Consiglio di Stato, Sez. II n.8272 del 3 dicembre 2019
Urbanistica.Permesso edilizio ed idoneo titolo di godimento sull'immobile
Ai sensi dell'art. 11 d.P.R. n. 380-2001 il Comune, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario (né, ovviamente può, in quella sede, dirimere contrasti con il Comune medesimo), ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso, sulla base della documentazione presentata.
Pubblicato il 03/12/2019
N. 08272/2019REG.PROV.COLL.
N. 02314/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2314 del 2009, proposto dal Signor
Marotta Gerardo, rappresentato e difeso dall'avvocato Gherardo Marone, con domicilio eletto presso lo studio Napolitano L. in Roma, via Sicilia, 50;
contro
Comune di Sala Consilina, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 01986/2008, resa tra le parti, concernente la denuncia di inizio lavori edili di manutenzione straordinaria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e udito per la parte appellante l’avvocato Gherardo Marone.
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Salerno, sez. II, con la sentenza 19 giugno 2008, n. 1986, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento del provvedimento prot. n. 6232 in data 25 maggio 2006, con il quale il Dirigente dell'UTC del Comune di Sala Consilina ha dichiarato l'improcedibilità della d.i.a. presentata dal ricorrente per la realizzazione di alcuni lavori di manutenzione straordinaria nell'immobile, già adibito ad albergo, sito alla via Giocatori.
Secondo il TAR, sinteticamente:
- la circostanza che il bene demaniale sia, per definizione e per sua natura, insuscettibile di formare oggetto di diritti reali a terzi esclude la possibilità di evocare la proprietà superficiaria, potendo al più (ed eventualmente) sussistere una ipotesi di c.d. proprietà separata, posto che il concessionario acquista (solo) il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto (ad effetti obbligatori) accessivo alla concessione;
- tale configurazione è ritenuta più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali, sol che si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla possibilità dell'Amministrazione di rientrare nel possesso dei beni demaniali, e con essi delle opere realizzate dal concessionario, per sopravvenute esigenze pubbliche prima della naturale scadenza della concessione;
- la concessione è quindi riconducibile alla figura del diritto personale di godimento (segnatamente e semmai evocativo di un diritto personale dì superficie, estraneo al tipico diritto reale previsto dal codice civile), come tale inidoneo a derogare alla regola generale della accessione (in base alla quale omne quod inaedificatur solo cedit: art. 934 c.c.), con il duplice corollario che il concessionario non diventa mai proprietario dei beni realizzati sull'area demaniale, sui quali ha solo un diritto d'uso (la proprietà spettando sempre, salva seminai solo — come è possibile ipotizzare, configurandosi allora una ipotesi di proprietà c.d. separata — l'eventualità di rinunzia espressa agli effetti dell'accessione, l'amministrazione concedente, e ciò anche quando la concessione sia in perpetuum, laddove la perpetuità evocherebbe solo l'indeterminatezza del termine di scadenza e non, all'evidenza, la definitività degli assetti) onde, del tutto coerentemente, non potrebbe farne oggetto di atti di alienazione a terzi;
- va riconosciuto che costituisce un assurdo logico, prima ancora che giuridico, quello di far derivare un diritto reale (opponibile erga omnes) da un diritto affievolito verso la Pubblica Amministrazione, posto che il diritto di uso del terreno demaniale può esistere, per definizione, fino a quando l'interesse privato non solo non sia in contrasto, ma anzi sia conforme ad un interesse generale;
- sotto un profilo di ordine strettamente funzionale, il rapporto concessorio in ordine a beni demaniali è del tutto assimilabile alla fattispecie locatizia, ed evoca, per tal via, una vicenda che, anche quando presupponga l'attribuzione di uno jus aedifìcandi, si muove nella logica degli effetti puramente obbligatori;
- nel caso di specie la lettura dei provvedimenti concessori e degli annessi contratti dimostra che la concessione in perpetuum delle aree demaniali sulle quali è stata edificata la struttura alberghiera non fu accompagnata dalla rinunzia o deroga all'accessione;
- l'albergo per cui è causa deve, sul piano formale, ritenersi quale opus inaedificatum, di proprietà comunale (ed a sua volta concesso in uso perpetuo all'originario concessionario, salvo voltura), erroneo essendo l'assunto dell'acquisto a titolo originario in capo al ridetto concessionario;
- come tale, non poteva essere fatto oggetto, già in astratto, di atti di disposizione traslativa a favore di terzi (ed i relativi negozi, più ancora che semplicemente inopponibili, nella logica del rapporto concessorio, all'Amministrazione concedente, devono ritenersi radicalmente inefficaci per difetto di legittimazione dispositiva in capo all'alienante);
- per l'effetto, il difetto di idoneo titolo dominicale in capo alla ricorrente, in relazione alla vicenda edilizia oggetto di controversia, non può essere revocato in dubbio (né, in difetto di idonea voltura della concessione, parte ricorrente può utilmente invocare, quale alternativo requisito legittimante, la propria qualità di concessionario in via derivata);
- infatti, l'inopponibilità all'Amministrazione comunale dei contratti stipulati inter privatos costituisce per sé ragione ostativa alla possibilità di acquisire titolo abilitativo al programmato intervento edificatorio, il quale non potrebbe che innestarsi nel contesto della relazione concessoria e non operare a prescindere ed al di fuori di essa;
- a fronte del chiaro ed inequivoco tenore testuale della concessione e del successivo contratto accessivo sottoscritto inter partes, non paiono conferenti, in difetto di più puntuale e consequenziale dimostrazione, i generici rilievi in ordine alla completa disponibilità delle aree de quibus;
- non giovano al ricorrente neppure í richiami alla asserita coerenza dei programmati interventi edificatori con la destinazione alberghiera dell'immobile perché il problema, correttamente individuato dal Comune, resta semplicemente quello della sussistenza o meno dei requisiti per il conseguimento del titolo ad aedificandum, che devono ritenersi, per quel che precede, non sussistenti;
- l'art. 10-bis della 1. n. 241-1990 non trova applicazione nei procedimenti ad iniziativa officiosa, come deve ritenersi quello inteso alla inibitoria delle iniziative edificatorie affidate alla dichiarazione di inizio attività;
- neppure sussiste il ventilato difetto di idoneo supporto motivazionale, essendo il contestato provvedimento essenzialmente motivato per relationem con riferimento al parere legale reso in fase istruttoria e fatto oggetto di puntuale richiamo (ed oltretutto conosciuto, impugnato e confutato in sede di gravame).
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
All’udienza pubblica del 12 novembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Rileva il Collegio che, con delibera del 15 maggio 1932, il Commissario Prefettizio del Comune di Sala Consilina aveva concesso in perpetuo al sig. Marena Tommaso, “un'area di mq. 640, riportata al foglio 21 del catasto Urbano di Sala Consilina, per l'edificazione di un albergo con ristorante”.
Per espressa affermazione dell'atto concessorio, l'area risultava completamente disponibile e non asservita ad alcun utilizzo pubblico.
In data 18 luglio 1932 le parti avevano stipulato il relativo contratto, regolarmente trascritto presso la competente conservatoria dei registri immobiliari, nel quale si individuava la particella di terreno oggetto di concessione (foglio n. 21 cat. urb.) e il sig. Tommaso Marena, in virtù di tale contratto, edificava l'albergo "Villa Diana".
Con successiva delibera n. 5 del 27 gennaio 1939, il Comune di Sala Consilina concedeva al sig. Marena “un'area del suolo comunale, per la costruzione di un'autorimessa da utilizzare a servizio dell'albergo Villa Diana".
In data 4 agosto 1939 le parti stipularono il relativo contratto e il sig. Marena costruì l'autorimessa al servizio dell'albergo.
Con una serie di atti dispositivi (mortis causa ed inter vivos) i fabbricati per cui è causa (albergo e autorimessa) sono pervenuti all'attuale ricorrente e i relativi titoli di proprietà sono tutti trascritti a favore dell'appellante, della moglie Maria Antonino e dei figli Pasquale ed Eugenio.
In virtù dei titoli di proprietà sopra accennati, il dott. Gerardo Marotta presentava D.I.A. per la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria dell'immobile già adibito ad albergo, ma la D.I.A. veniva rigettata per l'asserita mancanza dei presupposti di cui all'agli artt. 22 e 23 d.P.R. n. 380-2001.
2. Il provvedimento impugnato si fonda su di un plurimo e concorrente assunto così sintetizzabile
- l'immobile insiste su di un area demaniale oggetto del risalente provvedimento concessorio;
- nessuna voltura e/o autorizzata modifica soggettiva è intervenuta in ordine alla concessione in parola, formalmente ancora intestata all'originario e defunto concessionario;
- oltretutto, siffatta concessione si è risolta di diritto, per plurimo inadempimento del concessionario (concernente sia il mancato pagamento del canone periodico originariamente divisato, sia l'intervenuto mutamento di destinazione d'uso impresso agli immobili);
- ogni altro titolo, e segnatamente gli atti di compravendita che l’attuale appellante pone a fondamento della propria posizione legittimante, è inopponibile al Comune, nella qualità di Amministrazione concedente.
3. Ritiene il Collegio – con portata assorbente- che il provvedimento impugnato sia illegittimo per violazione degli artt. 11 e 22 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, così come deduce parte appellante.
Infatti, il presupposto normativo necessario e sufficiente per ottenere il rilascio di provvedimenti autorizzatori relativi alla manutenzione e/o trasformazione di immobile è la proprietà dell'immobile stesso, così come risultante dai registri immobiliari.
Pertanto, non ha rilevanza il dato che la proprietà dell'area sulla quale si è edificato non fosse (ed eventualmente non sia) originariamente dell'attuale appellante.
L'oggetto della presente decisione riguarda soltanto stabilire se, a fronte della domanda dell'attuale appellante, supportata dalla documentazione ipocatastale della proprietà dell'immobile, il Comune potesse o meno negare l'autorizzazione richiesta.
La proprietà in capo all'appellante appare come tale in base alle trascrizioni dei registri immobiliari e, se il Comune volesse rivendicarla, dovrebbe iniziare un'apposita azione davanti al Giudice ordinario, non potendosi spingere il Collegio, nella fattispecie, ad una valutazione, incidenter tantum, della proprietà essendo sufficiente anche la sola apparenza del diritto per poter ottenere l’autorizzazione oggetto dell’istanza.
Infatti, ai sensi dell’art. 11 d.P.R. n. 380-2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario (né, ovviamente può, in quella sede, dirimere contrasti con il Comune medesimo), ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso, sulla base della documentazione presentata.
Documentazione dalla quale, nel caso di specie, si deduceva agevolmente la legittimazione dell’attuale appellante ( del quale, per altro verso, non è contestato che al tempo della presentazione della istanza versasse nella pacifica detenzione e nell’incontestato possesso dell’immobile)a richiedere l’autorizzazione edilizia.
In tal senso, l’Amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla P.A. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio e non certo a dirimere contrasti sulla proprietà del bene immobile costruito illo tempore su un’area data in concessione amministrativa al privato.
Laddove insorgano questioni proprietarie, il Comune potrà innescare le procedure di autotutela esecutiva, laddove ne sussistano i presupposti, ovvero adire l’Autorità Giudiziaria Ordinaria a tutela del proprio diritto di proprietà.
Quello che è certo è che, in questa sede, la controversia non investe la titolarità della proprietà e non è, quindi, rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo, bensì riguarda la sussistenza di vizi dell'atto amministrativo, rispetto ai quali, come detto, la vicenda proprietaria, pur dottamente affrontata dal TAR, è irrilevante e, come tale, neppure suscettibile, di accertamento incidentale.
Nel caso in esame, si ribadisce, la mera legittimazione del richiedente, supportata dalla documentazione in atti, legittimava, allo stato, l’attuale appellante ad ottenere l’autorizzazione edilizia, con conseguente illegittimità del provvedimento reiettivo impugnato in questa sede.
4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, in quanto fondato per l’assorbente motivo sopra indicato, annullando il provvedimento impugnato.
Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere