Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2467, del 14 maggio 2014
Urbanistica.Volume a copertura di un fabbricato caratteristiche di sottotetto o mansarda
Un volume realizzato a copertura di un fabbricato o ha le caratteristiche oggettive di un sottotetto non abitabile, trattandosi in questo caso di un minimo volume tecnico richiesto per la copertura dell’edificio, ovvero si tratta di una mansarda, anche potenziale, in quanto dotata di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda. Ciò che rileva, al fine della considerabilità del cd. vano sottotetto, è la sua materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi, mentre non assumono alcun rilievo gli impegni, anche assunti per atto pubblico, limitativi delle facoltà di godimento del bene. A fini edificatori, e quindi per le valutazioni della pubblica amministrazione che deve rilasciare il titolo autorizzatorio ciò che rileva è la effettiva consistenza del volume e la sua concreta utilizzabilità, non già la limitazione unilateralmente assunta delle facoltà dominicali di godimento del bene. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02467/2014REG.PROV.COLL.
N. 05383/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5383 del 2013, proposto da:
Giuseppe Scocozza e Vilma Paba, rappresentati e difesi dagli avv. Ruggero Laboragine, Mario Contaldi, Gianluca Contaldi, con domicilio eletto presso Gianluca Contaldi in Roma, via Pier Luigi Da Palestrina n.63;
contro
Comune di Moncalieri;
nei confronti di
Edilborgo Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandra Carozzo, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare n.14;
Regione Piemonte;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 00369/2013, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire in variante
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Edilborgo Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Longhin, per delega dell'Avv. Laboragine, e Carozzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, i signori Giuseppe Scocozza e Vilma Paba impugnano la sentenza 22 marzo 2013 n. 369, con la quale il TAR per il Piemonte, sez. I, ha rigettato il loro ricorso, proposto avverso il permesso di costruire 1 luglio 2009 n. 547/07 ed il successivo permesso in variante 6 luglio 2010 n. 96/2010, rilasciati alla Edilborgo s.r.l.
La controversia ha per oggetto la realizzazione di una palazzina residenziale di quattro piani in Moncalieri, ubicata su terreno confinante con quello degli attuali appellanti.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
- la parete dell’edificio costruita da Edilborgo prospiciente la proprietà Scocozza deve “essere effettivamente considerata alla stregua di una parete finestrata”. Non rileva che su di essa si aprono solo aperture a servizio di bagni o di locali aventi una superficie di mq. 8,55, come tali inidonei ad uso abitativo ex D.M. 5 luglio 1975, innanzi tutto perché l’art. 22.2 NTA “non menziona ripostigli e cabine-armadio tra i locali le cui aperture non si debbono tenere in conto ai fini di qualificare una parete come finestrata”;
- il fabbricato realizzato “è conforme alle NTA per quanto riguarda le distanze da osservarsi tra pareti finestrate, ma viola le prescrizioni relative alla distanza tra i confini”. Infatti, la distanza tra nuovo edificio ed abitazione principale degli appellanti, pari a m. 13,62, risulta superiore alla massima altezza della facciata della palazzina, pari a m. 13,41. Al contrario, la distanza tra pareti finestrate e confine risulta violata, essendo di m. 5,05, minore di quello che avrebbe dovuto essere, e cioè di m. 6,57;
- la predetta illegittimità non può, tuttavia, comportare l’annullamento del permesso ottenuto in variante, perché essa era già presente nel permesso originario n. 547/07, impugnato tardivamente;
- la variante impugnata risulta conforme alla normativa vigente per quanto riguarda la volumetria realizzata (che supera di soli mc. 4,59 il realizzabile (mc.1.372,41 rispetto a mc. 1.367,82). Inoltre, non deve essere computato il volume del sottotetto, dichiarato non abitabile (laddove esso è stato invece parzialmente inserito nel computo), ed il volume del vano scala, poiché esso risulta completamente aperto da un lato, e dunque assimilabile a porticati e logge, che l’art. 21 NTA esclude dal computo.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) violazione artt. 88, 29, 41, 63 Cpa e 113, 115 e 116 cpc; violazione art. 2696 c.c.; difetto di motivazione della sentenza impugnata e erronea valutazione degli artt. 28.2.3, 21.4 e 22 NTA del PRGC di Moncalieri; degli artt. 8 e 9 D.M. n. 1444/1968; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento; ciò in quanto il ricorso introduttivo aveva ad oggetto il permesso in variante n. 96/2010 “che ha rivoluzionato in modo rilevante l’assetto planivolumetrico dell’edificio”, di modo che è venuto a configurarsi una variante sostanziale ovvero un nuovo titolo edilizio, dal quale è scaturita la lesione delle posizioni dei ricorrenti. In particolare, solo con la variante il “fronte A” è stato dotato di balconi, finestre e porte finestre, che nel primo progetto erano invece descritti come “luci”. Né può comportare la piena conoscenza la esposizione fuori dal cantiere di un “rendering”, che peraltro pubblicizza un edificio dissimile da quello assentito con il permesso n. 547/2007, dove la facciata frontistante la proprietà Scocozza è rappresentata priva di aperture;
b) violazione artt. 63 e 64 Cpa e artt. 1212, 115 e 116 cpc; violazione art. 2696 c.c.; difetto ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata e erronea valutazione degli artt. 28.2.3, 21.4 e 22 NTA del PRGC di Moncalieri; degli artt. 8 e 9 D.M. n. 1444/1968; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento; ciò in quanto, trattandosi di costruzione in zona B3 del PRGC di Moncalieri, andava applicata non già l’altezza convenzionale di cui all’art. 21 NTA, bensì l’altezza di 14 m.. Peraltro, nel caso di specie, vi è un sottotetto che ha un’altezza al colmo di oltre 3 m. ;
c) violazione art. 88 Cpa in relazione art. 112 cpc; difetto assoluto di motivazione con riferimento ad una specifica circostanza controversa e decisiva del giudizio sui ribaltamenti; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento; poiché la sentenza non si è pronunciata sulla conformazione delle pareti dei due edifici che si confrontano. Infatti, avendo la parete del fabbricato degli appellanti andamento non lineare (ma presenta un corpo sporgente sul lato sinistro), la misurazione dei distacchi andava fatta tenendo conto della conformazione della parete e di qualsiasi elemento presente nella sua totale lunghezza;
d) violazione artt. 63 e 64 Cpa e artt. 1212, 115 e 116 cpc; violazione art. 2696 c.c.; difetto ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata e erronea valutazione degli artt. 21 e 22 NTA del PRGC di Moncalieri; degli artt. 8 e 9 D.M. n. 1444/1968; artt. 873, 872, 900 e 901, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, sviamento; ciò in quanto ai fini della volumetria complessiva avrebbero dovuto essere calcolati i volumi della mansarda, del vano scala e del piano pilotis trasformato in autorimesse.
Si è costituita in giudizio la società Edilborgo srl, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Dopo il deposito di memorie e repliche, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Il Collegio ritiene, innanzi tutto, di dover accogliere il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), laddove con lo stesso si censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto irricevibile per tardività il ricorso proposto (anche) avverso il permesso di costruire n. 547/2007 (doglianza ripetuta anche in ordine ad aspetti degli ulteriori motivi di appello).
Ai fini dell’esame dei profili di irricevibilità del ricorso per tardività, e, più in particolare, della corretta individuazione della intervenuta “piena conoscenza” dell’atto oggetto di impugnazione, e dunque del dies a quo di decorrenza del termine decadenziale (art. 41Cpa) , questa Sezione (sent. 28 maggio 2012 n. 3159, dalle cui conclusioni non vi è ragione di discostarsi) ha già avuto modo di affermare che la “piena conoscenza” dell’atto lesivo, non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” dei provvedimenti che si intendono impugnare, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale.
Ciò che è invece sufficiente ad integrare il concetto di “piena conoscenza” - il verificarsi della quale determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - è la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.
Si è sostenuto, infatti, che:
“mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi”.
Ovviamente, la verifica della “piena conoscenza” dell’atto lesivo da parte del ricorrente, ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Essa deve risultare incontrovertibilmente da elementi oggettivi, ai quali il giudice deve riferirsi, nell’esercizio del suo potere di verifica di ufficio della eventuale irricevibilità del ricorso, o che devono essere rigorosamente indicati dalla parte che, in giudizio, eccepisca l’irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio.
Nel caso di specie, occorre rilevare che la sentenza impugnata ha basato l’affermazione della tardività del ricorso, in relazione alla originaria concessione n. 547/2007, solo argomentando in ordine ad un “rendering” rappresentativo dello stato di fatto, esposto all’esterno del cantiere, e pur dando atto che i lavori erano in concreto iniziati a dicembre 2009.
A prescindere sia dalla contestata aderenza del “rendering” all’effettivo progetto assentito con il primo permesso di costruire, sia dalla “novità” delle previsioni progettuali in ordine alla parete finestrata, contenute nel progetto in variante, occorre osservare come il giudizio di irricevibilità del ricorso per tardività non risulta fondato su elementi certi, ma solo su supposizioni, non essendo stata effettuata peraltro alcuna considerazione relativamente ad un effettivo stato dei lavori che consentisse di percepire la lesività dell’atto autorizzatorio.
Per le ragioni esposte, il motivo deve essere accolto. Il che già comporta, per effetto della riforma della sentenza, che assume rilevanza, ai fini del giudizio sulla legittimità dei permessi di costruire impugnati, la violazione della distanza tra pareti finestrate e confine, accertata dalla stessa sentenza (v. pag. 12).
3. Altrettanto fondato è il motivo sub b) dell’esposizione in fatto.
Il Collegio ritiene di dovere innanzi tutto precisare – sia ai fini dell’esame del presente motivo di appello, sia in ordine al successivo motivo sub d) dell0’esposizione in fatto, relativamente alla rilevanza del sottotetto – che la sentenza di I grado non può essere condivisa, laddove ritiene di non poter considerare la volumetria del sottotetto, per il fatto che la soc. Edilborgo si è impegnata con atto notarile a mantenere il medesimo non abitabile (pag. 13 – 14 sent.).
Il Collegio ritiene che un volume realizzato a copertura di un fabbricato o ha le caratteristiche oggettive di un sottotetto non abitabile, trattandosi in questo caso di un minimo volume tecnico richiesto per la copertura dell’edificio, ovvero si tratta di una mansarda, anche potenziale, in quanto dotata di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
Ciò che rileva, dunque, al fine della considerabilità del cd. vano sottotetto, è la sua materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi (il che lo rende pienamente rilevante per tutti gli aspetti inerenti alla legittimità del fabbricato assentito), mentre non assumono alcun rilievo gli impegni, anche assunti per atto pubblico, limitativi delle facoltà di godimento del bene.
A fini edificatori, e quindi per le valutazioni della pubblica amministrazione che deve rilasciare il titolo autorizzatorio ciò che rileva è la effettiva consistenza del volume e la sua concreta utilizzabilità, non già la limitazione unilateralmente assunta delle facoltà dominicali di godimento del bene.
Le caratteristiche di ciò che si intende realizzare devono essere in concreto ed ex ante valutate dall’amministrazione nella loro oggettività, non potendosi ovviare ad un difetto di valutazione, ovvero ritenere comunque assentibile il progetto, considerando (come non condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata) che “ove le prescrizioni in parola dovessero mai essere violate verrebbe posta in discussione la stessa efficacia del permesso di costruire”.
In disparte la considerazione che il permesso di costruire è atto amministrativo ad efficacia istantanea, che, pertanto, non può essere incisa da un comportamento successivo alla realizzazione del fabbricato, quanto affermato denota, invece, come il volume del sottotetto consentisse l’abitabilità (desumibile anche dalle sue accertate caratteristiche oggettive) e, quindi, il progetto che lo prevedeva non poteva essere assentito, essendo irrilevanti come già detto, ai fini della valutazione di legittimità del titolo edilizio, obblighi unilateralmente assunti.
Tanto precisato, il Collegio rileva che, nel caso di specie, trova applicazione l’art. 28.2.3 delle NTA, che prevede, per le costruzioni in zona B3, l’altezza massima di 14 m., e che, in ogni caso, il sottotetto, in quanto potenzialmente abitabile, deve essere calcolata nell’altezza complessiva dell’edificio.
Per le ragioni esposte, il secondo motivo di appello deve essere accolto.
3. Altrettanto fondato è il motivo sub d) dell’esposizione in fatto, con il quale si espone che ai fini della volumetria complessiva avrebbero dovuto essere calcolati i volumi della mansarda, del vano scala e del piano pilotis trasformato in autorimesse.
Quanto alla necessaria computabilità dei volumi del sottotetto, trovano applicazione le considerazioni già in precedenza espresse, di modo che non può essere condivisa la sentenza impugnata, laddove afferma (pag. 15) che “la non abitabilità del sottotetto, determinata sia dalla mancanza dei requisiti minimi di abitabilità sia dall’atto unilaterale di vincolo, escludono che esso possa configurarsi, da un punto di vista urbanistico, alla stregua di un piano fuori terra ulteriore ai tre sottostanti”.
Quanto al vano scala, giova osservare che l’art. 21.3.4 delle NTA esclude dal calcolo dei volumi e dalla superficie lorda i porticati aperti e le logge anche se chiuse da murature su tre lati”. Nella esclusione non rientrano, dunque, i vani adibiti a scale, ancorchè gli stessi risultino chiusi con muratura solo per tre lati.
Inoltre, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2565):
“per costante giurisprudenza la nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta in particolare di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere ubicati all'interno di questa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica. Resta dunque estraneo a tale nozione il volume del vano scale ( cfr. V Sez. n. 120 del 2.3.1994)”.
Per effetto dell’inclusione del sottotetto e del vano scala, il volume totale così realizzato rende illegittimo il permesso di costruire in sanatoria.
L’accoglimento del primo, secondo e quarto motivo di appello determinano la riforma della sentenza impugnata (potendosi, dunque, prescindere dall’esame del terzo motivo), e comportano l’accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con annullamento degli atti con il medesimo impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Scocozza Giuseppe e Paba Vilma (n. 5383/2013 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti con il medesimo impugnati.
Condanna l’appellata Edilborgo s.r.l. ed il Comune di Moncalieri, in solido, al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)