Cass. Sez. III n. 51429 del 2 dicembre 2016 (Cc 15 set 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: Brandi e altro
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e condotta colposa del terzo acquirente

In tema di reati edilizi, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici. (Nella specie, la Corte, nell'annullare con rinvio l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca della confisca di un immobile abusivo, ha escluso che la carenza di buona fede potesse essere desunta esclusivamente dal rapporto di parentela degli acquirenti con un soggetto affiliato ad un'organizzazione criminale di stampo mafioso, direttamente collegato agli assetti imprenditoriali che avevano realizzato la lottizzazione abusiva).

RITENUTO IN FATTO

1. B.A., B.R. e B.P. ricorrono per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Palermo, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'opposizione proposta nei confronti dell'ordinanza del 19 luglio 2012, che aveva respinto l'istanza di revoca della confisca di un immobile facente parte dell'insediamento edilizio di Pizzo Sella sul quale era stata realizzata una costruzione di cui alla concessione edilizia n. (OMISSIS).

Nel pervenire a tale conclusione, la Corte d'appello ha escluso la sussistenza della buona fede in capo ai ricorrenti, avendo ritenuto non plausibile, alla stregua degli atti, che gli stessi fossero inconsapevoli ed ignari del fatto che, al momento della stipula dell'atto notarile di acquisto, avvenuto il (OMISSIS), l'immobile e il relativo terreno fossero certamente e oggettivamente inseriti in un preciso disegno lottizzatorio portato avanti su quel territorio e deducendo ciò dal fatto che la lottizzazione abusiva fu irrevocabilmente accertata con la sentenza del Pretore di Palermo del 29 gennaio 2000.

Inoltre la B. acquistò il lotto, ove venne realizzata l'abitazione, nello stesso periodo in cui altri soggetti, tutti peraltro appartenenti allo stesso nucleo familiare, effettuarono l'acquisto di altre analoghe e limitrofe aree destinate a verde agricolo e tutte oggetto di intervento edilizio, anche di notevoli dimensioni, con la conseguenza che proprio l'acquisto contestuale, da parte di più soggetti legati da vincoli familiari, di più fondi limitrofi - tutti destinati originariamente a verde agricolo e successivamente edificati con la realizzazione di strutture immobiliari di rilevanti dimensioni - costituisce, secondo la Corte territoriale, prova di un atteggiamento soggettivo incompatibile con la buona fede del terzo estraneo, perchè indicativo dell'intento di realizzare o comunque di assicurarsi gli effetti del reato di lottizzazione.

Posto poi che la speculazione edilizia di (OMISSIS) venne gestita nell'interesse di associati mafiosi, componenti di Cosa Nostra, e che un ruolo fondamentale in tale operazione ebbero i membri del gruppo familiare B., la Corte d'appello sottolinea come B.R. fosse la sorella di B.A., già condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso nonchè storico e inseparabile compagno in affari immobiliari di B.G., anche lui pregiudicato per fatti di mafia (art. 416-bis c.p.) e titolare in quegli stessi anni della società Poggio Mondello s.r.l., una delle compagini immobiliari artefici della speculazione edilizia di (OMISSIS), come riconosciuto dalla sentenza del Pretore di Palermo di condanna per lottizzazione abusiva, in ordine alla quale il B. era stato condannato in primo grado e poi assolto in appello per non aver commesso il fatto, essendosi ritenuto che il suo intervento fosse maturato quando già il reato di lottizzazione era stato da altri compiuto; cosa che, secondo la Corte distrettuale, non esclude che il B. fosse quanto meno consapevole, pur senza avervi direttamente partecipato, della natura illecita dell'operazione.

2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza i ricorrenti sollevano i seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Dopo una lunga premessa fattuale e la denuncia di incostituzionalità della L. n. 47 del 1985, art. 19 per violazione dell'art. 3 Cost., art. 25 Cost., comma 2, e art. 27 Cost., comma 1, nella parte in cui imporrebbe al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, ed infine per violazione dell'art. 117 Cost., comma 1, in relazione al rispetto delle norme internazionali pattizie, B.A. e B.R. articolano il gravame sulla base di un unico complesso motivo, sostenuto anche con memoria depositata in data 28 marzo 2014, con il quale deducono la violazione e l'errata applicazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, e L. n. 47 del 1985, art. 19 - art. 7 CEDU, nonchè l'illogicità, la contraddittorietà e l'insufficienza della motivazione su punti decisivi per il giudizio.

Assumono le ricorrenti di essere state discriminate in base al solo fatto di essere parenti di B.A., avendo la Corte territoriale formulato a loro carico un addebito di natura colposa, consistente nell'omessa acquisizione, da parte del compratore, di ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto e, quindi, una condotta penalmente rilevante ed integrante la fattispecie contravvenzionale della lottizzazione abusiva, che ben può essere commessa con colpa.

Obiettano le ricorrenti che B.A. (imputato ai sensi dell'art. 416-bis c.p.) venne sottoposto anche a misura di prevenzione patrimoniale nell'ambito della quale vennero sequestrati numerosi immobili in (OMISSIS) allo stesso ritenuti presuntivamente riconducibili. Nel procedimento di prevenzione intervennero le ricorrenti nei cui confronti fu disposto, come per gli altri soggetti intervenuti nel giudizio, il dissequestro e la restituzione di tutti gli immobili in (OMISSIS).

Quanto poi ai rapporti tra l'ing. B., ritenuto pesantemente implicato nella lottizzazione in parola ed anch'egli colluso con la mafia, e il B., la Corte territoriale contesterebbe alle ricorrenti di non avere previsto e saputo nell'anno 1985, epoca in cui avvenne il loro acquisto, che - nell'anno 2002 e poi nel 2007, all'esito di altri giudizi, cui le stesse erano rimaste estranee - sarebbero emerse circostanze che avrebbero collegato con certezza il B. ed il B..

Concludono le ricorrenti che il punto non era quello di stabilire se vi fossero rapporti di parentela, quanto piuttosto dimostrare che vi fosse una qualche relazione logica e fattuale tra gli affari immobiliari fra terzi in varie altre località ed occasioni, e la consapevolezza, nelle ricorrenti stesse, che l'operazione immobiliare di (OMISSIS) costituisse lottizzazione illecita, in una epoca (anno 1985) lontanissima da quella nella quale la lottizzazione venne giudizialmente accertata (anno 2000).

2.2. Anche B.P. denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e 44, sul rilievo che erroneamente la Corte d'appello ha escluso la buona fede nell'acquisto da parte del ricorrente sulla base di presupposti del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie normativa di riferimento, oltre che illogici in sè.

Ed invero, la Corte territoriale - raccolta l'informazione secondo la quale il ricorrente fosse parente stretto di tale B.A. (fratello della madre), riconosciuto quale mafioso in diverse sentenze passate in giudicato, ed aggiungendo che, in altre sentenze parimenti definitive, è stato accertato che costui intrattenne rapporti di affari strettissimi con altro personaggio, tale B.G., a sua volta condannato in via definitiva per il reato cui all'art. 416-bis c.p. - è pervenuta all'erronea ed illogica conclusione che al ricorrente -o meglio al padre e alla madre dello stesso, che avevano acquistato nel 1985 -non poteva non essere nota la condizione illecita dell'immobile, ossia che esso fosse frutto di arbitraria lottizzazione materiale da parte dell'originario proprietario dell'intera area.

Secondo il ricorrente, l'assunto della Corte territoriale si basa su una mera illazione (ossia che i familiari stretti di un mafioso sono a conoscenza di tutti gli affari illeciti dal mafioso perpetrati), erroneamente assunta quale sorta di dato di comune esperienza, indiscutibile e certo.

Peraltro, i giudici di merito, oltre a dare per scontato ciò, avrebbero dedotto anche la certezza che proprio il mafioso in questione fosse stato colui cui ricondurre sostanzialmente la responsabilità della abusiva lottizzazione realizzata a (OMISSIS). Tale circostanza è però risultata smentita sul piano dell'accertamento giudiziario in quanto B.A., non è stato neppure imputato nel procedimento penale riguardante detta lottizzazione abusiva, conclusasi, in primo grado, con la sentenza del Pretore di Palermo del 29 gennaio 2000. Quanto poi al ritenuto inseparabile compagno di affari di questi, ossia l'ing. B.G., costui, condannato in primo grado, è stato poi assolto in appello dal reato di lottizzazione abusiva di che trattasi, con la formula "per non avere commesso il fatto", come riconosciuto dalla stessa Corte di merito.

3. Il procuratore Generale, dopo avere escluso sulla base di condivisibili ed articolate osservazioni qualsiasi preclusione maturata nei confronti dei ricorrenti in ordine alla reclamata restituzione dei beni, ha considerato logica ed adeguata la motivazione dell'impugnata ordinanza e, di conseguenza, infondati i ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente trattati, essendo le doglianze del tutto omologhe tra loro, sono fondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. La giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 45833 del 18/10/2012, Comune di Palermo, in motiv., arresto anche citato nell'ordinanza impugnata), ha chiarito come la Corte di Strasburgo abbia ritenuto arbitraria la confisca (considerata sanzione penale secondo le previsioni della CEDU) applicata a soggetti che, a fronte di una base legale non accessibile e non prevedibile, non siano stati messi in grado di conoscere il senso e la portata della legge penale, a causa di un errore insormontabile che non può essere in alcun modo imputato a colui o colei che ne è vittima. La Corte di cassazione ha perciò fornito un'interpretazione adeguatrice del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, alle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo, escludendo l'applicabilità della confisca nei confronti di chi risulti effettivamente in buona fede e ritenendo, per questa via, irrilevante la questione di costituzionalità, per asserito contrasto con gli artt. 27 e 42 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 (in relazione all'art. 7 CEDU), del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nella parte in cui consente la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, poichè la confisca non è prevista nei confronti di terzi tout court, bensì di soggetti che hanno partecipato materialmente con il proprio atto d'acquisto al reato (Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi, Rv. 245348 e Corte Cost. n.239 del 2009), sottolineando infine che la confisca è condizionata, sotto il profilo soggettivo, quantomeno all'accertamento di profili di colpa nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.

In tale contesto interpretativo è stato poi affermato (Sez. 3, n. 51387 del 24/10/2013, La Nuova Immobiliare s.r.l., in motiv.) che, quanto all'identificazione della condotta del terzo acquirente di buona fede, essa si risolve, in sostanza, nell'avere il terzo partecipato inconsapevolmente alla operazione illecita pur avendo adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall'ordinaria diligenza, cosicchè la sua responsabilità è configurabile quando egli non abbia acquisito elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, in quanto con tale imprudente e negligente condotta si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi, Rv. 241098), pervenendosi alla conclusione che, pur se resta estraneo al procedimento penale per lottizzazione abusiva, l'acquirente degli immobili in cui questa si è concretizzata non è automaticamente qualificabile come terzo in buona fede rispetto all'attività criminosa e, del resto, non si prescinde, sia nel processo di cognizione che in quello di esecuzione, da un giudizio lato sensu definibile di responsabilità, anche se questo non ha come contenuto la responsabilità dell'illecito penale, ma concerne l'esistenza di profili di colpa essenzialmente rappresentati, come si è detto, dalla omissione dell'adeguata informazione attinente all'acquisto in rapporto ai titoli abilitativi, agli strumenti urbanistici e ad ogni altro aspetto di rilievo, tratto caso per caso dalle evidenze disponibili, che induca a ritenere o ad escludere la buona fede del terzo.

3. Ciò posto, i ricorrenti lamentano come la Corte distrettuale abbia tratto argomento per escludere la loro buona fede dalla circostanza che gli acquirenti ( B.R. ed B.A.) fossero strettamente imparentati con B.A. (fratello della ricorrente) e, quest'ultimo, strettamente legato al B., entrambi poi intranei a gruppi mafiosi interessati alla speculazione edilizia, ed il B. anche in affari con i gruppi immobiliari che avevano lottizzato i terreni edificando gli immobili, traendo da ciò la prova che gli acquirenti fossero consapevoli della lottizzazione illecita, accertata peraltro dopo lungo tempo (quindici anni) dall'acquisto, senza che B.A. fosse stato coinvolto come imputato nel processo relativo all'abusiva lottizzazione e nonostante il B. fosse stato in quel processo assolto in secondo grado.

4. La doglianza è fondata nei termini di seguito precisati.

La Corte d'appello ha valorizzato il rapporto di parentela degli acquirenti con B.A., ritenuto affiliato a Cosa Nostra, organizzazione mafiosa interessata alla speculazione edilizia di (OMISSIS), ed ha ritenuto che il legame stretto di parentela, unitamente all'accertato collegamento del B. con il B., anch'egli affiliato alla stessa organizzazione criminale e per di più collegato agli assetti imprenditoriali che avevano consumato la lottizzazione, fosse altamente indicativo della consapevolezza degli acquirenti dell'esistenza, al momento dell'acquisto, dell'illiceità della lottizzazione, avuto riguardo sia alla destinazione della zona a verde agricolo e sia al fatto che, contestualmente, altri parenti avevano realizzato analoghi acquisti immobiliari nella stessa zona.

Per sostenere ciò, la Corte territoriale ha utilizzato, nel primo caso, una nozione che, come fondatamente lamentano i ricorrenti, assurge nell'iter motivazionale al rango di una massima di esperienza generalizzata, secondo la quale la sorella e il cognato di un mafioso - affiliato all'organizzazione criminale interessata ad una speculazione edilizia e collegato ad un compartecipe della medesima organizzazione in stretto collegamento con i gruppi imprenditoriali che la speculazione stessa hanno realizzato - sono necessariamente consapevoli di detta speculazione.

Nel secondo caso, la Corte territoriale ha comunque ritenuto i ricorrenti negligenti perchè su di loro incombeva l'obbligo, inadempiuto, di informarsi che la zona era originariamente destinata a verde agricolo e non poteva perciò essere lottizzata con il ricorso ad attività immobiliari.

Ciò posto, osserva il Collegio che una massima di esperienza, al di fuori del caso in cui corrisponda ad una legge scientifica (ipotesi ammessa in letteratura), può definirsi generalizzata quando abbia un elevato grado di conferma e tale situazione ricorre se ed in quanto la massima sia estratta da esperienze particolari che, siccome ricorrenti e costanti, autorizzano ad assumerla come generale e sempre che, sulla base delle evidenze disponibili, le ipotesi alternative, idonee a destrutturarla, siano ragionevolmente escluse, perchè le massime di esperienza, per quanto generalizzate, fondano su basi probabilistiche, con la conseguenza che, per la loro validità, non possono essere trascurati elementi che, in quanto esistenti in atti, siano in grado, nel caso specifico, di privarla del suo contenuto, sicchè sul giudice che l'utilizza incombe un obbligo di motivazione in ordine a tali elementi, i quali perciò non possono essere minimamente trascurati nella struttura argomentativa che regge la decisione.

La Corte d'appello, tanto nel primo quanto nel secondo caso, ha trascurato di motivare sui concreti e specifici elementi relativi alla compravendita, in forza della quale i ricorrenti, "iure proprio" o "iure hereditario", hanno acquistato la proprietà dell'oggetto della confisca.

Come ha già affermato la Corte di cassazione (Sez. 3, n. 51387 del 24/10/2013, cit.) e come insegna la giurisprudenza più sopra richiamata, la valutazione circa la buona fede del terzo deve attenere alla ordinaria diligenza con cui l'acquirente ha gestito la propria attività precontrattuale e contrattuale, assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 15987 del 06/03/2013, Parisi), dovendosi tenere anche conto, sotto tale ultimo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione.

Su tali decisivi punti, che vanno necessariamente coniugati con le evidenze sottolineate dalla Corte d'appello, l'ordinanza è silente, incorrendo perciò nel vizio di motivazione denunciato, tanto più che, con i motivi nuovi, le ricorrenti hanno richiamato l'approdo cui la Corte di cassazione è giunta nello scrutino di analoga vicenda laddove è stato affermato (Sez. 3, n. 38738 del 27/4/2012, Sorti F. ed altri, in motiv.) che "il Comune di Palermo (ente esponenziale dei pubblici interessi), per lunghissimi anni, ha omesso dì esercitare la dovuta vigilanza sull'assetto del territorio e non ha applicato le sanzioni amministrative di propria competenza, che la legge correla alle lottizzazioni abusive.

Il Pretore di Palermo, con la sentenza del 29 gennaio 2000, dopo avere duramente stigmatizzato l'operato di sindaci, assessori, dirigenti e funzionari, aveva rinviato gli atti alla Procura affinchè si approfondissero le indagini non a carico degli acquirenti ma a carico di altri soggetti pubblici sia per l'ipotesi ìn correità e favoreggiamento nel reato di lottizzazione abusiva sia per quella di omissione di atti di ufficio.

E' rimasta inerte anche la Regione Siciliana, pur munita di potestà di annullamento dei provvedimenti comunali e di poteri sanzionatori sostitutivi.

Non può negarsi, dunque, un oggettivo riverbero degli anzidetti comportamenti omissivi sulla valutazione di un affidamento in buona fede da parte degli acquirenti degli immobili.

Efficacia determinante deve riconoscersi, comunque, alla circostanza dell'intervenuta assoluzione, per carenza dell'elemento soggettivo, di coloro che hanno originariamente venduto le unità immobiliari in oggetto (gli amministratori pro tempore della s.r.l. "Poggio Mondello").

Il Pretore di Palermo, nella sentenza irrevocabile del 2000, ha ritenuto che quegli amministratori non fossero consapevoli di commettere un illecito, tenuto conto del lunghissimo lasso di tempo intercorso tra il rilascio delle concessioni edilizie e l'attività dagli stessi posta in essere, senza che la pubblica amministrazione avesse nel frattempo mai dato segno di volere ritenere illegittimo l'insediamento abitativo realizzato.

A fronte di tali considerazioni sarebbe assurdo ed aberrante ritenere in buona fede i venditori ed in mala fede gli acquirenti. I notai stipulanti, del resto, evidenziavano negli atti pubblici di trasferimento la destinazione a verde agricolo della zona, ma attestavano che poteva comunque addivenirsi alla stipulazione tenuto conto che gli uffici comunali preposti al rilascio dei titoli abilitativi edilizi, per le edificazioni nelle zone di verde agricolo, si adeguavano senza eccezioni

alla prassi (la cui vigenza non risulta smentita dai ricorrenti) di rilasciare concessioni singole con mero riferimento all'indice fondiario e senza richiedere un previo piano attuativo".

Da tutto ciò consegue che è insufficiente a espletare un accertamento di carenza di buona fede ai fini dell'assoggettamento alla confisca la sola ricostruzione di una rete di rapporti personali, sia pure particolarmente qualificati come il legame di parentela, a maggior ragione se, come si evince dal testo del provvedimento impugnato, l'accertamento dell'illegittimità della lottizzazione è intervenuto, come nel caso di specie, a distanza di quindici anni dall'acquisto.

L'ordinanza ha pertanto omesso di motivare su punti decisivi per il giudizio ed è incorsa in violazione di legge perchè non ha correttamente identificato, riducendo l'esame ai soli rapporti interpersonali ed ignorando gli aspetti concernenti la fase precontrattuale e contrattuale dell'acquisto nonchè il comportamento della P.A., il contenuto della cognizione necessaria per sottoporre alla confisca beni appartenenti a soggetti terzi in materia lottizzazione abusiva giudizialmente accertata.

5. Ne consegue l'annullamento, con rinvio, alla Corte d'appello di Palermo per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2016.