Cass. Sez. III n. 41591 del 10 ottobre 2019 (UP 15 mag 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Reynaud Ric. Natalucci ed altri
Urbanistica.Titolo abilitativo illegittimo
Il reato di costruzione sine titulo (e lo stesso vale per quello di lavori svolti in assenza di autorizzazione paesaggistica) è configurabile non soltanto quando l’intervento sia stato realizzato in base a provvedimento illecito, ma anche quando ciò sia avvenuto sulla base di provvedimento illegittimo. In tali casi, la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire non costituisce condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, ma rappresenta soltanto un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 gennaio 2017, la Corte d’appello di Ancona – decidendo sui gravami proposti dal pubblico ministero e dalle parti civili, nonché sull’appello incidentale proposto dall’imputato Orlando Natalucci - in parziale riforma della sentenza di primo grado, pronunciata in data 11 novembre 2014, per quanto qui rileva: ha assolto gli imputati Talevi, Trabocchi e Battaglini (unitamente a Circelli e Sturari) dall’illecito urbanistico ascritto al capo a), dal reato paesaggistico contestato sub b) e dalla contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. di cui al capo c) della rubrica perché il fatto non costituisce reato (laddove i medesimi erano stati in primo grado assolti perché il fatto non sussiste); ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione intervenuta nel corso del giudizio di primo grado nei confronti dell’imputato Chielli in ordine ai medesimi reati di cui ai capi a), b) e c), dai quali questi era stato in prime cure assolto per insussistenza del fatto; ha confermato la sentenza di prescrizione per gli stessi reati già emessa in primo grado nei confronti dell’imputato Natalucci.
2. Avverso detta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati Natalucci e Chielli e la parte civile Campeggio il Conero Portonovo, Soc. coop. a r.l., , deducendo i motivi di seguito enunciati.
3. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato Orlando Natalucci si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 522, in relazione all’art. 521, cod. proc. pen., essendo la stessa viziata da errore per aver ritenuto che il ricorrente fosse presidente della cooperativa committente allorquando fu richiesto e rilasciato il permesso di costruire n. 88/2006 – con la conseguente ritenuta impossibilità, per tale ragione, di pronunciare nei suoi confronti sentenza di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. – benché nel capo d’imputazione non venissero mosse contestazioni con riguardo a quel permesso di costruire, come la stessa sentenza impugnata riconosce.
3.1. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per non essere stato escluso alcun profilo di illiceità nella condotta del ricorrente benché fosse assolutamente insussistente il contestato accordo collusivo, in ordine al rilascio dei provvedimenti autorizzatori, con i funzionari comunali (in processo assolti per mancanza di elemento soggettivo), e benché la stessa sentenza riconosca che l’imputato non aveva particolari competenze tecniche e proprio per questo aveva dato incarico professionale al dott. Chielli.
3.2. Con il terzo motivo si lamenta l’omissione della motivazione con riguardo ai reati di cui ai capi b) e c) per essere stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione senza operare alcuna distinzione rispetto alle posizioni dei coimputati invece assolti nel merito.
4. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Franco Chielli si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 522, in relazione all’art. 521, cod. proc. pen., per aver la Corte territoriale considerato profili colposi di condotta che non erano stati oggetto di contestazione, così immutando il fatto ascritto, posto che l’imputazione faceva esclusivo riferimento ad una condotta concorsuale dolosa con i funzionari comunali.
4.1. Con il secondo motivo si deduce l’inosservanza della legge penale per mancato proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., dai reati di cui ai capi a), b) e c), pur non essendo in alcun modo emersa la prova della contestata collusione, non essendo possibile ritenere la sussistenza dei reati in presenza di provvedimenti non già illeciti, ma soltanto illegittimi. Si lamenta, inoltre, che l’affermata illegittimità per essere stata omessa la procedura di V.I.A. riguardava il permesso di costruire n. 88/2006 (che la Corte d’appello afferma non essere oggetto d’imputazione), era questione comunque opinabile (avendo il consulente tecnico della difesa dei funzionari comunali imputati escluso che la superficie interessata fosse superiore a 25.000 mq.) e in ogni caso inidonea a configurare un’ipotesi di macroscopica illegittimità, non essendo stata rilevata dalla numerose autorità pubbliche intervenute nel procedimento.
4.2. Con il terzo motivo, con riguardo ai medesimi reati, si lamenta violazione della legge penale – in particolare gli artt. 40, cpv., e 43 cod. pen. e l’art. 29 d.P.R. 380/2001 - in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico. Si osserva che il ricorrente non aveva ricoperto alcuna delle posizioni di garanzia previste da tale ultima disposizione, essendosi limitato a redigere lo studio geologico e a svolgere l’incarico di responsabile della sicurezza durante i lavori. Egli non aveva dunque alcun obbligo di vigilare sull’attività urbanistico-edilizia degli enti pubblici o sull’operato degli altri professionisti incaricati dalla committenza e aveva tratto dalla condotta degli stessi e dai provvedimenti rilasciati il convincimento della liceità e legittimità della trasformazione del territorio, con conseguente non ipotizzabilità del reato di deturpamento di cui all’art. 734 cod. pen.
4.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce vizio della motivazione per mancato proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., dai reati di cui ai capi a), b) e c), non avendo il ricorrente mai presentato al Comune istanze o allegati in relazione alle opere progettate, né avendo egli specifiche competenze o obblighi che gli consentissero di intervenire nel procedimento, mancando peraltro argomentazioni sui connotati di macroscopica illegittimità dei provvedimenti e sui contestati accordi collusivi.
5. Con il ricorso proposto nell’interesse della cooperativa costituita parte civile, premesso l’interesse ad impugnare per essere stati assolti per difetto di elemento soggettivo gli imputati Talevi (direttore dei lavori), Trabocchi e Battaglini (esecutori delle opere), con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo all’omessa pronuncia su alcuni punti dei capi di imputazione a), b) e c), in particolare su quelli relativi allo svolgimento dei lavori in difformità dal progetto, avendo la sentenza impugnata concentrato la propria attenzione esclusivamente sul profilo di illegittimità dei titoli per mancanza della V.I.A.
5.1. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. per essere stati i suddetti imputati assolti nel merito pur non emergendo dagli atti – a differenza di quanto poteva dirsi per i funzionari comunali imputati - l’evidenza dell’insussistenza della responsabilità.
6. In data 9 maggio u.s., il procuratore generale ha depositato memoria con cui ha argomentato le richieste di declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti dagli imputati e di separazione del ricorso proposto dalla parte civile in attesa della decisione da parte della Sezioni unite di questa Corte sul contrasto di giurisprudenza concernente l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell’imputato pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato.
7. Con memoria trasmessa lo scorso 10 maggio, la parte civile ricorrente ha avanzato analoga istanza di rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto dalla parte civile è inammissibile per mancanza d’interesse.
Va preliminarmente osservato che il Collegio ha ritenuto di non separare quella posizione processuale e rinviare il processo in attesa dell’eventuale fissazione davanti alle Sezioni unite del procedimento nell’ambito del quale è stata pronunciata ordinanza di rimessione (Sez. 2, ord. 15/03/2019, Bicciato e a.) circa il segnalato contrasto di giurisprudenza sulla sussistenza di un concreto interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione emessa per difetto di elemento soggettivo del reato poiché, con provvedimento del Presidente aggiunto della Corte del 10 maggio 2019, il ricorso rimesso alle Sezioni unite è stato restituito alla sezione remittente, ai sensi dell’art. 172 n. att. cod. proc. pen., per nuova valutazione sulla sussistenza del contrasto alla luce delle affermazioni contenute nella sent. Sez U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra.
1.1. A proposito di tale contrasto, va rilevato come un orientamento, anche di recente ribadito, reputi inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato", non avendo tale sentenza efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno (Sez. 4, n. 18781 del 12/03/2019, Comellini, Rv. 275761; Sez. 4, n. 42460 del 09/05/2018, Ielpo, Rv. 274367; Sez. 3, n. 24589 del 15/03/2017, Saporito, Rv. 270053; Sez. 3, n. 41462 del 30/03/2016, Santirocco e a., Rv. 267976).
Per un secondo orientamento, pure questo recentemente riaffermato, sussiste invece l'interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione di assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato", in quanto le limitazioni all'efficacia del giudicato previste dall'art. 652 cod. proc. pen. non incidono sull'estensione del diritto all'impugnazione ad essa riconosciuto in termini generali nel processo penale dall'art. 576 cod. proc. pen., imponendosi altrimenti alla stessa di rinunciare agli esiti dell'accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare "ab initio" l'accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, Edilscavi Snc, Rv. 275416; Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, Addonisio e a., Rv. 273519; Sez. 6, n. 13621 del 06/02/2003, Valle e aa., Rv. 227194; Sez. 3, n. 6581 del 15/04/1999, Lamanuzzi, Rv. 213840).
Un’ulteriore posizione – richiamata nel ricorso proposto dalla parte civile a sostegno dell’ammissibilità - giunge alle medesime conclusioni, ma in base ad altra argomentazione, essendosi ritenuto che sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare, ai fini civili, la sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula "perché il fatto non costituisce reato" (per mancanza dell'elemento psicologico), in quanto, ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen., l'azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa, oltre che nei casi in cui l'imputato sia stato assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, anche quando egli sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, data l'identità di natura e di intensità dell'elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un'eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell'unità della funzione giurisdizionale (Sez. 5, n. 9518 del 09/12/2015, dep. 2016, Martinelli, Rv. 267141; Sez. 5, n. 3416 del 19/01/2005, Casini, Rv. 231419).
1.2. Quest’ultimo orientamento è stato tuttavia convincentemente disatteso dalla sopra citata pronuncia delle Sezioni unite, in quanto fondato su un’interpretazione estensiva/analogica che, secondo dottrina e giurisprudenza, doveva essere data all'art. 25 cod. proc. pen. abr. (pressoché identico all'art. 652 del vigente codice di rito), tuttavia non più riproponibile nell’attuale sistema processuale, in primo luogo, perché essa è contraddetta dalla concorde giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, in secondo luogo - e soprattutto - perché la tesi è comunque errata in quanto porta ad una interpretazione dell'art. 652 cod. proc. pen. che contrasta con la lettera e la ratio della disposizione oltre che con i principi generali e con la volontà del legislatore del 1988, essendo venuto meno il principio dell'unitarietà della funzione giurisdizionale: «nel nuovo ordinamento processuale, ispirato al principio accusatorio, il precedente principio generale è venuto meno e vige invece il principio della parità ed originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e della sostanziale autonomia e separazione dei giudizi». (Sez U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra).
La citata decisione – che appare aderente al secondo dei tre orientamenti più sopra citati - ha peraltro affermato che «non può negarsi l'interesse della parte civile ad impugnare la decisione con la quale l'imputato sia stato prosciolto con la formula "perché il fatto non costituisce reato" anche quando questa manca di efficacia preclusiva. E ciò perché l'interesse ad impugnare assume un contenuto di concretezza tutte le volte in cui dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l'eliminazione di un qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame, il che avviene anche quando la parte civile miri ad assicurarsi conseguenze extrapenali a lei favorevoli, che possono comunque influire nel giudizio per il risarcimento dei danni, ed in particolare a sostituire formule che possano limitare il soddisfacimento, nella sede competente, della pretesa riparatoria. La parte civile ha dunque interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione "perché il fatto non costituisce reato", che non abbia effetto preclusivo, al fine di ottenere l'affermazione di responsabilità per il fatto illecito perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall'inizio» (Sez U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra).
2. Aderendo agli insegnamenti contenuti nella citata sentenza della Sezioni unite, osserva dunque il Collegio che, anche alla luce della generale previsione di cui all’art. 576 cod. proc. pen. - che ha di recente superato lo scrutinio di compatibilità costituzionale rispetto ai dubbi sollevati con riguardo al rispetto dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di efficienza ed efficacia della giurisdizione (art. 111, secondo comma, Cost.) quanto alla prosecuzione ai soli fini civili di un giudizio avanti al giudice penale (cfr. Corte cost., sent. n. 176 del 03/04-12/07/2019) - la parte civile è bensì legittimata ad impugnare qualsiasi pronuncia di proscioglimento. La sussistenza del carattere di concretezza dell’interesse all’impugnazione va tuttavia verificata tenendo conto degli specifici effetti favorevoli che, nella concreta vicenda, essa determinerebbe, dovendosi valutare se il suo accoglimento davvero apporterebbe all’impugnante una situazione di vantaggio ovvero eliminerebbe una situazione pregiudizievole. La stessa recente decisione della Corte costituzionale più sopra citata afferma, concordemente con la giurisprudenza di questa Corte, che dal principio sancito dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., si ricava che «anche la parte civile, per poter proporre l’impugnazione ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., deve avervi interesse, nel senso che deve mirare a conseguire un risultato utile o a evitare un pregiudizio che altrimenti le deriverebbe dalla pronuncia impugnata» (Corte cost., sent. 176/2019).
Nel caso di specie la sussistenza di questo indispensabile presupposto va certamente esclusa, dovendosi affermare il principio secondo cui è inammissibile, per difetto di interesse concreto, il ricorso per cassazione della parte civile contro la sentenza di assoluzione dell’imputato pronunciata ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., con la formula "perché il fatto non costituisce reato", priva di efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile, laddove non si contesti l’intervenuta prescrizione del reato maturata nel corso del giudizio di primo grado.
2.1. Ed invero, a norma dell’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno soltanto quando pronuncia sentenza di condanna e soltanto questo presupposto consente la prosecuzione del giudizio sull’azione civile nel processo penale qualora, in successivo grado del processo, il reato si estingua per amnistia o prescrizione (art. 578 cod. proc. pen.). Se, per contro, l’estinzione per una di tali cause avvenga già nel giudizio di primo grado, con conseguente impossibilità di decidere sull’azione civile, la parte civile che non abbia contestato con i motivi di appello la prescrizione del reato dichiarata con la sentenza di primo grado non è legittimata a proporre appello per l'omessa pronuncia sulle statuizioni civili (Sez. 4, n. 3789 del 19/01/2016, Gitto, Rv. 265741; Sez. 6, n. 19540 del 21/03/2013, Failla, Rv. 255668).
Anche le Sezioni unite di questa Corte, di recente richieste di decidere se sia ammissibile il ricorso della parte civile avverso la sentenza che, su impugnazione di detta parte, abbia confermato la pronuncia di primo grado che, senza entrare nel merito, abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, hanno concluso affermando il principio di diritto secondo cui l'impugnazione è ammissibile soltanto se la parte civile lamenti l'erronea applicazione della prescrizione (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, non ancora massimata).
In particolare, dopo aver ritenuto che la legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione derivi direttamente dalla previsione dell'art. 576 cod. proc. pen., affrontando il distinto tema della sussistenza di un concreto interesse a detta impugnazione, la citata decisione l’ha riconosciuto nella «finalità, perseguita attraverso la doglianza mossa in ordine ad una erronea affermazione di intervenuta prescrizione, ad ottenere il ribaltamento della prima pronuncia e l'affermazione, sia pure solo "virtuale" perché valorizzabile ai soli fini delle statuizioni civili, di responsabilità penale dell'imputato» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, in motivazione). Richiamando quanto affermato nella sentenza Guerra, si ribadisce che «la sussistenza del carattere di concretezza dell'interesse della parte civile ad impugnare la pronuncia di proscioglimento va, naturalmente, verificata tenendo conto degli specifici effetti favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte civile si ripromette di ottenere dall'impugnazione e valutando se il suo accoglimento davvero le arrecherebbe una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra)» (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria).
2.2. Ciò posto, la parte civile qui ricorrente lamenta non già la mancata affermazione di penale responsabilità degli imputati Talevi, Trabocchi e Battaglini (sia pur soltanto ai fini risarcitori civili), ma – non contestando l’intervenuta prescrizione dei reati già prima della sentenza di primo grado – il solo fatto che gli stessi, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., siano stati assolti nel merito perché il fatto non costituisce reato, piuttosto che prosciolti per prescrizione. La questione, tuttavia, è che la sentenza oggetto d’impugnazione non fa stato nel giudizio civile ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen. e non pregiudica in alcun modo il diritto del danneggiato – a questo punto necessariamente da azionarsi nell’ambito di un giudizio civile – di ottenere soddisfazione, al pari di quanto avverrebbe a fronte di quella declaratoria di prescrizione del reato che secondo la ricorrente si sarebbe dovuta nella specie pronunciare.
Al proposito, invero, la giurisprudenza civile è consolidata nell’affermare che, ai sensi dell'art. 652 (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'art. 654 (nell'ambito di altri giudizi civili) cod. proc. pen., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato mentre l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale (Sez. 3, n. 4764 del 11/03/2016 T.M.F. ed altri contro B.A. ed altro, Rv. 639372; Sez. 6, ord. n. 17316 del 03/07/2018, Rv. 649457). Rispetto all’azione civile di danno, dunque, la formula assolutoria adottata nella specie dai giudici di merito non spiega effetti diversi da quelli che produrrebbe una sentenza di proscioglimento per prescrizione, posto che anche alle sentenze di non doversi procedere, perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia, non può riconoscersi alcuna efficacia extrapenale, sicché nel giudizio promosso contro l'imputato per ottenere il risarcimento del danno, il giudice civile, pur tenendo conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale e pur potendo ripercorrere lo stesso "iter" argomentativo del giudice penale e giungere, quindi, alle medesime conclusioni, deve tuttavia interamente ed autonomamente rivalutare il fatto (Sez. U, Sentenza n. 12243 del 7/05/2009, Cipolla c. Assessorato LL. PP. Reg. Siciliana, Rv. 608300).
Anche alla luce del consolidato orientamento ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte, pertanto, deve affermarsi l’insussistenza di un concreto interesse ad impugnare con conseguente inammissibilità del ricorso, cui segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
3. Venendo all’esame dei ricorsi proposti dagli imputati, alcuni motivi possono essere unitariamente affrontati, in quanto largamente sovrapponibili.
Manifestamente infondate, innanzitutto, sono le doglianze che entrambi i ricorrenti propongono nel rispettivo primo motivo di ricorso con riguardo alla lamentata nullità della sentenza per violazione dell’art. 522 cod. proc. pen.
3.1. Quanto al ricorso proposto da Orlando Natalucci, al di là dell’incomprensibile rilievo contrario contenuto a pag. 21 della sentenza impugnata, osserva il Collegio come non vi sia dubbio che l’illegittimità del permesso di costruire n. 88/2006, per non essere stata seguita la prescritta procedura della V.I.A., formasse oggetto di specifica contestazione. Ed invero, basta leggere l’imputazione di cui al capo a) per apprezzare che agli imputati era stato addebitato di essersi avvalsi «di permessi per costruire risultati illegittimi», illegittimità che, anche con riguardo al permesso di costruire n. 88/2006 – ed all’autorizzazione paesaggistica rilasciata per le medesime opere - era consistita nell’aver ottenuto «l’autorizzazione paesaggistica e i permessi per costruire nonostante l’evidente necessaria assoggettabilità del progetto a V.I.A.», riguardando l’intervento un complesso di 84.000 mq., «dei quali 30.000 circa specificamente destinati al campeggio (dunque ampiamente superiori al limite di 25.000 mq. richiesti dalla legge per l’assoggettabilità a V.I.A.)». Correttamente, dunque, tale profilo è stato valorizzato dalla sentenza nel ritenere che nei confronti del Natalucci non potesse pronunciarsi sentenza di assoluzione nel merito, essendo egli stato presidente della cooperativa che ebbe a rilasciare al geologo Chielli un ampio mandato professionale finalizzato alla realizzazione del nuovo campeggio, richiedendo e ottenendo l’illegittimo permesso di costruire n. 88/2006.
3.2. Quanto alla doglianza avanzata dall’imputato Chielli, come più sopra si è rilevato l’ampia imputazione conteneva il profilo di addebito – di per sé bastevole ai fini della declaratoria di sussistenza del reato – di aver ottenuto un’autorizzazione paesaggistica ed un permesso di costruire illegittimi per l’indicata ragione e svolto i lavori sulla base dei medesimi, sicché non rileva ai fini della correlazione tra accusa e sentenza il fatto che, secondo il ricorrente, sarebbe stato escluso l’altro profilo di addebito parimenti contestato, vale a dire di aver raggiunto un accordo illecito con i funzionari che rilasciarono quei provvedimenti. Peraltro, va osservato come tale rilievo non sia neppure esatto, posto che ai funzionari comunali Circelli e Sturari - assolti dalla sentenza impugnata per mancanza di elemento soggettivo – non era stato addebitato di aver rilasciato il primo permesso di costruire n. 88/2006, ma soltanto il permesso di costruire in variante n. 248/2007 e proprio perché trattavasi di variante rispetto a un provvedimento emesso all’esito di procedimento senza V.I.A. la sentenza impugnata ha ritenuto non ravvisabile nei loro confronti la colpa per seguito lo stesso procedimento nel rilascio della variante.
4. Per quanto appena detto, sono infondate anche le doglianze che entrambi i ricorrenti propongono nel secondo motivo dei rispettivi ricorsi.
Diversamente da quanto gli stessi osservano, l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio e di recente ripetutamente ribadito, è nel senso che il reato di costruzione sine titulo (e lo stesso vale per quello di lavori svolti in assenza di autorizzazione paesaggistica) è configurabile non soltanto quando l’intervento sia stato realizzato in base a provvedimento illecito, ma anche quando ciò sia avvenuto sulla base di provvedimento illegittimo (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., non massimata; Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, non massimata sul punto). Nella citata sentenza Iodice si argomenta peraltro come, in tali casi, la "macroscopica illegittimità" del permesso di costruire non costituisca condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato, ma rappresenti soltanto un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito.
Nel caso di specie è peraltro inutile disquisire se la mancata attivazione della prescritta procedura di V.I.A fosse o meno immediatamente percepibile, sì da integrare un vizio macroscopico, perché con riguardo agli imputati Chielli e Natalucci la sentenza impugnata (pagg. 28 e 29) motiva non illogicamente in ordine agli elementi che depongono sulla consapevolezza da parte loro della necessità della V.I.A. e, dunque, dell’illegittimità dei provvedimenti amministrativi rilasciati in assenza di tale procedura, ciò che non ha consentito alla Corte d’appello – a differenza degli altri coimputati, tra cui i funzionari comunali di cui già si è detto – di far ritenere evidente, nei loro confronti, la prova circa l’insussistenza dell’elemento soggettivo.
Inammissibile, da ultimo, è il rilievo del ricorrente Chielli – concernente una ricostruzione del fatto non censurabile in questa – secondo cui un consulente tecnico della difesa aveva escluso la necessità della V.I.A. sul rilievo che la superficie utile realmente soggetta a trasformazione (da cui si sarebbero dovute detrarre la fascia di rispetto inutilizzabile e le canalizzazioni) fosse inferiore a 25.000 mq.
5. Per quanto sopra osservato è infondato è anche il terzo motivo del ricorso proposto dall’imputato Chielli, con il quale il medesimo lamenta violazione di legge per difetto dell’elemento soggettivo, mentre inammissibile per genericità è la doglianza relativa alla violazione dell’art. 29 d.P.R. 380 del 2001. Nei confronti del ricorrente, di fatti, non è stato addebitato – e ritenuto - di aver omesso di vigilare sulla condotta di altri coimputati, ma di aver dato un contributo materiale all’ottenimento del permesso di costruire illegittimo «inoltrando al Comune di Ancona la richiesta di permesso e la relativa documentazione, omettendo però di segnalare formalmente la necessità di procedura di VIA» (pag. 28 sentenza impugnata).
6. Quanto ai residui motivi proposti dai suddetti imputati ricorrenti, trattandosi di doglianze relative a vizi di omessa o illogica motivazione, la loro proposizione è invece inammissibile, poiché, se fondati, il loro accoglimento imporrebbe l’annullamento della sentenza con un (inutile) rinvio ad altra corte d’appello.
Di fatti – esclusa la fondatezza dei motivi di diritto sopra esaminati - i ricorrenti non allegano che nella sentenza, o in atti processuali specificamente indicati per attestare un profilo di travisamento della prova, siano ravvisabili elementi che potrebbero consentire a questa Corte di ritenere superfluo il rinvio per essere evidente che il fatto non sussiste, che i ricorrenti non l’abbiano commesso o che lo stesso non costituisce reato ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., essendo per contro necessario, nella stessa prospettiva in cui i ricorrenti si pongono laddove criticano l’omessa, insufficiente o illogica motivazione, un nuovo apprezzamento valutativo che si traduca in una motivazione effettiva e logica. Se i motivi fossero fondati, dunque, trattandosi di reati prescritti – e non avendo i ricorrenti rinunciato agli effetti della prescrizione – il giudice del rinvio, in ossequio al principio di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. ed alle esigenze di economia processuale di cui tale norma è espressione, non potrebbe se non giungere alla medesima conclusione di proscioglimento processuale cui è pervenuta la sentenza impugnata.
Difetta, pertanto, un concreto interesse che sul punto legittimi l’impugnazione, dovendo farsi applicazione del principio, ripetutamente affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 224275). Nel ribadire recentemente tale principio in altra decisione, le Sezioni Unite di questa Corte – richiamando anche un risalente precedente (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403) – hanno in motivazione chiarito che l’art. 129 cod. proc. pen. «assolve a due funzioni fondamentali: la prima è quella di favorire l’imputato innocente, prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”, la seconda è quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato […] l’eventuale interesse dell’imputato a proseguire l’attività processuale, in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, sarebbe tutelato dalla possibilità di rinunciare alla prescrizione e deve bilanciarsi, alla luce della normativa vigente, con l’obiettivo, di pari rilevanza, della sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all’art. 111, secondo comma, Cost.» (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli). Per coltivare il suddetto interesse, i ricorrenti avrebbero dunque dovuto rinunciare alla prescrizione.
I loro ricorsi, complessivamente infondati, vanno pertanto rigettati con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile Campeggio Il Conero Portonovo Soc. coop. a r.l. e la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di Natalucci Orlando e Chielli Franco e condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 maggio 2019