Cass. Sez. III sent. 986 del 27 settembre 2005 (ud. 10 maggio 2005)
Pres. Papadia Est. Fiale Ric. Scimone ed altri
Urbanistica – Realizzazione di piano sottotetto – Inammissibilità della
sanatoria avente come presupposto l’esecuzione di interventi – Responsabilità
del direttore dei lavori
1. Si verte in ipotesi di
“difformità totale” in caso di realizzazione di piano abitabile ulteriore
rispetto a quelli consentiti, suscettibile di utilizzazione autonoma,
caratterizzato da autonomia e novità oltre che sul profilo costruttivo, anche
su quello della valutazione economico-sociale.
2. E’ illegittimo il provvedimento di sanatoria subordinati all’esecuzione
nell’immobile abusivo (non sanabile nella sua completezza) di specifici
interventi finalizzati a fare acquisire allo stesso la conformità agli
strumenti urbanistici.
3. Il direttore dei lavori è responsabile nei casi di irregolare vigilanza
sull’esecuzione delle opere edilizie, avendo egli l’obbligo di sovrintendere
con necessaria continuità a quelle opere della cui esecuzione ha assunto la
responsabilità tecnica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 10/05/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 986
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 45587/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. SCIMONE Carmela, n. a Milazzo il 10.1.1972;
2. SCIMONE PIETRO Tindaro, n. a Milazzo il 20.4.1980;
3. CAMPO Filippo, n. a Castel di Lucio il 17.3.1949;
4. DENARO Giovanni, n. a Messina il 19.11.1974;
avverso la sentenza 10.6.2003 del Tribunale monocratica di Messina;
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott.
FIALE Aldo;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. GERACI Vincenzo che
ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del
ricorso del
CAMPO e la sospensione del processo, in relazione alle istanze di
condono edilizio, per gli altri ricorrenti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10.6,2003 il Tribunale monocratico di Messina
affermava la responsabilità penale di Scimone Carmela,
Scimone Pietra
Tindaro, Campo Filippo e Denaro Giovanni in ordine al reato di cui:
- agli artt. 110 cod. pen. e 20, lett. a), legge n. 47/1985 (per avere
realizzato, in concorso tra loro - i due Scimone quali committenti, il
Campo quale direttore dei lavori ed il Denaro quale titolare
dell'impresa costruttrice - un intervento edilizio parzialmente
difforme, limitatamente al piano sottotetto, dal permesso di costruire
- acc., in Venetico, contrada Croce, il 22,10.2001) e, riconosciute a
tutti circostanze attenuanti genetiche, condannava ciascuno alla pena
di euro 5.000,00 di ammenda. Avverso tale sentenza hanno proposto
ricorso gli imputati. Gli Scimone ed il Denaro hanno eccepito:
-
violazione di legge e vizio della motivazione, in quanto il ritenuto
aumento di cubatura sarebbe stato valutato con erroneo criterio di
calcolo, assumendo come base di riferimento esclusivamente la struttura
e la consistenza del sottotetto e non tenendo conto che, ai sensi
dell'art. 7 della legge n. 37/1985 della Regione Siciliana, "l'aumento
inferiore al 3% dei parametri dell'edificio (tolleranza di cantiere)
non comporta alcun adempimento amministrativo e meno che mai la
necessità di ottenere la concessione edilizia".
Il Campo ha eccepito, a sua volta:
- violazione di legge, poiché sarebbe stata erroneamente
ritenuta
inefficace la concessione in sanatoria rilasciata ai sensi degli artt.
13 e 22 della legge n. 47/1985;
- l'incongrua affermazione della
propria responsabilità, avendo egli esercitato un'attenta
vigilanza
sull'esecuzione dell'opera edilizia e non potendo "farsi carico al
direttore dei lavori di piantonare 0 cantiere, garantendo la propria
presenza senza soluzione di continuità per tutta la durata
dei lavori";
- l'immotivata mancata concessione dei benefici della sospensione
condizionale della pena e della non menzione della condanna. Con
memorie depositate il 2.5.2005, il difensore del Campo ha depositato
copie delle istanze di condono edilizio presentate - ai sensi dell'art.
32, comma 25, del D.L. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003
- dai due Scimone al Comune di Venetico, in data 10.12.2004, e di
quietanze di versamenti effettuati a titolo di oblazione. Ha chiesto,
quindi, l'estensione degli effetti del condono al proprio assistito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nei confronti di Scimone Carmela e Scimone Pietro Tindaro - tenuto
conto della documentazione di condono come sopra acquisita - il
procedimento penale deve essere sospeso a norma dell'art. 38 della
legge n. 47/1985, demandandosi al momento della decisione il compiuto
accertamento di tutti i presupposti di operatività della
causa
estintiva.
Detta sospensione non può disporsi, invece, nei
confronti dei coimputati Campo e Denaro (rispettivamente direttore ed
esecutore dei lavori), i quali non sono comproprietari dell'immobile in
questione e non hanno proposto autonoma domanda di oblazione (art. 38,
1 comma, della legge n. 47/1985, come modificato dal D.L. n. 2/1988,
convertito nella legge n. 68/1988).
La posizione dei ricorrenti
Scimone, pertanto, deve essere stralciata e, relativamente ai medesimi,
deve disporsi la sospensione del procedimento ex art, 38 della legge n.
47/1985.
2. I gravami proposti dal Campo e dal Denaro, invece,
devono essere dichiarati inammissibili, poiché
manifestamente
infondati. 3. Quanto al ricorso del Denaro va rilevato che, nella
specie, era stata assentita la costruzione di un fabbricato a due
elevazioni fuori terra, oltre cantinato e sottotetto, utilizzabile
quest'ultimo come deposito occasionale, con copertura a falda inclinata
coincidente con la linea di gronda nel punto di massima inclinazione.
Di fatto, invece, l'altezza alla gronda è stata portata a
circa un
metro, con conseguente modifica dell'inclinazione della falda ed
aumento della cubatura.
Ciò appare finalizzato ad un probabile
mutamento della destinazione d'uso del sottotetto, reso abitabile, e
comporta, comunque, modifiche della sagoma e del prospetto
dell'edificio.
Impropriamente, dunque, il Tribunale ha ricondotto
la vicenda alla nozione di "difformità parziale",
poiché i lavori
abusivi dianzi descritti hanno portato alla realizzazione di un piano
abitabile ulteriore rispetto a quelli consentiti, suscettibile di
utilizzazione autonoma, caratterizzato da autonomia e
novità, oltre che
sul profilo costruttivo, anche su quello della vantazione economico-
sociale. Si verte, pertanto, in ipotesi di "difformità
totale", ai
sensi dell'art. 7 della legge n. 47/1985 e dell'art. 31, 1 comma, del
TU. n. 380/2001, norme in cui l'espressione "organismo edilizio" indica
sia una sola unità sia una pluralità di porzioni
volumetriche
autonomamente utilizzabili.
Incongruo deve ritenersi,
conseguentemente, il riferimento difensivo alla cd. "tolleranza di
cantiere" ammessa dalla legislazione regionale.
4. Con riferimento,
poi, al ricorso proposto dal Campo" va evidenziato che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte Suprema, gli artt. 22 e 13 della legge
n. 47/1985 (attualmente trasfusi negli artt. 45, 3 comma e 36 del T.U.,
n. 380/2001) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della
declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle
norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il
potere-dovere di verificare la legittimità della concessione
edilizia
(oggi permesso di costruire) rilasciata "in sanatoria" e di accertare
che l'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In
mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non
estingue i
reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una
valutazione di illegittimità del provvedimento della PA, cui
consegua
la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.3.1865, n.
2248, ali. E), bensì alla effettuata verifica della
inesistenza dei
presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di
esercizio del doveroso sindacato detta legittimità del fatto
estintivo
incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. 3^;
7.3,1997, n. 2256, ric. Tessali e altro; 24.5.1996, ric. Buratti e
altro).
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve
ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il
rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge a
47/1985 (permesso di costruire ex art. 36 del T.U. n. 380/2001), la
necessità che l'opera sia "conforme agli strumenti
urbanistici generali
e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia
al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della
presentazione della domanda"; ovvero, secondo la formulazione
introdotta dal TU. n, 380/2001, che "l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della
domanda".
Nella fattispecie in esame, con la concessione edilizia
rilasciata, ex art. 13 della legge n. 47/1985, si imponeva agli
imputati di "arretrare la parete perimetrale esterna", con conseguente
riduzione della superficie e della volumetria. La cd. "sanatoria" si
fondava, dunque, sulla futura e potenziale modificazione dello stato
dei luoghi attraverso il prescritto intervento demolitorio,
sicché - in
sostanza - l'efficacia del provvedimento sanante veniva rimessa
all'eventuale attivazione dei suoi destinatali.
Nella prassi è dato
riscontrare, talvolta, provvedimenti siffatti, che subordinano fai
sanatoria all'esecuzione nell'immobile abusivo (non sanabile nella sua
completezza) di specifici interventi finalizzati a fare acquisire allo
stesso la conformità agli strumenti urbanistici.
Non può
riconoscersi, però, la legittimità di simili
provvedimenti allorché si
consideri che l'art. 13 della legge n, 47/1985 e l'art. 36 del T.U. n.
380/2001 ammettono al beneficio l'opera eseguita (il che significa
già
realizzata) e soltanto, come si è detto, quando venga
verificata la ed,
doppia conformità agli strumenti urbanistici, sia al momento
della
realizzazione dell'opera sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria. Il rilascio dei provvedimento sanante, inoltre,
consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente
nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative
ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non
lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine
discrezionale (vedi Cass., Sez. 3^, 11,10,2000, n. 10601, Marinaro).
Nel caso che ci riguarda - in conclusione - (ove l'arretramento imposto
non risulta eseguito) esattamente il giudice di merito ha affermato che
la pretesa concessione edilizia sanante non comporta l'estinzione del
reato urbanistico, poiché non sono applicabili gli ari 22
della legge
n, 47/1985 e 45,3 comma, del T.U., n. 380/2001 (difettandone i
presupposti).
4.1 Il direttore dei lavori è penalmente responsabile
per l'attività edificatoria non conforme alle prescrizioni
della
concessione edilizia.
L'art. 6, 2 comma, della legge n. 47/1985 ed
attualmente l'art. 29, 2 comma, del T.U., a 380/2001 esonerano lo
stesso professionista da tale responsabilità qualora egli;
- abbia
contestato al titolare del permesso di costruire, al committente ed al
costruttore la violazione delle prescrizioni del provvedimento
amministrativo;
- abbia fornito contemporaneamente
all'Amministrazione comunale motivata comunicazione della violazione
stessa, - e, nelle ipotesi di totale difformità o di
variazione
essenziale, abbia altresì rinunziato contestualmente
all'incarico.
Il recesso tempestivo dalla direzione dei lavori, in ogni caso, deve
ritenersi pienamente scriminante per il professionista e la
"tempestività" ricorre quando il recesso intervenga non
appena
l'illecito edilizio obiettivamente si profili, ovvero appena il
direttore dei lavori abbia avuto conoscenza che le corrette direttive
da lui impartite siano state disattese o violate.
Il direttore dei
lavori è responsabile, invece, nei casi di irregolare
vigilanza
sull'esecuzione delle opere edilizie, avendo egli l'obbligo di
sovrintendere con necessaria continuità a quelle opere della
cui
esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica. Nella
specie, l'entità
dei lavori difformi eseguiti si riconnette alla stessa struttura del
sottotetto (elevazione di un metro dell'altezza alta gronda e
modificazione dell'inclinazione dell'altezza della falda) e non risulta
dimostrato che l'abuso sia stato realizzato senza che il Campo ne fosse
a conoscenza ed in un tempo cosi esiguo da vanificare la sua doverosa
attività di vigilanza.
L'imputato, inoltre, non ha ottemperato agli
obblighi di contestazione e di comunicazione impostigli dalla legge,
ne' risulta essersi dimesso dall'incarico ricevuto.
4.2 I benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione della
condanna (correlati in concreto all'inflizione di una pena
già
edittalmente limitata alla sola ammenda) non sono stati concessi al
Campo, perché non richiesti.
5. La inammissibilità dei ricorsi
(oltre che la esatta qualificazione giuridica del fatto, da ricondursi
all'art. 44, lett. B) del T.U., n. 380/2001) non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può
tenersi conto
della prescrizione del reato, scaduta in epoca successiva (22.10.2004)
alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione degli
atti di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De
Luca). 6. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte
Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che
il Campo ed il Denaro "abbiano proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità",
alla
declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a
norma dell'art.
616 c.p.p., l'onere solidale delle spese del procedimento
nonché, per
ciascuno dei due ricorrenti, quello del versamento di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione
dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M.
la Corte
Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607,615 e 616 c.p.p., dichiara
inammissibili i ricorsi proposti da Campo Filippo e Denaro Giovanni,
che condanna, in solido, al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in
favore della Cassa delle Ammende Dispone lo stralcio nei confronti di
Scimone Carmela e Scimone Pietro Tindaro, ordinando - per i predetti -
la sospensione del procedimento a norma dell'art. 38 della legge n.
47/1985.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2005