Cass. Sez. III n. 15416 del 6 aprile 2018 (Ud 20 set 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Andronio Imputato: Spezio ed altri
Urbanistica.Piani interrati
La realizzazione di piani interrati costituisce nuova costruzione e richiede in via generale, il permesso di costruire
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 23 febbraio 2017, la Corte d’appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Taranto del 3 aprile 2014, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati erano stati condannati, anche al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, disposta la demolizione delle opere abusive, per: A) i reati di cui agli artt. 110, 323, 479 cod. pen, per avere Ceppaglia abusato della sua qualità di responsabile dello sportello unico per l’edilizia del comune di Martina Franca, rilasciando in favore della S.P.M.I. l’autorizzazione paesaggistica n. 5860 del 5 maggio 2009, nonché parere favorevole, del 31 agosto 2010, al rilascio del permesso di costruire n. 146 del 2010, per la realizzazione di lavori di ricostruzione di un fabbricato composto di due vani e accessori al piano terra, attestando falsamente nel progetto allegato alla d.i.a., redatto da Vinci in qualità di tecnico della S.P.M.I. e direttore dei lavori, anche mediante l’utilizzo di uno stralcio aerofotogrammetrico contraffatto, la conformità delle opere al fabbricato preesistente, trattandosi in realtà di un fabbricato composto di sette piani da destinare ad albergo, in zona agricola sottoposta a vincolo cimiteriale, così procurando intenzionalmente un ingiusto vantaggio anche patrimoniale a Rosato e Spezio, Amministratore unico amministratore di fatto della S.P.M.I. (il 31 agosto 2010); B) il reato di cui all’articolo 44, comma uno, B), del d.p.r. numero 380 del 2001, per avere, nelle qualità sopraindicate, realizzato le opere sopraindicate in mancanza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire, essendo quelli emanati illegittimi in quanto rilasciati sul falso presupposto della ricostruzione di un precedente immobile composto di due vani e accessori al piano terra, con conservazione del volume e della sagoma (il 15 dicembre 2010).
La Corte d’appello ha assolto gli imputati dal reato di cui all’art. 323 cod. pen., limitatamente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica n. 5860 del 5 maggio 2009, perché il fatto non sussiste, e ha eliminato il relativo aumento di pena, conseguentemente rideterminando le pene inflitte nei seguenti termini: per Spezia e Ceppaglia, due anni e tre mesi di reclusione; per Vinci, un anno e dieci mesi di reclusione; per Rosato, un anno e tre mesi di reclusione; pena sospesa per Vinci e Rosato. La corte distrettuale ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
2. – Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorsi per cassazione – tramite il difensore e con unico atto – gli imputati Spezio, Vinci e Rosato.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce la lesione del diritto di difesa, sul rilievo che si sarebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’audizione dell’ingegner Minardi e dell’architetto Angelini, che avevano istruito e verificato la pratica edilizia oggetto dell’imputazione.
2.2. – In secondo luogo, si lamenta la mancata assunzione della prova decisiva che sarebbe rappresentata da una perizia sul sito, al fine di appurare il perimetro reale dell’immobile preesistente già demolito, la cui verifica sarebbe tuttora possibile.
2.3. – Una terza censura è nuovamente riferita alla mancata audizione dell’ingegner Minardi, che aveva rilasciato dichiarazioni accusatorie alla polizia giudiziaria, sotto il profilo della mancanza del contraddittorio tra le parti sul punto.
2.4. – In quarto luogo, si lamenta la “illegittima dilatazione temporale della contestazione”, sul rilievo che nelle indagini preliminari si sarebbe proceduto al sequestro in data 15 dicembre 2010 senza tenere conto della richiesta di permesso di costruire presentata il 13 luglio 2009 e dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione il 14 giugno 2010, nonché del parere favorevole al permesso di costruire e del permesso di costruire stesso.
2.5. – Si deduce, poi, la violazione del principio del ne bis in idem, rilevando che vi era stato un primo procedimento che conteneva inizialmente la contestazione del reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e che aveva portato al sequestro del cantiere in data 3 aprile 2009. Successivamente, dopo il dissequestro del 14 maggio 2009, il reato era stato riqualificato ai sensi della lettera b) del richiamato art. 44. In tale procedimento, nel merito, il Tribunale aveva prosciolto Rosato, rilevando la prescrizione del reato, e Vinci, per non avere commesso il fatto.
2.6. – Si lamenta, con un sesto motivo di doglianza, la violazione del principio del giusto processo, ribadendo che gli imputati erano già stati processati e assolti per i medesimi fatti.
2.7. - In settimo luogo, si contesta l’omessa riqualificazione del reato di falso ai sensi dell’art. 481 cod. pen. Sarebbe, cioè, configurabile al più il reato di falsità ideologica in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, trattandosi di una denuncia di inizio attività. In ogni caso, non sussisterebbe neanche la prova di tale diversa fattispecie di reato, mancando la perizia circa lo stato del fabbricato.
2.8. – Una ottava doglianza è riferita a “violazione di legge”, quanto alla ritenuta sussistenza del vincolo cimiteriale, sul rilievo che vi sarebbe una planimetria catastale autenticata dall’ingegner Minardi in cui si legge che tale vincolo copre una distanza di metri 72 e non di metri 200, come invece affermato in sentenza. La difesa ribadisce che l’intervento in oggetto non è l’edificazione di nuova costruzione in zona di vincolo cimiteriale, ma un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile già esistente.
2.9. – Con una nona censura, si lamenta, in sostanza, la mancata considerazione del fatto che, per problemi idrogeologici e per la stabilità della costruzione da realizzare in adeguamento alla normativa antisismica, l’aria di sedime era stata spostata.
2.10. – Con una ulteriore doglianza si richiama nuovamente la relazione tecnica idrogeologica e si lamenta la mancata considerazione della stessa da parte della Corte d’appello in relazione allo spostamento dell’area di sedime.
2.11. – Si richiama, poi, la normativa a sostegno della tesi difensiva secondo cui l’attività edilizia oggetto dell’imputazione si poteva svolgere con denuncia di inizio attività, e ci si riferisce, nuovamente, ai problemi idrogeologici incontrati nella costruzione, in ragione dei quali sarebbero stati eseguiti degli scavi e realizzati tre piani interrati, che non costituirebbero volume né cubatura.
2.12. – Si contesta, poi, la mancata considerazione della prospettazione difensiva secondo cui l’area in questione non sarebbe sottoposta a vincolo paesaggistico, tanto che la stessa Corte d’appello aveva assolto tutti gli imputati in relazione al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Si ribadisce, altresì, che l’intervento non era assoggettato a permesso di costruire perché non vi erano parti crollate o demolite nel vecchio fabbricato, né incertezza sulla volumetria dell’immobile preesistente.
2.13. - Una ulteriore doglianza è riferita alla mancata considerazione del fatto che il fabbricato preesistente non era abusivo, ma era stato realizzato in data antecedente al 1° settembre 1967.
2.14. – Si contesta poi la determinazione dell’indice di fabbricabilità dell’area, che sarebbe, secondo la prospettazione difensiva di 2,50 m³ e non di 0,03 m³, in presenza di un vincolo cimiteriale di soli 72 m.
2.15. - Con altra doglianza ci si riferisce alla considerazione, da parte dei giudici di merito, del verbale redatto in contraddittorio l’8 novembre 2005, in cui il precedente fabbricato viene descritto soltanto in larghezza e lunghezza, senza volumi, altezza e vani interrati. Si sostiene che tale verbale non è stato redatto in contraddittorio con la ditta S.P.M.I., perché questa ha acquistato l’immobile in un momento successivo (23 ottobre 2006). Sarebbero comunque errati i dati di larghezza e lunghezza presi in considerazione dal giudice.
2.16. – Si contesta, poi, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui non vi sono dati certi da cui desumere i volumi preesistenti e si sostiene, sul punto, che la consistenza dell’immobile era stata “accertata dall’ingegner Ferri”.
2.17. - Secondo la prospettazione difensiva, vi sarebbe, inoltre, una confusione tra l’immobile oggetto del presente procedimento e uno stabilimento industriale di proprietà della ditta Caramia. In ogni caso, la documentazione presentata dalla difesa circa la consistenza dell’immobile preesistente sarebbe stata scorrettamente valutata dalla Corte d’appello.
2.18. – Inoltre, la Corte d’appello avrebbe travisato l’atto notarile, ritenendo che lo stesso fosse riferito ad un immobile dotato del solo piano terra.
2.19. – Non si sarebbe considerato, del resto, che nella planimetria catastale risulta la presenza di un terrazzino e di una scala; con la conseguenza che deve essere escluso che l’immobile sia costituito dal solo piano terra, pur essendo il piano terra l’unico accatastato al momento dell’acquisto del bene.
2.20. – Le considerazioni appena svolte vengono ribadite con un ventesimo motivo di censura, nel quale si richiamano le dichiarazioni dell’ingegner Ferri circa la consistenza dell’immobile preesistente.
2.21. – Si contesta, poi, la valutazione delle dichiarazioni dell’imputato Spezio, sul rilievo che sarebbero stati realizzati quattro piani interrati, che non costituirebbero volume né cubatura, in quanto posti sotto la quota del piano di campagna, e la cui realizzazione sarebbe giustificata dalla presenza di inconvenienti di carattere idrogeologico. In ogni caso, l’edificio avrebbe l’altezza complessiva di 11,85 m.
2.22. – Una ulteriore doglianza è dedicata alla valutazione della Corte d’appello circa i volumi tecnici ai fini dell’indice edificatorio e circa la collocazione dell’asserito piano terra a una quota di 6,70 rispetto alla sede stradale. Ad avviso della difesa, tale collocazione sarebbe consentita perché la quota di riferimento dovrebbe essere quella della “sistemazione esterna del progetto approvato”.
2.23. - Si lamenta, inoltre, la mancata considerazione dell’avvenuta presentazione di un progetto di sanatoria del 14 ottobre 2008 in risposta all’ordine di sospensione dei lavori emesso dall’ingegner Minardi, relativamente all’orientamento e alla sagoma del nuovo edificio.
2.24. – Vi è poi doglianza riferita all’affermazione, contenuta nella sentenza, secondo cui l’opera sarebbe cresciuta a dismisura nel tempo; affermazione che sarebbe in contrasto con la documentazione in atti.
2.25. – Si lamenta anche la mancata considerazione del fatto che gli aumenti di superficie per l’adeguamento in base a specifiche norme di legge o per la dotazione di servizi sono sempre consentiti; e si contesta, altresì, la considerazione del rinvenimento della scritta Palace Hotel, che non avrebbe potuto essere considerata indice di un già effettuato mutamento di destinazione d’uso, ma preludeva ad una richiesta da inoltrare in tal senso.
2.26. – La difesa deduce, inoltre, la mancata considerazione della tavola 5 del progetto di rendering, con la rappresentazione tridimensionale del manufatto.
2.27. – Un ulteriore motivo di ricorso ha per oggetto la considerazione di una lettera inviata da Spezio al sindaco e al consiglio comunale, sul rilievo che tale lettera non avrebbe nulla a che vedere con l’immobile in questione.
2.28. – Una ventottesima doglianza, parzialmente ripetitiva delle precedenti, è riferita, ancora, al mancato riscontro delle caratteristiche dell’immobile preesistente.
2.29. – Si svolgono, poi, rilievi circa la posizione dell’imputato Vinci in relazione alla sua assoluzione nel procedimento che – ad avviso della difesa – avrebbe per oggetto lo stesso immobile.
2.30. – La difesa lamenta anche, l’erronea considerazione del parere favorevole al permesso di costruire rilasciato dall’imputato Ceppaglia il 31 agosto 2010. Tale atto non potrebbe essere considerato come un equivalente del provvedimento di assenso, ma solo come atto informativo, nell’ambito di una fase non ancora conclusa del procedimento. L’emanazione di tale atto non concreterebbe, dunque, il reato di abuso di ufficio.
2.31. – Si sostiene, poi, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente considerato nella loro interezza e non in soli 60 giorni i rinvii del procedimento disposti per astensione del difensore e per richiesta difensiva. Inoltre, il tempo di commissione del reato avrebbe dovuto essere individuato nell’11 marzo 2008, epoca in cui l’immobile era già composto da otto piani e completato; con la conseguenza che il termine di prescrizione del reato di falso sarebbe scaduto il 7 luglio 2016.
2.32. – Quanto al termine di prescrizione della contravvenzione edilizia di cui al capo B dell’imputazione, si sostiene che lo stesso andrebbe a scadere il 28 settembre 2016 e non, come indicato dalla Corte d’appello, il 26 settembre 2017.
2.33. – In relazione al reato di abuso d’ufficio, la difesa richiama il principio secondo cui, per la configurabilità del concorso del privato, è necessario dimostrare che questo abbia svolto un’effettiva attività di istigazione o agevolazione.
2.34. – Con doglianze numerate da 34 a 42, la difesa reitera, infine, alcune delle censure già formulate precedentemente.
3. – La sentenza è stata impugnata anche dal difensore dell’imputato Ceppaglia.
3.1. – Si deduce, in primo luogo, la mancata considerazione dell’insussistenza del dolo del reato di falso, sul rilievo che il pubblico ufficiale imputato avrebbe sottoscritto la documentazione di cui al capo di imputazione sul presupposto della veridicità della produzione del richiedente. Dalla documentazione non si evinceva – secondo la difesa – alcuna difformità di sagoma o volume del manufatto da realizzare rispetto a quello già destinatario di precedenti autorizzazioni.
3.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si contesta la motivazione della sentenza impugnata circa la ritenuta sussistenza del dolo del reato di abuso d’ufficio. In particolare, la asserita macroscopicità della violazione sarebbe contraddetta dal fatto che l’operazione immobiliare aveva ricevuto asseverazioni da parte dei periti preposti, oltre all’autorizzazione paesaggistica della Regione Puglia.
3.3. – In terzo luogo, si contesta la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della contravvenzione edilizia, sul rilievo che Corte d’appello non avrebbe fornito alcuna motivazione sul punto, essendosi limitata a evidenziare l’illegittimità del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica e a farne derivare la responsabilità del tecnico comunale, senza evidenziare specifici elementi di concorso o cooperazione.
3.4. – In quarto luogo, si contesta la motivazione della sentenza impugnata circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur essendo l’imputato incensurato ed avendo fornito un ”bassissimo apporto causale”.
3.5. – Si lamenta, poi, la sospensione dei termini di prescrizione per il rinvio dell’udienza del 16 gennaio 2014, per ritenuto impedimento dell’imputato Spezia. Si sostiene che l’assenza dell’imputato fosse dovuta al suo stato di detenzione e che egli aveva chiesto di essere tradotto; con la conseguenza che l’omessa traduzione non avrebbe potuto essere equiparata ad un impedimento dell’imputato.
3.6. – Quanto alla sospensione della prescrizione per il rinvio dell’udienza del 2 febbraio 2016, si sostiene che, trattandosi di rinvio per concomitante impegno professionale di due difensori, la Corte d’appello avrebbe potuto considerare solo 60 giorni e non l’intero periodo di 287 giorni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. – I ricorsi sono inammissibili.
Le doglianze dei ricorrenti costituiscono, per lo più, la mera riproposizione di rilievi puramente fattuali già esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte d’appello o di considerazioni manifestamente infondate circa la configurabilità dei reati contestati in punto di diritto.
4.1. – I motivi sopra riportati sub 2.1., 2.2., 2.3. – che possono essere trattati congiuntamente, perché riferiti alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’audizione dei soggetti che avevano verificato e istruito la pratica edilizia oggetto dell’imputazione e per l’espletamento di una perizia relativa alla consistenza dell’immobile preesistente – sono formulati in modo non specifico e hanno per oggetto profili già esaurientemente trattati nella sentenza censurata.
La difesa non chiarisce, in particolare, quale sarebbe la rilevanza della richiesta rinnovazione, a fronte di una carenza istruttoria che deriva evidentemente dalla mancata allegazione da parte della stessa difesa della documentazione idonea a consentire di determinare la consistenza dell’immobile preesistente; consistenza evidentemente non determinabile né dai tecnici che avevano proceduto a seguire la pratica prima dell’imputato Ceppaglia né sulla base di una perizia. E ciò, a fronte di un verbale dell’8 novembre 2005 in cui il precedente fabbricato viene descritto soltanto in larghezza e lunghezza senza alcun riferimento a volumi, altezza ed eventuali vani interrati. A ciò deve aggiungersi che, dall’atto di acquisto dell’immobile da ricostruire, emerge che lo stesso era ubicato al solo piano terra, tanto che tale piano era l’unico accatastato, e aveva un’altezza di circa m 2,80, come sostanzialmente emerge dalla stessa documentazione prodotta dalla difesa (pagina 32 della sentenza impugnata). A ciò deve aggiungersi che - con affermazioni non specificamente contestata neanche con il ricorso per cassazione - la Corte d’appello evidenzia che le fotografie del precedente manufatto rappresentavano un immobile costituito dal solo piano terra e di altezza modestissima mentre l’edificio da realizzare aveva un’altezza di ben 23,55 m. In conclusione, la richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, oltre ad avere un carattere meramente esplorativo, non fa altro che confermare la totale insufficienza dell’istruttoria effettuata nell’ambito del procedimento amministrativo curato dal Ceppaglia nell’interesse dei coimputati che, per il suo carattere macroscopico, rappresenta – come ben evidenziato dalla Corte d’appello – un’ulteriore conferma della sussistenza dei reati contestati, sia sul piano materiale sia sul piano dell’elemento soggettivo del dolo.
4.2. - Parimenti generiche sono le doglianze sub 2.4., 2.5., 2.6., 2.29., con cui si lamenta la sostanziale identità fra i fatti oggetto di questa causa e quelli oggetto di precedente procedimento penale, nel quale, nel merito, il Tribunale aveva prosciolto Rosato, rilevando la prescrizione del reato, e Vinci, per non avere commesso il fatto.
La difesa non precisa, infatti, neanche in via di mera prospettazione le ragioni della ritenuta identità tre i fatti oggetto dei due procedimenti. E la ricostruzione da questa proposta è, del resto, puntualmente smentita dai giudici di primo e secondo grado, i quali evidenziano che gli imputati hanno posto in essere diverse attività nel tempo, non essendo configurabile, dunque, alcuna violazione del principio del ne bis in idem.
4.3. – La doglianza sub 2.7. – con cui si contesta l’omessa riqualificazione del reato di falso ai sensi dell’art. 481 cod. pen. – è manifestamente infondata.
Come ben evidenziato dalla Corte d’appello, ai fini della configurazione del reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 cod. pen.) costituisce atto pubblico non solo quello destinato ad assolvere alla funzione attestativa o probatoria esterna, con riflessi diretti e immediati nei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni, ma anche gli atti interni, ovvero quelli che sono destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, o quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequenza procedimentale, anche non conforme allo schema tipico, ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi. In altri termini, il reato di falso ideologico in atto pubblico è configurabile in relazione a qualsiasi documento che, benché non imposto dalla legge, è compilato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni per documentare, sia pure nell’ambito interno dell’amministrazione di appartenenza, la regolarità degli adempimenti ai quali è obbligato ovvero circostanze di fatto cadute sotto la sua percezione diretta o, comunque, ricollegabili a tali adempimenti e si inserisce nell’ iter procedimentale prodromico all’adozione di un atto finale (ex multis, Sez. 5, n. 9368 del 19/11/2013, dep. 26/02/2014, Rv. 258952; Sez. 6, n. 11425 del 20/11/2012, dep. 11/03/2013, Rv. 254866). Del tutto correttamente, dunque, la Corte distrettuale ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 479 e non quello di cui all’art. 481 cod. pen. E non meritano considerazione le generiche affermazioni difensive secondo cui la mancanza di una perizia circa la situazione del fabbricato preesistente rende incerta la falsità degli atti oggetto dell’imputazione, in presenza – come visto – di ampia e univoca documentazione dalla quale tale situazione emerge con chiarezza.
4.4. – La censura sub 2.8., con cui si contesta la ritenuta sussistenza del vincolo cimiteriale, è manifestamente infondata, perché si basa sul presupposto, smentito dagli atti, che l’intervento in oggetto non sia l’edificazione di una nuova costruzione in zona di vincolo cimiteriale, ma un intervento di demolizione e ricostruzione di un immobile già esistente. Le considerazioni svolte della difesa circa l’effettiva distanza dell’immobile e circa l’ampiezza del vincolo cimiteriale risultano, dunque, irrilevanti, perché, come emerge dall’art. 338 del regio decreto n. 1265 del 1934 il vincolo cimiteriale produce una inedificabilità assoluta. E risulta pacifico che l’edificio si trovasse a una distanza dal cimitero di molto inferiore ai 100 metri e fosse, dunque, sottoposto a tale vincolo (pagg. 23 e 24 della sentenza impugnata).
4.5. – I motivi sub 2.9., 2.10., 2.11. – che possono essere trattati congiuntamente perché attengono a supposti problemi idrogeologici che avrebbero giustificato lo spostamento dell’area di sedime e la realizzazione di piani interrati – sono formulati in modo non specifico e, comunque, manifestamenti infondati.
Si tratta, ancora una volta, di una mera prospettazione difensiva diretta ad attribuire veridicità ad accertamenti tecnici sostanzialmente provenienti dagli imputati e di portata del tutto generica. Infatti i ricorrenti non spiegano in modo sufficientemente chiaro quale sarebbe il rapporto di causalità fra tali problemi idrogeologici, lo spostamento dell’area di sedime e la realizzazione di piani interrati. In ogni caso, la presenza di tali problemi, anche se accertata, non autorizza a ritenere quale ristrutturazione una costruzione del tutto nuova e del tutto priva di corrispondenza rispetto a quanto già esistente. Né risulta plausibile, sul piano logico ancor prima che sul piano giuridico, che la situazione idrogeologica richieda un ampliamento anziché una riduzione della superficie e del volume edificato. Più in generale, risulta manifestamente infondata, in punto di diritto, l’affermazione difensiva secondo cui la realizzazione di piani interrati non costituirebbe nuova costruzione. È sufficiente richiamare, sul punto, la costante giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato la quale qualifica come nuova costruzione tali interventi e richiede per gli stessi, in via generale, il permesso di costruire (ex multis, Cass., Sez. 3, n. 28840 del 09/07/2008, Rv. 240836; Sez. 3, n. 24464 del 10/05/2007, Rv. 236885; Consiglio di Stato, Sez. 4, del 21/07/2010, n. 4801).
4.6. – Del tutto generica è anche la doglianza sub 2.12. Con essa si contesta, infatti, la mancata considerazione della prospettazione difensiva secondo cui l’area in questione non sarebbe sottoposta a vincolo paesaggistico, ma si afferma contemporaneamente l’irrilevanza di tale questione, ricordando che la stessa Corte d’appello ha assolto tutti gli imputati in relazione al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Si ribadisce, altresì, la prospettazione secondo cui l’intervento non era assoggettato a permesso di costruire; prospettazione sulla cui manifesta infondatezza si è già ampiamente detto.
4.7. – Parimenti inconferente risulta il motivo di ricorso sub 2.13., perché esso si riferisce ad una circostanza tanto pacifica quanto irrilevante, rappresentata dal carattere non abusivo del fabbricato preesistente. La non abusività di tale manufatto non esclude, infatti, la responsabilità penale per la realizzazione di un fabbricato completamente diverso in mancanza del titolo abilitativo idoneo.
4.8. – Inammissibile, per analoghe ragioni, è la censura sub 2.14. Anch’essa si riferisce, infatti, a un dato del tutto irrilevante, ai fini della qualificazione dell’attività edilizia come ristrutturazione anziché come nuova costruzione, quale la determinazione dell’indice di fabbricabilità dell’area.
4.9. – Priva di specificità e, comunque, ripetitiva di una doglianza già motivatamente rigettata dalla Corte d’appello è la censura sub 2.15.
Essa si riferisce al verbale redatto in contraddittorio l’8 novembre 2005, in cui il precedente fabbricato viene descritto soltanto in larghezza e lunghezza, senza volumi, altezza e vani interrati. La difesa si limita, però, ad affermare che tale verbale non è stato redatto in contraddittorio con la ditta S.P.M.I., perché questa ha acquistato l’immobile in un momento successivo e a formulare generiche considerazioni circa l’erroneità dei dati di larghezza e lunghezza presi in considerazione dal giudice.
Valgono sul punto, dunque, le considerazioni già svolte sub 4.1., trovando applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, se è vero che l’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (conv. dalla legge n. 98 del 2013), consente di qualificare come “ristrutturazione edilizia”, l’intervento di ripristino o di ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, anche in caso di modifica della sagoma degli stessi, e del pari vero che è necessario che sia accertata la preesistente consistenza dell’immobile, intesa come il complesso di tutte le caratteristiche essenziali dell’edificio (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), in base a riscontri documentali o altri elementi certi e verificabili (Sez. 3, n. 5912 del 22/01/2014, Rv. 258597); con la conseguenza che la mancanza anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta attività ricognitiva, impedisce di ritenere sussistente il requisito che la citata disposizione richiede per escludere, in ragione della anzidetta qualificazione, la necessità di preventivo permesso di costruire (Sez. 3, n. 45147 del 08/10/2015, Rv. 265444).
4.10. – I motivi sub 2.17., 2.18., 2.19., 2.20., 2.24., 2.26, 2.28. possono essere trattati congiuntamente perché diretti a contestare l’accertamento della consistenza dell’immobile preesistente effettuato dal Tribunale, su cui valgono le considerazioni già svolte sub 4.1.
Si tratta, ancora una volta, di considerazioni del tutto generiche o manifestamente infondate, come quelle relative: alle dichiarazioni dell’ingegner Ferri, di portata non univoca e, comunque, direttamente smentite, per i profili rilevanti, dalla documentazione prodotta dalla stessa difesa (pagg. 29-31 della sentenza impugnata); ad una tanto pretesa quanto irrilevante confusione tra l’immobile oggetto del presente procedimento e uno stabilimento industriale di proprietà di altri soggetti; all’interpretazione dell’atto notarile prodotto, dalla cui semplice lettura emerge che l’immobile preesistente era dotato del solo pianoterra e aveva un’altezza irrisoria; alla pretesa la mancata considerazione della tavola 5 del progetto di rendering, con la rappresentazione tridimensionale del manufatto, la cui effettiva portata non è chiarita neanche con il ricorso per cassazione; alla contestazione dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’immobile sarebbe cresciuto nel tempo a dismisura; affermazione che deve essere ritenuta del tutto corretta, a fronte della macroscopica differenza tra l’immobile preesistente e quello realizzato.
4.11. – I motivi sub 2.21. e 2.22., oltre che essere meramente ripetitivi di doglianze già motivatamente disattese in primo e secondo grado, sono comunque manifestamente infondati.
La difesa basa la sua prospettazione su una serie di assunti evidentemente erronei: quello secondo cui i piani interrati non costituirebbero volume né cubatura, in quanto posti sotto la quota del piano di campagna (erroneo, in forza alle considerazioni già svolte sub 4.5.); quello secondo cui l’edificio avrebbe l’altezza complessiva di 11,85 m (in contrasto con quanto già evidenziato sub 4.1. circa l’altezza effettiva dell’edificio, ben superiore); quello secondo cui i piani interrati potrebbero essere in realtà collocati fuori terra, come avvenuto nel caso di specie, e comunque non considerati come fuori terra ai fini della volumetria (erroneo sul piano logico-lessicale, ancora prima che sul piano giuridico).
4.12. – I motivi sub 2.23., 2.25., 2.27. sono accomunati – come molte delle doglianze precedentemente esaminate – dall’assoluta genericità. Non si vede, infatti, quale rilevanza, ai fini dell’accertamento della sussistenza dei reati contestati, in presenza della già riscontrata macroscopica difformità rispetto all’immobile preesistente, possano avere: la presentazione di un progetto di sanatoria in data 14 ottobre 2008; il riferimento a non meglio precisate e meramente asserite esigenze di adeguamento dell’immobile in base a specifiche norme di legge; la contestazione della valenza probatoria del rinvenimento della scritta Palace Hotel sull’edificio, che rappresenta una conferma tanto superflua quanto evidente della volontà frodatoria degli imputati in relazione all’operazione nel suo complesso; il riferimento alla lettera che Spezio avrebbe inviato al sindaco e al consiglio comunale, che ha una valenza del tutto marginale, in presenza di un quadro probatorio così chiaro a carico degli imputati.
4.13. – I motivi sub 2.30., 2.33., 3.2. – che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato di abuso d’ufficio – sono inammissibili, perché meramente ripetitivi di doglianze già motivatamente disattese dalla Corte d’appello.
Sul piano giuridico, deve permettersi che – contrariamente a quanto ritenuto dalle difese – il rilascio, da parte dell’imputato Ceppaglia, del parere favorevole è pienamente idoneo a integrare il reato di abuso d’ufficio.
Infatti, la fattispecie di abuso d’ufficio può essere integrata anche in riferimento ad un atto interno al procedimento amministrativo, non rilevando la circostanza che il provvedimento definitivo sia emesso da altro pubblico ufficiale (ex plurimis, Sez. 3, n. 16449 del 13/12/2016, dep. 31/03/2017, Rv. 269820). E, in tema, di abuso di ufficio, può integrare la condotta del reato anche la formulazione di un parere consultivo, se espresso contra legem, nel caso in cui il giudice abbia accertato che il provvedimento finale sia stato frutto di accordo tra gli operanti, con la conseguenza che il predetto parere si inserisce nell’iter criminis come elemento diretto ad agevolare la formazione di un atto illegittimo ed in grado di far conseguire un ingiusto vantaggio (Sez. 2, n. 5546 del 11/12/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258206).
Quanto, poi, al concorso dei privati nel caso concreto, lo stesso è stato ben delineato nella sentenza impugnata (pagg. 51-52), laddove si fa riferimento all’accordo tra gli imputati che emerge dall’assoluta macroscopicità dell’abuso edilizio, evidenziata dalla stessa linea difensiva degli imputati, che si basa, da un lato, sull’affermata incertezza della effettiva consistenza dell’immobile preesistente e, dall’altro, sulla sostanziale ammissione della non corrispondenza dell’immobile oggetto dell’imputazione anche rispetto alla consistenza dell’immobile preesistente quale prospettata dalla stessa difesa. Si è trattato, in sintesi, di un’operazione che ha visto la piena partecipazione di tutti i soggetti interessati allo scopo di realizzare un rilevante intervento di nuova costruzione. E tali considerazioni risultano pienamente idonee anche i fini della ritenuta sussistenza del dolo in capo agli imputati.
4.14. – La doglianza sub 3.1. – riferita alla ritenuta sussistenza del dolo del reato di falso in capo a Ceppaglia – è anche essa inammissibile. La difesa nega l’evidenza laddove afferma che il pubblico ufficiale imputato avrebbe sottoscritto la documentazione di cui al capo di imputazione sul presupposto della veridicità della produzione del richiedente, senza considerare l’assoluta insufficienza di tale produzione al fine di accertare l’esistenza dei presupposti per qualificare l’intervento edilizio come di ristrutturazione anziché di nuova costruzione. E anzi - come già ampiamente evidenziato – la totale difformità tra l’immobile preesistente e quello da realizzare emergeva in modo sufficientemente chiaro dalla documentazione di parte.
4.15. – Analoghe considerazioni valgono in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo della contravvenzione edilizia, oggetto della doglianza sub 3.3., in presenza dei macroscopici elementi già delineati, che inducono a ritenere l’esistenza di un accordo fra gli imputati per la realizzazione dell’operazione edilizia abusiva.
4.16. – Inammissibile è anche il motivo sub 3.4., con cui la difesa di Ceppaglia contesta la motivazione della sentenza impugnata circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Come ben evidenziato dalla Corte d’appello, la condotta dell’imputato presente una rilevante gravità, perché l’assoluta evidenza degli abusi commessi denota una particolare pervicacia oltre a un totale dispregio della funzione pubblica esercitata; elementi a fronte dei quali l’incensuratezza non può assumere alcun rilievo, visto anche il disposto dell’art. 62 bis, terzo comma, cod. pen.
4.17. – Manifestamente infondati sono i motivi 2.31., 2.32., 3.5., 3.6., relativi al computo dei termini di prescrizione. Infatti, i calcoli effettuati dalla Corte d’appello secondo cui i reati si prescrivono il 18 agosto 2018 (capo A) e il 26 settembre 2017 (capo B) risultano corretti anche in relazione alla valutazione dell’incidenza delle sospensioni intervenute nel corso del giudizio.
4.17.1. – Quanto alla prospettazione difensiva secondo cui il tempo di commissione del reato avrebbe dovuto essere individuato nell’11 marzo 2008, epoca in cui l’immobile era già composto da otto piani e completato, deve rilevarsi che la stessa risulta basata su una mera indimostrata asserzione, priva di puntuali riferimenti agli atti di causa.
4.17.2. – Del tutto corretta risulta la considerazione, ai fini della sospensione del decorso della prescrizione, degli interi periodi di rinvio del procedimento per astensione del difensore e per richiesta difensiva.
Infatti, il limite di sessanta giorni previsto dall’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., non si applica nel caso in cui il differimento dell’udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire alla manifestazione di protesta indetta da organismi di categoria, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell’Ufficio procedente (ex multis, Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, Rv. 263052). E, più in generale, qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione (ex plurimis, Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 02/02/2015, Rv. 262914).
4.17.3 – Priva di specificità è la censura con cui si lamenta la sospensione dei termini di prescrizione per tutto il periodo di rinvio dell’udienza del 16 gennaio 2014, per la mancata comparizione dell’imputato Spezio. La difesa di Ceppaglia sostiene che l’assenza fosse dovuta allo stato di detenzione di Spezio e che questo avesse chiesto di essere tradotto. Tale ultima circostanza non emerge però dagli atti; cosicché l’impedimento dell’imputato a comparire non avrebbe potuto essere ritenuto legittimo, con l’ultriore conseguenza che il periodo di rinvio è stato correttamente computato per intero.
4.17.4. - Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla sospensione della prescrizione per il rinvio dell’udienza del 2 febbraio 2016. La difesa sostiene, infatti, che rinvio sarebbe stato disposto per concomitante impegno professionale di due difensori, mentre dal verbale di udienza risulta che il dedotto legittimo impedimento è stato ritenuto insussistente. Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha considerato, ai fini della sospensione della prescrizione, l’intera durata del rinvio disposto su mera richiesta difensiva, per 287 giorni.
5. – I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.