’estensione del giudizio di “scadente” stato di conservazione espresso con riguardo alla totalità della copertura, ha tenuto conto di un’indagine completa dell’intero manufatto.

Infine, la concludenza delle indagini di laboratorio condotte sui reperti prelevati dalla copertura non ha trovato alcun elemento di smentita in analoghe e contrapposte indagini scientifiche condotte dalla parte ricorrente, e quindi non pare allo stato in alcun modo revocabile in dubbio.

4. Quanto alla tipologia di intervento di bonifica prescelta, va detto che il D.M. 06.09.1994 include esplicitamente la rimozione tra i metodi di bonifica adottabili, accanto al c.d. incapsulamento e alla c.d. sopracopertura. Fornisce inoltre una chiara descrizione di ciascuna di dette modalità di bonifica, nelle caratteristiche tecniche e negli effetti che ne derivano. Individua, infine, alcuni parametri guida nella valutazione che gli enti pubblici preposti devono effettuare per la scelta dell'intervento di bonifica applicabile al caso di specie.

4.1 La D.G.R. 18 dicembre 2012 n. 40-5094 specifica, in base ai criteri fissati dal menzionato D.M., le linee guida per semplificare e uniformare il giudizio sullo stato di conservazione delle coperture (c.d. indice di degrado) e sulla valutazione del rischio per la salute (c.d. indice di esposizione), fornendo indicazioni sulle azioni conseguenti da adottare.

La scheda riassuntiva di dette indicazioni prevede che ad un indice di esposizione "medio" per materiale caratterizzato da un indice di degrado "scadente", quale quello rilevato da A.R.P.A., corrisponda, quale azione da intraprendersi, la "esecuzione di intervento di bonifica": detta espressione include chiaramente ognuna delle possibili modalità previste da D.M. (rimozione, incapsulamento o sovracopertura), da individuarsi in base alle circostanze del caso concreto, e da eseguire entro 12 mesi dalla valutazione.

Il concetto di bonifica include dunque chiaramente nel suo ambito tutti gli interventi sul manufatto che siano idonei ad eliminare il pericolo per la salute e tra gli stessi comprende quindi anche la rimozione.

4.2 Alla luce di quanto appena evidenziato, il rimedio prescelto (rimozione entro 12 mesi) appare coerente con il dettato della D.G.R. 40-5094 del 2012 e del D.M. 06.09.1994, trattandosi di soluzione ritenuta a giudizio tecnico di A.R.P.A. la più efficace e anzi la sola applicabile, con ragionevole garanzia di efficacia, alla copertura oggetto di sopralluogo.

Proprio dall'analisi "oggettiva" riportata nella più volte citata relazione si evince, infatti, che le lastre ondulate poste a copertura sia del capannone adibito a showroom, sia del deposito magazzino, risultano caratterizzate dalla presenza (più o meno diffusa) di rotture apprezzabili; di sfaldamenti superficiali; di affioramenti superficiali di fibre; di residui fibrosi nel canale di gronda.

Alla luce della normativa ministeriale è quindi di tutta evidenza che già l'analisi oggettiva delle lastre ascrive le medesime al rango di "materiali danneggiati", come tali da assoggettare alla valutazione di rischio più rigorosa, a cui cioè, per quanto stabilito nelle norme ministeriali, si ricollega la necessità di interventi di restauro o di bonifica, e non certo la mera verifica periodica dello stato di conservazione delle coperture e la sola predisposizione di procedure di interventi manutentivi. Tale conclusione trae conferma pure dallo schema di valutazione dei materiali posto alla fine del punto 2 del D.M.: il controllo periodico e la procedura per corretta manutenzione costituiscono la sola misura da adottare in caso di materiali non suscettibili di danneggiamento e in ipotesi di materiali integri ma suscettibili di danneggiamento, ancorché, in questo caso, dopo l'eliminazione delle cause; in caso di materiali danneggiati, come nella specie, il controllo periodico e le corrette procedure manutentive possono avere luogo solo in ipotesi di aree non estese e presuppongono sempre interventi di restauro associati all’eliminazione delle cause. In caso di area estesa, viceversa, i materiali danneggiati esigono, di norma, la bonifica.

I criteri di cui si è dato conto, confermano, in conclusione, l’adeguatezza tecnica del rimedio disposto dall’amministrazione, stante lo stato di accentuato degrado e l’estensione della copertura in oggetto.

5. I ricorrenti assumono, ancora, la presunta violazione del principio di proporzionalità nella scelta dell'amministrazione di imporre l'intervento di bonifica "più oneroso" - la rimozione della copertura - "esistendo tecnicamente altre modalità di intervento egualmente idonee, in astratto, a tutelare l'interesse pubblico".

Tuttavia - al di là del fatto che, come già esposto, non è stato allegato alcun elemento di stima dei costi di interventi alternativi, in comparazione con quello qui contestato, dal quale possa desumersi l’effettiva maggiore gravosità della bonifica imposta - appare condivisibile, in termini più generali, l’indirizzo operativo fatto proprio dall’amministrazione, in sintonia con l'attuale quadro legislativo e giurisprudenziale chiaramente orientato all'obiettivo primario della progressiva eliminazione del materiale amianto, secondo il quale la conservazione di alcuni tipi di copertura in eternit è da ritenersi tollerabile, sia pure alla luce di accurate valutazioni tecnico scientifiche, unicamente laddove sussista una contenuta esposizione ad agenti atmosferici esterni aggressivi e/o uno stato di buona manutenzione del manufatto. Ebbene, nessuna di dette circostanze è stata riscontrata nel caso di specie, tenuto conto dell’accentuata condizione di danneggiamento della copertura e della sua considerevole superficie, fattori ai quali corrisponde - in misura proporzionale – un altrettanto elevato rischio di esposizione agli agenti atmosferici e di conseguente dispersione del materiale pernicioso per la salute.

In conclusione, tutte le considerazioni sin qui esposte denotano l’assenza di profili di irragionevolezza o illogicità nelle valutazioni espresse dagli organi consultivi compulsati ai fini dell'accertamento della sussistenza del pericolo per la salute pubblica e della conseguente individuazione degli opportuni rimedi.

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento.

Stanti la delicatezza e la complessità degli accertamenti istruttori che hanno originato le misure contestate, si ravvisano giusti motivi di compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Paola Malanetto, Primo Referendario

Giovanni Pescatore, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)