Consiglio di Stato Sez. IV n.1949 del 17 marzo 2022
Urbanistica.Alla Corte costituzionale le deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati
Sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale relative: a) all’art. 2-bis, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, per violazione degli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost.; b) all’art. 2-bis, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, per violazione dell’art. 117, terzo comma, lettere m) ed s), Cost.; c) all’art. 103, comma 1-bis, l. reg. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, come introdotto dalla l. reg. 14 marzo 2008, n. 4, e successivamente modificato dalla l. reg. 26 novembre 2019, n. 18, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), e terzo comma, Cost.
Pubblicato il 17/03/2022
N. 01949/2022 REG.PROV.COLL.
N. 03732/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3732 del 2020, proposto dal Fallimento Lombarda Petroli in Liquidazione S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Grella e Guido Francesco Romanelli, con domicilio digitale come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Guido Romanelli in Roma, via Cosseria n. 5,
contro
il Comune di Villasanta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alberto Fossati, con domicilio digitale come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, corso di Porta Vittoria, n. 28,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione seconda, n. 654 del 20 aprile 2020.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villasanta e della Provincia di Monza e della Brianza;
Vista la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 2912 del 20 maggio 2021;
Lette le memorie delle parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice, nell’udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2021, il consigliere Emanuela Loria e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
La fase pregressa del giudizio.
1. La presente controversia concerne la disciplina urbanistica - prevista dal Piano di Governo del Territorio (d’ora in poi “PGT”) approvato dal Comune di Villasanta nel 2019 – di un’ampia area di proprietà del Fallimento Lombarda Petroli S.r.l., in liquidazione (d’ora in poi “Fallimento”), facente parte della porzione sud del territorio comunale, occupata da insediamenti produttivi dismessi o sottoutilizzati, tra i quali la raffineria di petrolio, per i quali il piano prevede la reindustrializzazione moderna, ampliata a funzioni “mixitè”, cioè a esercizi commerciali di vicinato, esercizi pubblici, artigianato e terziario.
1.1. Il Fallimento ha proposto appello, per le parti che lo hanno visto soccombente, avverso la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 654 del 20 aprile 2020, la quale:
a) ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto dal Fallimento stesso avverso la ridetta disciplina urbanistica, nella parte relativa all’impugnazione della determinazione provinciale n. 145 del 30 gennaio 2019, contenente il parere della Provincia di Monza e Brianza;
b) ha accolto parzialmente lo stesso ricorso, nella parte relativa all’impugnazione del PGT del Comune di Villasanta rispetto alle aree standard.
1.2. Il Comune si è costituito in giudizio per resistere all’appello ed ha proposto appello incidentale, con il quale ha criticato la statuizione del primo giudice che ha ritenuto illegittima, per difetto di motivazione, la previsione di uno standard pari al 55% della superficie del compendio, notevolmente superiore al limite minimo del 10%, individuato per le aree destinate ad insediamenti industriali o assimilati dall’articolo 5 del d.m. n. 1444 del 2 aprile 1968.
In particolare, e per quanto qui d’interesse, la tesi del Comune può così riassumersi:
a) l’articolo103, comma 1-bis, della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, salvo che per i limiti inderogabili sulle distanze, ha disposto la disapplicazione delle norme del d.m. n. 1444 del 1968 per i PGT adeguati alle disposizioni dell’articolo 26, commi 2 e 3, della stessa legge regionale;
b) la disposizione è conforme al principio previsto dall’articolo 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale accorda a leggi e regolamenti regionali la possibilità di derogare alle prescrizioni del suddetto d.m. n. 1444/1968, “con particolare riguardo a quelle in materia di spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi”, e dunque agli standards;
c) il principio statale ha trovato applicazione nell’articolo 9, comma 3, della stessa legge regionale, il quale ha fissato il limite minimo della dotazione standard per la zona destinata a “residenza” a 18 mq per abitante, rinviando alla pianificazione locale la determinazione per le altre destinazioni funzionali;
d) nell’articolo 9, la riserva di atto amministrativo è ancorata a tre elementi essenziali, costituiti dalla qualità delle attrezzature insediate e da insediare, alla loro fruibilità e accessibilità;
e) il PGT, pertanto – fatta salva la misura minima stabilita per la destinazione a residenza – è autonomo nello stabilire il fabbisogno della dotazione di standard senza dover partire dai minimi previsti nel d.m. n. 1444/1968.
1.3. Il Fallimento ha criticato la tesi suesposta, mettendo in rilievo fra l’altro:
a) che la “disapplicazione” del d.m. n. 1444/1968 per effetto dell’articolo 103 della l.r. cit. comporterebbe la conseguenza di affidare a ciascun singolo PGT dei Comuni adeguatisi alle disposizioni dell’articolo 26 della stessa l.r. la definizione della quantità di standard applicabile per le zone diverse da quella residenziale, senza nemmeno un parametro di riferimento stabilito a livello regionale;
b) che tale interpretazione contrasterebbe con l’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché l’attribuzione alle Regioni del potere di regolamentare la materia degli standards in modo difforme dal d.m. cit. non può essere interpretata come totale liberalizzazione (in eccesso e in riduzione) delle regole affidate all’arbitrio di ogni singola amministrazione comunale, perché contrasterebbe con il rispetto degli articoli 7, 10, 13 e dell’articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, in tema di piani urbanistici generali e di piani particolareggiati, che rendono obbligatoria la fissazione di standards, di limiti e parametri inderogabili per l’edificazione applicabili in sede di pianificazione urbanistica, disposizione che ha legittimato l’emanazione del d.m. in argomento;
b1) che, invece, l’articolo 2-bis perseguirebbe l’obiettivo di consentire alle Regioni di fissare limiti diversi rispetto a quelli del d.m. per orientare le scelte pianificatorie comunali, con la conseguenza di rendere possibile la limitata modifica dei parametri generali previsti dal d.m. medesimo.
Infine, per l’ipotesi che fosse ritenuta corretta la tesi del Comune e non percorribile una interpretazione adeguatrice delle norme vigenti, il Fallimento ha chiesto al Collegio di scrutinare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 26 e 103, comma 1-bis, della citata l.r. n. 12 del 2005 per contrasto con gli articoli 3, 24, 41, 42, 97, 113 e 117 della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali dettati dagli articoli 7, 10, 13 e 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942, in quanto si determinerebbe:
- il differente trattamento di cittadini che realizzino lo stesso intervento edilizio in Comuni differenti (articolo 3 Cost.);
- la limitazione al diritto di difesa, in assenza di un parametro legislativo e regolamentare su cui pre-definire il livello di ragionevolezza della scelta pianificatoria assunta in tema di standards (articoli 24 e 113 Cost.);
- la lesione del diritto di proprietà e del diritto di impresa, potendo il Comune prevedere uno standard del 99%, non incontrando limiti nel massimo, così determinando una situazione para-espropriativa (articoli 41 e 42 Cost.);
- la violazione del precetto di buon andamento della pubblica amministrazione, non essendo previsti limiti nel minimo, con la conseguenza che il Comune potrebbe ridurre gli standards dovuti al 1% dell’estensione territoriale e consentire l’edificazione su tutto il resto, con enorme carico urbanistico non accompagnato dalle necessarie dotazioni di servizi, nonostante vi sia obbligo di rispettare l’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942 (articolo 97 Cost.);
- la violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi generali dettati dalla l. n. 1150 del 1942 e dalla l. n. 765 del 1967, dei quali il d.m. n. 1444/1968 costituisce mera attuazione, tanto che viene definito come regolamento legislativo, oltreché degli articoli 9 e 10 della l. n. 62 del 1953, nella parte in cui obbligano a definire limiti inderogabili di edificazioni e di standards che le citate norme regionali hanno impropriamente abrogato, tenendo anche presente che la “disapplicazione” da parte regionale di norme statali può avvenire solo per le c.d. “norme cedevoli” regolamentari (il d.m. n. 1444/1968 è, per consolidata giurisprudenza, norma solo formalmente regolamentare con valenza legislativa in quanto attua in modo necessitato ed ineludibile norme di legge inderogabili) in quanto l’urbanistica è materia concorrente, ma non può avvenire in riguardo a norme di legge statale, specie se fissino principi fondamentali delle materia, anche riferibili a norme statali di principio già previgenti, soprattutto con riferimento alle disposizioni del d.m. n. 1444/1968, le quali sono considerate munite di efficacia precettiva inderogabile, anche in relazione agli obiettivi citati dall’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo evidente la violazione dell’articolo 117, secondo comma, Cost. anche in relazione alla c.d. determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in cui la dotazione di standards urbanistici rientra e – più in generale – con riferimento alla competenza esclusiva statale in tema di proprietà privata.
2. Con sentenza non definitiva n. 3912 del 20 maggio 2021, questa Sezione:
a) ha respinto l’appello principale;
b) ha disposto l’estromissione della Provincia di Monza e della Brianza dal giudizio;
c) ha compensato integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio nei confronti della Provincia;
d) ha riservato al definitivo ogni decisione sull’appello incidentale e sulle spese;
e) ha disposto la prosecuzione del giudizio per la decisione dell’appello incidentale e ha demandato al Presidente della Sezione la fissazione dell’udienza di trattazione in esito al deposito delle memorie delle parti.
2.1. In particolare, la sentenza sopra indicata ha riservato la decisione sui possibili profili di incostituzionalità, che sono stati analiticamente enucleati ai punti 15 e 16 e che sono stati sinteticamente individuati al punto 17, all’esito delle interlocuzioni con le parti.
Giova citare testualmente i sopraindicati passaggi della sentenza:
“15. La questione di costituzionalità prospettata dal Fallimento può così sintetizzarsi:
Se sia o meno non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1-bis, in combinato disposto con gli artt. 9 (implicitamente dedotto) e 26, della l.r. n. 12 del 2005, in riferimento all’art. 117, terzo comma Cost., stante la competenza concorrente dello Stato in materia di “governo del territorio”, all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., stante la legislazione esclusiva statale nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, nonché in riferimento ad altri valori tutelati dalla Costituzione, quali il differente trattamento di cittadini che realizzino lo stesso intervento edilizio in Comuni differenti (art. 3 Cost.), il diritto di proprietà (art. 24 Cost.), il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e il diritto di difesa (art. 24 Cost.); posto che la legge regionale (art. 103, comma 1-bis) - in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici (art. 26) - prevede che non si applicano tutte le disposizioni del d.m. del 1968 diverse da quelle attinenti alle distanze tra fabbricati, le quali sono derogabili a determinate condizioni, e demanda al “Piano dei servizi”, adottato dal Comune in collegamento con il “Documento di piano” (artt. 8 e 9), l’individuazione, previa determinazione del numero degli utenti sulla base di criteri predefiniti, della dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico generale, la dotazione di verde, i corridoi ecologici e il sistema di verde di connessione tra territorio rurale ed edificato, la viabilità, stabilisce solamente una dotazione minima (art. 9, comma 3), pari a diciotto metri quadrati per abitante, di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale per le zone residenziali; in tal modo violando i principi fondamentali della legislazione statale, che impongono in tutti i Comuni l’osservanza di “rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti (residenziali) e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” (art. 41-quinques, commi 8 e 9, l. n. 1150 del 1942), come specificati dalle disposizioni del d.m. del 1968, più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile in quanto attuativo del suddetto art. 41-quinquies (art. 117, terzo comma); violando altresì, la competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (117, secondo comma) e il buon andamento dell’amministrazione (art. 97), rimettendo alla regolamentazione comunale anche l’individuazione dei rapporti minimi di aree standard in zone diverse da quelle residenziali; nonché il diritto di impresa e il diritto di proprietà (artt. 41 e 42), rimettendo alla regolamentazione comunale anche l’individuazione dei rapporti massimi di aree standard; nonché finanche il diritto di difesa dinanzi al giudice (art. 24 e 113) in assenza di un parametro legislativo di riferimento per il sindacato di ragionevolezza della scelta del singolo Comune.
15.1. Può aggiungersi che il presupposto interpretativo assunto dal Fallimento posto alla base della richiesta principale di rigetto dell’appello incidentale, è che l’art. 2-bis cit. consenta solo alla legislazione regionale, e non anche alla regolamentazione urbanistica comunale, deroghe ai principi stabiliti dalla legislazione statale, e che, in mancanza delle deroghe previste dalla legge regionale - come nella fattispecie dove la legislazione regionale disciplina solo il minimo degli standards nelle zone residenziali (peraltro in maniera parziale e individuando la dotazione minima nella stessa percentuale prevista dall’art. 3 del d.m. del 1968) – per le aree non disciplinate dalla legislazione regionale continuano ad applicarsi i principi statali dell’art. 41-quinquies, l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. del 1968, con conseguente possibilità di sindacato sulla motivazione dei piani comunali quando si discostano notevolmente dalla percentuale minima statale.
16. Il profilo dell’interpretazione del suddetto art. 2-bis all’interno del sistema dei principi vincolanti per la legislazione regionale individuati, dall’art. 41-quinquies della l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. del 1968.
L’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 consente solo alle Regioni di prevedere disposizioni derogatorie al d.m. del 1968 in materia di standard, “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”. Trattandosi di deroghe a principi della legislazione statale vincolanti sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, in mancanza, totale o parziale, dell’esercizio di tale potere di deroga da parte delle Regioni potrebbe inferirsi che si riespande l’applicazione dei principi statali dell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. n. 1444 del 1968, secondo lo stesso presupposto interpretativo assunto dal Fallimento.
16.1. Tuttavia, la possibile sostenibilità di tale interpretazione costituzionalmente orientata, secondo il Collegio non consente, nella fattispecie, di sottrarsi alla valutazione della non manifesta infondatezza della possibile questione di legittimità costituzionale delle norme regionali, eccepita dal Fallimento.
16.1.1. La ragione si rinviene nella peculiare “costruzione” dell’art. 103, comma 1-bis, in uno con un esercizio del potere regionale di emanare norme derogatorie che potremmo definire “estremo” per difetto.
Infatti, da un lato l’art. 103, comma 1-bis, dispone la generale non applicabilità del d.m. del 1968 (con l’eccezione disciplinata della materia delle distanze, che nella causa non viene in rilievo); dall’altro, la Regione esercita il potere di legiferare riconosciutole dall’art. 2-bis al minimo, e cioè prevedendo solo (art. 9, comma 3) la dotazione minima di standards per le aree residenziali; per di più, riproducendo la misura minima già individuata dall’art. 3, primo comma, del d.m. del 1968 e, quindi, intendendo non applicabili, secondo la previsione generale dell’art. 103, anche le altre disposizioni nella stessa materia, previste dai successivi commi dell’art. 3 e dall’art. 4, primo e secondo comma.
16.1.2. In definitiva, si potrebbe dire che le norme regionali che derivano il loro fondamento nell’art. 2-bis integrino una “forma apparente” di esercizio del potere conferito alla Regione dall’art. 2-bis.
16.3. D’altro canto, proprio la possibile questione di legittimità costituzionale ipotizzabile a parere del Collegio in riferimento allo stesso art. 2-bis, conduce pure nella direzione di escludere la soluzione della interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso articolo, sostenuta dal Fallimento.
17. Il profilo della compatibilità costituzionale del suddetto art. 2-bis, rispetto alla competenza concorrente delle regioni in materia di “governo del territorio” in riferimento alla regolamentazione delle aree standards.
Ritiene il Collegio che sia percorribile la tesi secondo cui la nuova disposizione statale introdotta nel 2013, intervenendo in materia di competenza concorrente senza porre alcun confine di principio al potere di deroga attribuito a tutte le regioni rispetto alle preesistenti norme statali, senza assolvere alla funzione propria attribuita dalla Costituzione allo Stato di individuare i principi, così rendendo certamente possibili legislazioni regionali molto diverse tra di loro, contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost.
17.1. Inoltre, andrebbe esplorato anche un altro possibile profilo di legittimità costituzionale, rispetto all’art. 117, secondo comma Cost. attinente alle materie di competenza esclusiva dello Stato.
Si tratta di valori costituzionali che, come evidenziato anche dal Fallimento nella prospettazione della questione di costituzionalità, sono oramai strettamente correlati alla materia del “governo del territorio”, quali la materia attinente alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” [117, secondo comma, lett. m)], quella della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” [art. 117, secondo comma, lett. s)], nonché il diritto di impresa e il diritto di proprietà (artt. 41 e 42 Cost.). Correlazione tanto più evidente negli anni Duemila, come si è sviluppata nel corso del tempo nella giurisprudenza della Corte costituzionale ed eurounitaria, rispetto ad epoche ormai lontane, quali gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso ai quali risale la legislazione nazionale di principio di nostro interesse”.
2.2. Inoltre, a delimitare la questione di legittimità costituzionale ai fini della disamina della sua rilevanza e non manifesta infondatezza, si richiama un altro paragrafo della sentenza non definitiva nel quale si è rilevato che: “13. L’esistenza nell’ordinamento statale dell’art. 2-bis cit., oltre che dell’art. 41-quinquies, l. n. 1150 del 1942 e del d.m. del 1968, pone all’attenzione del Collegio il preliminare profilo dell’interpretazione del suddetto art. 2-bis all’interno del sistema dei principi vincolanti per la legislazione regionale, individuati dall’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. del 1968, e della sua compatibilità costituzionale rispetto alla competenza concorrente delle Regioni in materia di “governo del territorio”, posto che se fosse ipotizzabile la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis per violazione dell’art. 117, terzo e secondo comma, la stessa sarebbe logicamente preliminare alla illegittimità prospettata dal Fallimento rispetto alle norme regionali, venendo meno – nel caso di ipotetico accoglimento – la base normativa statale che consente di emanare disposizioni regionali derogatorie ai principi già presenti nella legislazione statale.
13.1. Preliminarmente, deve precisarsi che dalla fattispecie in esame derivano i confini della rilevanza della possibile questione di costituzionalità, dovendosi escludere ogni profilo attinente alle deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati, sui quali la Corte costituzionale è più volte intervenuta.
La fattispecie in esame è incentrata, infatti, unicamente sulle possibili deroghe, da parte della legislazione regionale, al d.m. del 1968 in materia di “spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi”, e dunque agli standards, “nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”. Materia che, a prescindere dalla mancata ricomprensione nel titolo dell’articolo, è indubbiamente disciplinata dall’art. 2-bis”.
3. A seguito della sentenza non definitiva e della richiesta di interlocuzione sui possibili profili di compatibilità costituzionale, le parti hanno depositato memorie, rispettivamente il Fallimento in data 16 luglio 2021 e il Comune di Villasanta in data 19 luglio 2021.
3.1. Entrambe le parti hanno, quindi, depositato istanze di passaggio in decisione senza discussione della causa.
4. Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Delimitato dunque il thema decidendum ai profili di rilevanza e di non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’articolo 103 della legge regionale n. 12 del 2005 della Regione Lombardia sopra individuate, la Sezione ritiene di dover sottoporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della precitata norma statale, e in via consequenziale della norma regionale.
Sulla rilevanza della questione relativa all’articolo 2 bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e, in particolare, al suo comma 1, con i quali è consentita la deroga a livello regionale dei parametri di cui al d.m. n. 1444/1968.
6. La questione di legittimità costituzionale sollevata dall’appellante riposa sul presupposto per cui l’articolo 2-bis, d.P.R. cit. autorizzerebbe le Regioni ad emanare una legislazione derogatoria rispetto al d.m. n. 1444 del 1968 in materia di dotazione delle aree a standard fino a poter arrivare ad annullarne la previsione, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
6.1. Ad avviso della Sezione la questione, nel caso in esame, presenta il requisito della rilevanza come argomentato dall’appellante principale.
Infatti, diversamente da quanto in contrario eccepito dal Comune di Villasanta, le disposizioni regionali applicate al caso in esame hanno consentito, proprio in applicazione dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, di adottare la disciplina urbanistica applicabile al contesto di proprietà del Fallimento con un sovradimensionamento degli standards per la destinazione produttiva attribuita al comparto al di sopra di quanto previsto dall’articolo 5 dello stesso d.m.
Il citato d.m. è parzialmente disapplicato nella Regione Lombardia sulla base dell’articolo 103, comma 1-bis, lett. a), della legge regionale n. 12 del 2005, per cui la materia degli standards è interamente disciplinata, in ambito regionale, dall’articolo 9 che prevede limiti minimi e non massimi soltanto per le zone residenziali e lascia alla programmazione urbanistica di competenza comunale la scelta della previsione di limiti minimi e massimi per tutte le altre destinazioni. Pertanto – ciò che rileva sotto il profilo della rilevanza – in caso di declaratoria della incostituzionalità dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 verrebbe a mancare il presupposto sul quale poggia la disposizione regionale (a sua volta incostituzionale in via derivata) e sarebbe di nuovo applicabile il d.m. n. 1444 del 1968 con i limiti ivi indicati per gli standards.
La questione di costituzionalità dell’articolo 2-bis appare, quindi, rilevante per la definizione del giudizio poiché in caso di suo annullamento verrebbe meno il presupposto sul quale poggiano le disposizioni del PGT comunale oggetto del contenzioso.
Non può, d’altro canto, trovare spazio l’argomento del Comune, secondo cui la questione di costituzionalità sarebbe irrilevante poiché il d.m. n. 1444 del 1968 non fissa limiti massimi per la dotazione di standards ma solo limiti minimi, per cui, nel caso in esame, vertendosi in tema di sovradimensionamento degli standards, non vi sarebbe una violazione bensì una deroga generalizzata autorizzata ai sensi dell’articolo 2-bis.
La tesi testé esposta conduce, infatti, alla impossibilità per il giudice di sindacare, in base ai parametri di legittimità, di ragionevolezza e di proporzionalità, le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’ambito della pianificazione urbanistica, essendo venuto meno, per il tramite del meccanismo di deroga di cui all’articolo 2-bis, anche il limite minimo nella fissazione degli standard.
Nel caso in esame la questione di costituzionalità è pertanto rilevante poiché l’appellante è stato sottoposto ad una cessione di aree a standard sulla base delle norme del PGT che trovano la loro fonte legittimante nella legge regionale, a sua volta “autorizzata” a stabilire deroghe dall’articolo 2 bis del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380/2001.
7. Tanto premesso, va innanzi tutto esaminata la possibilità di una lettura costituzionalmente orientata della norma statale, tale da far venir meno il dovere di rimessione della questione alla Corte costituzionale.
Una prima possibile interpretazione del genere è stata adombrata, in termini dubitativi e da definirsi a seguito della interlocuzione delle parti, nella stessa precedente sentenza parziale (§§ 16 e 16.1), laddove si sottolinea come, in ogni caso, le regole cogenti del d.m. n. 1444 del 1968 si riespanderebbero in caso di mancato esercizio da parte delle Regioni della facoltà di deroga riconosciuta dall’articolo 2-bis; una seconda è ipotizzata dal Comune, il quale prospetta la possibilità di interpretare la norma nel senso di far salvi in ogni caso i limiti inderogabili stabiliti dal d.m. (pag. 5 della memoria del 12 luglio 2021).
Tuttavia, di queste due letture la prima non è idonea a far venir meno la possibile illegittimità costituzionale della disposizione: il fatto che la “cedevolezza” delle previsioni del d.m. sia solo potenziale, dipendendo dal concreto esercizio dal parte delle Regioni della facoltà di deroga, non fa venir meno il vulnus a quella che dovrebbe essere, in thesi, la loro inderogabilità da parte del legislatore regionale.
Quanto alla seconda ipotesi, questa si risolve – in sostanza - nel far dire alla norma regionale qualcosa che la stessa espressamente non afferma, sulla base di un’argomentazione ermeneutica “additiva” che non trova aggancio nel dato testuale.
Peraltro, malgrado un dubbio interpretativo possa forse essere ingenerato dal successivo comma 1-bis dell’articolo in esame, introdotto dal più recente d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, secondo cui le disposizioni del comma 1 “sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio”, il tenore testuale del comma 1 rimane inequivoco nel ricollegare il potere di deroga al d.m. n. 1444/1968 alla possibilità riconosciuta alle Regioni e alle Province autonome di “dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.
Pertanto, nonostante il quanto mai infelice e poco perspicuo dato testuale, non sembra dubitabile che la finalità della previsione sia quella di autorizzare una deroga a tutti i parametri e criteri contenuti nel d.m. n. 1444/1968, e non solo a taluni di essi (ciò che peraltro è confermato dai plurimi interventi legislativi, come quello qui all’attenzione, con cui le Regioni si sono avvalse di tale facoltà).
8. Ritenuta impraticabile la via della interpretazione costituzionalmente orientata, la Sezione osserva che la questione assume rilevanza in relazione alla possibile violazione dei parametri costituzionali di cui agli articoli 3 e 117, terzo comma, con riferimento alla lesione della competenza statale concorrente in materia di “governo del territorio”, nonché rispetto al secondo comma del medesimo articolo 117, lett. m) ed s) (lesione della competenza esclusiva statale in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e di “tutela dell’ambiente”).
Sul possibile contrasto con gli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione.
9. Con riguardo al primo profilo oggetto di scrutinio, va preliminarmente rilevato che – come già precisato nella sentenza non definitiva emessa da questa stessa Sezione (§13.1.: “Preliminarmente deve precisarsi che dalla fattispecie in esame derivano i confini della rilevanza della possibile questione di costituzionalità, dovendosi escludere ogni profilo attinente alle deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati, sui quali la Corte è più volte intervenuta. la fattispecie in esame è incentrata, infatti, unicamente sulle possibili deroghe, da parte della legislazione regionale, al D.M. del 1968 in materia di “spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli a quelli riservati alle attività collettive ai parcheggi” e dunque agli standards, “nell’ambito delle definizione revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario di specifiche aree territoriali”) – non vi è alcuna analogia della questione in esame rispetto a quelle esaminate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare sent. n. 13 del 7 febbraio 2020) relative alle norme del medesimo d.m. n. 1444/1968 in materia di distanze (articoli 9 e 10).
Tali ultime norme sono state ritenute dalla Corte in via di principio inderogabili da parte della legislazione regionale, in quanto afferenti alla materia dell’ordinamento civile (articolo 117, secondo comma, lettera l), Cost.), mentre lo stesso non si può dire per le altre norme contenute nel citato decreto, le quali prima facie attengono unicamente alla materia “governo del territorio”, oggetto di competenza concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 Cost.: ciò impone di individuare le norme di principio della legislazione statale in subiecta materia, le quali segnano il limite della competenza legislativa regionale.
9.1. Per quanto qui interessa, può ipotizzarsi che la norma statale di principio sia da rivenirsi nel già citato articolo 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dalla legge n. 765 del 1967, il quale – come è noto - costituisce la fonte di derivazione del d.m. n. 1444 del 1968, imponendo agli strumenti urbanistici generali il rispetto di parametri e limiti definiti espressamente “inderogabili”.
9.2. Orbene, ad avviso della Sezione e contrariamente a quanto sostenuto in giudizio dal Comune di Villasanta, non può ritenersi – neanche a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione attuata con la legge costituzionale n. 3/2001 - che ad oggi inderogabile da parte della legislazione regionale sia soltanto l’ottavo comma del predetto articolo (il quale, appunto, stabilisce l’obbligo che gli strumenti urbanistici generali stabiliscano “limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”) e non anche il successivo nono comma, che demanda a un apposito decreto ministeriale la fissazione dei predetti limiti e rapporti; ciò, alla luce della giurisprudenza costituzionale dianzi richiamata, dovrebbe portare alla bizzarra conclusione che il comma da ultimo citato sia - in realtà - derogabile da parte delle Regioni non sempre e comunque, ma solo per la parte relativa ai “rapporti”, dal momento che per quella relativa ai “limiti” (di densità, altezza, distanza) è già pacifico che non lo è, attesa la acclarata riconducibilità delle norme del d.m. n. 1444 del 1968 in tema di distanze, altezze etc. alla materia “ordinamento civile” di esclusiva competenza statale (cfr. Corte cost., sent. n. 13/2020, cit.).
9.3. Può dunque ritenersi, posto che nella materia del governo del territorio le leggi regionali debbano rispettare le norme di principio della legislazione statale, che il nono comma dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/1942 esprima l’esigenza che le dotazioni di spazi pubblici, infrastrutture, servizi etc. rispondano a criteri di definizione omogenei su tutto il territorio nazionale, non essendo costituzionalmente ammissibile che possano esservi discrasie anche vistose tra Regione e Regione, in virtù dei diversi rapporti e parametri liberamente individuabili dalle diverse legislazioni regionali.
Tale però sembra essere il risultato dell’applicazione dell’articolo 2-bis del d.P.R. n. 380/2001, come inserito dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, il quale, autorizzando le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano a “prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444”, produce l’effetto di “neutralizzare” il carattere cogente delle anzi dette disposizioni dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/1942 e delle disposizioni regolamentari che ne discendono.
9.4. Tuttavia, anche a voler ritenere che con la novella del 2013 al T.U. dell’edilizia il legislatore statale abbia inteso perseguire una deliberata ratio di abrogazione implicita dei commi ottavo e nono dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/1942, tale operazione appare di dubbia compatibilità con il quadro costituzionale sopra delineato, in quanto si risolve in una sostanziale abdicazione dalla fissazione di parametri e criteri generali, cui pure il legislatore statale sarebbe chiamato in materia di competenza concorrente, in modo da consentire a ciascuna Regione di dettare regole autonome e disomogenee in materia di dimensionamento delle aree a destinazione residenziale, degli spazi pubblici, delle infrastrutture, del verde pubblico etc.
Ciò peraltro comporta effetti discriminatori, rilevanti sotto il profilo della violazione dell’articolo 3 della Costituzione, nella misura in cui, obliterando l’esigenza di fissazione di criteri omogenei e uniformi a suo tempo espressa dai commi ottavo e nono dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/1942, finisce per incidere sul regime proprietario dei suoli, che – come puntualmente dedotto dal Fallimento nel presente giudizio - risulta potenzialmente assoggettato a regole differenti nelle diverse Regioni pur in relazione ad aree avente identica destinazione urbanistica e ad interventi edilizi rientranti nella medesima tipologia.
Sul possibile contrasto con l’articolo 117, comma secondo, lettere m) ed s), della Costituzione.
10. Sotto diverso profilo, la disposizione di cui al comma 1 del ricordato articolo 2-bis, d.P.R. n. 380/2001 interseca le competenze statali esclusive di cui all’articolo 117, comma secondo, lettere m) (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”) ed s) (“tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”) della Costituzione.
10.1. Quanto al primo aspetto, anche prescindendo dall’orientamento giurisprudenziale che, anteriormente alla entrata in vigore dell’articolo 2-bis, sosteneva che le disposizioni del d.m. n. 1444 del 1968 fossero sempre e comunque cogenti nei confronti dei pianificatori comunali, il più volte citato nono comma dell’articolo 41-quinquies, l. n. 1150/1942 rileva anche sotto il profilo della necessità di assicurare una quota minima di infrastrutture e aree per servizi pubblici che sia la stessa sull’intero territorio nazionale.
In definitiva, pur in un quadro costituzionale e legislativo caratterizzato dai principi di sussidiarietà verticale e di prossimità territoriale, in ragione dei quali la regolazione dell’assetto del territorio è rimessa quanto più possibile ai livelli di governo più vicini alle comunità di riferimento, deve ritenersi che la determinazione delle dotazioni infrastrutturali pubbliche o di interesse generale resti riservata al legislatore statale, in quanto ragionevolmente riconducibile all’ambito delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali; in tale prospettiva, al legislatore statale spetta non soltanto individuare i principi fondamentali della materia, sibbene fissare i livelli minimi delle predette prestazioni, rispetto ai quali le normative regionali potrebbero intervenire esclusivamente in senso “rafforzativo”.
Ciò peraltro non comporta la totale obliterazione delle competenze legislative regionali, atteso che altro è la determinazione di livelli essenziali (minimi), altro la regolamentazione, tanto in termini quantitativi che qualitativi, delle dotazioni di standard, rispetto alla quale ultima – una volta garantito il rispetto della normativa statale vigente – la competenza regionale (che dovrebbe comunque ritenersi, ratione materiae, comunque di tipo concorrente) potrebbe tornare in gioco.
10.2. Sotto il secondo dei profili dianzi indicati, già da tempo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha evidenziato come il potere di pianificazione, specie alla luce delle scelte legislative più recenti, non possa dirsi limitato all’individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, e in specie alle potenzialità edificatorie delle stesse e ai limiti che incontrano tali potenzialità, dovendo invece essere inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non sia limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale, non in contrasto ma, anzi, in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato, in funzione di uno sviluppo del territorio che si svolga nel quadro del rispetto e dell’attuazione di valori costituzionalmente tutelati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839; id., sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656).
Tale impostazione è stata nella sostanza condivisa anche dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, ha rilevato che la nozione di “governo del territorio” ha un contenuto più ampio di quella di “urbanistica”, individuando in linea di principio tutto ciò che attiene all’uso del territorio ed alla localizzazione di impianti o attività (cfr. Corte cost., sent. 7 ottobre 2003, n. 307), ed ha altresì precisato che la relativa disciplina, pur toccando profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia, non si esaurisce in esse, riferendosi piuttosto all’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio (cfr. Corte cost., sentt. 14 ottobre 2005, n. 383, e 28 giugno 2004, n. 196). Ne discende, in relazione al rapporto tra le competenze concorrenti in subiecta materia e la competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente ex articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., che quest’ultima segna un limite negativo alle discipline che le Regioni possono introdurre in altre materie di propria competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare livelli di tutela ambientale più elevati (cfr. Corte cost., sent. n. 22 luglio 2021, n. 164, e in precedenza sentt. 23 luglio 2009, n. 235, 18 aprile 2008, n. 104, e 7 novembre 2007, n. 367).
Alla stregua dei consolidati orientamenti che si sono richiamati, anche laddove si sia in presenza di una legislazione regionale esclusivamente indirizzata a introdurre una disciplina in materia di pianificazione urbanistica, e che tuttavia intercetti aspetti “sensibili” sotto il profilo della vivibilità del territorio quali sono quelli afferenti alla dotazione di infrastrutture e servizi per la collettività, non può non venire in rilievo la competenza esclusiva statale de qua con la correlativa possibilità per le Regioni di intervenire in deroga solo in senso “migliorativo”.
Sulla consequenziale illegittimità costituzionale dell’articolo 103, comma 1-bis, della l.r. della Lombardia n. 12/2005.
11. La prospettata illegittimità costituzionale dell’articolo 2-bis, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, per le ragioni testé evidenziate, comporterebbe il venir meno della base normativa delle disposizioni regionali con cui, in attuazione di quanto stabilito nella norma statale, sia stata introdotta una disciplina degli standard urbanistici potenzialmente derogatoria dei limiti “inderogabili” di cui al d.m. n. 1444 del 1968, è fra queste, per quanto qui interessa, dell’articolo 103, comma 1-bis, della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005.
Sotto quest’ultimo profilo non ha pregio l’argomento, articolato dal Comune nella memoria del 12 luglio 2021, secondo cui la disposizione in questione non opererebbe a regime, riguardando solo l’adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti alle nuove disposizioni introdotte dalla stessa l.r. n. 12 del 2005: infatti, ai fini che qui interessano, rileva soltanto il fatto che per effetto di essa possano trovare ingresso nell’ordinamento prescrizioni urbanistiche, comunque destinate a valere a tempo indefinito, elaborate nella totale disapplicazione del criteri e parametri di cui al ricordato d.m. n. 1444 del 1968.
Pertanto, la disposizione andrebbe a sua volta dichiarata incostituzionale in via consequenziale in applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo cui la Corte costituzionale, allorché dichiara illegittime le disposizioni che formano direttamente oggetto dell’incidente di costituzionalità, “dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”.
Conclusioni
12. Alla stregua dei rilievi fin qui svolti, devono quindi essere dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le descritte questioni di legittimità costituzionale:
i) dell’articolo 2 bis, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.), come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 20 agosto 2013, n. 194, S.O.), per violazione degli articoli 3 e 117, secondo comma, della Costituzione;
ii) dell’articolo 2 bis, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.), come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 20 agosto 2013, n. 194, S.O.), per violazione dell’articolo 117, terzo comma, lettere m) ed s), della Costituzione;
iii) in via consequenziale, dell’articolo 103, comma 1-bis, della legge regionale della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 16 marzo 2005), come introdotto dalla legge regionale 14 marzo 2008, n. 4 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 17 marzo 2008, n. 12), e successivamente modificato dalla l.r. 26 novembre 2019, n. 18 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 29 novembre 2019, n. 48), per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettere m) ed s), e terzo comma, della Costituzione.
Il presente giudizio va quindi sospeso con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale relative:
- all’articolo 2-bis, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.), come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 20 agosto 2013, n. 194, S.O.), per violazione degli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione;
- all’articolo 2-bis, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 20 ottobre 2001, n. 245, S.O.), come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale 20 agosto 2013, n. 194, S.O.), per violazione dell’articolo 117, terzo comma, lettere m) ed s), della Costituzione;
- in via consequenziale, all’articolo 103, comma 1-bis, della legge regionale della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 16 marzo 2005), come introdotto dalla legge regionale 14 marzo 2008, n. 4 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 17 marzo 2008, n. 12), e successivamente modificato dalla l.r. 26 novembre 2019, n. 18 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia 29 novembre 2019, n. 48), per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettere m) ed s), e terzo comma, della Costituzione.
Sospende il giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica e al Presidente del Consiglio regionale della Regione Lombardia.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Luca Lamberti, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere, Estensore