Consiglio di Stato Sez. VI n. 10904 del 13 dicembre 2022
Urbanistica.Prova della data di realizzazione di un immobile abusivo
L’onere di provare la data di realizzazione e l’originaria consistenza di un immobile di cui l’Amministrazione contesti l’abusività spetta a colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, cosicché solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione.
Pubblicato il 13/12/2022
N. 10904/2022REG.PROV.COLL.
N. 03013/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3013 del 2019, proposto da
ELEONORA CATERINA ALBA, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Lamanna, Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Pappalepore in Roma, via Guglielmo Calderini, n. 68;
contro
COMUNE DI MONOPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Dibello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
CONDOMINIO VIA PESCE N. 20/A MONOPOLI, rappresentata e difesa dall’avvocato Giacomo Sgobba, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), n. 1375 del 2018;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monopoli e del Condominio di via Pesce n. 20/A in Monopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Vincenzo Lamanna, Vito Aurelio Pappalepore, Lorenzo Dibello e Giacomo Sgobba;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono così riassumersi:
- la signora Eleonora Caterina Alba è proprietaria di una abitazione al piano terra di un condominio sito in Monopoli, via Amleto Pesce n. 20/A;
- in date 30 aprile e 22 maggio 2014, il predetto immobile veniva fatto oggetto di sopralluogo da parte della Polizia Municipale di Monopoli, per l’accertamento di eventuali opere abusive;
- in data 1 luglio 2014, veniva notificata alla signora Alba l’ordinanza per il ripristino dello stato dei luoghi n. 329 del 27 giugno 2014 (prot. n. 32639), a firma del Dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Monopoli, in cui segnatamente si individuavano i seguenti interventi: «a) ampliamento di appartamento al p.t. mediante costruzione vano su area condominiale [...] in attacco garage preesistente di mq 38 e mc 110 [...] utilizzato come ingresso soggiorno; b) cambio d’uso di garage (mq. 30) in abitazione [...] e costruzione all’interno di caminetto con canna fumaria; c) cambio d’uso in abitazione di esistente vano tecnico di mq 16»;
- in data 26 settembre 2014, l’istante, unitamente al padre signor Domenico Alba, titolare dell’impresa costruttrice delle predette opere edilizie, avanzavano presso l’Amministrazione comunale istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
- con ricorso notificato il successivo 10 ottobre 2014 al Comune di Monopoli e al controinteressato Condominio, gli interessati impugnavano dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia l’ordinanza n. 329 del 27 giugno 2014 sopra citata, chiedendone l’annullamento;
- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con sentenza n. 1513 del 2014, dichiarava inammissibile il ricorso per originaria carenza di interesse, sul fondamento che: «la presentazione della domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della L. n. 47/85 (confluito nel predetto art. 36) impedisce l’esecuzione dell’ingiunzione di demolizione ed impone al Comune il previo esame della domanda di sanatoria [...] spostandosi l’interesse dei ricorrenti sulla nuova determinazione che il Comune intimato dovrà adottare»;
- in data 19 giugno 2015, la signora Alba depositava accertamento di conformità integrativo relativo all’ampliamento del garage, quale condizione ritenuta dall’Ufficio comunale necessaria e preliminare al rilascio della sanatoria;
- sennonché, con ordinanza prot. n. 46137 del 23 settembre 2015, notificata alla ricorrente il 9 ottobre 2015, il Comune di Monopoli dichiarava ammissibile l’accertamento di conformità per il solo intervento di cambio di destinazione d’uso da garage ad abitazione e fusione con unità abitativa esistente a piano terra, al contempo ordinando la demolizione dell’ampliamento realizzato all’interno del garage e quello al di sotto del portico nonché disponendo la rimozione della canna fumaria;
- in data 21 ottobre 2015, la proprietaria comunicava l’inizio dei lavori di demolizione e ripristino dell’ampliamento al di sotto del porticato, e presentava altresì istanza di revoca in autotutela dell’ordinanza di demolizione di tutte le opere ovvero, in subordine, di modifica della medesima ordinanza: a) sul punto relativo all’ampliamento dell’ex garage, argomentando l’operatività del c.d. “Piano casa”; b) in ordine all’individuazione delle opere da demolire (sostenendo l’attribuzione a sé dell’onere di demolizione delle sole vetrate, con esclusione di tutte le opere in muratura, perché di proprietà condominiale ed eseguite dal Condominio); c) con riferimento al termine ivi previsto per procedere alla demolizione, richiedendone una proroga;
- successivamente, con nota del 5 novembre 2015, la signora Alba comunicava all’Amministrazione comunale di aver adempiuto all’ordinanza prot. n. 46137 del 23 settembre 2015, mediante rimozione delle vetrate del porticato, asportazione del parquet e ripristino degli intonaci;
- seguiva l’ordinanza prot. n. 56788 del 19 novembre 2015, notificata alla ricorrente in data 26 novembre 2015, con cui il Comune di Monopoli dichiarava che: «[…] con la presente si integra la precedente nota di questa A.O. n. 46137 del 23/9/2015, ribadendo che l’obbligo di demolizione delle parti abusive è anche a carico del condominio, in quanto proprietario dell’area su cui sono state realizzate, e si ribadisce in toto il disposto dell’ordinanza di demolizione Reg. n. 349 prot. 326[39] del 27/6/2014. […] Si riscontra, infine, la Comunicazione Inizio Lavori (ex art. 6 d.p.r. 380/01) inviata dalla sig.ra Alba Eleonora Caterina prot. n. 53352 del 30/10/2015 per la realizzazione delle opere abusive, precisando che alla stessa è impropriamente allegata una istanza di revoca (mai acquisita formalmente agli atti di questo Ente) che, quindi, è improduttiva di qualsiasi effetto. Ad ogni modo, si evidenzia che ‒ comunque ‒ i contenuti della stessa istanza non sono ammissibili per le motivazioni già espresse nelle precedenti note di questo Ufficio che fanno riferimento e rimandano all’ordinanza di demolizione n. 349»;
- ritenendo illegittime le ordinanze emanate dal Comune di Monopoli il 23 settembre 2015 (prot. n. 46137) ed il 19 novembre 2015 (prot. n. 56788), la signora Alba proponeva ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, ponendo a fondamento dell’impugnativa le seguenti censure:
i) violazione ed erronea applicazione dell’art. 27 del d.P.R. 380 del 2001 e dell’art. 1102 cod. civ. nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti e sviamento dall’interesse pubblico;
ii) violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, per carente o insufficiente motivazione dei provvedimenti impugnati nonché violazione dei limiti legali per la demolizione, di cui al combinato disposto degli artt. 31 e 33 del d.P.R. 380 del 2001 e 92 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104;
iii) illegittimità dell’ordinanza del Comune di Monopoli del 19 novembre 2015 derivata dall’illegittimità della precedente ordinanza comunale del 23 settembre 2015;
- nel medesimo giudizio, proponeva ricorso incidentale il Condominio controinteressato, censurando entrambe le ordinanze comunali gravate per difetto di legittimazione passiva (dello stesso Condominio) rispetto all’ordine di demolizione impartito dal Comune, e formulando altresì domanda risarcitoria nei confronti della ricorrente principale, in considerazione dell’avvenuta realizzazione di opere abusive su area condominiale.
2.– Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con sentenza n. 1375 del 2018:
i) ha respinto il primo motivo di gravame (relativo all’asserita illegittima inerzia dell’Ufficio comunale, che non avrebbe proceduto ai doverosi accertamenti previsti ex lege, tra cui sopralluogo e verifica tecnica, e all’asserita irrilevanza del consenso del Condominio per l’installazione della canna fumaria), rilevando che: «con il verbale dell’11.6.2014 la Polizia Municipale di Monopoli ha proceduto all’accertamento delle opere abusive (ampliamento dell’ex garage e realizzazione della canna fumaria), successivamente contestate nel provvedimento di demolizione del 23.9.2015 impugnato in questa sede»; con specifico riguardo alla canna fumaria, «tale realizzazione abusiva fu riscontrata e descritta nel capoverso b) del citato verbale di accertamento redatto dagli agenti accertatori in data 11.6.2014 (“… cambio d’uso in abitazione del preesistente garage di mq. 30 circa, comunicante internamente con l’opera di cui al precedente punto sub a); all’interno dello stesso è stato realizzato abusivamente un caminetto, con canna fumaria in acciaio, a sezione circolare che sbocca sulla parete esterna a circa m. 4 dal piano di calpestio e percorre l’intera facciata condominiale Ovest della palazzina, sino al parapetto del terrazzo”). La canna fumaria viene, inoltre, indicata nell’ordinanza di demolizione n. 349 del 27.6.2014, nonché nell’istanza del 2.10.2014 tra le difformità di cui viene chiesta la sanatoria»; aggiungendo che «la collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale di un edificio o di una corte interna (nella fattispecie in esame sul prospetto dell’intero edificio) deve essere effettuata necessariamente con il consenso degli altri condomini se impedisce - come nel caso di specie - agli altri condomini l’uso del muro comune ovvero ne altera la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità»;
ii) ha invece accolto il secondo motivo di gravame – con assorbimento di ogni altra censura – per difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati in relazione all’ampliamento dell’ex garage oggetto della precedente istanza del 21 ottobre 2015, rilevando che: «l’Ufficio comunale si sarebbe dovuto limitare ad appurare, quale elemento ostativo al rilascio del permesso in sanatoria, non già la possibilità della demolizione “senza pregiudizio statico per il resto della struttura”, bensì unicamente la non sussistenza del requisito della doppia conformità agli strumenti urbanistici vigenti»;
iii) per quanto concerne il ricorso incidentale, ha preliminarmente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito con riferimento alla domanda risarcitoria formulata, «venendo in rilievo una controversia condominiale meramente privatistica, materia devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario secondo il generale criterio di riparto della giurisdizione»; ha respinto la domanda impugnatoria, sul presupposto che: «dagli atti del processo è incontestabilmente emerso che il Condominio sia proprietario delle aree su cui sono stati realizzati gli abusi e lo stesso non ha dimostrato in alcun modo di aver posto in essere una qualche condotta attiva per impedirli».
Su queste basi, in parte respingendo e in altra parte assorbendo i restanti motivi, il T.a.r. ha annullato le ordinanze del Comune di Monopoli del 23 settembre e del 19 novembre 2015, nella parte relativa alla demolizione dell’ampliamento dell’ex garage per difetto di motivazione, prescrivendo all’Amministrazione comunale la verifica della sussistenza del requisito della c.d. doppia conformità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380 del 2001.
3.– Avverso la predetta sentenza (come appena veduto, solo in parte a sé favorevole) ha proposto appello la signora Alba, sostenendone l’erroneità nella parte in cui ‒ limitandosi ad accogliere il solo difetto di motivazione ‒ avrebbe omesso di considerare (e accogliere) altre censure con effetti ad essa più favorevoli, dimostratesi fondate all’esito dell’istruttoria.
In particolare, l’appellante deduce che:
a) dai rilievi fotografici risulterebbe che la canna fumaria, avente diametro di 30 cm, non sarebbe posta sul ‘prospetto dell’edificio’, bensì su un muro perimetrale laterale, quale parte comune del Condominio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., e pertanto utilizzabile da ciascun condomino senza il consenso degli altri; per di più l’esistenza sul medesimo muro di ulteriori tubi e condotte appartenenti ad altri condomini dimostrerebbe le piccole dimensioni della canna fumaria oggetto di causa, unitamente al rispetto del duplice limite di cui all’art. 1102 cod. civ.; ed in ogni caso la canna fumaria costituirebbe volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, le cui caratteristiche tecniche e dimensionali sarebbero ininfluenti rispetto alla sagoma dell’edificio, non necessitandosi così il permesso di costruire, e perciò escludendosi l’assoggettabilità alla sanzione della demolizione;
b) il muro perimetrale dell’ex garage, il cui avanzamento avrebbe prodotto l’ampliamento abusivo in contestazione, non sarebbe mai stato spostato dal settembre del 1968 all’attualità (come già emerso nel giudizio di prime cure all’esito dell’indagine penale esitata nel provvedimento di archiviazione emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari il 17 ottobre 2019 e prima ancora dalla documentazione allegata all’istanza di revoca, modifica e sanatoria del 21 ottobre 2015);
c) l’ampliamento dell’ex garage, di circa 5,60 mq e 18 mc, sarebbe invece imputabile ad una difformità originaria rispetto alla licenza edilizia n. 17171 del 17 novembre 1965 e si sottrarrebbe alla disciplina di cui alla legge 6 agosto 1967, n. 765, trattandosi di opera realizzata in epoca anteriore all’1 settembre 1967 (data di entrata in vigore della legge c.d. “ponte”) e situata fuori dal centro urbano (come emergerebbe dall’osservazione delle Tavole grafiche allegate all’istanza di licenza edilizia); né potrebbe riconoscersi “valore confessorio” dell’abusività dell’opera alla richiesta di sanatoria, presentata ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, a fronte dei divergenti approdi della giurisprudenza sul punto, pure non tenuti in debito conto dal Tribunale;
d) il rilascio del certificato di agibilità in data 17 gennaio 1969 confermerebbe l’assentimento del muro in questione, e medesima conclusione dovrebbe parimenti trarsi dalla D.I.A. n. 8821 del 7 novembre 2016 (relativa a lavori di manutenzione straordinaria dei prospetti del complesso condominiale, interventi su balconi e piccole opere manutentive);
e) peraltro, la superficie asseritamente abusiva dell’ex garage non apparterrebbe al Condominio, dal momento che l’accorpamento di tale superficie all’ex garage sarebbe avvenuto in data anteriore al settembre del 1968, ossia quando non vi era ancora alcuna proprietà condominiale, ed anzi sarebbe divenuta di proprietà della signora Alba per intervenuta usucapione ultraventennale, ai sensi degli artt. 1146 e 1158 cod. civ.;
f) in ogni caso, la doppia conformità richiesta dall’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001 sarebbe integrata in ragione della volumetria edificabile scaturente dal “Piano casa” di cui alla legge della Regione Puglia 30 luglio 2009, n. 14, la quale non escluderebbe espressamente – a differenza di altre leggi regionali – l’applicabilità del “Piano casa” in funzione di “sanatoria”.
4.– Si sono costituiti in giudizio il Comune di Monopoli e il Condominio controinteressato, insistendo perché il gravame venga dichiarato improcedibile, inammissibile o comunque infondato.
5.– Con memoria depositata il 30 settembre 2022, l’odierna appellante ha dedotto che, in esecuzione della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, n. 1375 del 2018, il Comune di Monopoli ha confermato, con successiva nota prot. n. 74646 del 20 dicembre 2018, il diniego di sanatoria circa l’ampliamento dell’ex garage, «in quanto non rispettoso del requisito della doppia conformità edilizia-urbanistica» e, conseguentemente, ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi, con ordinanza n. 46 del 7 febbraio 2019, ovvero la demolizione dei seguenti manufatti abusivi: «a) ampliamento del vano a piano terra (già utilizzato come garage), per una superficie di circa 5,6 mq e volume di circa 18 mc; b) costruzione – sul muro perimetrale dell’edificio in prossimità di detto vano – di una canna fumaria».
Entrambi i provvedimenti da ultimo citati sono stati impugnati dalla signora Alba (con ricorso n. 395 del 2019) dinanzi al Tribunale di primo grado, che:
a) con ordinanza n. 188 del 2019, ha sospeso l’esecutività del provvedimento demolitorio gravato «al fine di conservare [la] rem adhuc integram fino alla decisione di merito» (e il relativo appello, proposto dal Condominio, è stato respinto con ordinanza della VI Sezione del Consiglio di Stato, n. 3573 del 2019); b) con sentenza parziale n. 92 del 2020, ha disposto una verificazione, conclusasi con due relazioni del 16 aprile e del 30 novembre 2021;
c) con ordinanza n. 551 del 2022, ha sospeso il giudizio in attesa della definizione del presente appello, posto che: «con riguardo all’ordine di demolizione e alla denegata sanatoria del vano sul porticato condominiale non vi è una nuova e autonoma determinazione del Comune».
La proprietaria deduce, quali sopravvenuti elementi di rilievo, che:
i) dalla verificazione disposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia nel nuovo giudizio pendente emergerebbe l’antecedenza del supposto abuso edilizio al settembre 1968, giacché il rilievo fotografico, recante pari data, riprodurrebbe il muro di causa nella medesima posizione attuale e la ‘certezza’ della data ivi riportata sarebbe attestata nel provvedimento di archiviazione emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari del 17 ottobre 2019;
ii) la prova dell’anteriorità anche all’1 settembre 1967 si desumerebbe dalla dichiarazione del geometra Domenico Alba, resa ai sensi dell’art. 391-ter del c.p.p., il 6 luglio 2021 nonché dalla consulenza tecnica di parte dell’ingegnere Giuseppe Nico dell’8 marzo 2022, laddove si sostiene che, se la certificazione comunale attesta il 14 novembre 1967 quale data di fine lavori e il muro di causa come muro perimetrale, la realizzazione dello stesso rientrerebbe tra i primi interventi costruttivi, per cui non potrebbe che essere stato edificato in data anteriore all’1 settembre 1967, poiché diversamente l’edificio non avrebbe potuto essere ultimato in data 14 novembre 1967.
6.– Con memoria del 3 ottobre e memoria di replica del 12 ottobre 2022, l’Amministrazione comunale contesta le censure dedotte dall’odierna appellante, richiamando le risultanze della verificazione effettuata nel nuovo giudizio di primo grado.
7.‒ Con memoria del 3 ottobre e memoria di replica del 12 ottobre 2022, anche la controinteressata Amministrazione condominiale ha contestato le deduzioni dell’odierna appellante, insistendo per il rigetto dell’appello.
8.– All’udienza del 3 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
9.– Vanno preliminarmente scrutinati i motivi di gravame relativi all’ampliamento del vano al piano terra (già utilizzato come garage).
Ritiene il Collegio che, sul punto, il dispositivo della sentenza di primo grado vada confermato, sia pure con diversa motivazione.
Venendo in rilievo una attività amministrativa di mero riscontro di conformità tra il progetto e gli strumenti urbanistici vigenti, il giudice deve infatti procedere ‒ ove possibile ‒ all’accertamento della fondatezza della pretesa (art. 31, comma 3, del c.p.a., cui rinvia anche l’art. 34, comma 2, lettera c, del c.p.a.) e definire la presente controversia in modo conclusivo.
Le risultanze istruttorie ‒ unitamente alla verificazione disposta nel giudizio n. 395 del 2019 nel frattempo istaurato innanzi al T.a.r. Puglia, utilizzabile dal Collegio quale prova ‘atipica’, una volta acquisita ritualmente ‒ confermano che l’ampliamento realizzato sine titulo si pone in contrasto con la disciplina urbanistica in quanto al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (e a tutt’oggi) non esisteva la possibilità di usufruire di volumetria utile.
9.1.‒ Nel dettaglio, l’abuso contestato consiste: nell’aver realizzato murature basse con sovrastanti finestre continue su una porzione di piano pilotis che da progetto presentato con licenza del 1965 doveva rimanere libero e a disposizione del Condominio; nell’attuale garage di proprietà dell’appellante risulta realizzato un avanzamento della muratura est su area di proprietà condominiale dell’unità immobiliare che ha occupato una porzione del piano pilotis con aumento di superficie di circa 5,80 mq, corrispondente ad un aumento di volumetria pari a 18,58 mc.
È stata riscontrata altresì l’esistenza di un ulteriore vano antistante a quello indicato come garage nel 1965, inesistente sulle planimetrie di progetto autorizzate dal Comune di Monopoli. Tale vano, solo parzialmente demolito, è stato ottenuto dalla realizzazione di murature basse con sovrastanti infissi sui lati est, ovest e sud, il quale occupa una porzione di suolo condominiale ed una superficie di 36,19 mq con una volumetria di 115,81 mc.
9.2.‒ L’opera così descritta è stata realizzata sine titulo.
La tesi che si tratti di edificazione anteriore al 1 settembre 1967 ‒ e che pertanto la sua realizzazione non necessiterebbe di alcun titolo (affermazione che si pone peraltro in contrasto con la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità e di tutta la documentazione allegata e che sul piano processuale rappresenta inoltre una mutatio libelli) ‒ non può essere accolta.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’onere di provare la data di realizzazione e l’originaria consistenza di un immobile di cui l’Amministrazione contesti l’abusività spetta a colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, cosicché solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione.
Nel caso in esame, tale onere non è stato assolto dall’appellante. Anzi, sono emersi elementi di segno esattamente contrario.
L’intero immobile è stato costruito con la licenza edilizia n. 17171 del 17 novembre 1965.
La DIA n. 8821 del 7 novembre 2006, regolarmente corredata di asseverazioni e collaudo finale dell’opera (e che rappresenta ad oggi l’ultimo stato legittimo dell’immobile oggetto di ricorso), riporta in allegato lo stato dei luoghi. Nella “Relazione Tecnica Asseverata” si attesta che lo stato dei luoghi era, a quella data, conforme al progetto originario di cui alla licenza edilizia del 1965. Se ne desume, quindi, che qualsiasi difformità riscontrabile sull’immobile (rispetto al progetto originario) deve farsi risalire ad una data successiva.
In ogni caso, la questione relativa all’anteriorità dell’abuso al settembre 1967 è ininfluente.
Dalla documentazione agli atti e dalle pratiche edilizie depositate presso l’ente tecnico del Comune di Monopoli, emerge che l’intero immobile ricade in area interna di perimetrazione urbana e pertanto era soggetto a licenza edilizia (pure in assenza di uno strumento urbanistico generale), ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942.
Anche la circostanza che l’immobile fosse dotato di certificato di agibilità rilasciato in data 17 gennaio 1969 non coglie nel segno. Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità, come è noto, sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche. Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità) non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3666).
9.3.‒ Le conclusioni appena esposte non sono inficiate dai documenti prodotti in appello, in disparte ogni questione sulla sussistenza dei presupposti per la loro ammissibilità.
La richiesta di archiviazione del 25ottobre 2018 della Procura Generale della Repubblica di Bari, non contiene evidentemente alcun accertamento che possa essere opposto dal giudice amministrativo. Il decreto di archiviazione preclude soltanto l’esercizio dell’azione penale (e quindi il processo) e non dà luogo a preclusioni di alcun genere. In particolare, non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente valutato e qualificato dal giudice amministrativo, all’esito di un giudizio svolto nel contraddittorio tra le parti.
Il rilievo fotografico ‒ asseritamente del settembre 1968, ma che riporta soltanto una data scritta a mano ‒ non è accompagnato da alcun riscontro di autenticità.
Quanto alle dichiarazioni rese da terzi ‒ pur senza volerne negare ogni rilevanza ‒ non rappresentano, soprattutto alla luce di quanto emerso ed attestato dal verificatore, elementi sufficientemente certi e univoci per assolvere la prova della preesistenza della costruzione del manufatto in data anteriore al 1967.
In punto di attendibilità, va poi considerato, che la dichiarazione del geometra Domenico Alba proviene dal padre dell’odierna appellante (oltreché sottoscrittore dell’istanza di ‘sanatoria’).
9.4.‒ Una volta appurato che, nell’appartamento di proprietà dell’appellante, è stato realizzato un aumento di superficie e volumetria utile senza preventiva autorizzazione comunale, va aggiunto che tale ampliamento non era ‘sanabile’.
È utile premettere che l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 consente la sanatoria degli abusi meramente ‘formali’, richiedendo a tal fine che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla stessa giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5948; 4 gennaio 2021, n. 43; 9 settembre 2019, n. 6107; 11 settembre 2018, n. 5319; vedi anche le sentenze n. 3194 del 2016, n. 2784 del 2015 e n. 2306 del 2006).
Secondo la Corte costituzionale (sentenze n. 232 del 2017 e 101 del 2013), la citata norma statale che richiede la verifica della ‘doppia conformità’ deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità».
Ciò premesso, è dirimente osservare che, al momento della presentazione dell’istanza, i volumi in ampliamento realizzati sulla proprietà dell’appellante avevano superato il limite volumetrico massimo consentito sia dal PRG che dal PUG.
L’assunto è reso incontestabile dalla circostanza che ‒ con atto di vendita del 5 ottobre 1995 ‒ tutta la volumetria disponibile che il lotto (di cui alla particella 1492 del foglio 11/G) avrebbe potuto sviluppare (corrispondente a 2858,00 mc) è stata ceduta da Alba a SICE s.r.l.
9.5.‒ A quanto detto si aggiunge che gli interventi abusivi sono stati realizzati (a non domino) su area condominiale e non sussiste la prova che la stessa sia stata acquistata a titolo originario per usucapione.
Va rimarcato che, alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere non solo i soggetti indicati dall’art. 11 comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, cioè i soggetti legittimati a chiedere il permesso di costruire ma anche, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario.
Deve ritenersi quindi inammissibile la sanatoria ove l’abuso sia stato realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa il consenso degli altri comproprietari (Consiglio di Stato sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818).
9.6.‒ La tesi dell’appellante ‒ secondo cui il requisito della doppia conformità dovrebbe rinvenirsi mediante l’applicazione degli aumenti volumetrici consentiti (anche in deroga agli strumenti urbanistici) dal ‘Piano Casa’, tanto al momento di realizzazione delle opere abusive che al momento della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ‒ è destituita di fondamento.
Secondo l’orientamento di questa Sezione (cfr., ex plurimis. sentenze n. 10358 del 2022, n. 6021 del 2022 e n. 8631 del 2021), gli interventi di ampliamento previsti dalle norme del c.d. ‘Piano casa’ sono ammessi soltanto se, da un lato, non siano stati già abusivamente realizzati ma siano previamente e ritualmente assentiti mediante idoneo titolo abilitativo e, d’altro lato, l’edificio cui accedono sia stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, sia stato previamente sanato.
Al ‘Piano Casa’ non è ricollegabile la portata sanante erroneamente predicata dall’appellante. Si tratta infatti non di una normativa di condono, bensì di una previsione eccezionale che rifletteva l’esigenza congiunturale di promuovere gli investimenti privati nel settore dell’edilizia come misura di contrasto alla crisi economica e per la tutela dei livelli occupazionali, destinata ad operare per un arco temporalmente limitato e come tale soggetta a stretta interpretazione.
Tale assunto si desume ‒ oltre che dalle predette considerazioni sistematiche ‒ anche dalla lettera della legge della Regione Puglia n. 14 del 2009 che consente un ampliamento degli edifici residenziali esistenti nei limiti del 20% della volumetria complessiva dell’immobile e, comunque, non oltre i mc. 300 (art. 3), anche in deroga alle previsioni quantitative della strumentazione urbanistica locale, precisando che sono computabili solo i «volumi legittimamente realizzati» (come base del calcolo del volume complessivo del fabbricato preesistente su cui commisurare l’ampliamento consentito del 20%.).
La soluzione ermeneutica proposta è anche quella conforme a Costituzione.
L’art. 12, comma 4-bis, della legge della Regione Campania (come sostituito dall’art. 8, comma 1, lettera l), della legge della Regione Campania 5 aprile 2016, n. 6), disponeva che: «Le disposizioni di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda».
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 107 del 2017, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, della legge regionale n. 19 del 2009, nella parte in cui fa riferimento «alla stessa legge» anziché «alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente».
Più precisamente, la Corte ha ritenuto che la disciplina regionale fosse illegittima laddove affermava che l’opera dovesse essere conforme «alla stessa legge» (ossia alla legge regionale n. 19 del 2009), in luogo della prescrizione ‒ dettata dal parametro interposto costituito dalla norma statale ‒ secondo cui essa deve essere conforme «alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente […] sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda».
Diversamente opinando, e seguendo la tesi dell’appellante, si perverrebbe a conclusioni distoniche con i principi affermati dalla Corte, in quanto la legge regionale verrebbe surrettiziamente trasfigurata sul piano funzionale, assumendo le sembianze di una normativa di condono di quanto già esistente. Violazioni sostanziali della disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca delle relative opere verrebbero trattate al pari di abusi meramente «formali». Tale impostazione contrasterebbe anche con il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell’azione amministrativa, secondo principi di legalità e di buona amministrazione.
9.7.‒ Quanto poi all’omessa applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione (per impossibilità di esecuzione senza pregiudizio per la parte conforme), è dirimente considerare, ai fini del rigetto della censura, che solo in caso di interventi eseguiti in parziale difformità, la sanzione pecuniaria può costituire una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi (in tal senso, depone chiaramente la lettera dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001), e peraltro la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 febbraio 2021, n. 995).
10.‒ Anche il capo di sentenza sulla canna fumaria, anch’essa oggetto di richiesta di accertamento in conformità, va confermato.
10.1.‒ È dirimente osservare che l’inserimento della canna fumaria (astrattamente riconducibile nel novero dei ‘volumi tecnici’, fermo restando che il permesso di costruire diviene necessario quando la stessa costituisca opera di palese evidenza rispetto alla costruzione ed alla sagoma dell’immobile) non va considerato isolatamente, bensì quale componente del più ampio abuso.
La valutazione dell’abuso edilizio presuppone infatti una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate: non è dato scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni.
Nella specie, la realizzazione della canna fumaria è connessa con il cambio d’uso e la realizzazione del caminetto all’interno dell’ex garage, il cui ampliamento, come si è statuito sopra, è abusivo e non sanabile.
Che non si tratti di canna fumaria a servizio di un caminetto esistente emerge dalle relazioni degli accertatori in atti (nella ‘comunicazione di abuso edilizio alle autorità amministrative’ prot. n. 30051 dell’11 giugno 2014, si legge: «all’interno del preesistente garage è stato realizzato abusivamente un caminetto, con canna fumaria in acciaio, a sezione circolare che sbuca sulla parete esterna a circa m 4 dal piano di calpestio e percorre l’intera facciata condominiale ovest della palazzina fino al parapetto del terrazzo»; nella perizia tecnica integrativa del 3 agosto 2015, a firma dell’ing. Fabio Sottile, viene pure specificato che la canna fumaria «corre verticalmente lungo tutto il prospetto ed a circa 40 cm dalle finestre esistenti sulla facciata […] la suddetta canna fumaria viola le distanze legali per la collocazione di una canna fumaria sul muro prospettico comune, ad opera di uno o più condomini, che non può essere inferiore a 75 cm dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini. Inoltre, una canna fumaria distante circa 40 cm dalla finestra di un condomino, ne priva la comoda inspectio e prospectio cioè la possibilità di poter affacciarsi e poter guardare frontalmente e lateralmente da ambo i lati».).
10.2.‒ Da ultimo, tale installazione è avvenuta invito domino (è stato infatti dedotto che gli altri condomini si sono formalmente opposti alla sua installazione, reputandosi lesi dal godimento comune della cosa). Valgono quindi le medesime considerazioni svolte al punto 9.5. della motivazione.
11.‒ L’appello va dunque respinto.
11.1.‒ Le spese di lite del secondo grado di giudizio possono compensarsi tra tutte le parti del giudizio, in ragione della natura della controversia e della particolarità delle questioni giuridiche trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, così dispone:
- respinge l’appello n. 3013 del 2019, come in epigrafe proposto;
- compensa interamente tra le parti le spese di lite del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere