Cass. Sez. III n. 28267 del 10 luglio 2008 (Ud. 9 mag. 2008)
Pres. De Maio Est. Amoresano Ric. Pacecca ed altri
Urbanistica. D.i.a. e responsabilità del progettista

L\'art.23 DPR 380/2001 prevede che la denuncia di inizio di attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico- sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di un direttore dei lavori. Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina, stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in relazione non solo all\'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità. Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista abbia un connesso obbligo di vigilanza.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 09/05/2008
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - sentenza
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 01149
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - Registro Generale
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 008163/2008
Ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
1) PACECCA PASQUALINO, N. IL 04/12/1966;
2) IACOPETTA COSIMO, N. IL 29/02/1956;
3) LA ROSA FRANCESCO, N. IL 13/11/1949;
avverso SENTENZA del 04/10/2007 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. AMORESANO SILVIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Bua Francesco Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. MACRÌ, in sostituzione avv. Misaggi R., che ha chiesto l\'accoglimento dei ricorsi con l\'annullamento della sentenza impugnata.
OSSERVA
1) Con sentenza del 4.10.2007 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Locri sez. di Siderno, con la quale Pacecca Pasqualino, Iacopetta Cosimo e La Rosa Francesco erano stati condannati, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 2, giorni 20 di arresto ed Euro 4.500,00 di ammenda per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. b) capo d), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 (capo c), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 94 e 95 (capo f), dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati ascritti ai capi e) ed f) perché estinti per prescrizione e rideterminava la pena in ordine al reato di cui al capo d) in mesi 2 di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda.
Assumeva la Corte che per i lavori effettuati (costruzione di un muro in mattoni forati posto a chiusura di un vano scala esterno ad una parete dell\'edificio, con realizzazione quindi di una modificazione strutturale comportante aumento di superficie e volumetria dell\'immobile) non fosse sufficiente una DIA (peraltro rilasciata per l\'esecuzione di altri lavori) ma un permesso a costruire. Si trattava infatti di un intervento che incideva in termine rilevanti sulla complessiva struttura dell\'immobile, con un incremento volumetrico ed appesantimento del carico urbanistico.
2) Ricorrono per Cassazione tutti gli imputati.
Il La Rosa ed il Pacecca, a mezzo del difensore, denunciano la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, nonché il travisamento della prova ex art. 606 c.p.p., lett. e).
La Corte territoriale è partita da un completo travisamento della prova per pervenire a conclusioni in diritto parimenti erronee. Non è affatto vero che vi sia stata demolizione della scala, con conseguente aumento di volumi: tale assunto contrasta infatti con quanto accertato dalla sentenza di primo grado e con quanto emerso da tutte le risultanze processuali. Evidentemente la Corte ha desunto tale suo convincimento da una interpretazione distorta della testimonianza del responsabile dell\'ufficio tecnico del Comune di Roccella Jonica che aveva espresso solo un parere su cosa dovesse intendersi per volume tecnico.
Peraltro la stessa Corte nella ricostruzione dei fatti a pag. 1 non ha operato alcun riferimento alla presunta demolizione della scala. Con il secondo motivo lamentano la inosservanza e la erronea applicazione della legge penale per violazione dell\'art. 192 c.p.p. e del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 10, 22 e 44.
Alla luce della normativa vigente è innegabile che la copertura del vano scala non determini un aumento di volumetria con necessità di autorizzazione della P.A. (sotto qualsiasi forma), ma, trattandosi di volume tecnico, non bisogna tenerne conto ai fini della conformità dell\'opera alla progettazione assentita.
Nel regolamento edilizio del Comune di Roccella Jonica, adottato con delib. Consiglio Comunale 4 ottobre 2001, n. 30 (pag.28 prodotta in copia) il vano scala risulta espressamente elencato tra i volumi tecnici.
Con il terzo motivo il La Rosa denuncia la inosservanza e l\'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 192 c.p.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23.
La Corte di merito ha ravvisato la responsabilità del La Rosa in considerazione del fatto che il progettista al termine dei lavori attesta la conformità delle opere al progetto presentato, facendo derivare quindi da ciò un obbligo di vigilanza.
È stato omesso di considerare però che il certificato di collaudo può essere rilasciato a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23 da qualsiasi tecnico abilitato e che, comunque, non vi è stato alcun rilascio da parte del La Rosa di detto certificato.
Chiedono pertanto l\'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata.
Iacopetta Cosimo, a sua volta, ricorre per Cassazione per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in quanto l\'intervento eseguito va inquadrato come opera di manutenzione straordinaria e/o restauro conservativo, come tale soggetto a DIA, e non, come ritenuto dalla Corte territoriale, a permesso di costruire. L\'intervento in questione (mera chiusura del vano scala con mattoni forati, senza demolizione della scala stessa) era infatti diretto a garantire la funzionalità di parte dell\'immobile, senza alcuna modifica della struttura dell\'edificio o aumento rilevante di volumetria (trattandosi di volume tecnico).
Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento dei fatti in relazione alla ritenuta demolizione della scala.
Peraltro il proprietario dell\'immobile ha depositato presso l\'ufficio tecnico del comune una DIA in sanatoria che sana ogni difformità dei lavori dal progetto originario.
Chiede pertanto l\'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. 3) Le censure sollevate dai ricorrenti non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati
dell\'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. È necessario cioè accertare se nell\'interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove medesime, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. L\'illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, deve quindi essere evidente e tale da inficiare lo stesso percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione adottata. Anche a seguito della modifica dell\'art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità", la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell\'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all\'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006). Pur di fronte alla previsione di un allargamento dell\'area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati.
Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell\'iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (così condivisibilmente Cass. pen. sez. 2 n. 23419/2007 - Vignaroli). 3.1) È indubbio l\'errore in cui è incorsa la Corte nel ritenere che fosse stata demolita la scala. In effetti ha equivocato la testimonianza del dirigente dell\'ufficio tecnico il quale si era limitato ad esprimere, in via astratta e generale, la sua opinione sulla necessità o meno del permesso di costruire.
Dalla testimonianza del predetto, confortata peraltro dai rilievi fotografici, emerge infatti che la scala non era stata demolita. Tale travisamento della prova, però, non scardina affatto l\'apparato motivazionale della sentenza impugnata, in cui si evidenzia comunque la necessità del permesso. Emerge invero dalla sentenza impugnata che si trattava di un vano scala "esterno ad una parete dell\'edificio", che veniva chiuso con un muro in mattoni, e che tale intervento aveva determinato "un appesantimento rilevante del carico urbanistico, come può evincersi, peraltro, dalle foto allegate alla relazione del sopralluogo del tecnico comunale" e che l\'intervento medesimo nera andato ad incidere in termini rilevanti sulla complessiva struttura dell\'immobile".
Riteneva quindi la Corte, proprio perché la scala "esterna al fabbricato" era stata "inglobata" nello stesso, che comunque vi fosse stata una alterazione rilevante della struttura dell\'immobile, con incremento volumetrico.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte sono realizzabili con denuncia di inizio attività (D.I.A.) gli interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore, ovvero che comportano una semplice modifica dell\'ordine in cui sono disposte le diverse parti dell\'immobile, e con conservazione della consistenza urbanistica iniziale, classificabili diversamente dagli interventi di ristrutturazione edilizia descritti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari, o modifiche del volume, sagoma, prospetti e superfici, e per i quali è necessario il preventivo permesso di costruire (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 23.1.2007 n.1893).
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che per l\'intervento eseguito fosse sufficiente una D.I.A. e che potesse trattarsi, comunque, di volume tecnico.
3.2) Quanto alla posizione del La Rosa, dalla imputazione e dalla sentenza di primo grado, risulta che egli era non solo il progettista ma anche il direttore dei lavori.
In ogni caso, la Corte ha ritenuto, fondatamente, l\'esistenza di un obbligo di vigilanza a carico del progettista.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23 prevede che la denuncia di inizio di attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico - sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di un direttore dei lavori. Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina, stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in relazione non solo all\'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità. Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista abbia un connesso obbligo di vigilanza. Siffatta interpretazione della norma non è contrastata dalla possibilità che il certificato di collaudo possa poi essere rilasciato da un altro tecnico abilitato, rientrando nell\'autonomia del privato rivolgersi ad altri e dovendo, comunque, il predetto certificato attestare semplicemente la conformità delle opere realizzate al progetto presentato con la denuncia di inizio attività.
Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2008