Cass. Sez. III
sent. 1389 del 22 settembre 2005 (ud. 23 giugno 2005)
Pres. Zumbo Est. Fiale Ric. Brigante
Urbanistica - Opere diverse finalizzate alla realizzazione di un unico
manufatto
Le opere finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto non possono essere disarticolate e denunciate separatamente quando tra esse sussiste un rapporto di funzionalità, poiché deve aversi comunque riguardo all’intervento edilizio finale e la parcellizzazione di esso costituisce un illecito espediente fittizio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 23/06/2005
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 1389
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 19594/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BRIGANTE SALVATORE, n. a Tricase l'1.6.1954;
avverso la sentenza 24.1.2005 della Corte di Appello di Lecce;
visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dr. Aldo Fiale;
udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. PASSACANTANDO Guglielmo che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv.to DISTANTE Alessandro, il quale ha concluso chiedendo
l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24.1.2005 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma
della sentenza 2.3.2004 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Brigante Salvatore in
ordine al reato di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere edificato, in zona
classificata "verde di rispetto della zona industriale", ove non potevano
costruirsi opere di carattere permanente, n. 13 pilastri in cemento armato
prodromici alla realizzazione di una vasta serra floricola - acc. in Tricase, il
24.7.2000)
b) confermava la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di
arresto ed euro 4.000,00 di ammenda;
c) revocava l'ordine di demolizione "dei pilastri di sostegno del muro di
cinta", alla cui effettiva esecuzione era stato condizionato il beneficio della
sospensione della pena.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Brigante, il quale - sotto i
profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
- l'illegittimità del diniego di sospensione del procedimento, in seguito alla
presentazione di domanda di condono edilizio, ai sensi dell'art. 32 del D.L.
30.9.2003, n. 269;
- l'illegittimità del disconoscimento di efficacia sanante al nulla- osta
comunale rilasciatogli in data 26.9.2000, che comunque doveva ritenersi valido
per i pilastri edificati a sostegno del muro di recinzione preesistente;
- la mancata valutazione della circostanza che la realizzazione dei pilastri
medesimi "non comportava una modifica dell'assetto del territorio integrante
profili di responsabilità penale". MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato. 1.1 giudici del merito hanno
accertato, in punto di fatto, che il Brigante:
- con "nulla-osta edilizio" del 18.8.1998, era stato autorizzato ad eseguire
lavori di sopraelevazione di un muro di cinta preesistente (da mt. 2,20 a mt.
2,90);
- con "nulla-osta edilizio" dell'11.11.1999, era stato poi autorizzato ad
eseguire lavori di installazione di una serra agricola, in aderenza a quel muro
di cinta, completamente smontabile, con montanti in ferro zincato e vetro e
struttura bullonata e non saldata, su pavimentazione in cemento battuto;
- aveva però realizzato n. 13 pilastri in cemento armato, addossati al muro di
cinta, e n. 10 plinti ed un pilastro nella parte anteriore: opere per le quali
aveva ottenuto "autorizzazione in sanatoria, ex art. 13 della legge n. 47/1985",
con provvedimento del 26.9.2000.
2. Gli stessi giudici hanno rilevato che:
- le opere come sopra descritte erano finalizzate alla realizzazione di una
serra non completamente smontabile, affatto diversa da quella autorizzata ed
incompatibile con la destinazione di zona;
- le opere medesime dovevano essere valutate nel loro complesso e non potevano
essere scomposte nei relativi segmenti, sì da ricondurre al regime
autorizzatorio le singole parti di un intervento non consentito dalla
pianificazione vigente.
Hanno considerato irrilevante, conseguentemente, l'accertamento di conformità,
intervenuto in data 26.9.2000, ex art. 13 della legge n. 47/1985, per i soli
pilastri addossati al muro di cinta, sul presupposto surrettizio che si sarebbe
trattato di opere rivolte al mero rafforzamento del medesimo muro.
Trattasi di argomentazioni sicuramente corrette, poiché correlate
all'indiscutibile principio di diritto secondo il quale le opere finalizzate
alla realizzazione di un unico manufatto non possono essere disarticolate e
denunziate separatamente quando tra esse esista un rapporto di funzionalità.
Deve aversi comunque riguardo all'intervento edilizio finale e la
parcellizzazione di esso costituisce un illecito espediente fittizio.
3. Nella situazione dianzi descritta non è consentita la sospensione del
procedimento, ex art. 38 della legge n. 47/1985, in relazione alla domanda di
sanatoria (c.d. condono edilizio) presentata ai sensi dell'art. 32 del D.L.
30.9.2003, n. 269 che espressamente richiama (commi 25 e 28), per quanto in esso
non previsto, i capi 4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e l'art. 39 della
legge 23.12.1994, n. 724.
Si verte, infatti, in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai
sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si tratta di nuova costruzione
non-residenziale, non realizzabile secondo le previsioni di zona, che
costituisce immobile integralmente abusivo e non si sostanzia in meri
ampliamenti o addizioni: ipotesi esclusa dal condono dal comma 25.
4. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 568, 615 e 616 c.p.p., rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2005.