Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 918, del 15 febbraio 2013
Urbanistica.Riliquidazione degli oneri di urbanizzazione

Ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dalla variante, introdotta in un fabbricato già autorizzato, sicchè è illegittima la richiesta di pagamento solo se non si verifica la variazione del carico urbanistico, che invece nella specie è pienamente riscontrabile poiché muta la destinazione dell’intero fabbricato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00918/2013REG.PROV.COLL.

N. 00718/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 718 del 2005, proposto da: 
Cooperativa di Costruzioni S.C.A.R.L., rappresentato e difeso dagli avv. Guglielmo Della Fontana, Giovan Ludovico Della Fontana, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Comune di Modena, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Villani, Adriano Giuffre', con domicilio eletto presso Adriano Giuffrè in Roma, via dei Gracchi, 39;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 01513/2004, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 01513/2004, resa tra le parti, concernente della sentenza del t.a.r. emilia-romagna - bologna: sezione i n. 01513/2004, resa tra le parti, concernente annull.concess.di esecuz.variante limitatamente al computo oneri urbanizzazione



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Adriano Giuffrè e Paolo Mazzoli (su delega di Giovan Ludovico Della Fontana);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna la società attuale appellante agiva per l’annullamento della concessione n.288 del 1993 limitatamente al computo degli oneri di urbanizzazione chiedendo la restituzione di euro 21.094,26.

Era avvenuto che sul medesimo immobile erano state rilasciate in tempi successivi due distinte concessioni edilizie: la prima (n.572 del 2 luglio 1992) per la riqualificazione tipologica del fabbricato, da destinarsi ad agenzia bancaria, con destinazione in parte a sede di istituto di credito (mq.471) e in parte a residenza (mq367); la seconda concessione (n.288 del 20 gennaio 1994) di variante sostanziale della prima, in forza della quale è stata soppressa la funzione residenziale e il fabbricato è stato adibito totalmente ad istituto di credito.

Con il ricorso veniva contestato il calcolo degli oneri di concessione, che erano stati calcolati sulla intera superficie, sia pure con detrazione degli oneri precedentemente pagati, e sulla base delle tabelle regionali (più onerose) nel frattempo entrate in vigore.

Sosteneva la ricorrente che l’onere doveva essere moltiplicato soltanto sulla superficie interessata dal mutamento di destinazione e non sull’intero fabbricato; l’amministrazione, a giustificazione del suo operato, sosteneva che invece la seconda concessione aveva sostituito integralmente la prima, per avere riguardato un intervento del tutto diverso (con variazione degli standard ex DM del 1968) per essere intervenuta su situazione non consolidata (per l’intervento originario non risultava mai essere stata data comunicazione di fine dei lavori) e per contenere un nuovo termine di inizio e fine dei lavori.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, ritenendo corretto l’operato dell’amministrazione comunale, sulla base dell’attributo “sost” che accompagnava la seconda concessione, sia che a ciò fosse assegnato il senso di sostanziale che di sostitutiva della precedente concessione. Secondo il primo giudice il passaggio da residenza a direzionale di mq.367 su un totale di mq.838 rispetto tra l’altro ad un intervento non ancora attuato, presenta aspetti innovativi di tale rilevanza da giustificare il ricalcolo degli oneri, ovviamente con detrazione di quelli già versati.

Il primo giudice argomentava altresì dal fatto che il mutamento d’uso con opere di immobili o di loro parti costituisce variazione essenziale ai sensi dell’art. 1l.r. n.46 del 1988 vigente all’epoca, prima della modifica di cui alla l.r. 6/95, poiché comportava il passaggio dalla categoria A (funzione abitativa) alla categoria B (funzioni direzionali, assicurative, ecc.) sul principio per cui in caso di variante essenziale la determinazione degli oneri va effettuata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la stessa società, in sostanza riproponendo le censure respinte in prime cure.

Deduce che la variante consiste nel mutamento di destinazione di un piano del fabbricato da residenza ad attività commerciale del solo secondo piano, mentre il ricalcolo ha considerato l’intera superficie del fabbricato di tre piani.

Ripropone quindi l’unico motivo di ricorso già proposto in primo grado di violazione di legge (artt. 3 e 5 della l.1977 n.10) sostenendo che il ricalcolo andava effettuato solo sul piano oggetto del cambio di destinazione autorizzato con la variante e che dalla stessa istanza emergeva che le opere previste nella prima concessione erano in buona parte realizzate, per cui sarebbe errata l’affermazione della sentenza secondo cui le opere non erano ancora state attuate.

Si contesta altresì l’utilizzo improprio che ha fatto la sentenza del concetto di variazione essenziale, che attiene non alla variante di concessione edilizia già rilasciata, ma alla tipologia di abuso edilizio a livello intermedio tra la difformità totale e la difformità parziale rispetto alla concessione edilizia, non potendosi certo ritenere che ogni variante sia in sé essenziale.

Tra l’altro la norma invocata dal primo giudice è stata dichiarata incostituzionale con sentenza n.259 del 23 luglio 1997 del giudice delle leggi.

In definitiva, l’aumento del carico urbanistico ha riguardato soltanto il secondo piano e solo su quello andavano ricalcolati gli oneri.

Con il ricorso venivano richiesti provvedimenti monitori ex art.186 ter c.p.c..

Si è costituito il Comune di Modena, ribadendo la legittimità e correttezza del suo operato e chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato, eccependo altresì l’inammissibilità della richiesta di provvedimenti monitori.

Alla udienza pubblica del 5 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

L’istante, con lavori edilizi acconsentiti con due diverse concessioni, la seconda emessa quando era ancora attuale la prima e certamente non erano terminati i lavori, ha cambiato la destinazione d’uso di un intero fabbricato, mutandone la destinazione totale da villa residenziale e sede di istituto bancario.

Il giudice di primo grado ha ritenuto concretato un mutamento di destinazione di uso con opere di immobili o loro parti e cioè una variazione essenziale comportante il passaggio dalla categoria A (funzione residenziale) alla categoria B (funzioni direzionali, assicurative, etc.), ai fini del ricalcolo degli oneri concessori.

La tesi di parte appellante è di sostenere che la quantificazione degli oneri urbanistici relativamente alla seconda concessione dovessero essere calcolati non già sulla intera superficie del fabbricato ma soltanto sul piano del fabbricato di cui era stato autorizzato con variante il mutamento di destinazione da residenza ad attività commerciale, in quanto già la precedente concessione, per il resto del fabbricato, aveva acconsentito al mutamento di destinazione a istituto bancario.

L’assunto è infondato sia per ragioni di fatto che di diritto.

In fatto, la concessione edilizia del 2 luglio 1992 non aveva terminato la sua vigenza né i lavori erano terminati - tanto che non risultava effettuata la comunicazione di fine dei lavori - al momento in cui veniva chiesta e rilasciata la seconda concessione.

Pertanto, a rigore, il primo mutamento di destinazione d’uso non era del tutto avvenuto.

Durante i tre anni di validità della concessione, per cui non era stata comunicata la fine dei lavori, la parte privata ha chiesto una concessione in variante essenziale destinando, con il secondo intervento, l’intero fabbricato ad attività bancaria.

Pertanto, in fatto, il secondo intervento si è innestato su un intervento edilizio ancora in corso e non ultimato, sicchè la seconda concessione ha sostituito integralmente il primo intervento, con esigenza di rideterminazione del carico urbanistico complessivo.

Mentre al momento del primo intervento, come controdeduce il Comune, gli oneri ammontavano a lire 56 mila circa a metro quadro, successivamente, al momento della seconda concessione, gli oneri ammontavano a lire 101 mila circa a metro quadro (in ciò consiste il reale interesse all’impugnativa).

La presentazione di un progetto di variante e di completamento delle opere già previste in una concessione in precedenza già accordata è sufficiente a legittimare un ripensamento dell’Amministrazione in ordine alla determinazione degli oneri di costruzione, per una nuova considerazione del carico urbanistico.

Il Comune ha quindi correttamente computato gli oneri dovuti per il totale intervento ( e non solo per un piano) conguagliando naturalmente quanto già pagato in virtù del primo intervento, sostituito integralmente dal secondo e non ultimato.

In diritto costituisce giurisprudenza pacifica (così Cons. Stato, V, 20 giugno 2001, n.3251) che ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dalla variante, introdotta in un fabbricato già autorizzato, sicchè è illegittima la richiesta di pagamento solo se non si verifica la variazione del carico urbanistico, che invece nella specie è pienamente riscontrabile poiché muta la destinazione dell’intero fabbricato.

Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza, le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro tremila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)