Corte di Giustizia SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 16 dicembre 2004
«Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Gestione dei rifiuti – Discarica di Campolungo (Ascoli Piceno) – Direttiva 75/442/CEE modificata dalla direttiva 91/156/CEE – Artt. 4 e 8»
Nella causa C-516/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE, proposto il 9 dicembre 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. R. Amorosi e dal sig. M. Konstantinidis, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
Repubblica italiana, rappresentata dall'avv. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dal sig. C. Gulmann, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, dai sigg. R. Schintgen e J. Klučka (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nella discarica di Campolungo, situata nel territorio del Comune di Ascoli Piceno (in prosieguo: la «discarica»), siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente e non avendo adottato le misure necessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati nella detta discarica consegni tali rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, oppure ad un’impresa che effettui le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), ovvero affinché provveda egli stesso a garantirne il recupero o lo smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4 e 8 della direttiva medesima.
Il contesto normativo comunitario
2
L’art. 4 della direttiva 75/442 così dispone:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:
–
senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
–
senza causare inconvenienti da rumori od odori;
–
senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».
3
Ai sensi dell’art. 8 della direttiva medesima:
«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:
–
li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B, oppure
–
provveda egli stesso al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della presente direttiva».
4
Gli allegati II A e II B della direttiva 75/442 riguardano, rispettivamente, le «operazioni di smaltimento» e le «operazioni che comportano una possibilità di recupero».
La fase precontenziosa del procedimento
5
A seguito di una denuncia, la Commissione veniva informata della situazione di grave degrado della discarica. In particolare, dai documenti trasmessi dal denunciante, risultava che la discarica di cui trattasi si trovava sulla riva destra del fiume Tronto, ricopriva un’area di 650 m per 80 m, regolarmente inondata durante i periodi di piena del fiume, e produceva percolato in misura pari a 35 m³ al giorno, con direttrici di infiltrazione verso una falda acquifera posta 3 metri sotto di essa e verso il fiume medesimo. Secondo la detta denuncia, non esisteva alcun sistema di raccolta del percolato e dei biogas. Il denunciante faceva presente altresì che la discarica non era mai stata autorizzata ed era stata verosimilmente usata fino alla fine del 1988, anche dal Comune di Ascoli Piceno, per venire poi recintata, onde impedirne l’accesso, senza però che nessuna operazione di bonifica fosse mai stata effettuata.
6
La Commissione, ritenendo che la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4 e 8 della direttiva 75/442, le trasmetteva, in data 11 aprile 2001, una lettera di diffida.
7
Con lettera 2 luglio 2001 le autorità italiane riconoscevano sostanzialmente la rispondenza al vero della situazione, facendo presente che la discarica presenta tre ordini di problemi:
–
il primo, di natura ambientale, legato all’inquinamento;
–
il secondo, di natura idraulica, dovuto al restringimento del fiume Tronto per la presenza di insediamenti antropici, il che rende complessa la realizzazione di progetti di bonifica compatibili con l’assetto idraulico del fiume medesimo;
–
il terzo, di natura economica, consistente nella mancanza di risorse sufficienti per risolvere tali problematiche.
8
Le autorità italiane aggiungevano che la progressiva mineralizzazione dei rifiuti era tale da mettere in dubbio la produzione di 35 m3 al giorno di percolato. Inoltre, esse comunicavano che il Comune di Ascoli Piceno aveva approvato un «progetto preliminare per il risanamento ambientale della discarica», cui avrebbe fatto seguito l’affidamento di incarichi per l’elaborazione del progetto esecutivo.
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Preso atto di tali informazioni e non ritenendo sufficienti le ragioni addotte dalle autorità italiane, la Commissione trasmetteva, in data 26 giugno 2002, un parere motivato, invitando la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarvisi entro due mesi a decorrere dalla sua notifica.
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Le autorità italiane rispondevano con lettera 20 settembre 2002, trasmettendo una nota del Ministero dell’Ambiente. A tale risposta facevano seguito altre lettere del 17 marzo e del 9 giugno 2003, che trasmettevano altre note dello stesso Ministero. Dette autorità comunicavano che, in data 11 ottobre 2002, la conferenza dei servizi aveva approvato alcune integrazioni al piano di caratterizzazione della discarica e che il progetto preliminare di bonifica sarebbe stato definito entro il mese di febbraio 2003, una volta conosciuti i risultati dello studio dei luoghi. La definizione del detto progetto veniva poi spostata al mese di maggio 2003.
11
Non avendo ricevuto alcuna ulteriore comunicazione, la Commissione riteneva, alla luce dei suesposti elementi, che non solo i rifiuti si trovavano ancora nella discarica, ma che non era stata avviata alcuna azione concreta volta al loro smaltimento o recupero né alla bonifica dei luoghi. Nel frattempo, il denunciante aveva trasmesso alla Commissione un rapporto idrogeologico, redatto l’8 maggio 2003, a seguito di un’ispezione in loco effettuata il 5 maggio 2003, dalla quale si evinceva che la falda acquifera sottostante alla discarica ed il fiume Tronto venivano costantemente contaminati dal percolato, che non esisteva alcun sistema di controllo dei biogas e che le inondazioni di detto fiume provocavano la progressiva erosione della discarica.
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Ritenendo che, nonostante le informazioni comunicate dalle autorità italiane, la situazione fosse ancora insoddisfacente, la Commissione proponeva il presente ricorso.
Sul ricorso
Osservazioni preliminari
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Il governo italiano sostiene che l’inadempimento, come prospettato dalla Commissione nel suo ricorso, non consiste nell’essere venuto meno all’obbligo di trasposizione, bensì nel non avere conseguito un risultato conforme alle prescrizioni comunitarie e, quindi, alle norme di trasposizione.
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Secondo il detto governo, la Commissione farebbe gravare sugli Stati membri una responsabilità oggettiva per l’applicazione effettiva delle disposizioni della direttiva, responsabilità che non trova alcun fondamento nelle disposizioni del Trattato CE, né nei principi generali dell’ordinamento comunitario.
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La Commissione replica che tale tesi si pone manifestamente in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte, secondo la quale gli Stati membri sono tenuti a conseguire il risultato previsto dalla direttiva, adottando tutti i provvedimenti generali o particolari idonei a garantire l’adempimento di tale obbligo.
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La Commissione sottolinea inoltre che, riguardo, più specificamente, alla direttiva 75/442, la Corte ha già avuto modo di affermare che, sebbene l’art. 4 della detta direttiva lasci agli Stati membri un margine di discrezionalità nella valutazione della necessità di misure che devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che tale disposizione vincoli gli Stati membri circa l’obiettivo da raggiungere.
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Occorre ricordare che, sulla base degli artt. 211, primo trattino, CE e 226 CE, la Commissione ha come compito, nell’interesse generale della Comunità, di vigilare d’ufficio sull’applicazione, da parte degli Stati membri, del Trattato e delle norme adottate dalle istituzioni in forza di quest’ultimo e di far accertare, al fine della loro eliminazione, la sussistenza di eventuali violazioni degli obblighi che ne derivano (v. sentenza 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑7773, punti 58 e 59).
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La Commissione, tenuto conto del suo ruolo di custode del Trattato, è pertanto la sola istituzione competente a decidere se sia necessario avviare un ricorso volto alla dichiarazione di un inadempimento e in base a quale azione o omissione imputabile allo Stato membro interessato vada presentato il detto ricorso. Essa può, pertanto, chiedere alla Corte di dichiarare un inadempimento consistente nel non aver raggiunto, in un caso determinato, il risultato previsto da una direttiva (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 60).
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La Commissione ritiene che, nella specie, la Repubblica italiana, non avendo adottato nessuna delle misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nella discarica siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente, in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria o il suolo, né per la fauna e la flora, senza causare inconvenienti da rumori od odori e senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, sia venuta meno all’obbligo ad essa incombente ai sensi dell’art. 4 della direttiva 75/442.
20
A tale riguardo, si deve sottolineare che, anche se questa disposizione non precisa il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che essa vincola gli Stati membri circa l’obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenze Commissione/Italia, cit., punto 67, e 4 luglio 2000, causa C‑387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑5047, punto 55).
21
La Corte ha già affermato che, in via di principio, non è possibile dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di fatto agli obiettivi fissati all’art. 4, primo comma, della direttiva 75/442 che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente. Tuttavia, la persistenza di una tale situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere discrezionale che questa disposizione conferisce loro (citate sentenze Commissione/Italia, punto 68, e Commissione/Grecia, punto 56).
22
Conseguentemente, le obiezioni preliminari sollevate dal governo italiano devono essere respinte in quanto infondate.
Sulla prima censura, relativa alla violazione dell’art. 4 della direttiva 75/442
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Con la sua prima censura, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 4 della direttiva 75/442.
24
In via preliminare occorre sottolineare che da una giurisprudenza costante risulta che, nell’ambito di un ricorso per inadempimento in forza dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione dimostrare l’esistenza dell’asserito inadempimento (v. sentenza Commissione/Italia, cit., punto 78).
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Occorre pertanto esaminare se la Commissione abbia dimostrato in modo sufficiente che la Repubblica italiana ha omesso di adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti ammassati o depositati nella discarica siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente.
26
A tal riguardo, deve rilevarsi che la presenza, nella discarica, di rifiuti che presentano un pericolo per la salute dell’uomo e che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente non è contestata dal governo italiano.
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Secondo la Commissione, la Repubblica italiana non ha adottato alcuna misura per assicurare che i rifiuti depositati nella discarica siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente. A suo parere, le autorità italiane si sono limitate ad affermare che la progressiva mineralizzazione dei rifiuti consentirebbe di mettere in dubbio la produzione di 35 m³ al giorno di percolato, senza fornire però alcuna indicazione precisa in merito.
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Nel controricorso, il governo italiano deduce che i lavori di messa in sicurezza di emergenza della discarica sono terminati il 29 luglio 2002 e che il Comune di Ascoli Piceno ha commissionato un progetto di bonifica dell’area di detta discarica, che dovrà tener conto sia dell’inquinamento indotto dalla discarica, sia delle interferenze della stessa con il fiume. Il 9 gennaio 2004 la Regione Marche ha comunicato la predisposizione, da parte del Comune di Ascoli Piceno, di un progetto preliminare di bonifica.
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Le autorità italiane hanno precisato che lo studio di valutazione dell’impatto ambientale del progetto in parola è tuttora in corso e che, qualora tale valutazione dovesse risultare favorevole, verrà immediatamente approvato il progetto preliminare cui seguiranno, in tempi brevi, la predisposizione e l’approvazione del progetto definitivo.
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Il governo italiano, infine, ritiene che la realizzazione del complesso delle misure di messa in sicurezza e bonifica del sito in questione assicurerà l’isolamento delle fonti inquinanti, in piena conformità, conseguentemente, con i requisiti dettati dall’art. 4 della direttiva 75/442.
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Nella replica, la Commissione afferma che il governo italiano non aggiunge nulla di rilevante rispetto alle informazioni già trasmesse nella fase precontenziosa. L’unico elemento di novità sembra essere la predisposizione di un progetto preliminare di bonifica da parte del Comune di Ascoli Piceno. Tuttavia, la Commissione rileva che tale progetto non è stato ancora approvato e che non è certo che disponga già di adeguato finanziamento.
32
A questo riguardo si deve ricordare che, per consolidata giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 30 gennaio 2002, causa C‑103/00, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑1147, punto 23, e 30 maggio 2002, causa C‑323/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4711, punto 8).
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Nella specie, si deve constatare che la Commissione ha dimostrato in termini sufficienti che le autorità italiane hanno omesso di adottare, entro il termine indicato nel parere motivato, le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti in oggetto siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente.
34
Ne consegue che la prima censura, relativa alla violazione dell’art. 4 della direttiva, è fondata.
Sulla seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 8 della direttiva 75/442
35
Con la sua seconda censura, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 8 della stessa direttiva.
36
A tale riguardo, come correttamente precisato dalla Commissione, i proprietari o gestori di discariche devono essere considerati detentori di rifiuti ai sensi del detto art. 8.
37
Orbene, è pacifico che la Repubblica italiana ha omesso di adottare, entro il termine indicato nel parere motivato le misure necessarie affinché il detentore della discarica consegni i rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, ovvero ad un’impresa che effettui le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva 75/442, ovvero affinché provveda egli stesso a garantirne il recupero o lo smaltimento.
38
Pertanto, in assenza di elementi prodotti dal governo italiano in senso contrario, deve ritenersi che la seconda censura della Commissione, relativa alla violazione dell’art. 8 di detta direttiva, sia fondata.
39
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni si deve dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nella discarica siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente e non avendo adottato le misure necessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati nella detta discarica consegni tali rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, oppure ad un’impresa che effettui le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva 75/442, ovvero affinché provveda egli stesso a garantirne il recupero o lo smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4 e 8 della direttiva medesima.
Sulle spese
40
Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:
1)
La Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nella discarica di Campolongo, situata nel territorio del Comune di Ascoli Piceno, siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all’ambiente e non avendo adottato le misure necessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati nella detta discarica consegni tali rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, oppure ad un’impresa che effettui le operazioni previste nell’allegato II A o II B della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, ovvero affinché provveda egli stesso a garantirne il recupero o lo smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 4 e 8 della direttiva medesima.
2)
La Repubblica italiana è condannata alle spese.
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