IL PIANO CASA CAMPANIA, il regime della SCIA, gli EDIFICI NON RESIDENZIALI e via dubitando.
di Marcellino BOTTONE
In seguito alla pubblicazione di alcuni articoli di commento al PIANO CASA DELLA REGIONE CAMPANIA, il proprietario di un complesso immobiliare destinato ad attività “TURISTICO-RICETTIVE” mi ha sollecitato ad approfondire due questioni:
1. è applicabile, agli interventi previsti dal Piano Casa, il regime della SCIA ?
2. quali sono i limiti per la corretta applicazione dell’art. 4, comma 7, relativi al mutamento di destinazione d’uso degli edifici non residenziali ?
Poiché la domanda e la risposta possono arricchire il dibattito in corso su una Legislazione controversa e dagli effetti – per così dire – pregnanti, ritengo utile sottoporla al giudizio critico degli operatori e di quanti vogliano, a loro volta, partecipare le proprie opinioni.
Geom. Bottone Marcellino
Piedimonte Matese (Caserta) – marzo 2011
Email:
QUESITO
“La ringrazio per la sua disponibilità .
Al fine di rendere il più chiaro possibile la problematica ho pensato di allegarla alla presente la relazione tecnica di accompagnamento alla scia per lavori di adeguamento e cambio di destinazione d’uso ai sensi e per effetto dell’art 4 comma 7 della legge in parola. Questa scia ad oggi non è stata presentata per una serie di dubbi che provo qui a riassumere :
ü la legge regionale 01/2011 continua a riferirsi per i titoli abilitativi a dia ed a permessi a costruire e non a scia;
ü il comma 7 art 4 non permette il cambio di destinazione da edificio turistico- ricettivo a residenziale ma il cambio di destinazione dell’unità immobiliare deve essere sempre nell’ambito dell’attività autorizzata , quindi per esempio un ristorante che diventa alloggio o viceversa;
ü esiste il limite di 500 mq , per cui se il residence è composto da più unità immobiliari inferiori a 500mq ma che sommate superano questo limite , la scia non è perseguibile.
In attesa del suo prezioso parere porgo i più cordiali saluti.”
RISPOSTA
Spett.le dr. Xxxxxxxxxx ,
nella speranza di aver compreso adeguatamente i quesiti che mi pone, provo a esprimerLe il mio pensiero nei termini che seguono:
- PREMESSA
E’ in corso la costruzione, in base a regolari titoli edilizi, di tre edifici costituenti - complessivamente - un insediamento “Turistico – ricettivo”.
Tali edifici, naturalmente hanno caratteristiche diverse per quanto concerne forma, altezza, numero piani fuori terra, composizione e taglio delle singole unità componenti, ecc….
Orbene, a seguito delle novità legislative offerte dal Piano Casa della Campania vengono in rilievo i seguenti dubbi:
- qualora si intenda procedere al “mutamento di destinazione d’uso” di tutto o parte del citato complesso turistico-ricettivo, è possibile avvalersi del regime della SCIA ?
- ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 7, della LRC 19/2009 e LRC 1/2011, è possibile mutare la destinazione d’uso del citato complesso da turistico-ricettivo a civili abitazioni ed uffici ?
- qualora si intenda procedere al mutamento di destinazione d’uso del citato complesso da turistico-ricettivo a civili abitazioni ed uffici, in che modo opera il limite di 500 mq di cui all’art. 4, comma 7, della LRC 19/2009 e LRC 1/2011?
- APPLICABILITA’ DELLA S.C.I.A.
A partire dalla esatta osservazione che ”la legge regionale 01/2011 continua a riferirsi per i titoli abilitativi a dia ed a permessi a costruire e non a scia”, viene in dubbio la possibilità di avvalersi del regime semplificato della SCIA per l’esecuzione degli interventi previsti dal Piano Casa Campania.
Sul punto sono del parere che – in questi termini - la questione è mal posta.
Nel senso che in ordine alla SCIA di cui all’art. 19 della legge 241/90, così come modificata dalla Legge n. 122/2010 di conversione del decreto-legge 78/10, il problema non è “se si applica agli interventi di cui alla LRC 19/2009 e LRC 1/2011”, bensì “se si applica – in generale – agli interventi di trasformazione urbanistico edilizia” di cui al dpr 380/01:
infatti, se si aderisce alla tesi che la SCIA sostituisce la DIA, entra in gioco il principio della obbligatorietà e non facoltatività del nuovo regime, che – di conseguenza – si applica a prescindere dal rilievo che né la LRC 19/2009 né la LRC 1/2011 ne abbiano fatto menzione.
La questione vera, dunque, è a monte : il regime della SCIA ha veramente sostituito anche quello della DIA edilizia ?
La risposta a questa domanda, come è noto, è controversa e personalmente (per le ragioni che ho esposto nel lavoro “S.C.I.A. - La Strana Creatura Indubbiamente Aliena . LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO “ che le allego) sono del parere che la SCIA (così come oggi è formulata dal Legislatore) non si applica alla materia edilizia .
- Ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 7, della LRC 19/2009 e LRC 1/2011, è possibile mutare la destinazione d’uso del citato complesso da turistico-ricettivo a civili abitazioni ed uffici ?
Per una coerente ed argomentata risposta al quesito non possiamo che partire da una analisi stringente del testo legislativo, che così esprime :
7. E’ consentito su edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi, fermi restando i casi di esclusione dell’articolo 3 della presente legge, la realizzazione di opere interne finalizzate all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata, per la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti, anche attraverso il cambio di destinazione d’uso, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. I medesimi interventi possono attuarsi all’interno di unità immobiliari aventi una superficie non superiore a cinquecento metri quadrati, non devono in alcun modo incidere sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio, né costituire unità immobiliari successivamente frazionabili.
|
Come avrà letto in un mio precedente intervento (che in ogni caso Le allego) sul Piano Casa Campania, ho definito proprio questo comma un “UN CAPOLAVORO DI INCOMPRENSIBILITA’”, in quanto portatore di un contenuto finalistico del tutto avulso dal tema dell’art. 4 : gli edifici residenziali o con destinazione residenziale prevalente.
Lei, invece, è di diverso avviso, in quanto ritiene che mediante “opere interne finalizzate alla riqualificazione e all’adeguamento delle strutture esistenti, senza incidere sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio” sia possibile – ai sensi dell’art. 4, comma 7 sopra riportato - accedere al “cambio di destinazione d’uso da turistico-ricettiva a civile abitazione” (pag. 3 della Relazione Tecnica Descrittiva) del complesso immobiliare in corso di costruzione.
Riprendo, dunque, il discorso già esposto nel citato commento al Piano Casa per proporLe –restando alla specificità del quesito che mi pone – le seguenti eccezioni:
-
- Nell’incipit “E’ consentito su edifici non residenziali …“ del comma 7 è inequivocabilmente inciso che la norma non si applica agli edifici residenziali;
-
- Nella parte successiva il testo del comma 7 si limita sostanzialmente a indicare le categorie degli interventi eseguibili (anche in deroga agli strumenti urbanistici) ”su edifici non residenziali” e le finalità raggiungibili mediante tali interventi;
-
- quanto agli interventi eseguibili si ricava – expressis verbis – che questi possono consistere in :
- realizzazione di opere interne
- riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti
- cambio di destinazione d’uso
e attuarsi anche:
- all’interno di unità immobiliari aventi una superficie non superiore a cinquecento metri quadrati
purché rispettando i seguenti limiti:
- non devono in alcun modo incidere sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio
- né costituire unità immobiliari successivamente frazionabili.
-
- quanto alle finalità raggiungibili mediante l’esecuzione di tali interventi si ricava – con altrettanta chiarezza enunciativa – che queste si individuano nell’ ”utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata“: prospettiva, questa, che esclude evidentemente la possibilità di assegnare ai volumi esistenti una destinazione diversa da quella complessivamente autorizzata;
-
- Si potrebbe obiettare che la possibilità di mutare in civili abitazioni eventuali “volumi esistenti“ non residenziali è deducibile da quella parte del comma 7 in cui si consente “la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti, anche attraverso il cambio di destinazione d’uso, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti”. Ma è un’obiezione infondata in fatto e in diritto, in quanto la norma esplicita inequivocabilmente :
- che oggetto di “riqualificazione e adeguamento” possono essere non gli “immobili” ma le “strutture esistenti” degli immobili;
- che la categoria della “riqualificazione e adeguamento”, in altre parole, si può aggiungere a quella della “realizzazione di opere interne” per pervenire “all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata“, ossia allo scopo dichiarato dal comma 7;
- che – in questa prospettiva – quando la norma enuncia la possibilità di operare ” anche attraverso il cambio di destinazione d’uso”, tale facoltà è letteralmente collegata al medesimo scopo ultimo di pervenire “all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata“;
- se così non fosse, si finirebbe con l’affermare una contraddizione irriducibile, nonché una tesi illogica ed immotivata, e cioè che agli ”edifici non residenziali“ di cui al comma 7 è consentito più di quanto il medesimo art. 4 consenta agli edifici a destinazione residenziale prevalente: infatti se un edificio totalmente “non residenziale“ può essere integralmente trasformato – ai sensi del comma 7, ”attraverso il cambio di destinazione d’uso” - in edificio totalmente “residenziale“, non si vede perchè – al comma 3, il medesimo art. 4 della LRC 19/2009 e s.m.i. – abbia stabilito che:”Per gli edifici a prevalente destinazione residenziale, …, è consentita, …, la modifica di destinazione d’uso da volumetria esistente non residenziale a volumetria residenziale per una quantità massima del venti per cento”;
- si consideri, inoltre, che espungere dal comma 7 la possibilità di mutare in civili abitazioni gli edifici non residenziali equivale a sostenere che la norma definisce i modi per “ristrutturare” gli “edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi”. Infatti, a mente delle definizioni degli interventi edilizi stabilite all’art.3 del dpr 380/01, si definiscono “interventi di ristrutturazione edilizia, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.”. Ma a questa conclusione si oppone proprio il testo dell’art. 7, il quale “limita” gli interventi consentiti alla realizzazione di opere interne, all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata, alla riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti, alla immutabilità della sagoma e prospetti dell’edificio nonché del numero di unità immobiliari (in altre parole, il comma 7 pone – expressis verbis – precisi ostacoli alla esecuzione di “opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, stabilendo piuttosto la possibilità di eseguire interventi assimilabili a quelli che il dpr 380/01, art.3 , definisce: c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalita' mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio) ;
- si osservi, infine, che - in senso contrario alla tesi che il comma 7 autorizzi il mutamento in civili abitazioni degli edifici non residenziali – indirizza quella parte della norma in cui si enuncia che tra i limiti di ciò che “E’ consentito …” vi è la frazionabilità degli “edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi” (limite, addirittura, che si spinge fino a vietare la possibilità di precostituire ”unità immobiliari successivamente frazionabili“). Infatti, l’impossibilità di frazionare gli edifici “non residenziali” rende impossibile teorizzare che il comma 7 autorizzi il mutamento degli stessi in civili abitazioni.
-
- In definitiva, si ritiene che l’art. 4, comma 7, della LRC 19/2009 e s.m.i. non legittima la trasformazione – mediante mutamento di destinazione d’uso – di un complesso turistico-ricettivo in civili abitazioni, limitandosi a consentire :
- la realizzazione di opere interne finalizzate all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata (cioè, fermo restando la destinazione d’uso preesistente, la sagoma, il volume, i prospetti ed il numero delle unità immobiliari, si può procedere al completo rimaneggiamento degli spazi interni, della loro partizione verticale ed orizzontale, ecc…, anche recuperando ad una nuova funzione produttiva eventuali volumi accessori all’attività principale);
- la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti, anche attraverso il cambio di destinazione d’uso, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti (cioè, negli stessi limiti e facoltà di cui al punto precedente, l’insieme degli interventi può spingersi fino ad imprimere – agli edifici non residenziali preesistente – una nuova destinazione ad “attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi“).
- Qualora fosse possibile procedere al mutamento di destinazione d’uso del citato complesso da turistico-ricettivo a civili abitazioni ed uffici, in che modo opera il limite di 500 mq di cui all’art. 4, comma 7, della LRC 19/2009 e LRC 1/2011?
Ripartiamo dal testo del comma 7 :
“7. E’ consentito su edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi, fermi restando i casi di esclusione dell’articolo 3 della presente legge, la realizzazione di opere interne finalizzate all’utilizzo di volumi esistenti nell’ambito dell’attività autorizzata, per la riqualificazione e l’adeguamento delle strutture esistenti, anche attraverso il cambio di destinazione d’uso, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. I medesimi interventi possono attuarsi all’interno di unità immobiliari aventi una superficie non superiore a cinquecento metri quadrati, non devono in alcun modo incidere sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio, né costituire unità immobiliari successivamente frazionabili.“
|
Dal testo sembra potersi dedurre agevolmente che gli interventi sugli edifici “non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi” possono beneficiare dei favori del Piano Casa Campania quando “possono attuarsi all’interno di unità immobiliari aventi una superficie non superiore a cinquecento metri quadrati”.
Gli edifici di superficie superiore a 500 mq , dunque, devono ritenersi esclusi ?
Non è detto.
Infatti, il Legislatore, nell’imporre il limite di 500 mq non fa riferimento agli “edifici” bensì alle “unità immobiliari”, e il Piano Casa – all’ Art. 2 Definizioni – non fornisce coordinate differenziali rispetto ai significati ordinariamente assegnati ai due termini.
Pertanto è lecito far uso delle attribuzioni convenzionali condivise e correntemente utilizzate dall’Agenzia del Territorio :
Agenzia del TerritorioGlossario(stralcio) |
Unità immobiliare urbana : Porzione di fabbricato, intero fabbricato o gruppi di fabbricati, ovvero area, suscettibile di autonomia funzionale e di redditività nel locale mercato immobiliare.
|
del comma 7 - in base alla seguente tesi : gli interventi che possono attuarsi all’interno di unità immobiliari aventi una superficie non superiore a cinquecento metri quadrati sono quelli da eseguirsi su edifici non residenziali regolarmente assentiti, destinati ad attività produttive, commerciali, turistico-ricettive e di servizi” (in pratica l’unità immobiliare In base a tali attributi, dunque, è chiaro che mentre un edificio può connotarsi solo come “struttura volumetrica” l’unità immobiliare è qualcosa di più complesso e comprende anche aree e strutture (impianti, ecc…) pertinenti e/o accessorie .
Il che apre le porte a questioni affatto semplici da dipanare, tra le quali, la più evidente e discriminante, è che il modo di computare la misura limite di 500 mq può differenziarsi notevolmente a seconda che ci si riferisca agli “Edifici” invece che alle “Unità Immobiliari”:
- per i primi, infatti, si tratta di definire l’estensione superficiale intrinseca di una costruzione;
- per le seconde, invece, si tratta di definire l’estensione “fiscale” di una attività “suscettibile di autonomia funzionale e di redditività nel locale mercato immobiliare”.
Si aggiunga, inoltre, che comunque si risolva questo problema bussa alle porte del dubbio subito l’altro: qual è la superficie che non deve essere superiore a 500 mq ? Quella netta interna ? quella Lorda? Quella coperta (proiezione al suolo ?) ... …
Di fronte a questa estrema superficialità del Piano Casa Campania sotto il profilo terminologico, nessuna interpretazione è priva di incertezze e l’unico rimedio soggiace alla volontà del medesimo legislatore di mettere mano a rattoppi normativo-interpretativi.
Nell’attesa, si può concordare su una soluzione di equilibrio di questo tipo :
§ il limite di 500 mq si riferisce alle unità immobiliari così come definite dalla censuazione catastale di fatto o teorica discendente dall’applicazione dei criteri e metodologie fissate dall‘Agenzia del Territorio;
§ per verificare che sia rispettato il limite di 500 mq dovrà farsi riferimento, però, alla sola estensione degli “edifici” che insistono nell’unità immobiliare;
§ per estensione degli edifici deve intendersi la “superficie coperta”, cioè lo spazio di suolo occupato dalle costruzioni erette.
Questa soluzione, infatti, avrebbe i seguenti vantaggi :
§ rende possibile rispettare il riferimento normativo sia agli edifici che alle unità immobiliari - senza subire l’effetto “stallo” dovuto alle contraddizioni enunciative individua l’ambito dell’intervento, mentre l’edificio individua l’oggetto dell’intervento);
§ rende possibile – assumendo la prevalenza del criterio della consistenza immobiliare su quella fiscale - applicare un principio uniforme e indifferenziato perché non suscettibile di condizionamenti da parte di quelle strutture/impianti che potrebbero definire – a parità di edifici costruiti – differenti consistenze delle unità immobiliari;
§ rende possibile – postulando che per estensione deve intendersi la “superficie coperta” – definire un criterio aderente agli obiettivi enunciati nel comma 7 (infatti, se la norma non impone limitazioni di carattere volumetrico non si vede perché dovrebbe discriminarsi tra edifici di uguale estensione ma di diversa altezza).
Questo è il mio pensiero.
E per piccolo che sia, mi pare logico, coerente, funzionale.
Cordiali saluti e … … Buon lavoro.
16 marzo 2011
Bottone Marcellino