Consiglio di Stato Sez. VI n. 204 del 12 gennaio 2022
Urbanistica.Natura permanente degli abusi

Dalla natura permanente dell'illecito edilizio deriva l'obbligo di applicare la disciplina prevista dalla normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento sanzionatorio. L’abuso edilizio, avendo natura di illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l'abuso è posto in essere e, dall’altro, in sede di repressione del medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l'amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa.


Pubblicato il 12/01/2022

N. 00204/2022REG.PROV.COLL.

N. 08873/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8873 del 2015, proposto da
Raimonda Castelnuovo, rappresentata e difesa dall'avvocato Duccio Maria Traina, domiciliata in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato Francesco Paoletti in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n.118;

contro

Comune di Firenze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Minucci, Antonella Pisapia, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio, n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00671/2015, resa tra le parti, concernente sanzione pecuniaria per abusivi edilizi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Firenze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Parte ricorrente propone appello avverso la sentenza del T.A.R. Toscana, Sez. III, 28.4.2015, n. 671, che ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso avverso l'ordinanza irrogativa di sanzione pecuniaria 1.12.2008, n. 1229, il provvedimento prot. n. 25903/01/4452/08 del 4.5.2011 di rigetto dell'istanza di annullamento d'ufficio di detta ordinanza e il presupposto parere del "Servizio Supporto giuridico amministrativo" della Direzione urbanistica del Comune di Firenze 24/11/2011, prot. n. 30404/11.

In particolare, l’odierna appellante, premesso di essere comproprietaria di un appartamento per civile abitazione sito in Firenze in un fabbricato condominiale di quattro piani, ha presentato, in data 7 agosto 2008, una duplice istanza, chiedendo l’accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 140 della legge regionale numero 1 del 2005 (con riguardo alle diverse distribuzioni interne), nonché l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 9-bis del Regolamento edilizio comunale per l’aumento di superficie.

Ciò in relazione ad alcune difformità dell’intero edificio rispetto alla licenza edilizia numero 554 del 1967.

La pratica è stata sottoposta al vaglio della Commissione Edilizia che ha espresso parere favorevole alla sanatoria giurisprudenziale per le opere comportanti il diverso assetto distributivo dei locali interni, ma parere sfavorevole, con l’applicazione delle conseguenti sanzioni, ai sensi dell’art. 139 LR.T. n. 1/2005, per le opere che hanno comportato il non ammesso aumento di SUL.

Il Comune, con ordinanza n. 1229 dell’01/12/2008, ha quindi proceduto:

- all’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 139 L.R.T. n. 1/05, comma 2, in alternativa alla sanzione demolitoria, relativamente all’aumento di SUL di mq 7,32, per € 43.064,00, nonché della sanzione di cui all’art.9 bis del Regolamento edilizio allora vigente, per € 5.164.

In data 10/1/2011, l’attuale appellante ha presentato istanza di annullamento in autotutela per il ricalcolo delle sanzioni pecuniarie irrogate in base all’indicata ordinanza.

Con nota prot. 25903 del 5/05/2011, il Servizio Edilizia Privata ha respinto la richiesta di annullamento in autotutela, confermando la correttezza delle procedure seguite nella determinazione delle sanzioni irrogate con l’ordinanza n. 1229/2008.

Nella medesima nota, dopo aver ricordato che i termini per ricorrere erano ormai inutilmente scaduti visto il ritiro dell’ordinanza in data 5/12/2008, è stato preannunciato che, in caso di perdurante inadempimento, si sarebbero avviate le procedure di riscossione coattiva.

In data 24/5/2011, dopo il formale diniego di autotutela, l’Ufficio Supporto Giuridico della Direzione Urbanistica, ha inviato al legale di controparte, un’ulteriore nota/parere prot. 30404, che ha dato conto della normativa applicata nell’ordinanza del 2008 e degli orientamenti giurisprudenziali in materia, confermando nuovamente la correttezza delle procedure applicate per l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 139 comma 2 della L.R.T. n. 1/2005 e all’art. 9 bis del regolamento edilizio all’epoca vigente.

Tali provvedimenti, unitamente al parere del "Servizio Supporto giuridico amministrativo", sono stati impugnati dinanzi al T.A.R. Toscana che, con la sentenza appellata, ha dichiarato il ricorso irricevibile per tardività.

Quest’ultima ha, infatti, accolto l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’amministrazione resistente sulla base della motivazione che segue.

Il ricorso è stato spedito per la notifica in data 7 luglio 2011, mentre l’ordinanza sanzionatoria risale all’1 dicembre 2008, senza che parte ricorrente possa fondatamente sostenere che la comunicazione dell’ordinanza al tecnico di parte M. C. (che ha ritirato l’atto il 5 dicembre 2008), sia avvenuta in assenza di elezione di domicilio presso il medesimo da parte sua. Nell’istanza del 7 agosto 2008 si legge infatti che “ogni comunicazione relativa alla presente pratica dovrà essere inviata al: signor geometra” M. C., con indicazione dell’indirizzo e dei recapiti telefonici del medesimo.

In nota l’atto precisa che in caso di mancata indicazione l’eventuale corrispondenza verrà inviata esclusivamente al soggetto indicato quale richiedente. In calce vi è la sottoscrizione dell’interessata.

La sentenza rileva, altresì, che parte ricorrente ha contestato l’eccezione di irricevibilità, sostenendo che la decorrenza del termine di impugnativa dovrebbe essere calcolata a partire dalla data di ricezione della nota con la quale il Comune di Firenze ha confermato il contenuto dell’ordinanza numero 1229 del 2008, respingendo l’istanza di riesame in autotutela.

Tale tesi, tuttavia, non avrebbe fondamento in quanto il geometra M. C., in data 3 febbraio 2009, ha chiesto un termine di trenta giorni di proroga del termine di pagamento della sanzione al fine di reperire documentazione necessaria al riesame e ha chiesto, in data 3 aprile 2009, un ulteriore termine di 60 giorni. E’, inoltre, documentalmente provato che il sollecito di pagamento del 16 novembre 2010, facente espresso riferimento all’ordinanza n. 1229 del 1° dicembre 2008 e alla sanzione pecuniaria con essa irrogata, fu ricevuto dalla ricorrente in data 18 novembre 2010.

Non vi è, pertanto, alcun motivo di spostare più avanti rispetto a tale data la conoscenza dell’ordinanza, della quale, attraverso il sollecito di pagamento, erano stati comunque resi noti all’interessata l’esistenza del provvedimento e il suo contenuto lesivo (realizzandosi così la piena conoscenza necessaria a far decorrere il termine decadenziale).

La stessa istanza di riesame del 5 gennaio 2011, inoltrata dal legale e attuale difensore della ricorrente, non solo dimostra la conoscenza dell’ordinanza quanto meno alla predetta data, ma non è certamente idonea a incidere sul termine decadenziale di impugnativa, che il privato non può spostare in avanti pretendendo che l’amministrazione riveda le determinazioni assunte.

E infatti, il Comune di Firenze, nel denegare il provvedimento in autotutela ha fatto presente al legale dell’appellante (il quale aveva presentato la relativa istanza), che avverso le sanzioni irrogate nell’anno 2008 sarebbe stato possibile presentare a suo tempo ricorso e che i termini sono ormai scaduti, essendo stato il provvedimento sanzionatorio ritirato dal geometra M. C. in data 5 dicembre 2008.

Parte appellante ha impugnato la sentenza che ha dichiarato l’irricevibilità del ricorso di primo grado, sollevando l’erroneità della declaratoria di tardività del ricorso di primo grado, in quanto l’atto di diniego dell’istanza di autotutela si configura come un atto di conferma propria autonomamente impugnabile e, conseguentemente, ha riproposto le censure formulate nel ricorso di primo grado e non scrutinate.

Si è costituito in giudizio il Comune di Firenze resistendo al ricorso.

Ha fatto seguito il deposito di memorie di entrambe le parti e deposito di memorie di replica da parte dell’appellante.

DIRITTO

1) Il fulcro dell’appello avverso la pronuncia di irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado è incentrato sulla questione se l’atto di diniego di annullamento in autotutela dell’ordinanza che ha irrogato la sanzione pecuniaria debba essere considerato meramente confermativo del precedente diniego, ovvero sia da considerare quale atto di conferma autonomamente lesivo, in quanto adottato all’esito del riesame della situazione incisa e, come tale, impugnabile.

La giurisprudenza di Consiglio ha recentemente (Cons. Stato, Sez. III, 24 dicembre 2021, n. 8590) ribadito la distinzione tra atti “meramente confermativi”, che non riaprono i termini per ricorrente, in giudizio e atti “di conferma in senso proprio”, che riaprono i medesimi termini.

In particolare, gli atti “meramente confermativi” sono quegli atti che, a differenza degli atti “di conferma”, si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell’amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. “provvedimenti di secondo grado”, essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812).

In pratica, l’atto meramente confermativo ricorre quando l’amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867); esso si connota per la sola funzione di illustrare all’interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo.

Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell’affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622).

Di contro, l’atto di conferma in senso proprio è quello adottato all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805).

Non può considerarsi “meramente confermativo” di un precedente provvedimento l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto “propriamente confermativo”, in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579).

Nel caso di specie, l’atto di rigetto dell'istanza di annullamento d'ufficio dell’ordinanza che ha irrogato la sanzione pecuniaria ha un tenore formale non dissimile da quella di un atto meramente confermativo, limitandosi confermare la correttezza delle procedure seguite e ribadire che i termini per ricorrere erano ormai inutilmente scaduti visto il ritiro dell’ordinanza in data 05/12/2008, preannunciando, in caso di perdurante inadempimento, l’avvio delle procedure di riscossione coattiva.

E’, tuttavia, innegabile che lo stesso sia stato adottato all’esito di un vero e proprio riesame della questione, con l’apertura di un nuovo procedimento istruttorio.

L’esistenza di un vero e proprio procedimento di riesame è dimostrato:

- dalla comunicazione via mail del 18/1/2011 con la quale il Comune di Firenze ha preannunciato il

ritiro dell'ordinanza e l'emanazione di un nuovo provvedimento con la "correzione" della "somme irrogate";

- dal successivo invio, in data 19/1/2021, di una comunicazione via mail in cui il medesimo Comune indicava che era stata “ridiscussa la questione… e dopo una più attenta analisi dei riferimenti normativi, sono sorti grossi dubbi…” esprimendo la necessità di acquisire un parere del "Servizio Giuridico";

- dall’inoltro alla parte appellante di un parere legale del 24.5.2011 (ancorchè successivo al provvedimento di diniego) su fattispecie del tutto analoga, a supporto della correttezza della soluzione sostanziale adottata nel 2008.

Tale procedimento e la relativa nuova valutazione sostanziale della fattispecie, ancorché con esito finale di conferma della precedente decisione, rende l’atto gravato qualificabile come atto di conferma in senso proprio, come tale autonomamente impugnabile.

La sentenza che ha dichiarato l’irricevibilità del ricorso di prime cure per tardività ai sensi dell’art. 35, comma primo, lettera a), c.p.a., deve, pertanto, essere riformata e il Collegio deve passare allo scrutinio dei motivi del ricorso di primo grado avverso il diniego dell’annullamento in autotutela, assorbiti con la pronuncia di irricevibilità, riproposti in sede di appello dall’appellante.

2) Nel ricorso di primo grado l’odierno appellante aveva formulato le seguenti censure riproposte in sede di appello:

- con il primo motivo di ricorso, è stata dedotta la violazione dell’art. 40 della l. 28/2/1985, n. 47 e dell’art. 9 bis del regolamento edilizio comunale, in riferimento all’aumento di S.U.L. erroneamente adottata ai sensi dell’art. 139 della l.r. Toscana n. 1/2005.

In sostanza, secondo la parte appellante, essendo stato l’abuso stato realizzato in parziale difformità dalla licenza edilizia n. 554/1967 e in corso d’opera alla fine degli anni ’60, si doveva applicare la sanzione pecuniaria prevista dalla normativa all’epoca in vigore (ossia dall’art. 41 l. n. 1150/19421), così come previsto dall’art. 40 della l. 47/1985, e dall’art. 9-bis del Regolamento Edilizio Comunale e non quella vigente al momento dell’applicazione della sanzione, ovverosia l’art. 139 della l.r. n. 1/2005, ai sensi del quale era applicabile una “sanzione pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile”;

- con il secondo motivo di ricorso, è stata invocata la violazione dell’art. 10 l.r. n. 1/2005 e dell’art. 9 bis del REC e del § 4 del Regolamento di applicazione delle sanzioni amministrative previste dal titolo VIII della L. reg, 3 gennaio 2005 n. 1 – Allegato G del REC di Firenze, lamentando l’illegittimità degli atti gravati in riferimento al quantum della sanzione irrogata.

In particolare, la parte appellante ha rilevato che l’art. 9 bis del REC prevede che il rilascio della sanatoria sia subordinato al pagamento, a titolo di sanzione, di una somma pari a quella prevista per il rilascio del permesso di costruire o dall’attestazione di conformità in sanatoria, e comunque non inferiore a 516,00 euro.

L’art. 140 della l.r. n. 1/2005, prevede che l’attestazione di conformità in sanatoria è subordinata al pagamento a titolo di sanzione amministrativa per gli interventi diversi da quelli di cui al comma 4, di una somma determinata dal comune stesso da euro 516,00 a euro 5.164,00 in ragione della natura e consistenza dell’abuso.

L’allegato G al REC comunale, ovverosia il Regolamento di applicazione delle sanzioni amministrative previste dal titolo VIII della l. reg. 3 gennaio 2005, n. 1, prevedeva al § 4 (“Sanzioni forfettarie”) che, “al fine di determinare criteri oggettivi nella applicazione delle sanzioni forfettarie previste dagli artt. 134, comma 3, 135, comma 2 e 140, comma 6, le stesse sono determinate in funzione dell’incremento di valore degli immobili per effetto degli interventi eseguiti, sulla base di quanto indicato al precedente punto 3; le sanzioni sono suddivise per scaglioni in base alle sottostanti tabelle …”.

Il Regolamento prevedeva, quindi, che la somma dovuta fosse determinata tenendo conto dell’aumento di valore provocato dalla realizzazione dell’opera in difformità, mentre il Comune ha determinato l’importo sulla sola base dell’entità della superficie impegnata dalle opere in difformità, applicando un parametro non previsto dal Regolamento comunale e, comunque, illogico.

Il Collegio ritiene di dover rigettare la prima censura, inerente alla sanzione comminata per l’’aumento di S.U.L. e di accogliere la seconda censura afferente alla sanzione per il rilascio della sanatoria.

3) Quanto alla prima censura, la ricostruzione di parte appellante non può essere accolta.

L’art. 40 della legge n. 47/1985 non prevede espressamente che in caso di difformità parziale dal titolo abilitativo edilizio si applichino le sanzioni previste al momento della realizzazione dell’abuso, né tale conclusione può derivarsi, come vorrebbe il medesimo appellante, da un’applicazione a contrario del medesimo art. 40 (secondo cui si applicano le sanzioni di cui al capo I della stessa legge n. 47/1985 ), che disciplina le ipotesi di opere “realizzate in totale difformità o in assenza della licenza o concessione”, in caso di mancata presentazione della domanda di condono oppure di domanda dolosamente infedele o di mancato pagamento dell’oblazione nei termini prescritti.

Si tratta, infatti, di una interpretazione “forzata”, che fa derivare da una norma relativa all’applicazione di sanzioni per fattispecie diverse (che peraltro non si occupa della problematica del profilo temporale dell’applicabilità della sanzione), una regola implicita relativa al campo di applicazione delle sanzioni per una diversa e non menzionata fattispecie (quella delle difformità parziali), affermando che la stessa imponga la necessaria applicazione delle sanzioni vigenti al momento di commissione dell’abuso, peraltro in contrasto con il principio derivante dalla natura dell’abuso edilizio, che si presenta come un illecito permanente.

Gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica hanno, infatti, carattere permanente, nel senso che un immobile interessato da un intervento illegittimo conserva nel tempo la sua natura abusiva e la situazione di illiceità posta in essere con la realizzazione di un'opera abusiva viene meno solo con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni in sanatoria, paesaggistiche o urbanistico-edilizie, oppure con il ripristino dello stato dei luoghi (Cons. Stato Sez. VI, 04/06/2018, n. 3351; Cons. Stato Sez. VI, 04/03/2019, n. 1477; Cons. Stato Sez. II, 25/07/2020, n. 4755; Cons. Stato Sez. II, 12/11/2020, n. 6950)

Al riguardo, la regola generale che si rinviene nel nostro ordinamento è che, come indicato anche da questa Sezione, dalla natura permanente dell'illecito edilizio deriva l'obbligo di applicare la disciplina prevista dalla normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento sanzionatorio (Cons. Stato, Sez. VI, 1/12/2015, n. 5426, che rileva altresì come l’art. 33 della legge n. 47/1985 è chiara nel sancire l'applicazione, anche agli illeciti perpetrati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, della nuova disciplina delle sanzioni).

Più precisamente, l’abuso edilizio, avendo natura di illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 3 dicembre 2007 , n. 1267) e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l'abuso è posto in essere (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1892/2019; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 3 dicembre 2007 , n. 1267) e, dall’altro, in sede di repressione del medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l'amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa (T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 11 giugno 2008 , n. 1592; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 20/07/2021, n. 5028).

Tale principio deve applicarsi anche alle sanzioni pecuniarie “sostitutive” di quelle demolitorie.

Chi ha realizzato un’opera abusiva mantiene inalterato nel tempo l'obbligo di eliminare l'opera illecita, con la conseguenza che il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente (Cons. Stato Sez. II, 31/05/2021, n. 4154; T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 08/03/2021, n. 367).

Ben poteva, quindi, essere applicato l’art. 139 della legge della Regione Toscana n. 1/2005, che prevede l’applicabile di una “sanzione pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile”.

In senso contrario non è rilevante la circostanza, invocata dall’appellante, che l’art. 9-bis del Regolamento Edilizio Comunale prevedesse che “fermo quanto previsto dall’art. 40, primo comma, della L. 47/1985 per gli interventi in parziale difformità dal titolo abilitante, per i quali si applicano le sanzioni vigenti al momento in cui l’abuso è stato commesso”.

Tale previsione, avente carattere regolamentare, si palesa infatti sicuramente recessiva di fronte all’indicato principio espresso dalla normativa primaria e dinanzi all’indicata legge regionale n. 1/2005 ed è stato giustamente disapplicato dall’Amministrazione procedente.

4) Da accogliersi è invece, come indicato, la censura relativa alla determinazione della sanzione per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.

Il Comune, come dedotto dall’appellante, ha ritenuto di applicare il massimo della sanzione prevista, parti a euro 5.164,00,00, sulla base del criterio della superficie impegnata, in quanto le opere abusive avrebbero interessato tutta la superficie oggetto di sanatoria.

L’allegato G al REC comunale (“Regolamento di applicazione delle sanzioni amministrative previste dal titolo VIII della l. reg. 3 gennaio 2005, n. 1”) prevedeva, tuttavia, che le sanzioni quali quelle in esame fossero determinata in funzione dell’incremento di valore degli immobili per effetto degli interventi eseguiti.

Tale criterio, previsto al fine di orientare l’esercizio della discrezionalità amministrativa nella determinazione della sanzione tra il minino e il massimo previsti (da 516,00 a 5.164,00,00 euro), non è stato preso in considerazione dal Comune nella determinazione della sanzione e, perciò, la relativa statuizione è da ritenersi illegittima e l’importo della sanzione dovrà essere eventualmente rideterminato tenuto conto di quanto previsto nell’indicato allegato G al Regolamento Comunale.

5) Per le suesposte ragioni l’appello va in accolto e l’atto gravato va parzialmente annullato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame e ai suoi esiti, costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie soltanto in parte ai sensi e limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 671/2015, annulla in parte il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela nei termini indicati in parte motiva.

Compensa le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore