Consiglio di Stato Sez. VII n. 229 del 14 gennaio 2025
Urbanistica.Demolizione interventi abusivi eseguiti su suoli del demanio o del patrimonio dello stato

Nella parte in cui prevede che l’ordine di demolizione, nel caso di interventi abusivi eseguiti su suoli del demanio o del patrimonio dello stato, debba essere rivolto al “responsabile” dell’abuso, l’art.35 del Testo unico dell’edilizia vada letto, anche coordinandolo con le altre disposizioni sanzionatorie del D.P.R. n.380 del 2001, come norma che ricomprende, non solo i soggetti a cui è addebitabile la realizzazione dell’opera sine titulo, ma anche coloro che, non rimuovendola, contribuiscono di fatto a farla indebitamente permanere sul suolo pubblico. A voler diversamente opinare, tutte le volte in cui la persona del proprietario e/o dell’utilizzatore del bene abusivo non coincida con quella del responsabile materiale dell’abuso, l’amministrazione si troverebbe nell’impossibilità di porre rimedio ad una riscontrata situazione di contrasto con la normativa urbanistica e più in generale, illecita. Si consideri, sotto quest’ultimo profilo, che rappresenta pur sempre indiscutibilmente un illecito il realizzare e mantenere, senza il consenso del proprietario e per di più senza titolo edilizio, un immobile abusivo su suolo pubblico. In secondo luogo, l’interpretazione restrittiva della disposizione adottata dal tribunale si rivela vieppiù inesatta, considerando che in generale il provvedimento demolitorio, alla cui categoria generale appartiene, come species anche quello previsto dall’art.35 del D.P.R. n.380 citato, perseguendo la finalità obiettiva di ripristinare l’ordine urbanistico violato, ha natura sanzionatoria reale e dunque opera necessariamente, in via ambulatoria. Il che significa che può essere rivolta anche nei confronti del proprietario e/o del possessore del bene, ancorché non responsabili dell’abuso

Pubblicato il 14/01/2025

N. 00229/2025REG.PROV.COLL.

N. 01488/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1488 del 2024, proposto da Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Comunale, Anna Attanasio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Giuseppe Bisogno, in proprio e nella qualità di Legale Rappresentante della Società “Edil C. & B. S.a.s.”, rappresentato e difeso dall'avvocato Marcello Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Campania, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 1629/2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giuseppe Bisogno, in proprio e Nella Qualità di Legale Rappresentante della Società “Edil C. & B. S.a.s.”;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati Nicola Comunale e Filippo Lattanzi per delega dell'Avv. Marcello Fortunato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dalla parte appellata avverso l'ordinanza n. 36 dell'11 settembre del 2018, con la quale il Direttore del Settore Trasformazioni – Urbanistiche del comune di Salerno ha ordinato la demolizione di alcune opere riscontrate nell'ambito di un'area sita alla via Lamia n. 96 di quel comune.

A supporto del gravame la parte appellante espone le seguenti circostanze di fatto:

- la società “Edil C & B. s.a.s.“ di cui Giuseppe Bisogno è legale rappresentante, è proprietaria di un’area sita alla via Lamia n.96 del comune di Salerno, distinta in catasto al folio n.51, particella n.537;

- la Giunta Regionale U.O.D. – Genio Civile di Salerno, con nota 853536/2014 ha segnalato la presenza, in adiacenza alla suddetta area, di un fabbricato edificato in violazione delle norme di polizia idraulica, gravante sul suolo del Demanio Pubblico dello Stato – Ramo idrico;

- il 24 luglio del 2018 il personale dell’Ufficio Verifiche di Conformità Edilizia e gli Agenti del Comando di Polizia Municipale hanno effettuato un sopralluogo presso la proprietà di via Lamia n.96, rilevando, sul lato destro del fiume Picentino, la presenza di un’area golenale delimitata da un basso muro di pietra, di altezza di circa 1,5 mt. e da un muro di sponda principale, a confine con la proprietà di controparte;

- è stata rilevata, inoltre, sul bordo prospiciente il corso d’acqua, la presenza di una pannellatura in calcestruzzo, sormontata da una recinzione in pali e rete metallica;

- su parte di quell’area era stato collocato un manufatto, costituito da una struttura eterogenea, con pilastri e copertura metallici, tompagnata in parte in muratura ed in parte in lamiera metallica, posta su di un solaio di tipo pre-fabbricato attestato a quota + 0,30 metri, rispetto all’adiacente piazzale dell’azienda “Edil C&B s.a.s.” di proprietà dell’appellato;

- il ridetto solaio era poggiato, da un lato, al muro di sponda del fiume e dall’altro, ad un setto in calcestruzzo di circa 2 metri di altezza, fondato in prossimità del bordo esterno della golena;

- il manufatto, di altezza variabile tra i 3,35 e i 3,6 metri, aveva forma rettangolare e dimensioni 6,8 per 10,95 cm., confinante a ovest con proprietà Bisogno, alla quale poteva accedersi tramite un ampio vano di larghezza di circa 3,5 metri;

- all’atto del sopralluogo, venivano rinvenute numerose scaffalature contenenti accessori per l’edilizia, appartenenti, secondo quanto dichiarato dal Bisogno, alla ditta Edil C & B S.a.s.;

- in adiacenza veniva rilevato anche un solaio, di forma triangolare, protetto verso il fiume da una robusta recinzione metallica, con dimensioni di circa 7,6 per 6,0 mt., posto ad una quota di circa + 12 metri, al di sopra del piazzale antistante l’azienda, dal quale era possibile raggiungere l’area golenale attraverso una scaletta metallica;

- in sede di sopralluogo il Bisogno dichiarava di non sapere chi avesse realizzato tali opere che erano presenti già al momento dell’acquisto dell’immobile, avvenuto il 26 settembre del 1990;

- all’esito delle ricerche non veniva rinvenuto alcun titolo abilitativo, né era possibile ricostruire l’epoca di realizzazione del manufatto, che comunque compariva in un’aerofotogrammetria del 1985;

- l’11 settembre del 2018 l’amministrazione emetteva l’ordinanza dirigenziale n.36 con la quale contestava al Bisogno la realizzazione di opere abusive, perché l’area su cui sorgeva il manufatto era classificata quale Acque (Fiume Picentino) ed apparteneva al Demanio dello Stato – Ramo Idrico, oltre che sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del D. Lgs. n.42/2004;

- con l’ordinanza n.36/2018 il comune ingiungeva la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi;

- la sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto dalla parte appellata avverso quest’ultimo provvedimento, sul presupposto che, essendo l’allora ricorrente solo utilizzatore delle opere abusive, ai sensi dell’art.35 del D.P.R. n.380 del 2001, non potesse essergli ordinata la demolizione delle stesse.

Tanto premesso, la parte deduce i seguenti motivi di appello avverso la suddetta decisione:

Error in iudicando e in procedendo: violazione e/o falsa applicazione di legge – art. 35 D.P.R. 06/06/2001 n. 380; Erroneità e irragionevolezza della sentenza impugnata; Omessa valutazione delle eccezioni sollevate dall’Amministrazione resistente.

2. Giuseppe Bisogno, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società “Edil c. & b. s.a.s.” si è costituito in giudizio, contestando l’avverso dedotto, chiedendo il rigetto del gravame e riproponendo i motivi assorbiti in primo grado.

DIRITTO

3. Il manufatto di cui si discute è stato edificato, senza titolo edilizio, su di un’area demaniale in quanto posta immediatamente a ridosso di un corso d’acqua.

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso, ritenendo che, ai sensi dell’art.35 del D.P.R. n.380 del 2001, l’amministrazione, nel caso insista su suolo demaniale, può ingiungere la demolizione al solo responsabile dell’abuso, e che viceversa, nel caso di specie, la parte appellata era solo utilizzatrice del manufatto, che, incontestatamente, è stato edificato prima che il destinatario del provvedimento acquistasse l’area.

Il motivo d’appello contesta l’interpretazione restrittiva data alla disposizione dal giudice di prime cure, sottolineando che la natura oggettiva dell’ordine impartito consentiva all’amministrazione di ingiungere anche all’attuale proprietario dell’area, ancorché non responsabile, di ripristinare lo status quo ante a tutela del corretto sviluppo urbanistico, nonché della proprietà pubblica del terreno.

3.1. Il motivo è fondato per plurime considerazioni.

3.1.1. Innanzitutto il Collegio ritiene che, nella parte in cui prevede che l’ordine di demolizione, nel caso di interventi abusivi eseguiti su suoli del demanio o del patrimonio dello stato, debba essere rivolto al “responsabile” dell’abuso, l’art.35 del Testo unico dell’edilizia vada letto, anche coordinandolo con le altre disposizioni sanzionatorie del D.P.R. n.380 del 2001, come norma che ricomprende, non solo i soggetti a cui è addebitabile la realizzazione dell’opera sine titulo, ma anche coloro che, non rimuovendola, contribuiscono di fatto a farla indebitamente permanere sul suolo pubblico.

A voler diversamente opinare, tutte le volte in cui, come nel caso di specie, la persona del proprietario e/o dell’utilizzatore del bene abusivo non coincida con quella del responsabile materiale dell’abuso, l’amministrazione si troverebbe nell’impossibilità di porre rimedio ad una riscontrata situazione di contrasto con la normativa urbanistica e più in generale, illecita. Si consideri, sotto quest’ultimo profilo, che rappresenta pur sempre indiscutibilmente un illecito il realizzare e mantenere, senza il consenso del proprietario e per di più senza titolo edilizio, un immobile abusivo su suolo pubblico.

3.1.2. In secondo luogo, l’interpretazione restrittiva della disposizione adottata dal tribunale si rivela vieppiù inesatta, considerando che in generale il provvedimento demolitorio, alla cui categoria generale appartiene, come species anche quello previsto dall’art.35 del D.P.R. n.380 citato, perseguendo la finalità obiettiva di ripristinare l’ordine urbanistico violato, ha natura sanzionatoria reale e dunque opera necessariamente, in via ambulatoria. Il che significa che può essere rivolta anche nei confronti del proprietario e/o del possessore del bene, ancorché non responsabili dell’abuso, come sostenuto sia dall’Adunanza Plenaria n.9 del 2017 che, più recentemente, dall’Adunanza Plenaria n.16 del 2023.

3.1.3. In terzo luogo, l’interpretazione del primo giudice va disattesa perché, se accolta, avrebbe come effetto inammissibile quello di consentire all’utilizzatore di un bene illecito di continuare a servirsi dello stesso, in contrasto col principio generale che vieta a chiunque di trarre profitto da un fatto illecito.

3.1.4. In definitiva il collegio ritiene sul punto di aderire alla maggioritaria giurisprudenza di questo plesso giurisdizionale, secondo cui “L'ordine di demolizione costituisce una misura di carattere reale, finalizzata a reprimere un illecito di natura permanente, di conseguenza deve ritenersi legittima l'individuazione del proprietario tra i soggetti su cui incombe l'onere di rimuovere un simile illecito” (tra le altre Consiglio di Stato sez. VI, 25/11/2022, n.10373 e Cons. Stato sez. VII, n. 3345/2022).

3.1.5. Infine, quanto appena osservato, in ordine alla natura reale della sanzione demolitoria, anche in consonanza con quanto sostenuto dalla citata Adunanza Plenaria n.9/2017, esclude che, in capo alla parte appellata, si possa essere consolidata una legittima aspettativa in ordine alla conservazione dell’opera da lui detenuta, con conseguente dequotazione del sesto motivo di ricorso, riproposto in appello da quest’ultima, ai sensi del comma 2 dell’art.101 c.p.a. nel primo atto di costituzione nel presente giudizio.

3.2. Ciò detto, poiché, come appena osservato, la parte appellata ha riproposto i motivi di illegittimità dichiarati assorbiti dal giudice di primo grado, nella prima memoria di costituzione, ad eccezione del già disatteso sesto motivo, tutti gli altri mezzi di gravame devono essere esaminati ai sensi di quanto previsto dal comma 2 art.101 citato.

3.3. Il primo motivo di ricorso riproposto in appello deduce la violazione del giusto procedimento, contestando all’amministrazione di non aver fatto precedere l’ordine di demolizione dalla previa diffida.

Il secondo motivo di ricorso riproposto in questa sede– che può essere trattato congiuntamente al precedente - contesta poi che il provvedimento impugnato non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art.7 della L. 241 del 1990.

3.3.1. Entrambi i motivi sono infondati.

3.3.1.1. Quanto al primo, va osservato che dalla norma non si evince, contrariamente a quanto sostenuto dalla doglianza in esame, che la diffida debba necessariamente precedere l’ordine di demolizione e non essere invece contestuale a quest’ultimo come avvenuto nel caso di specie (in questo senso, v. Cons. Stato, VII, n. 3089/2024 e n. 5504/2024). L’interpretazione proposta, nell’evidenziare l’indispensabile articolazione in fasi della relativa procedura, fa dunque dire alla norma più di quanto essa contenga.

In secondo luogo, e comunque, essa non è accoglibile perché contrasta col principio di non aggravamento del procedimento espresso dall’art.2 della legge sul procedimento amministrativo e va pertanto disattesa a lume del quale deve ritenersi ammissibile che diffida e ordine di riduzione in pristino siano contenuti nello stesso provvedimento, essendo la prima inscindibilmente e logicamente connessa alla seconda, che ne rappresenta la conseguenza.

3.3.1.2. In terzo luogo entrambe le doglianze omettono di considerare che un’edificazione abusiva su di un’area ad appartenenza pubblica comunque configura una situazione di permanente illiceità, alla quale va necessariamente posto rimedio. Dunque a maggior ragione in questo caso, ancor più che in quello nel quale si ordina la demolizione di un immobile abusivo su area privata, il conseguente provvedimento ha natura di atto dovuto, a contenuto vincolato (cfr., Cons. Stato sez. VII, n. 8873/2022). Il che, ai sensi del comma 2 dell’art.21 octies della L. n.241 del 1990, dequota definitivamente le doglianze in esame.

3.4. Il terzo motivo di ricorso riproposto in appello contesta l’esistenza del vizio di travisamento dei presupposti nell’atto impugnato, con riferimento alla data di edificazione dell’immobile abusivo, che risalirebbe ad un periodo antecedente al 1967.

Per la parte appellata questo dimostrerebbe come non fosse necessario ottenere un titolo edilizio per la sua edificazione.

3.4.1. Il motivo è infondato perché la parte non ha fornito alcuna prova in merito alla data di edificazione del manufatto.

3.4.2. Tanto meno – diversamente da quanto preteso - un principio di prova in tal senso può essere ricavato dal riferimento alla corrispondenza tra i luoghi riportati dall’aerofotogrammetria del 1974, e la situazione attuale, contenuto nel verbale dell’ufficio verifiche, richiamato alla pagina 1 dell’ordinanza impugnata.

Infatti, la detta notazione, oltre modo generica, pare piuttosto riferibile alla sola conformazione territoriale dell’area, rimasta pressoché identica, rispetto al 1974, ma non ricomprende il manufatto di cui si discute, che, insieme alla pannellatura in cls che fa da contenimento al terreno dove esso insiste, è definito dall’atto, non a caso, “più recente”.

3.4.3. A supporto della deduzione di cui al provvedimento, ossia che si tratta di edificazione più recente e comunque certamente successiva al 1967, vi è infine l’aerofotogrammetria del 1985 dalla quale si evince (per la prima volta, in modo chiaro NdR) la presenza del ridetto manufatto, la cui data di costruzione, verosimilmente, risale ad epoca di poco anteriore a detto rilievo.

3.5. Il sub-motivo al terzo motivo di ricorso riproposto in appello, deduce un ulteriore travisamento dei presupposti nel quale sarebbe incorsa l’amministrazione per non aver considerato che la natura pertinenziale del manufatto in questione e il suo volume, inferiore al 20 % di quello legittimamente edificato cui è funzionale, lo rendevano assoggettabile al regime degli interventi liberi, ai sensi dell’art.3 comma 1 lett. e.6) e 10 comma 1 lett. a) del D.P.R. n.380 del 2001.

3.5.1. Il motivo è infondato.

3.5.1.1. In disparte la considerazione che, anche a voler ritenere fondata l’obiezione in questione, si tratta comunque di un manufatto realizzato su di un’area demaniale senza consenso del titolare pubblico, e che, come tale, andava comunque demolito, vi è che l’intervento ha indubitabilmente sia creato una nuova volumetria che prodotto una rilevante trasformazione del paesaggio. Oltre al volume significativo aggiunto, si consideri infatti che risulta realizzato un contrafforte che serve a sostenere il terreno su cui insiste l’opera. E questo esclude che possa essere annoverato tra gli interventi liberi, come preteso dalla parte.

3.5.1.2. In ogni caso manca la prova che il ridetto volume sia contenuto nel limite del 20 % dei volumi precedentemente autorizzati, dei quali non sono forniti i relativi titoli.

3.5.1.3. Infine la sua vicinanza ad un corso d’acqua, e dunque in area paesaggisticamente vincolata ai sensi del d. lgs. n.42 del 2004, imponeva di acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, il che fa rientrare l’intervento, ai sensi della medesima lett. e.6) art.3 Testo unico edilizia, fra quelli di nuova costruzione, con la conseguente necessità del permesso di costruire per la sua realizzazione

3.6. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso, riproposti in appello, fanno valere, sotto angolazioni solo parzialmente diverse, il difetto di motivazione e di istruttoria per non avere il provvedimento indicato le ragioni che rendevano attuale l’interesse alla demolizione.

3.6.1. I motivi sono infondati alla luce di quanto ritenuto dall’adunanza plenaria n.9 del 2017, secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

4. Questi motivi inducono all’accoglimento dell’appello, e, per l’effetto, al rigetto del ricorso introduttivo del presente giudizio.

Ragioni di opportunità rappresentate dalla circostanza dell’estraneità della parte appellata rispetto alla realizzazione dell’abuso, giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Chieppa, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore

Pietro De Berardinis, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere