Cass. Sez. III n. 36818 del 29 settembre 2022 (UP 14 set 2022)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. D’Angelo
Urbanistica.Caratteristiche della sanatoria
In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 cit. non ammette termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. 380/2001 e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Tant'è che deve ritenersi illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica, senza quindi che siano consentiti accorgimenti per far rientrare la stessa nell'alveo della legittimità urbanistica.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 9.11.2021, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza 8.09.2020 del tribunale di Vallo della Lucania, appellata da D’ANGELO DOMENICO, con cui il medesimo è stato condannato alla pena di 9 mesi di arresto ed euro 23.000 di ammenda, oltre alla demolizione delle opere edilizie, per i reati edilizi, paesaggistici, in materia antisismica e di opere in c.a., nonché per il reato di cui all’art. 734 c.p. e per la realizzazione delle predette opere senza n.o. dell’ente parco ex art. 13/30 l. 394/1991, in relazione a fatti del 14.02.2018.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i cinque motivi di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 605, c.p.p. quanto agli artt. 96, 190 e 468, c.p.p.
In sintesi, il ricorrente si duole per aver ritenuto infondata la Corte d’appello la censura relativa alla decisione con cui il tribunale aveva rigettato la richiesta di ammissione della prova testimoniale ritenendo inammissibile il deposito della lista ex art. 468 cpp per via telematica nonché il difetto di legittimazione del difensore per omesso deposito preventivo della nomina fiduciaria. Richiamando giurisprudenza di questa Corte, in particolare, la difesa sostiene che la risposta della Corte d’appello non avrebbe tenuto conto dell’orientamento di legittimità favorevole a ritenere superate le irregolarità del mandato fiduciario in base alla situazione di fatto che renda evidente l’esistenza di un rapporto fiduciario tra professionista e cliente, trattandosi di norma, quella dell’art.96 c.p.p., da interpretarsi alla luce del principio del favor per la difesa, donde illegittimo si appalesava il provvedimento del tribunale e della Corte d’appello nel rigettare tale eccezione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 605, c.p.p. con riferimento agli artt. 190, 468, co. 4, 507 e 603, n. 3, c.p.p.
In sintesi, si lamenta del fatto che la Corte d’appello avrebbe omesso di rispondere alla censura relativa alla mancata ammissione a prova contraria dei testi indicati nella lista non ammessa circa l’epoca di realizzazione delle opere, nonostante la sua ritualità in quanto proposta successivamente alla pronuncia dell’ordinanza ammissiva delle prove e al cospetto dell’impugnativa al Tar dell’ordine di demolizione e sebbene la proposta difensiva fosse confortata da documenti influenti e rilevanti, costituiti dagli allegati dal ricorso al Tar prodotti prima della chiusura dell’istruttoria dibattimentale, citando a sostegno giurisprudenza di questa Corte. Analoga censura investe la decisione della Corte d’appello di non ammettere la rinnovazione istruttoria sia dell’esame dei testi della lista non ammessi che del tecnico ing. Pellegrino, che era stato chiamato a deporre sulla identità delle opere realizzate rispetto a quelle oggetto dell’istanza di condono, tema di prova diverso rispetto a quello su cui egli era stato sentito all’ud. 8.07.2020. Si censura, inoltre, il vizio di motivazione della sentenza laddove afferma che pur ammettendo che il D’Angelo abbia presentato l’istanza di condono, non risultava che la PA avesse acceduto alla richiesta, tanto che il ricorrente aveva dovuto proporre ricorso al Tar non essendo quindi l’opera né autorizzata né ultimata. Si tratterebbe di un caso di travisamento probatorio documentale, in quanto il ricorso davanti al tar aveva ad oggetto l’ordine ingiunzione a demolire e non il silenzio – rigetto o inadempimento sulle domande di sanatoria.
2.3. Deduce, con il terzo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 605, c.p.p. con riferimento all’art. 530, c.p.p.
In sintesi, si deduce la violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio per l’omesso apprezzamento della tesi alternativa, con cui si sosteneva che i lavori non fossero in corso al momento dell’accertamento e che le opere fossero antecedenti al 31.12.1993, come dimostrato dalle istanze di condono.
2.4. Deduce, con il quarto motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 605, c.p.p., con riferimento all’art. 531, c.p.p.
In sintesi, si duole della mancata adozione della formula di proscioglimento per prescrizione, nonostante dalla data di realizzazione (1993) fossero decorsi i termini di legge (5 anni). Vertendosi nella specie di opere lasciate incompiute in attesa della pronuncia dell’ente, si sarebbe dovuto applicare il principio secondo cui il completamento delle opere è solo un elemento sintomatico che non consente di escludere ipotesi in cui la permanenza dell’illecito edilizio sia terminata, anche senza l’ultimazione dell’opera. Gli elementi addotti dalla difesa militavano nel senso dell’intervenuta prescrizione, trattandosi di opere risalenti, dell’esistenza di due istanze di condono non ancora evase dal comune e dall’esame testimoniale dell’ing. Pellegrino che aveva riferito dell’assenza sui luoghi di operai al lavoro anche all’atto del successivo sequestro, come comprovato ulteriormente dall’assenza dai luoghi dell’imputato da anni assente da quel territorio e dal fatto che il manufatto era stato coperto con teloni di colore verde, senza che lavori successivi fossero stati eseguiti sul manufatto.
2.5. Deduce, con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 605, c.p.p., con riferimento agli artt. 132, 133 e 133-bis, c.p.
In sintesi, si duole il ricorrente del fatto che la motivazione sul trattamento sanzionatorio rifletterebbe quella del primo giudice e sarebbe assertiva, essendo peraltro inconferente il richiamo al vincolo della continuazione, come tautologico sarebbe l’argomento posto a sostegno del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In via del tutto preliminare, si osserva che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Ci si trova, infatti, al cospetto di una cosiddetta “doppia conforme”: tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia essenzialmente quello che - a presidio del devolutum - discende dalla pretermissione dell'esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la lettera dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
3. Ciò premesso, è possibile esaminare il primo motivo di ricorso che affronta la tematica della legittimità della nomina del difensore successiva al deposito della lista testimoniale.
A tal proposito, il ricorrente lamenta una lacuna motivazionale che non si ravvisa nel provvedimento impugnato nei limiti della cognizione consentita in sede di legittimità. Infatti, il giudice di secondo grado risponde alle contestazioni formulate nell’atto di appello, condividendo la posizione del primo organo giudicante (pag. 3) e aderendo all’indirizzo per cui la nomina del difensore di fiducia è atto formale che non ammette equipollenti e per la cui validità processuale è necessaria l'osservanza delle forme e modalità di cui all'art. 96 cod. proc. pen., commi 2 e 3 (Sez. 1, n. 18244 del 02/04/2019, Rv. 275470 – 01; Sez. 3, n. 46034 del 11/11/2008, Rv. 241775).
Conclusioni incensurabili alla luce della sequenza temporale dei fatti: l’ammissione prove è stata svolta in data 27 febbraio 2019 con scadenza del termine per il deposito al 19 febbraio 2019, mentre la nomina risulta depositata in data 6 marzo 2019, quando l’ordinanza di inammissibilità era già stata emanata e nessuna contestuale rimostranza esposta (come emerso dal verbale dell’08/07/2019). Tale posizione, peraltro, si conforma alla volontà del Legislatore, il quale pur ispirandosi al principio dell'assenza di formalità, richiede che la nomina del difensore di fiducia dell'imputato risulti con certezza nel processo (Sez. 1, n. 35127 del 19/04/2011, Rv. 250783).
Ad ogni modo, anche qualora i giudici di merito avessero aderito all’indirizzo di segno opposto, si rileva che l’ammissione avrebbe trovato ulteriore limite nelle modalità di deposito via PEC posto che, in assenza di norme derogatorie o che comunque lo consentissero espressamente, ratione temporis, il «deposito» della lista testimoniale non poteva essere effettuato con modalità telematiche (espressamente previste, invece, per il processo civile nel quale il «deposito telematico» è addirittura imposto dall'art. 16-bis, dl. 18/10/2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17/12/2012, n. 179). La trasmissione della lista a mezzo posta elettronica certificata onera la cancelleria che la riceve dell’attività di stampa e materiale deposito dell'atto con modalità nemmeno temporalmente scandite, con conseguente possibilità di ulteriore abbreviazione del termine previsto dall'art. 468, comma 1, cod. proc. pen.. La lista testimoniale non è indirizzata solo al giudice, ma anche alle parti che possono chiedere di essere ammessi a prova contraria e devono essere messe in condizione di farlo. L'inesistenza, nel processo penale, di un fascicolo informatico impedisce alle altre parti di accedervi in tempo reale e consultare immediatamente gli atti depositati con modalità telematiche. Il «deposito telematico», inoltre, necessita dell'indicazione di regole precise in ordine alle modalità e tempestività dell'adempimento che, previste per il processo civile (art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179 del 2012, cit.), sono del tutto assenti in quello penale. (Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016 dep. 147/02/2014).
Tale orientamento è espressione del più generale principio per cui nel processo penale non è consentito alle parti private l’utilizzo della posta elettronica certificata per effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze, proprio per l’assenza di un fascicolo telematico che preclude l’inserimento automatico di istanze ed i documenti nel fascicolo (Sez. 1, n. 26877 del 20/03/2019, Rv. 276915-01; Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020, Rv. 279072-01).
4. Anche il secondo motivo presta il fianco al giudizio di inammissibilità.
4.1. Invero, giova ricordare che, al fine dell’accoglimento in sede di legittimità di una consimile censura è necessario che la parte faccia specifica richiesta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico, non essendo sufficiente un generico riferimento alle prove a discarico indicate nella lista depositata. (Sez. 6, n. 26048 del 17/05/2016 - dep. 22/06/2016, Rv. 266976). Nel caso di specie, per quanto risulta dal verbale dell'udienza dell’8 luglio 2020, il difensore non ha formulato una specifica richiesta di ammissione a prova contraria e nell’atto di appello opera un generico riferimento ai testi in lista al fine di esaminarli sull’epoca di realizzazione delle opere.
Dirimenti, come già anticipato a proposito del motivo precedente, sono poi le valutazioni svolte dallo stesso Collegio salernitano sulla utilità in astratto della lista dei testimoni.
L’organo giurisdizionale infatti rileva che, nell’atto di impugnazione, la difesa si concentra sul potenziale contributo che sarebbe potuto emergere dal riesame del solo Ing. D’Angelo dell’U.C.T. al fine di far chiarezza sulla data di costruzione ma “detto tecnico risulta invero esaminato nel corso dell’udienza de 08.07-2020 (presente per la difesa una professionista delegata dal difensore appellante: v. verb di udienza); nell'occasione l’Ing. PELLEGRINO ha riferito (anche su domande della difesa) quello che era in sua conoscenza, in parte per il riscontro diretto avuto in sede di sopralluogo, in parte sulla base degli atti d'ufficio, ovvero che i lavori erano in fase di ultimazione e che non risultava agli uffici alcuna richiesta di permesso. Per queste ragioni reputa il collegio che la decisione del Tribunale di non ammettere il nuovo esame del teste PELLEGRINO non si presta a censure”. La sentenza impugnata ha dato, in realtà, conto che non vi era alcuna necessità di esaminare nuovamente il teste in quanto non sussisteva necessità di procedere in tal senso attesa la possibilità di decidere allo stato degli atti (tra l'altro in coerente seguito al principio generale di presunzione di completezza dell'istruttoria di primo grado).
Alla luce di tali considerazioni, al fine della delibazione in sede di legittimità del vizio di mancata assunzione di una prova ex art. 606 lett. d) cod. proc. pen. deve ricordarsi che in tema di ricorso per cassazione, è “decisiva”, la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020 Ud. (dep. 12/03/2020) Rv. 278670 – 01). Sempre tale prova deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente. (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019 Ud. (dep. 05/09/2019) Rv. 277035 – 01).
4.2. Si presenta ulteriormente priva di pregio la doglianza concernente la presunta violazione degli artt. 507 e 603, cod. proc pen., in quanto, da un lato, la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 - dep. 31/01/2017, Rv. 269270 – 01).
Quanto all’art. 603, c.p.p., si tratta di ipotesi inquadrabile nel comma 1 dell’art. 603, c.p.p., con la conseguenza che trova applicazione la giurisprudenza secondo cui in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, nell'ipotesi di cui all'art. 603, comma primo, cod. proc. pen. la riassunzione di prove già acquisite o l'assunzione di quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l'incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è tenuto a disporre l'ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all'art. 495, cod. proc. pen., con il solo limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. Né il giudice dell'appello è tenuto a spiegare espressamente le ragioni del mancato accoglimento di un'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale proposta ai sensi del primo comma dell'art. 603 c.p.p., potendo in tal senso provvedere - come avvenuto nel caso di specie - motivando sulla completezza della piattaforma probatoria acquisita a fornire l'evidenza della responsabilità dell'imputato. (In motivazione la Corte ha affermato che, nella prima ipotesi, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell'apparato motivazionale della decisione adottata, mentre, nel secondo caso, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso e compiuto (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 - dep. 14/11/2016, Rv. 268657 – 01).
4.3. In ordine al presunto travisamento probatorio in cui sarebbe incorso il giudice, per costante indirizzo della Suprema Corte, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio. (Sez. 5, Sentenza n. 48050 del 02/07/2019 Ud. (dep. 26/11/2019) Rv. 277758 – 01). Tale vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti. (Sez. 2, Sentenza n. 5336 del 09/01/2018 Ud. (dep. 05/02/2018) Rv. 272018 – 01).
Orbene, nel caso di specie, sia il ricorso al Tar che l’istanza di condono sono stati oggetto di valutazione di entrambi giudici di merito, i quali, all’esito di una complessiva valutazione, hanno ritenuto irrilevante quanto prodotto. Infatti, attenendosi allo stato dei fatti, si tratta di un’opera, costituita da una struttura in c.a. nel parco del Cilento e, dunque, in zona altamente vincolata, non autorizzata. Depongono a favore delle conclusioni qui riportate la non ultimazione dei lavori e il buono stato dei materiali dai quali è possibile desumere un intervento recente sulle opere che si pone in contrasto con quanto affermato dal ricorrente per cui le opere dovrebbero essere fatte risalire al 1993.
In proposito, si ricorda che, in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 cit. non ammette termini o condizioni (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Rv. 260973), deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso (cfr. Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016, Rv. 267290) e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. 380/2001 e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive (cfr. Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Rv. 262422) che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (cfr. Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Caprio, Rv. 277265). Tant'è che deve ritenersi illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Rv. 266034; Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, Rv. 280281), senza quindi che siano consentiti accorgimenti per far rientrare la stessa nell'alveo della legittimità urbanistica.
5. Il terzo motivo, concernente la violazione della regola di giudizio dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”, è manifestamente infondato.
Sul punto, si rileva che il parametro di valutazione indicato nell'art. 533 cod. proc. pen. che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni “dubbio ragionevole” opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi alla giurisdizione di merito tale parametro può essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove; diversamente in sede di legittimità tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale. Infatti, può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l'apprezzamento della capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito e non può essere in alcun modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati casi in cui si deduca, e si alleghi, un travisamento. Diversamente, in sede di legittimità la violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio indicato dall'art. 533 cod. proc. pen. è invocabile solo quando precipiti in una illogicità manifesta del percorso argomentativo.
Sebbene, tutto ciò sia stato correttamente individuato dalla parte ricorrente, quest’ultima omette di considerare che il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello «ragionevole», dove per ragionevole si deve intendere quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021 - dep. 12/02/2021, Rv. 281647 – 04) e, nel caso di specie, tale ragionevolezza si scontrava con quanto dichiarato dal Pellegrino in udienza, ossia che i lavori erano in fase di ultimazione per come risultava dal sopralluogo, per come riportato da parte dei giudici di appello. Quest’ultimi, infatti, ritengono che il compendio probatorio emerso a carico del D’Angelo si basi sia su fonti documentali, quali il verbale di accertamenti urgenti della Stazione C.C. di San Giovanni a Piro e le fotografie scattate sul luogo degli abusi edilizi, sia su fonti orali, quali appunto le dichiarazioni del teste; elementi per giunta non contestati.
Infine, l’elemento soggettivo del reato edilizio, che si ricorda deve essere oggetto di analisi approfondita nel caso di non macroscopica illegittimità del titolo abilitativo e quindi presuppone la presenza di un atto autorizzativo (cfr. Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850), che nel caso di specie non ricorre, è stato attentamente vagliato dal giudice di prime cure, con il risultato da ritenere integralmente condiviso dal giudice di secondo grado posta la ricorrenza di una “doppia conforme” in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, il quale accertata, l’assenza di ogni autorizzazione necessaria, ha ritenuto il D’Angelo incorrere scientemente nei reati a lui ascritti.
6. Il quarto motivo di ricorso si appalesa manifestamente infondato per due ordini di ragioni.
La prima in relazione al principio giurisprudenziale per cui se una censura è ab origine priva di fondamento non assumerà nessuna rilevanza la lacuna motivazionale della pronuncia impugnata. (Sez. 2, Sentenza n. 35949 del 20/06/2019 Ud. (dep. 13/08/2019) Rv. 276745 – 01).
In secondo luogo, è ben vero quanto sostiene la difesa circa l’esistenza del principio in dubio pro reo quanto alla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, ma tuttavia occorre tener conto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di reato edilizio, sempre restando a carico dell'accusa l'onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell'imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l'incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo”, atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata (tra le tante: Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009 Ud. (dep. 07/05/2009) Rv. 243765 – 01; Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 - dep. 11/10/2000, Rv. 217575 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10585 del 23/05/2000 Ud. (dep. 11/10/2000) Rv. 217091 - 01).
Nella specie, gli elementi a sostegno della tesi difensiva (istanze di condono su cui ancora non è intervenuta alcuna determinazione e le dichiarazioni del teste), si basano non su prove ma su elementi di valenza indiziaria dotati ex se di un margine elevato di incertezza, in quanto lo stato dei luoghi quale appalesatosi in sede di sopralluogo come aveva affermato l’Ing. Pellegrino, per come riferito dai giudici di appello a pag. 3, secondo cui “i lavori erano in fase di ultimazione”, collide con la tesi difensiva, che non ha fornito alcuna dimostrazione oggettiva della ultimazione entro la data del 31.12.1993.
Deve inoltre considerarsi che si tratta di reato permanente, poiché la condotta dell'agente non si esaurisce con l'inizio dei lavori ma si protrae per tutta la durata di essi, con la conseguenza che la permanenza cessa con l'ultimazione delle opere, o con il provvedimento di sequestro, che sottrae all'imputato la disponibilità di fatto e di diritto del bene, ovvero, qualora le opere siano in corso, con la sentenza di primo grado (ex multis, Sez. 3, n. 5654 del 16/03/1994, Imparato, Rv. 199125 - 01), o a seguito dell'interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione emanato dall'autorità comunale (ex multis, Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016, dep. 2017, Rocchio, Rv. 269325 - 01) anche se divenuto successivamente inefficace (ex multis, Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626 - 01), o con la sospensione volontaria dei lavori stessi (ex multis, Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, Triassi, Rv. 220351 - 01), che tuttavia deve essere provata rigorosamente dall'interessato. Si tratta di un principio condivisibile per i fatti che ci occupano, dal momento che la desistenza dalla prosecuzione dell'intervento, che deve essere definitiva e non soltanto temporanea, richiede, necessariamente, di essere efficacemente dimostrata attraverso dati obiettivi ed inequivocabili, non potendosi basare su mere attestazioni, poiché, diversamente, ogni interruzione dei lavori, anche se dovuta a circostanze contingenti, potrebbe essere utilizzata per rappresentare una più vantaggiosa collocazione temporale dei lavori abusivi. (Sez. 3, sentenza n. 13607 dell’8/02/2019, dep. 28/03/2019, in motivazione). Una simile esigenza, peraltro, è maggiormente avvertita laddove, come nel caso di specie, si tratti di opere, la cui realizzazione, seppure interrotta, può essere ripresa in ogni momento e la cui permanenza in condizioni di parziale completamento risulta irragionevole se non giustificata in maniera coerente.
7. Privo di pregio ed inammissibile è anche l’ultimo motivo di ricorso, con cui il D’Angelo si duole dell’assenza del percorso logico seguito dal giudice al fine di giustificare la pena irrogata e dell’irragionevolezza del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il giudice di seconde cure ha ritenuto il trattamento sanzionatorio irrogato dal Tribunale non suscettibile di censura, tenuto conto del tenore delle numerose violazioni di tipo paesaggistico ambientale in cui è incorso il prevenuto. Ma la manifesta infondatezza della doglianza de quo risiede in particolar modo nel consolidato principio secondo cui, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 3, Sentenza n. 29968 del 22/02/2019 Ud. (dep. 09/07/2019) Rv. 276288 – 01; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 - dep. 23/11/2015, Rv. 265283 – 01), laddove è evidente che la pena edittale inflitta è sotto la media edittale ed è comunque adeguatamente motivata nei termini di cui alla sentenza impugnata.
Con riferimento alle attenuanti generiche, i giudici di appello hanno valorizzato in senso negativo il comportamento del ricorrente che non avrebbe posto in essere alcuna attività volta a mitigare e non escludere le conseguenze della sua condotta, ossia ponendo in particolare l’accento sulla capacità a delinquere del colpevole, ex art. 133, co. 2, n. 3, cod. pen., trovando pertanto applicazione il principio secondo cui la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (tra le tante: Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 - dep. 14/11/2008, Rv. 242419 – 01).
8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 14 settembre 2022