Cass. Sez. III n. 42384 del 19 novembre 2024 (CC 23 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Bucca Ric. D'Angelo
Urbanistica.Ordine di demolizione e inerzia del condannato 

Con il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’ordine di demolizione di cui all’art. 31 comma 9 d.P.R. 380/2001, il destinatario, qualora nel possesso del bene, è immediatamente tenuto a darvi esecuzione. Per cui, essendo stato il procedimento di esecuzione determinato dalla prolungata inerzia della condannata, è da escludere che la stessa possa dolersi del tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza

RITENUTO IN FATTO

1.  Con ordinanza in data 17/6/2024, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, respinse l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione avanzata nell’interesse di D’Angelo Giovanna.
2.   Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione la predetta, a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, “la violazione di legge in relazione agli artt. 38 e 43 l. 47/85 e 39 l. 724/94 nonché l’illogicità della motivazione, il travisamento del fatto e il difetto di motivazione”. Si deduce che la ricorrente aveva presentato il 20/3/1995, prot. n. 6488, istanza di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994 e che la procedura era in via di definizione. Sostiene, quindi, che la nota datata 8/3/2024, con cui il Comune di Napoli aveva comunicato che sussistevano motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, era irrilevante, sia in quanto l’atto aveva carattere prodromico ed endoprocessuale, sia in quanto “la presentazione dell'istanza di condono edilizio accompagnata dal versamento dell'oblazione in misura congrua può certamente determinare nella fase esecutiva la revoca o la sospensione dell'ordine di demolizione”. Viene, quindi, richiamata giurisprudenza della Corte di cassazione, del Tar e del Consiglio di Stato nonché una sentenza della Corte costituzionale al fine di fondare la conclusione secondo cui “la presentazione dell’istanza di condono e il pagamento dell'oblazione avrebbero quantomeno imposto” la sospensione dell’ordine di demolizione.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione “in relazione al rigetto del motivo avente a oggetto la violazione degli artt. 173 c.p. e 6 CEDU”. Si assume che “la sanzione demolitoria sia da ritenere estinta in quanto risalente ad epoca antecedente al quinquennio di cui all’ art. 173 codice penale” e si confutano gli argomenti sviluppati dal Tribunale per dimostrare che si era in presenta di “una sanzione amministrativa non soggetta ai principi propri del sistema sanzionatorio penale” sostenendo che a opposte conclusioni era pervenuta la Corte EDU nella causa Hamer contro Belgio e in altre decisioni. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso risulta inammissibile in quanto manifestamente infondato.
1. Il primo motivo d’impugnazione non mette in discussione il principio giurisprudenziale, richiamato nell’ordinanza, secondo il quale la sospensione dell’ordine di demolizione può avvenire solo quando sia prevedibile che in tempi contenuti possano intervenire provvedimenti amministrativi favorevoli all’imputato nell’ambito del procedimento amministrativo avviato dalla domanda di condono, ma contesta il rilievo che il Tribunale ha dato alla nota del Comune di Napoli, Area Urbanistica,  datata 8/3/2024, con cui era stato comunicato che l’istanza non sarebbe stata accolta, per respingere la richiesta di sospensione avanzata dalla difesa. Si rappresenta, al riguardo, che l’art. 2 della legge 241/1990 imponeva all’amministrazione comunale di definire il procedimento entro trenta giorni dalla comunicazione della nota e che il preavviso aveva valore “prodromico e endoprocessuale” per cui non poteva essere equiparato a un provvedimento di rigetto dell’istanza di sanatoria.
2. La censura risulta manifestamente infondata. È vero che il preavviso di rigetto della domanda di condono ha natura endoprocessuale ma va osservato che lo stesso, secondo quanto si evince dall’ordinanza impugnata, esponeva i motivi che impedivano l’accoglimento dell’istanza. A ciò si aggiunga che non risulta che dinanzi al Tribunale D’Angelo abbia allegato elementi in grado di confutare gli argomenti addotti dall’ente territoriale a fondamento del preannunciato diniego.
La valutazione del giudice di esecuzione, che ha ritenuto che in tempi ragionevoli non sarebbe intervenuto un provvedimento favorevole a D’Angelo, risulta, pertanto, ancorato agli elementi acquisiti e non integra alcuno dei vizi denunciati dalla ricorrente.
3. Il ricorso, ancora, riporta un ampio stralcio di una risalente pronuncia di questa Sezione (n.228 del 24/3/1993, Farinelli, Rv. 194105-01) che, nella parte che rileva, non si discosta dal consolidato orientamento di legittimità secondo cui per l’applicazione della disciplina introdotta con l’art. 39 della legge 724/94 il giudice penale “ è tenuto ad accertare il tipo di intervento realizzato e la sua riconducibilità agli schemi della L. n. 47 del 1985, art. 20; la consistenza volumetrica dell'immobile; la data di ultimazione dei lavori (secondo la nozione fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31) entro il termine previsto; la tempestività della presentazione, da parte dell'imputato (o di eventuali comproprietari) di una domanda di sanatoria riferita puntualmente alle opere abusive contestate nel capo di imputazione; l'avvenuto "integrale versamento" della somma dovuta ai fini dell'oblazione, ritenuta congrua dall'Amministrazione comunale (Sez. 3, Sentenza n. 12350 del 02/10/2013 Cc.  (dep. 2014 ), Pandiani. Rv. 259890 – 01; Sez. 3,  15.10.1997 n. 10512, P.M. in proc. Mazzola P., Rv. 209074). 
4. Sennonché, nel caso di specie, è la stessa allegazione difensiva che si rivela inidonea a integrare la fattispecie estintiva avendo D’Angelo dedotto che aveva presentato la domanda di condono e che aveva versato la relativa oblazione, senza nulla aggiungere in ordine agli ulteriori presupposti, primi fra tutti quelli volumetrici e temporali, necessari per accedere alla disciplina invocata. Giova ricordare che il giudice dell'esecuzione penale è l'organo che la legge designa come competente a risolvere episodi controvertibili che possono insorgere, in via preventiva o successiva all'esecuzione, relativamente alla sussistenza, all'entità, alla modifica ed all'efficacia del titolo esecutivo per cui “la richiesta di intervento che pubblico ministero, interessato e difensore ad esso rivolgono, in quanto diretta ad ottenere una decisione, deve avere ad oggetto immediato una siffatta questione e deve presentare i caratteri propri della domanda giudiziale, nelle sue essenziali componenti di "petitum" e "causa petendi", con conseguente irritualità di una domanda generica ed eventuale, da dichiarare inammissibile (Sez. 6, n. 3713 del 03/12/1993 - dep. 22/04/1994, P.M. in proc. De Vita, Rv. 198012)” ( Sez. 1, 56170, 14/11/2018, Trani). 
Orbene, a fronte della carente allegazione della parte istante e della nota del Comune di Napoli, al Tribunale non restava che prendere atto che non era prossima l’adozione di un provvedimento di sanatoria e, quindi, che non vi erano ragioni per sospendere la procedura.
5. Appena un cenno meritano i richiami, che si rinvengono nel ricorso, alla giurisprudenza amministrativa e al principio, da essa elaborato, che sancisce il divieto per l’amministrazione di emettere un provvedimento sanzionatorio senza aver prima definito il procedimento scaturente dall’istanza di sanatoria: non si comprende, infatti, la pertinenza di tale principio con il caso di specie, in cui l’ordine di demolizione discende da una sentenza passata in giudicata, e perché siffatto approdo interpretativo renderebbe non operante, nei confronti dell’immobile di D’Angelo, il consolidato orientamento della Cassazione penale, che la difesa a pag. 2 del ricorso afferma di condividere, secondo cui “la possibilità che in tempi lontani e non prevedibili potranno essere emanati atti amministrativi favorevoli al condannato” non giustifica la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione.
6. Inammissibile in quanto manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo d’impugnazione.
Assume la ricorrente che la demolizione del manufatto abusivo, se ingiunta, come nel caso di specie, dopo oltre trent’anni dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva accertato l’abuso edilizio, costituisce sanzione penale (per come sancito dalla Corte EDU il 27/2/2008 nella causa Hamer c. Belgio) per cui la sua esecuzione comporterebbe una violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, risultando l’art. 6 CEDU applicabile anche alla fase esecutiva (come precisato nelle sentenze Burdov c. Russia del 7/5/2002, Immobiliare Saffi c. Itala del 28/7/1999; Hornsby c. Grecia, 19/3/1997). Lamenta, quindi, che tale profilo sarebbe stato del tutto ignorato dalla Corte territoriale.
7. La tesi difensiva non può trovare accoglimento.
L’ordinanza riprende principi ormai consolidati in sede di legittimità, primo fra tutti la natura di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza del giudice penale cui consegue l’inapplicabilità alla misura della causa estintiva prevista, per la sanzioni penali, dall’art. 173 cod. pen. ( ex plurimis Sez. 3, n. 35835 del 3/11/2020, Santoro; Sez. 3, n. 11638 del 16/12/2020 (dep. 2021), Ciucci; Sez. 3, n.671 del 19/11/2020, Monti).
L’incidenza della pronuncia della Corte EDU Hamer c. Belgio su tale conclusione è stata già valutata da questa Corte ed esclusa in base a molteplici considerazioni: 
Sez. 3, n. 35835 del 3/11/2020, Santoro, ha messo in rilievo che la sentenza della Corte EDU, “ai fini dell'affermazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ha preso in considerazione il tempo trascorso tra la data della constatazione dell'illecito edilizio da parte dell'autorità di polizia e la decisione finale della Corte di cassazione, pari a quasi nove anni, e non anche l'ulteriore periodo maturato tra questa decisione e la demolizione del manufatto. E, ancora, ha precisato che l'unico danno risarcibile era quello collegato alla irragionevole durata del procedimento e lo ha liquidato in € 5.000,00, escludendo espressamente che da questo ritardo fosse derivato un danno ingiusto da perdita del bene, il cui valore era stato stimato in circa € 62.635,00, o alle spese di riparazione e ristrutturazione sostenute, pari a € 43.865,46, o ad un maggior danno morale, come richiesto dal ricorrente”; 
Sez. 3, n. 11638 del 16/12/2020, Ciucci, e Sez. 3, n. 671 del 19/11/2021, Monti, hanno ribadito che l’ordine di demolizione ha natura di sanzione amministrativa, per cui non è sottoposto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod.pen., hanno richiamato i precedenti che avevano dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 del d.P.R. 309/90 avanzata in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., ed hanno ritenuto la pronuncia della Corte EDU in esame “non pertinente” alla vicenda  sub iudice, in cui era stata lamentato che la demolizione era stata ingiunta dopo molti anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, rilevando che la decisione dei giudici di Strasburgo era stata assunta “tenendo anche conto del fatto che il procedimento penale conclusosi con l'ordine di demolizione era stato avviato, nel 1994, a distanza di 27 anni dalla data della scoperta dell'abuso (risalente al 1967) e che si era peraltro concluso, con riconosciuta violazione della ragionevole durata del processo, soltanto nove anni dopo, nel 2003”; 
Sez. 3, n. 47300 del 30/11/2021, Baiocco, oltre a valorizzare le conseguenze prodotte sull’esecuzione dell’ordine di demolizione dalla domanda di condono edilizio inoltrata dal condannato, ha confutato l’argomento difensivo prospettante l’illegittimità dell’ordine di demolizione per effetto “dello sproporzionato arco temporale intercorso tra la sua messa in esecuzione e la scoperta dell’illecito”, mettendo in evidenza che l’obbligo di provvedere alla demolizione incombeva, in prima battuta, sui condannati, per cui era “quanto meno singolare che malgrado il vantaggio di cui hanno indebitamente fruito, siano i destinatari dell'ingiunzione demolitoria emessa dal Pubblico Ministero, consapevolmente rimasti inerti, a dolersi del tempo trascorso senza che l'ordine demolitorio sia stato eseguito”;
Sez. 3, n. 21198 del 15/2/2023, Esposito, riprende e approfondisce l’argomentazione appena esposta rilevando che “il condannato non può lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l'ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell'immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell'ordine”.
8. Tali pronunce rivelano l’errore di fondo cui è incorsa la ricorrente che ha ritenuto che la violazione della ragionevole durata del processo fosse da parametrare all’arco temporale intercorso fra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la notifica dell’ingiunzione a demolire. Sennonché, nel caso dell’ingiunzione contestata, si versa in una fase processuale successiva a quella di cognizione e del tutto “eventuale, posto che, con il passaggio in giudicato della sentenza contenente l’ordine di demolizione di cui all’art. 31 comma 9 d.P.R. 380/2001, il destinatario, qualora nel possesso del bene, è immediatamente tenuto a darvi esecuzione” (Sez. 3, n. 671 del 19/11/2021, Monti). Per cui, essendo stato il procedimento di esecuzione determinato dalla prolungata inerzia della condannata, è da escludere che la stesso possa dolersi del tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza. Va anche segnalato che le sentenze della Corte EDU relative all’esecuzione di decisioni giurisdizionali richiamate dalla ricorrente sono tutte relative a ritardi nell’attuazione di provvedimenti favorevoli al privato (la sentenza Burdov c. Russia è relativa all’erogazione di una prestazione previdenziale riconosciuta dagli organi giurisdizionali senza che alle decisioni fosse stata data esecuzione; la sentenza Immobiliare Saffi contro Italia è relativa al ritardo nell’esecuzione di uno sfratto; la pronuncia Hornsby c. Grecia ebbe a oggetto il diritto del privato all’apertura di una scuola in lingua inglese) mentre, nel caso di specie, la sentenza rimasta inattuata è di condanna e gli eventuali ritardi nella fase esecutiva, peraltro ancora non configurabili dovendosi tenere in considerazione a tale fine la data di promovimento dell’incidente di esecuzione e quella di definizione, non potranno non tenere conto nel vantaggio goduto dalla condannata che ha continuato a usufruire dell’immobile abusivo.
Inconferenti, infine, risultano le ulteriori sentenze CEDU richiamate, tutte enuncianti principi relativi al sistema repressivo penale.
La conclusione cui si perviene, infine, trova avallo in una recente sentenza della Corte EDU (Sez. I, 12 settembre 2024, n. 35780/18 – Longo c. Italia) relativa a fattispecie del tutto simile a quella in esame, relativa a un magazzino agricolo di mq. 200, in ordine alla quale era stata presentata una domanda di condono edilizio, la cui demolizione era stata ordinata dal giudice penale con sentenza divenuta irrevocabile nell’anno 1997 cui aveva fatto seguito nel 2015 la notifica dell’ordine di demolizione. La Corte ha, infatti, ritenuto che l'ordine di demolizione, benché emesso dal giudice penale, aveva una funzione ripristinatoria e, conseguentemente, non si era in presenza di una "pena" ai sensi dell'articolo 7 della Convenzione  e l'ordine di demolizione non poteva essere soggetto al termine di prescrizione. Ha anche escluso, disattendendo le deduzioni difensive, che ricorresse  una violazione dell’art. 6 CEDU.
9. Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare in euro tremila

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende. 
Così deciso in 23/10/2024