Cass. Sez. III n. 42306 del 9 novembre 2022 (CC 11 ott 2022)
Pres. Sarno Est. Cerroni Ric. Pennestri
Urbanistica.Demolizione e diritto all’abitazione

In tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato. Al contrario, il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio, invero sussistendo il principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 aprile 2022 il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca ovvero di sospensione dell’ordinanza di demolizione emessa in esecuzione della sentenza di condanna n. 135 del 1997, pronunciata nei confronti di Francesco Pennestrì, originario proprietario dell’immobile in seguito aggiudicato all’istante Ester Pennestrì.
In particolare, il Giudice ha osservato che il bene era stato acquisito al patrimonio comunale, col conseguente difetto di legittimazione della Pennestrì, e che in ogni caso facevano difetto gli elementi che potessero fare ritenere una celere regolarizzazione edilizia del bene, oggetto di irrevocabile sentenza di condanna ormai risalente addirittura al 1997.
2. Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo è stata ribadita la pendenza del procedimento amministrativo di voltura della pratica di condono, sì che non poteva dirsi integrata alcuna acquisizione del bene al patrimonio comunale. Né poteva ritenersi inesistente l’interesse della ricorrente, proprietaria del cespite in esito ad aggiudicazione e soggetto non responsabile dell’abuso.
2.2. Col secondo motivo è stato censurato l’errore del Giudice, il quale aveva ritenuto l’avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale benché la ricorrente avesse radicato tempestivamente incidente di esecuzione nei riguardi dell’ingiunzione a demolire.
2.3. Col terzo motivo è stata dedotta l’apparenza della motivazione quanto alla carenza dei presupposti per la sospensione del provvedimento. In particolare, il procedimento di sanatoria era in fase avanzata, ed era stato conseguito il parere vincolante favorevole, da parte della Soprintendenza archeologica, per le opere abusive già realizzate ai sensi dell’art. 146, comma 5 e 8 del d.lgs. 42 del 2004.
Vi era stata quindi un’accelerazione della pratica evidente, rispetto al momento di presentazione dell’incidente di esecuzione.
2.4. Col quarto motivo è stata censurata l’ordinanza impugnata nella parte in cui non era stata somministrata motivazione quanto all’esame del principio di proporzionalità e della verifica delle personali condizioni del destinatario del provvedimento ablatorio, anche in relazione al tempo decorso tra la definitività della decisione e l’attivazione del procedimento di esecuzione.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
4. La ricorrente ha dimesso memoria allegando certificazione di idoneità statica dell’edificio.  

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato.
5.1. Per quanto riguarda la prima doglianza, complessivamente compresa nei primi tre motivi di impugnazione, la ricorrente – negando di essere stata in tal modo inottemperante all’ordine amministrativo di demolizione dell’immobile - ha dato conto di avere richiesto la “volturazione” della pratica di condono edilizio relativa all’immobile abusivo, di cui era divenuta proprietaria, e che in detta sede la stessa Pennestrì aveva proposto osservazioni al preavviso di rigetto (in esito alla comunicazione amministrativa dei motivi di improcedibilità della domanda stessa di condono, in tesi presentata dal proprietario proprio dante causa nella proprietà del manufatto). In tal senso, quindi, la domanda di condono doveva considerarsi ancora pendente, e la ricorrente aveva anzi fornito un impulso acceleratorio alla definizione amministrativa della pratica.
A questo proposito il Giudice dell’esecuzione, secondo la ricorrente, non aveva neppure tenuto conto dell’avvenuto rilascio del parere favorevole vincolante della Soprintendenza archeologica in relazione alle opere abusive già realizzate.
Con memoria successiva alla requisitoria del Procuratore generale è stato prodotto certificato di idoneità sismica.
5.1.1. Ciò complessivamente posto, la censura siccome proposta non è comunque fondata.
In primo luogo questa Corte ha già osservato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell’accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall’alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all’ordine medesimo, dal momento che detto ordine, avendo carattere reale, ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene a prescindere dagli atti traslativi intercorsi (con la sola conseguenza che l’acquirente, se estraneo all’abuso, potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione)(Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266).
Vero è, altresì, che, in tema di reati edilizi, il giudice dell’esecuzione investito della richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212). Infatti la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento (Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015, dep. 2016, Manna, Rv. 266763).
A questo proposito l’ordinanza impugnata ha osservato che, dalla documentazione dimessa, non poteva evincersi alcuna valutazione circa la tempistica e lo stato di avanzamento della procedura sanante, laddove la ricorrente ha invece ritenuto di individuare il vizio del provvedimento nel mancato cenno alla memoria depositata.
5.1.2. Il rilievo rimane peraltro infondato, atteso che il parere vincolante siccome dimesso da parte ricorrente ha riferimento ai soli fini paesaggistici, ferme restando le ulteriori verifiche di compatibilità e, in definitiva, consistendo in un parere subordinato al rispetto di determinate prescrizioni, “tese a mitigare l’impatto nel contesto di riferimento”, ma in ordine a detto rispetto non vi è stata deduzione  di sorta.   
5.1.3. In questo senso la valutazione resa dal provvedimento impugnato non si presenta censurabile, tanto più che la stessa ricorrente non ha inteso neppure prospettare fatti riferibili all’Amministrazione comunale idonei ad asseverare un favorevole esito della procedura di sanatoria (cfr. in proposito Sez. 3, n. 31031 del 20/05/2016, Giordano, Rv. 267413), laddove la stessa Amministrazione aveva, a suo tempo, solamente inteso comunicare il preavviso di rigetto dell’istanza di parte.
5.2. In relazione poi alla lamentata mancata considerazione del requisito della proporzionalità dell’ingiunzione a demolire, è stato ripetutamente osservato da questa Corte di legittimità che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Contadini e altro, Rv. 267024). Al contrario, il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio (Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994), invero sussistendo il principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.
5.2.1. Ciò posto, con osservazione del tutto condivisibile lo stesso Procuratore generale ha rilevato, nella requisitoria, che – per un verso – “dall’epoca dell’acquisto, risalente al 2012, la ricorrente “non solo non aveva dato seguito all’ordine di demolizione, ma non aveva nemmeno proceduto alla tempestiva instaurazione di un procedimento in sanatoria”, e – dall’altro – “non ha neppure meramente dedotto, nel ricorso originario o in quello per cassazione, considerazioni che rimandino all’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio”.
Va pertanto da sé che, al di là dell’oggettiva inerzia tanto delle pubbliche istituzioni quanto della diretta interessata (tenuto conto del tempo trascorso dalla definitività della pronuncia di condanna e dello stesso acquisto in proprietà da parte dell’odierna ricorrente), del tutto correttamente l’ordinanza impugnata – così operando un’espressa valutazione di proporzionalità - ha inteso privilegiare l’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente rispetto al mero diritto dominicale dell’istante sul manufatto abusivo.
6. Alla stregua dei rilievi che precedono, pertanto, non può che concludersi nel senso della complessiva infondatezza dell’impugnazione, col conseguente rigetto del ricorso e la condanna altresì della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 11/10/2022