Cass. Sez. III n. 37835 del 12 ottobre 2007 (Up. 5 giu. 2007)
Pres. Lupo Est. Franco Ric. Ambrosini
Aria. Costruzione impianto in assenza di autorizzazione

Il reato di cui all'art. 279, comma primo, parte prima, del D.Lgs. n. 152 del 2006 non si esaurisce con il comportamento del legale rappresentante della società al momento nel quale è iniziata la costruzione dell'impianto senza la preventiva autorizzazione, ma, trattandosi di reato permanente, è integrato anche da coloro che successivamente assumono la qualità di legali rappresentanti, atteso che anche su questi grava l'obbligo di chiedere l'autorizzazione, o di cessare l'attività in assenza della stessa

Svolgimento del processo

Il giudice del tribunale di Lucca, con sentenza del 3 febbraio 2004, dichiarò Giorgi Domenico Ilio e Ambrosini Nobili Bruno, il primo presidente del Cda ed il secondo amministratore delegato della MI.GRA Srl, colpevoli del reato di cui all’art. 24, comma 1, d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203, per avere con più condotte omissive iniziato la costruzione di un nuovo impianto per la frantumazione di inerti con emissioni in atmosfera senza la preventiva autorizzazione di cui all’art. 6 d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203, e li condannò alla pena di mesi uno e giorni venti di arresto ed € 500,00 di ammenda ciascuno, con la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria di € 1.900,00.

La corte d’appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, assolse il Giorgi perché il fatto non costituisce reato, ritenendo che potesse presumersi che il medesimo, che era stato presidente del consiglio di amministrazione dal 10 febbraio 2000 al 6 novembre 2001, avesse in buona fede ritenuto che la richiesta di autorizzazione fosse stata presentata dai precedenti amministratori prima dell’ottenimento della concessione edilizia. Confermò invece la sentenza di primo grado in ordine alla condanna dell’Ambrosini.

L’Ambrosini propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione degli artt. 6 e 24 d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203. Osserva che nel 1997 era stata ottenuta la concessione edilizia, alla cui domanda doveva essere allegata quella per la autorizzazione in questione, e che la regione Toscana aveva addirittura concesso contributi europei per la costruzione dell’impianto. La domanda in esame, quindi, doveva essere presentata dal presidente del consiglio di amministrazione che aveva chiesto la concessione edilizia, e cioè da Coiai Mario, il quale aveva iniziato la costruzione dell’impianto senza autorizzazione. Inoltre, così come la corte d’appello ha ritenuto che il Giorgi non sapesse della mancata autorizzazione, allo stesso modo doveva ritenere che anche l’Ambrosini potesse non saperlo, e comunque non è provato che lo sapesse, non avendo egli dato inizio ai lavori, ed essendovi invece elementi che gli facevano ritenere che tutto fosse regolare.

2) violazione degli artt. 6 e 24 d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203 e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al precedente giudicato penale. Risulta che il giudice per le indagini preliminari aveva emesso decreto penale di condanna, oltre che nei confronti suoi e del Giorgi che lo avevano opposto, anche nei confronti di Chelini Augusto, quale rappresentante della ditta appaltatrice, e di Poli Andrea, quale direttore dei lavori, che invece non hanno proposto opposizione. Ora la sentenza impugnata, per affermare la sua responsabilità, ha contraddittoriamente ritenuto che non potesse ravvisarsi una responsabilità della ditta appaltatrice e del direttore dei lavori, senza considerare che egli non aveva la disponibilità della costruzione e non aveva iniziato l’esecuzione dei lavori, ma era solo colui che a lavori iniziati aveva conferito l’appalto. In ogni caso egli non aveva la disponibilità né la capacità di seguire la realizzazione dell’impianto e quindi l’unica via era quella di cederla in appalto e di nominare un direttore dei lavori, compiendo quindi tutto quanto poteva per osservare la norma violata. Il giudice avrebbe dovuto pertanto ritenere anche per lui la presenza di un errore scusabile derivante dal fatto positivo dalla pubblica amministrazione che aveva dato alla società tutte quelle autorizzazioni che lasciavano presupporre che tutto fosse regolare. Si tratta in ogni caso di reato formale che non ha provocato danno, poiché il 16 luglio 2002 l’autorizzazione è stata richiesta ed il 10 ottobre 2002 è stata rilasciata.

In data 2 maggio 2007 il ricorrente ha depositato memoria difensiva, con la quale ribadisce i motivi di ricorso, osservando che in ogni caso il reato è prescritto perché la permanenza è cessata con il rilascio della autorizzazione in data 11 ottobre 2002.

 

Motivi della decisione

Preliminarmente va osservato che il reato non è ancora prescritto perché, anche considerando come data di cessazione della permanenza (e quindi di inizio del decorso della prescrizione) quella del 16 luglio 2002 nella quale fu richiesta l’autorizzazione (Sez. III, 12 febbraio 2004, Armenio, m. 228879), invece di quella del 10 ottobre 2002 il cui l’autorizzazione fu rilasciata, deve tenersi presente che il corso della prescrizione è stato sospeso per un periodo di 8 mesi e 13 giorni (dal 20 maggio 2003 al 3 febbraio 2004) per astensione dalle udienze. Ne consegue che la prescrizione si maturerà solo il 29 settembre 2007.

Nel merito, entrambi i motivi di ricorso sono infondati.

Deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, il reato di cui all’art. 24, comma primo, d.p.r. n. 203 del 1988 (ora sostituito dall’art. 279, comma primo, parte prima, del D.Lgs. n. 152 del 2006) non si esaurisce con il comportamento del legale rappresentante della società al momento nel quale è iniziata la costruzione dell’impianto senza la preventiva autorizzazione, ma, trattandosi di reato permanente, è integrato anche da coloro che successivamente assumono la qualità di legali rappresentanti, atteso che anche su questi grava l’obbligo di chiedere l’autorizzazione, o di cessare l’attività in assenza della stessa (Sez. III, 27 aprile 2006, n. 24057, Giovannini, m. 234478).

Non vi è dubbio che l’Ambrosini, nella qualità di amministratore delegato della società, fosse stato fin dall’inizio legale rappresentante della società stessa e comunque che gravava anche su lui l’obbligo di chiedere l’autorizzazione in questione o altrimenti di non iniziare o di far interrompere la costruzione dell’impianto. Del resto i giudici del merito hanno anche accertato che il ricorrente si era attivamente occupato per la sua qualità della costruzione del nuovo impianto tanto che era stato lui a stipulare il contratto di appalto per la realizzazione dell’opera con la spa Loro & Parisini. Con congrua ed adeguata motivazione i giudici del merito hanno poi ritenuto che il rilascio della concessione edilizia e la concessione di contributi europei da parte della regione Toscana fosse irrilevante, in quanto tali circostanze non erano idonee a far ravvisare una buona fede incolpevole in capo all’Ambrosini ed in quanto era comunque ravvisabile la colpa dell’amministratore delegato per non aver vigilato sulla effettiva presentazione della domanda per la autorizzazione de qua né prima né dopo la richiesta ed il rilascio della concessione edilizia e l’inizio della costruzione.

Il fatto che la richiesta di concessione edilizia fosse stata firmata dall’allora presidente del consiglio di amministrazione ing. Coiai non esclude ovviamente la responsabilità del ricorrente il quale aveva un autonomo obbligo di attivarsi perché fossero rispettate le prescrizioni di legge, e ciò anche senza voler considerare che si tratta di una deduzione nuova, che non era stata proposta con i motivi di appello, e che non può quindi essere avanzata per la prima volta in sede di legittimità.

E’ poi irrilevante che il coimputato Giorgi, presidente del consiglio di amministrazione solo dal 10 febbraio 2000 al 6 novembre 2001, sia stato assolto dalla corte d’appello che ha ritenuto possibile che egli avesse omesso i dovuti controlli per avere ritenuto in buona fede che l’autorizzazione fosse stata chiesta dagli amministratori dell’epoca prima del rilascio della concessione edilizia. Le valutazioni di merito compiute in proposito dalla corte d’appello riguardano la sola posizione del Giorgi e valgono esclusivamente per lui, e non possono evidentemente estendersi anche all’Ambrosini che, già all’epoca dell’inizio della costruzione del nuovo impianto e successivamente, era l’amministratore delegato della società ed in tale veste aveva anche sottoscritto il contratto di appalto. Del tutto logicamente quindi la corte d’appello ha ritenuto che nei confronti dell’Ambrosini non potesse essere invocata la buona fede e che fosse invece colposa la mancata vigilanza da parte sua sulla richiesta ed il rilascio della autorizzazione in esame.

Analoghe considerazioni valgono in ordine alla invocata circostanza che sia Chelini Augusto, legale rappresentante della società appaltatrice dei lavori di costruzione, sia Poli Andrea, direttore dei lavori, non hanno proposto opposizione al decreto penale di condanna emesso anche nei loro confronti per la vicenda in esame. Ed invero, anche volendo ipotizzare che la mancata opposizione possa essere equiparata ad una ammissione di responsabilità, ciò non potrebbe in nessun caso escludere la concorrente responsabilità dall’Ambrosini sul quale in primo luogo gravava l’obbligo di chiedere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera prima della realizzazione del nuovo impianto. Del tutto correttamente i giudici del merito hanno precisato che il fatto e fosse stato stipulato un contratto di appalto con la Loro & Parisini per la realizzazione dell’impianto non poteva fare venir meno la responsabilità dell’amministratore della società appaltante anche perché con il contratto di appalto la società appaltatrice non si era anche impegnata a chiedere ed ottenere la autorizzazione in questione, così come la nomina del direttore dei lavori non autorizzava una traslazione di responsabilità dal committente a questi, in quanto l’obbligo di chiedere l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera è posto dalla legge direttamente a carico del costruttore.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.