Consiglio di Stato Sez. VI n. 904 del 6 febbraio 2019
Urbanistica.Pertinenza edilizia

La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica. A differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume"


Pubblicato il 06/02/2019

N. 00904/2019REG.PROV.COLL.

N. 08788/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8788 del 2013, proposto da Real s.r.l., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Marconi e Michele Venturiello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Michele Venturiello in Roma, via Sistina n. 42;

contro

il Comune di Tivoli, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Marci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Silvio Crapolicchio in Roma, viale Parioli, 44;

nei confronti

Alberto Porcari, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del TAR del Lazio (sezione prima quater) n. 7398/2013, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi;


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Tivoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 24 gennaio 2019 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellante l’avvocato Michele Venturiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Viene in decisione il ricorso in appello con il quale la società Real s.r.l., in persona del suo legale rappresentante “pro tempore”, signor Alberto Porcari, ha impugnato la sentenza del TAR del Lazio, sezione I quater, n. 7398 del 2013, resa in forma semplificata, chiedendone la riforma.

2.Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso - con condanna della società Real al pagamento delle spese a favore del Comune di Tivoli - con cui l’appellante odierna aveva domandato l’annullamento dell’ordinanza n. 108, prot. n. 17104, del 28 marzo 2013, emanata dal Comune medesimo, e notificata in data 3 aprile 2013, con la quale era stata disposta la demolizione di un’opera abusivamente realizzata, e la rimessione dei luoghi nel pristino stato.

Più in particolare, dagli atti di causa e dalle premesse della decisione appellata si ricava che l’opera oggetto dell’ordinanza n. 108/2013 consiste nella costruzione di una “tettoia con copertura in legno rifinita con tegole in plastica delle dimensioni di mt. 15,00x23,50x4,00, sostenuta da otto blocchi di travertino che fungono da colonne della struttura”.

Il giudice di primo grado, con una motivazione assai sintetica, ha respinto il ricorso osservando che l’opera realizzata è di dimensioni rilevanti e che per il compimento della stessa occorreva che il soggetto realizzatore acquisisse il permesso di costruire, venendo in considerazione “una struttura del tutto nuova”, tutt’altro che priva di incidenza urbanistica, “tanto da far ritenere necessario il previo rilascio del permesso di costruire”.

3.La società Real ha proposto appello con svariati motivi.

Anzitutto, il giudice di primo grado sarebbe incorso in un “error in procedendo”, per violazione dell’articolo 88 del c.p.a. , per avere omesso di riportare “la domanda relativa all’eccezione di nullità della notifica del provvedimento emanato dal Comune”.

L’appellante chiede pertanto che sia dichiarata la nullità della sentenza appellata.

La società Real, poi, nel dedurre “error in procedendo per violazione dell’art. 74 del d. lgs. n. 104 del 2010”, espone che il TAR avrebbe omesso ogni valutazione in merito all’avvenuto deposito, da parte dell’appellante medesima, della denuncia di inizio attività (DIA) con riferimento all’abuso contestato.

La DIA presentata dalla Real non risulterebbe, tuttora, essere stata definita dal Comune, il quale non si sarebbe mai pronunciato sulla medesima, né rigettandola e né domandando integrazioni documentali.

Parte appellante sottolinea che il giudice, prima di decidere con sentenza in forma semplificata, oltre alla previa verifica della integrità del contraddittorio, è tenuto ad accertare, preliminarmente, la completezza dell’istruttoria e più in generale la sussistenza dei presupposti per la decisione in forma abbreviata. In proposito, “non è dato comprendere come il Tribunale possa aver ritenuto l’istruttoria conclusa o, comunque, esaustiva”.

Ancora, la società appellante deduce violazione dell’art. 112 del c.p.c. e omessa pronuncia ai sensi dell’art. 3 del c.p.a. .

Ciò, sull’assunto che la sentenza impugnata sarebbe erronea per non essersi il TAR pronunciato sulla “eccezione pregiudiziale sollevata dalla ricorrente” nel ricorso introduttivo, attinente alla errata notifica dell’ordinanza comunale n. 108 del 2013.

La società Real aveva lamentato la violazione dell’art. 160 del c.p.c. (“nullità della notificazione”) in quanto l’ordinanza n. 108/2013 era stata notificata, in proprio e quale proprietario dell’opera in questione, al signor Alberto Porcari, il quale non è proprietario del manufatto ma riveste soltanto la qualifica di legale rappresentante della società Real s.r.l., proprietaria del manufatto abusivo in questione.

L’appellante lamenta poi che il TAR adito sarebbe ulteriormente incorso in violazione e falsa applicazione degli articoli 10, 22, 31 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 per avere considerato legittima l’ordinanza che ingiunge la demolizione della tettoia realizzata sull’immobile preesistente.

L’appellante deduce che tale ingiunzione a demolire conseguirebbe a un assunto errato, vale a dire quello secondo cui la struttura va ricondotta tra quelle assoggettate al preventivo rilascio di permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001.

Ad avviso dell’appellante viene in considerazione, al contrario, una pertinenza del fabbricato già esistente.

In ogni caso il signor Porcari, quale legale rappresentante della società, ha dato incarico a un tecnico di predisporre un progetto edilizio rivolto a sostituire la costruzione priva di titolo abilitativo con un nuovo manufatto, rispondente alle prescrizioni normative, mediante la presentazione di una denuncia di inizio attività.

La relazione asseverata del professionista, allegata alla d.i.a., è stata depositata presso l’Ufficio Edilizia – Urbanistica del Comune in data 27.5.2013 (ossia circa due mesi dopo l’ordinanza di demolizione).

Da ultimo, viene denunciata la violazione dell’art. 44, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, con riguardo alla non condivisibile qualificazione dell’opera realizzata come di rilevanti dimensioni e, pertanto, da assoggettare, come tale, alla preventiva acquisizione del permesso di costruire. Al contrario, per la società appellante viene in rilievo un’opera accessoria rispetto alla costruzione preesistente e, comunque, di dimensioni compatibili con la natura pertinenziale del manufatto in argomento, sicché con riferimento all’opera medesima non dovrebbe essere necessario alcun permesso di costruire (e, di conseguenza, par di capire, in applicazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, nel caso di intervento in assenza o in difformità dal titolo edilizio andrebbe irrogata unicamente una sanzione pecuniaria).

4.Il Comune di Tivoli – che in primo grado, in punto di fatto, aveva chiarito che l’abuso in discussione andava inquadrato entro un contesto di abusi successivi e più ampi e si concretizzava nella costruzione di un “vasto locale adibito a punto di ristoro” – in appello si è limitato a domandare il rigetto della impugnazione.

5.L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza impugnata può essere confermata, nel suo dispositivo, anche se con le – indispensabili - integrazioni e precisazioni motivazionali che saranno fornite più avanti.

5.1. In primo luogo, vanno esaminati in modo congiunto i motivi di gravame con i quali la parte appellante deduce che la sentenza impugnata sarebbe errata per avere, il giudice di primo grado, omesso di riportare – e di pronunciarsi su - “la domanda relativa all’eccezione di nullità della notifica del provvedimento emanato dal Comune”: nullità della notifica, si apprende proseguendo nella lettura dell’atto di appello, che sarebbe collegata al fatto che la relata di notifica dell’ordinanza comunale non riporta la qualifica del signor Porcari, il quale, si afferma, non sarebbe destinatario in proprio dell’ingiunzione, “bensì quale legale rappresentante della società proprietaria dell’immobile”.

Si tratta di deduzioni chiaramente irrilevanti e non accoglibili.

Anzitutto è da ritenere, secondo logica, che l’ingiunzione a demolire sia stata notificata al signor Alberto Porcari, il quale riveste la qualifica di legale rappresentante della società, in proprio e quale proprietario dell’opera abusiva, essendo la società Real s.r.l. la proprietaria dell’opera in questione.

Ora, ai sensi dell’art. 145, comma 1, del c.p.c., applicabile anche alle notificazioni degli atti amministrativi (al riguardo infatti la P. A., pur non essendo sottoposta a un obbligo generale di comunicare i propri atti ai destinatari nelle forme proprie degli atti giudiziari, può fare ciò ove lo ritenga), la notificazione alle persone giuridiche deve essere eseguita alternativamente presso la sede sociale della società oppure presso la residenza anagrafica del legale rappresentante della medesima. In tale ultima ipotesi, è richiesto che nella relata di notifica sia specificata la qualità rivestita dal soggetto al quale l’atto è notificato.

Qualora vi siano vizi o irregolarità o imperfezioni della notificazione, gli stessi attengono all’efficacia dell’atto amministrativo, e non alla validità dello stesso, e ciò ai sensi dell’art. 21 bis della l. n. 241/1990.

Nella specie, la notificazione dell’ordinanza n. 108/2013 alla società Real è stata correttamente eseguita presso la residenza del legale rappresentante della medesima.

Il fatto che la relata non riporti la qualifica rivestita dal signor Porcari, rappresenta tutt’al più una irregolarità della notificazione che ben può essere sanata per intervenuto raggiungimento dello scopo, avendo, comunque, detta notificazione, permesso alla società ricorrente di venire a conoscenza dell'atto amministrativo lesivo e di proporre tempestivamente ricorso, come difatti è accaduto.

Nell’ipotesi meno favorevole viene cioè in considerazione una fattispecie di sanatoria della irregolarità della notificazione del provvedimento amministrativo lesivo, come si ricava con chiarezza dalla proposizione del ricorso in primo grado da parte della società Real s.r.l., e dal successivo intervento “ad adiuvandum” dello stesso Porcari, dai quali risulta in modo evidente l’avvenuta conoscenza della ingiunzione di demolizione.

5.2. Quanto poi a quello che, variamente articolato, sembra essere il “motivo centrale” della impugnazione, attinente alla legittimità e correttezza, o no, della qualificazione, sul piano urbanistico – edilizio, dell’intervento realizzato, con riguardo in particolare alla riconducibilità dell’opera stessa nel novero degli interventi di edilizia libera o, viceversa, da assoggettare a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001; o al carattere pertinenziale, o no, dell’opera, occorre rilevare in primo luogo che non può trovare accoglimento la tesi del privato in base alla quale verrebbe in considerazione un’opera di natura pertinenziale, anche a prescindere dalle – oggettivamente cospicue, invero - dimensioni dell’opera stessa.

Al contrario, questo Collegio di appello, concordando in ciò col TAR, ritiene che nella specie venga in considerazione un’opera che, per consistenza e tipologia, ha comportato una trasformazione del territorio e del suolo, e una alterazione dei luoghi, tutt’altro che irrilevanti, e che esattamente è stata fatta ricadere nella categoria degli interventi per l’esecuzione dei quali occorre il permesso di costruire ai sensi degli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.

In proposito, più volte questo Consiglio di Stato ha rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand'anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.

La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico / edilizi.

La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 2.1.2018, n. 24, 2.2.2017, n. 694, 4.1.2016, n. 19, 11.3.2014, n. 3952; Sez. V, n. 817 del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).

La giurisprudenza di questo Giudice di appello è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume" (v. Cons. Stato, Sez. IV, 2.2.2012, n. 615, cit.).

Nell'ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un "manufatto edilizio" (cfr. Sez. VI, 24.7.2014, n. 3952). Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma.

Esaminando da vicino la fattispecie, il carattere pertinenziale dell’opera è escluso proprio in ragione del fatto che si tratta di un intervento di tutt’altro che ridotta o esigua dimensione. Viene in questione una struttura di dimensioni di entità tali (circa 345 mq) da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui è stata inserita.

Evidente, la trasformazione del territorio e l’alterazione dello stato dei luoghi.

Di qui, la correttezza della decisione comunale, avallata nella sentenza impugnata, di applicare la sanzione della demolizione di cui all’art. 31 del t. u. n. 380 del 2001 (a differenza di quanto sostiene la parte appellante, la quale invoca, implicitamente ma non per questo meno sicuramente, la irrogabilità di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 37 del t. u. dell’edilizia, considerando inapplicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del t. u. medesimo).

In conclusione, non può trovare accoglimento la deduzione secondo la quale verrebbe in considerazione un’opera di natura pertinenziale.

5.3. Infine, avuto riguardo al principio “tempus regit actum”, in base al quale la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta “con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (v. sentenza n. 49 del 2016; si veda anche sentenza n. 30 del 2016)” –così C. cost., n. 224 del 2016; conf., “ex multis”, Cons. Stato, VI, n. 98 del 2017, non può essere accolto neppure il profilo di censura imperniato sulla mancata considerazione della avvenuta presentazione di una d.i.a., da parte della società, in data 27.5.2013, ossia circa due mesi dopo l’adozione della misura repressiva impugnata.

Nessun addebito può quindi essere mosso al giudice di primo grado in relazione alla violazione dell’art. 60 del c.p.a. là dove la definizione del giudizio con sentenza in forma abbreviata è subordinata alla completezza dell’istruttoria.

In conclusione, l’appello dev’essere respinto e, ferme le integrazioni motivazionali esposte sopra, la sentenza di primo grado va confermata.

Sussistono tuttavia ragioni eccezionali per compensare integralmente tra le parti le spese del grado del giudizio, in considerazione della difesa di mera forma svolta dal Comune.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado del giudizio compensate.

Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Marco Buricelli        Diego Sabatino