Consiglio di Stato Sez. VII n. 9786 del 6 dicembre 2024
Urbanistica.Ambito di applicazione dell'art. 35 TU 

L’art. 35, d.P.R. n. 380 n. 2001 va interpretato con particolare rigore, in quanto l’abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L’art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto. Infatti il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Né il Comune è tenuto ad effettuare una valutazione comparata tra l'interesse privato e quello pubblico, al ripristino della legalità violata, e a darne conto con specifica motivazione. 

Pubblicato il 06/12/2024

N. 09786/2024REG.PROV.COLL.

N. 09341/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9341 del 2023, proposto da
Caterina Elisabetta Vitale, Mario Vitale, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Scalzi, Marco Costantino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Soverato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Felice Siciliano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. 524/2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Soverato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti l’Avv. Giuseppe Viscomi su delega di Felice Siciliano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza/diffida non rinnovabile di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi” emessa dal Comune di Soverato in data 6 luglio 2021, n. 2, con la quale è stato ordinato a Caterina Elisabetta Vitale e a Mario Vitale la demolizione di alcune opere realizzate senza titolo o in difformità da questo su un’area sita nel territorio comunale, individuata in catasto alla particella n. 834 del foglio di mappa 5, appartenente al Demanio pubblico dello Stato, ramo marina mercantile; ed è stato, altresì, ordinato lo sgombero della medesima area.

Il provvedimento impugnato in primo grado così descrive i manufatti:

1) struttura in blocchi di cemento in calcestruzzo m. 7,10 x 4,50, con tetto di copertura ad una falda in lamiera coibentata addossata ad un muro di contenimento avente altezza massima di m. 2,90 ed un'altezza minima di m. 2,00 su area demaniale, difformemente a quanto rappresentato nella domanda di condono edilizio di cui al permesso di costruire n. 45 del 2005 ed in assenza di verifica sismica;

2) freschiera di circa mq. 10 in ferro tubolare ancorata al suolo e pavimentazione in mattoni poggiati a secco;

3) tettoia di circa mq. 10 posta a nord dell'area oggetto di intervento;

4) fontana in pietrisco di mare, con scarico che va a disperdersi nel sottosuolo.

La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze.

Il provvedimento impugnato indica espressamente il suo fondamento normativo: l’art. 35 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in base al quale, qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni statali, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.

Il Tar ha ritenuto che l’art. 35, d.P.R. n. 380 n. 2001 vada interpretato “con particolare rigore, in quanto l’abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L’art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto”.

L’amministrazione comunale ha espressamente dichiarato di ritrarre il potere di ordinare la demolizione nell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001, rilevando che i manufatti, collocati su area demaniale, sono stati realizzati in assenza o in difformità dal titolo edilizio.

Il Tar ha ritenuto che sussistano entrambi i presupposti per l’emanazione dell’ordinanza di demolizione

Invero, dalla verifica compiuta dall’Agenzia del Demanio, che ha fatto riferimento a misurazioni tachimetriche svolte negli anni passati, è emerso che le opere indicate nell’ordinanza impugnata sono state realizzate sulla particella n. 834, foglio di mappa n. 5, in testa al Demanio Pubblico dello Stato – Ramo Marina Mercantile e che il limite demaniale marittimo coincide con il limite fissato nella cartografia catastale.

Il Tar ha effettuato l’accertamento sulla natura dell’area incidenter tantum, al solo scopo di verificare la sussistenza dei presupposti per l’emanazione dell’ordinanza di cui all’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001. A tal fine, la documentazione depositata dall’Agenzia del Demanio è stata ritenuta sufficiente, anche perché parte ricorrente non ha fornito alcun elemento fattuale utile a superare le valutazioni svolte dall’amministrazione.

Il Tar ha osservato che i ricorrenti, dal canto loro, non hanno dimostrato in giudizio di avere un qualche titolo che legittimi l’occupazione dell’area demaniale in oggetto.

Invero, l’autorizzazione rilasciata dalla Capitaneria di Porto ex art. 55 cod. nav., appare riferibile all’area di proprietà dei ricorrenti, solo confinante con l’area demaniale (particella 205, foglio di mappa 5), non già all’area individuata alla particella n. 834, foglio di mappa 5, sulla quale insistono i manufatti oggetto dell’ordinanza impugnata che è appartenente al demanio.

Difatti, con tale atto viene autorizzata a sanatoria solo la costruzione di una casa per civile abitazione.

Pertanto, secondo il Tar, le opere oggetto dell’ordinanza sono state abusivamente realizzate su suolo demaniale.

Quanto, invece, ai titoli edilizi, il Tar ha rilevato che il permesso di costruire in sanatoria vantato dai ricorrenti è riferito ad una soltanto delle opere oggetto dell’ordinanza (struttura in blocchi di cemento in calcestruzzo) ed è sussistente, sulla base della documentazione e della relazione depositata dal Comune di Soverato, la difformità dell’opera realizzata da quella oggetto dell'istanza, sia per l’assenza in essa di riferimenti alla particella n. 834, sulla quale insiste l’opera, appunto di proprietà demaniale, sia perché il permesso di costruire in sanatoria si riferisce ad un’opera (manufatto misurante m. 4,30 x 2,45, avente altezza massima di m. 2,85: cfr. doc. nn. 5 e 8 e relazione del Comune) di dimensioni diverse da quelle del fabbricato attualmente presente sull’area.

Dunque, secondo il Tar, i manufatti di cui l’ordinanza impugnata ordina la demolizione sono stati realizzati in assenza di qualsivoglia titolo legittimante.

Il Tar ha poi osservato che il provvedimento di demolizione che contenga in sé anche la diffida non è illegittimo, ciò in quanto il comma 1 dell’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001 non indica un lasso temporale minimo tra la prima e la seconda, pertanto alla diffida può seguire immediatamente l’ordinanza di demolizione, senza che il destinatario possa trarre alcun beneficio dalla sua preventiva notificazione, né alcuna concreta lesione dalla sua mancanza (Cons. Stato, sez. II, 5 luglio 2019, n, 4662).

Il Tar ha poi osservato, con riferimento alla partecipazione endoprocedimentale, che ai ricorrenti era ben noto il procedimento; ne è a dimostrazione il fatto che gli stessi hanno partecipato, a mezzo di soggetti all’uopo incaricati, ai sopralluoghi, in particolare a quello del 23 giugno 2021, antecedente all’emanazione del provvedimento. In tale sede, i ricorrenti hanno fornito elementi istruttori (autorizzazione ex art. 55 cod. nav. e permesso di costruire), successivamente valutati dall’amministrazione, per come espresso nella motivazione.

Infine il Tar ha ritenuto che risultano inconferenti le precedenti decisioni di questo Tribunale Amministrativo Regionale, pure invocate dalla parte ricorrente.

Tali pronunzie, infatti, riguardano situazioni fattuali differenti.

Nella prima, l’amministrazione non aveva esaminato i documenti che il privato avrebbe potuto produrre e che sarebbero stati dirimenti per condurre ad un esito differente del procedimento, in punto di violazioni di norme urbanistiche e di natura demaniale delle aree coinvolte; e inoltre aveva solo formalmente esercitato il potere attribuito dall’art. 35 d.P.R. n. 380 del 2001, avendo in realtà fondato il proprio provvedimento di demolizione esclusivamente sull’affermazione della natura demaniale dell’area (TAR Calabria- Catanzaro, Sez. I, 6 febbraio 2018, n. 319).

Nella seconda, si trattava del diniego della richiesta di annullamento di un verbale di ispezione, posta in essere dall’Agenzia del Demanio, senza che il soggetto privato potesse produrre documentazione circa la linea di demarcazione demaniale (TAR Calabria – Catanzaro, sez. I, 19 settembre 2019, n. 1581).

2.1 Parte appellante lamenta che la sentenza del TAR Catanzaro n.319/2018 (passata in giudicato per difetto di impugnazione) ha accolto il ricorso proposto della sig.ra Cutruzzolà (madre e dante causa degli attuali ricorrenti sig.ri Vitale) avverso un provvedimento comunale avente contenuto identico a quello oggetto della presente impugnativa.

2.2 La censura è infondata.

Infatti la sentenza del Tar Catanzaro n° 319/2018 ha ad oggetto provvedimento adottato in data 20 giugno 2006 e l’accoglimento del ricorso è stato determinato da vizi di violazione delle garanzie partecipative, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione.

Nel caso di specie invece è stato impugnato in primo grado la distinta ordinanza/diffida non rinnovabile di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi” emessa dal Comune di Soverato in data 6 luglio 2021, che fa riferimento al verbale di sopralluogo prot. n° 7374 del 9 luglio 2021.

Trattandosi di provvedimenti e di procedimenti distinti, anche con riferimento all’istruttoria, le conclusioni di cui alla invocata sentenza del Tar Catanzaro n° 319/2018 non possono essere estese all’ordinanza del Comune di Soverato del 6 luglio 2021, considerando che i vizi accertati sono strettamente riferiti allo specifico procedimento.

Altrettanto correttamente il Tar ha ritenuto l’estraneità alla presente fattispecie della sentenza TAR Calabria – Catanzaro, sez. I, 19 settembre 2019, n. 1581.

Si trattava infatti del diniego della richiesta di annullamento di un verbale di ispezione, posta in essere dall’Agenzia del Demanio, senza che il soggetto privato potesse produrre documentazione circa la linea di demarcazione demaniale.

3.1 Secondo parte appellante il Comune di Soverato avrebbe trascurato il fatto che le singole opere elencate sono piccoli interventi accessori di completamento e rifinitura che hanno una evidente natura parziale accessoria e costituirebbero, se mai, opere in difformità parziale suscettibile di sanzione diversa rispetto alla difformità totale e tali da non poter essere considerate come globalmente abusive al pari della occupazione del terreno parimenti sanzionata con la riduzione in pristino.

Sarebbe altresì fondato il vizio di incompetenza (laddove l’autorità comunale agisce per tutelare il demanio marittimo e non l’interesse edilizio e urbanistico di competenza comunale ai sensi dell’art.35 citato e degli altri provvedimenti in materia di sanzioni edilizie) e dello sviamento di potere, perseguendo l’Autorità comunale l’intento di utilizzare una fascia di terreno sopraelevato rispetto all’arenile.

Parte appellante lamenta che il provvedimento impugnato darebbe rilievo non all’esistenza di opere eseguite senza titolo, ma solo ed esclusivamente all’asserita occupazione di suolo demaniale.

Parte appellante ritiene altresì l’insussistenza della necessità del permesso di costruire quanto alla freschiera ed alla doccia esterna costituita da un tubo appoggiato alla parete ed anche alla tettoia ed alla scala esistente da sempre nonché quanto all’alloggiamento dell’autoclave.

3.2 Le censure sono infondate.

Parte appellante tenta di sminuire l’entità delle opere con valutazione riferita a ciascuna di esse isolatamente.

Invece le opere vanno considerate nel loro insieme.

Trattasi di:

1) struttura in blocchi di cemento in calcestruzzo m. 7,10 x 4,50, con tetto di copertura ad una falda in lamiera coibentata addossata ad un muro di contenimento avente altezza massima di m. 2,90 ed un'altezza minima di m. 2,00 su area demaniale, difformemente a quanto rappresentato nella domanda di condono edilizio di cui al permesso di costruire n. 45 del 2005 ed in assenza di verifica sismica;

2) freschiera di circa mq. 10 in ferro tubolare ancorata al suolo e pavimentazione in mattoni poggiati a secco;

3) tettoia di circa mq. 10 posta a nord dell'area oggetto di intervento;

4) fontana in pietrisco di mare, con scarico che va a disperdersi nel sottosuolo.

Trattasi pertanto di interventi che da un lato non possono essere oggetto di edilizia libera.

Infatti, come si ricava anche dalla documentazione fotografica depositata in giudizio, si tratta di manufatti aventi una superficie considerevole, consistenti in struttura in blocchi di cemento e copertura in lamiera coibentata e, quanto alle tettoie, struttura in ferro tubolare stabilmente fissata al suolo, quindi manufatti non agevolmente rimovibili e destinati a soddisfare esigenze prolungate nel tempo.

Trattasi dunque di opere che implicano una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed una alterazione dei luoghi e che pertanto richiedono il previo rilascio del titolo edilizio.

Correttamente il Tar ha osservato che il permesso di costruire in sanatoria vantato dai ricorrenti è riferito ad una soltanto delle opere oggetto dell’ordinanza (struttura in blocchi di cemento in calcestruzzo) e ricorre, sulla base della documentazione e della relazione depositata dal Comune di Soverato, la difformità dell’opera realizzata da quella oggetto dell'istanza, sia per l’assenza in essa di riferimenti alla particella n. 834, sulla quale insiste l’opera, appunto di proprietà demaniale, sia perché il permesso di costruire in sanatoria si riferisce ad un’opera (manufatto misurante m. 4,30 x 2,45, avente altezza massima di m. 2,85: cfr. doc. nn. 5 e 8 e relazione del Comune) di dimensioni diverse da quelle del fabbricato attualmente presente sull’area.

Dunque, i manufatti di cui l’ordinanza impugnata ordina la demolizione sono stati realizzati in assenza di titolo legittimante.

In relazione all’ulteriore profilo indicato nell’ordinanza di demolizione la costruzione di tali opere non è consentita perché sono state poste in essere su suolo demaniale in assenza di concessione con la conseguenza che anche sotto tale profilo le opere non possono permanere, in quanto realizzate da soggetto privo di un titolo possessorio o dominicale.

L’ordinanza di demolizione ha fatto dunque corretto riferimento sia all’illecito edilizio sia all’illecita occupazione di suolo demaniale.

Come sottolineato dal Tar, il Comune di Soverato ha fatto corretta applicazione dell’ l’art. 35 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in base al quale, qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni statali, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.

Altrettanto correttamente il Tar ha ritenuto che l’art. 35, d.P.R. n. 380 n. 2001 vada interpretato “con particolare rigore, in quanto l’abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L’art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto.

Infatti il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Né il Comune è tenuto ad effettuare una valutazione comparata tra l'interesse privato e quello pubblico, al ripristino della legalità violata, e a darne conto con specifica motivazione (così Consiglio di Stato VI n° 729 del 23 gennaio 2024).

4.1 Parte appellante lamenta che:

a) il provvedimento lesivo dei diritti dei ricorrenti sarebbe stato preso in difetto della prescritta garanzia del contraddittorio anticipato voluto dalla normativa della legge sul procedimento amministrativo e la illegittimità risulta accentuata per il fatto che è stata disposta direttamente la demolizione senza la preventiva diffida (con l’assegnazione del relativo termine) richiesta espressamente dallo stesso art.35 del T.U. n.380/2001.

Fa riferimento alla circostanza che per la realizzazione dell’edificio di cui le opere accessorie fanno parte, l’Autorità demaniale avrebbe rilasciato l’autorizzazione ai sensi dell’art.55 del codice della navigazione, riconoscendo così espressamente che l’attività edilizia veniva espletata nei trenta metri dal demanio e non dentro il demanio. Ed inoltre l’ordinanza riconoscerebbe l’esistenza di un condono (per cui immotivatamente afferma esservi stata una inesistente difformità) con ciò riconoscendo ancora una volta la realizzazione su aerea privata.

Il contraddittorio anticipato sarebbe stato pertanto efficace al fine di procedere alla verifica della esistenza o meno della demanialità ed al fine di fare riferimento ad una completa istruttoria.

4.2 Le censure sono infondate.

Come evidenziato dal Tar, ai ricorrenti era ben noto il procedimento; ne è a dimostrazione il fatto che gli stessi hanno partecipato, a mezzo di soggetti all’uopo incaricati, ai sopralluoghi, in particolare a quello del 23 giugno 2021, antecedente all’emanazione del provvedimento. In tale sede, i ricorrenti hanno fornito elementi istruttori (autorizzazione ex art. 55 cod. nav. e permesso di costruire), successivamente valutati dall’amministrazione, come risulta dalla motivazione dell’ordinanza di demolizione.

Inoltre l’attività di repressione degli abusi edilizi ha natura vincolata per cui non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, prevista dall’art. 7 della L. n. 241/90, tenuto conto che il provvedimento non potrebbe essere diverso da quello in concreto adottato.

Anche la documentazione cui ha fatto riferimento parte appellante è stata oggetto di verifica, essendo stata ritenuta non rilevante, in quanto, con riferimento alla pratica di condono, è emerso che nella relativa istanza e nell’elaborato a corredo, non è stata rappresentata la particella n. 834 di proprietà del Demanio Pubblico dello Stato – Ramo Marina Mercantile e che, comunque, detta istanza, si riferisce a manufatto avente caratteristiche diverse da quello che attualmente insiste sull’area demaniale, in ragione delle diverse dimensioni.

Quanto all’autorizzazione ex art. 55 cod. nav., come correttamente affermato nella sentenza impugnata, la stessa è riferibile all’area di proprietà degli appellanti (foglio 5, particella n. 205), solo confinante con l’area demaniale in questione, identificata al foglio n. 5, particella n. 834, sulla quale insistono i manufatti oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata.

Questo Consiglio ha avuto poi modo di puntualizzare che "l' art. 35 del testo unico dell'edilizia, quando precisa che - in presenza di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici - l'Amministrazione comunale ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi previa diffida non rinnovabile, intende con quest'ultima prescrivere al dirigente incaricato di non procrastinare (accordando ulteriori diffide) l'attuazione delle misure necessarie a ripristinare la legalità" (così Consiglio di Stato, sez. VII , 20 ottobre 2022 n° 8935) cosicché il destinatario dell’ordine di demolizione non subisce alcuna concreta lesione dalla mancanza della previa diffida (così Consiglio di Stato VII n° 8707 del 6 ottobre 2023).

5.1 Parte appellante lamenta che il Comune di Soverato non avrebbe provato la demanialità del terreno.

5.2 La censura è priva di fondamento.

La motivazione del provvedimento impugnato ha fatto specifico riferimento alle risultanze catastali.

L’art. 950 del cod. civ. stabilisce che in mancanza di altri elementi il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali.

Ne consegue che, come nel caso di specie, le risultanze catastali costituiscono idoneo mezzo di prova in mancanza di elementi contrari.

Al contrario gli accertamenti oggetto di istruttoria in primo grado hanno acclarato la demanialità dell’area.

Così il Tar ha osservato che, dalla verifica compiuta dall’Agenzia del Demanio è emerso che le opere indicate nell’ordinanza impugnata sono state realizzate sulla particella n. 834, foglio di mappa n. 5, in testa al Demanio Pubblico dello Stato – Ramo Marina Mercantile e che il limite demaniale marittimo coincide con il limite fissato nella cartografia catastale.

Né può avere rilievo il riferimento di parte appellante alla posizione sopraelevata della zona la demanialità discende direttamente dalla legge, né può valere ad escluderla la conformazione, come può desumersi dall’art. 55 cod. nav. che espressamente richiama il “ciglio dei terreni elevati sul mare”.

Parimenti infondato è il rilievo inerente la presenza di una stradina realizzata in zona dal Comune di Soverato in quanto trattasi di una stradina percorribile solo a piedi o in bicicletta destinata a rendere più agevole l’accesso alla contigua spiaggia dal centro abitato, per cui, evidentemente, si è in presenza di utilizzazione del bene per il soddisfacimento di bisogni collettivi.

A ulteriore conferma di quanto sopra depongono le affermazioni degli stessi appellanti riportate nella richiesta di rilascio concessione demaniale marittima, inerente proprio la particella n. 834 del foglio n. 5, depositata all’Ufficio Protocollo del Comune di Soverato, in data 6 febbraio 2023, e depositata in giudizio dal Comune di Soverato.

Infatti, in tale istanza risulta espressamente riconosciuto, da parte dei medesimi appellanti, che l’area in questione è posta in capo al Demanio Pubblico dello Stato.

L’appello deve pertanto essere respinto.

La condanna alle spese a favore del Comune di Soverato segue la soccombenza nella misura di Euro 4.000 oltre accessori di legge

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell’appello a favore del Comune di Soverato nella misura di Euro 4.000/00 (Quattromila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere, Estensore