La tutela del paesaggio contro la tutela dei parchi.

di Fulvio Albanese

Siamo di fronte ad una situazione paradossale: la tutela del paesaggio può essere usata contro le misure di tutela delle Aree Protette. La conferma di tale ipotesi arriva dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 180 del 2008 (pubblicata su questo sito), che dichiara l\'illegittimità costituzionale dell\'art. 12, comma 2, della legge della Regione Piemonte 19 febbraio 2007, n. 3 (Istituzione del Parco fluviale Gesso e Stura): “Il piano del parco è efficace anche per la tutela del paesaggio ai fini e per gli effetti di cui all’articolo 143 del d.lgs. 42/2004…” per violazione dell\'art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 che, al tempo stesso, è norma interposta in riferimento all\'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed esprime un principio fondamentale ai sensi dell\'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

La Suprema Corte con questa sentenza “benedice” la gerarchia degli strumenti di pianificazione territoriale prevista dal d.lgs. 42 del 2004: “l’art. 145 contempla, al comma 3, il principio di "prevalenza dei piani paesaggistici" sugli altri strumenti urbanistici, precisando, segnatamente, che: «Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.

A tal fine la Consulta richiama la sentenza n. 367 del 2007: “...sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all\'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall\'altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti». Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall\'altro», prevalendo, comunque, «l\'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182 del 2006). E\' in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della "gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall\'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004”.

Si è arrivati a questo punto grazie all’entrata in vigore del D.Lgs 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, (in particolare con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 157/2006 e recentemente dal D.Lgs. 63/2008) che ha abrogato il D.Lgs 490/1999 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”. Nello specifico abbiamo già visto cosa prevede l’articolo 145 del D.Lgs 42/2004, ma è il successivo comma 4 a contenere un’altra disposizione ancora più pericolosa per i Piani delle Aree Protette: “I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione”.

In sostanza gli enti locali e gli enti gestori delle aree protette devono conformare o adeguare i loro strumenti di pianificazione non oltre due anni dall’approvazione del piano paesaggistico. Ora finchè si obbligano gli enti locali a recepire i contenuti del piano paesaggistico non c’è nulla di strano, anzi... ma cosa diversa è obbligare gli enti gestori delle aree naturali protette a conformare il piano del parco al piano paesaggistico, sembra veramente una disposizione illogica. E’ infatti evidente che la pianificazione paesaggistica e il piano per il parco previsto dall’art. 12 della Legge n. 394 del 1991 “Legge quadro sulle aree protette” sono due strumenti di pianificazione e conservazione aventi finalità sostanzialmente diverse, perchè gli obiettivi di tutela della Pianificazione Paesaggistica non coincidono con gli obiettivi di conservazione delle Aree Naturali Protette elaborati con il piano del parco, basta vedere le due norme a confronto:

Il D.Lgs 42/2004 all’articolo 131 definisce il termine paesaggio: Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identita\', il cui carattere deriva dall\'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.  Specifica cosa intende per Pianificazione paesaggistica l’articolo 135: Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d\'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". I piani paesaggistici, con riferimento al territorio considerato, ne riconoscono gli aspetti e i caratteri peculiari, nonche\' le caratteristiche paesaggistiche, e ne delimitano i relativi ambiti.  In riferimento a ciascun ambito, i piani predispongono specifiche normative d\'uso, per le finalita\'  ed attribuiscono adeguati obiettivi di qualita\'. Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare:

a) alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi, nonche\' delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici;

b) alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate;

c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio;

d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilita\' con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell\'UNESCO.

La Legge n. 394 del 1991 all’art. 1 finalità e ambito della legge, prescrive: in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione e nel rispetto degli accordi internazionali, la presente legge detta principi fondamentali per l\'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. I territori nei quali siano presenti formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale specie se vulnerabili, sono sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione, allo scopo di perseguire, in particolare, la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, e di equilibri ecologici. E all’articolo 12 Piano per il parco, prescrive: La tutela dei valori naturali ed ambientali nonchè storici, culturali, antropologici tradizionali, affidata all\'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco. Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:

a) riserve integrali nelle quali l\'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;

b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonchè interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell\'Ente parco.

c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall\'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonchè di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità.

d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.

 Dall’analisi delle due norme, salta subito agli occhi la totale mancanza nella pianificazione paesaggistica di qualsiasi riferimento alla tutela della fauna selvatica, della flora autoctona, e degli ecosistemi. Inoltre la 394 del 1991 legge quadro sulle aree protette deve essere applicata in coordinamento con la Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” che recepisce ed attua: La Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, introdotta nel nostro ordinamento con legge 24 novembre 1978, n. 812, con la quale si dispone la protezione per tutte le specie di uccelli selvatici almeno durante il loro periodo di riproduzione e di migrazione, e durante tutto l\'anno per le specie minacciate di estinzione o d’interesse scientifico.; La Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, ratificata e resa operativa con legge 5 agosto 1981, n. 503, che riconosce il ruolo importantissimo della conservazione degli habitat naturali, quali elementi essenziali per la protezione e la preservazione della flora e della fauna selvatiche, e per il mantenimento degli equilibri biologici.  La 157/1992 contiene anche una disposizione (articolo 10 comma 3) che obbliga ogni regione a destinare una parte del proprio territorio (una quota dal 20 al 30 per cento come minimo) a protezione della fauna selvatica, che di fatto si realizza con l’istituzione di aree naturali protette. Successivamente all’istituzione gli enti gestori approvano un piano del parco nel quale è compresa la pianificazione di specifiche misure di conservazione della fauna selvatica, della flora autoctona, e in generale degli ecosistemi presenti. Se applichiamo la gerarchia degli strumenti di pianificazione dettata dall’articolo 145 del D.Lgs 42/2004 e in particolare il comma 4, l’ente Gestore deve conformare o adeguare il Piano del Parco al Piano paesaggistico, che per le sue particolari finalità, non affronta tematiche che riguardano la fauna o gli ecosistemi, e pertanto può verificarsi la possibilità che per una stessa area compresa nel Piano paesaggistico e nel Piano del Parco, il piano paesaggistico preveda un grado di tutela minore o inefficacie, rispetto alla misura prevista dal Piano del Parco. L’Ente gestore potrebbe essere a questo punto obbligato a abbassare il livello di tutela di un area habitat naturale di specie di interesse comunitario per adeguarla al Piano Paesaggistico, e mettere così in pericolo la sopravvivenza di una determinata specie faunistica protetta, totalmente ignorata (non è certamente loro competenza) dai tecnici che hanno redatto il Piano paesaggistico. Oppure l’Ente gestore potrebbe essere obbligato a abbassare il livello di tutela di un area ripariale per adeguarla al Piano Paesaggistico e innescare un meccanismo di alterazione dell’equilibrio di un ecosistema fluviale.

C’è inoltre da ricordare che la definizione di area naturale protetta comprende anche le ZPS (Zone di Protezione Speciale ai sensi della direttiva 79/409/CEE) e le ZSC (Zone Speciali di Conservazione ai sensi della direttiva 92/43/CEE) come stabilito dalla Deliberazione del Comitato per le Aree Naturali Protette del 2 dicembre 1996 (G.U. 139 del 17/06/1997) modificata dalla Deliberazione della Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, del 26 marzo 2008 (Rep. 119/CSR).

Il D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”, prevede all’articolo 4 (misure di conservazione) l’adozione di specifici Piani di Gestione (pianificazione di interventi e misure specifiche) delle ZPS e ZSC, per garantire la conservazione delle specie prioritarie, ed evitare il degrado degli habitat naturali.  Anche in questo caso se applichiamo la gerarchia degli strumenti di pianificazione dettata dall’articolo 145 del D.Lgs 42/2004 il piano paesaggistico sarebbe sovraordinato al piano di gestione delle ZPS e delle ZSC. Ignorando completamente che le ZPS sono individuate su aree IBA (Important Bird Area) definite in base a criteri internazionali, e considerate come un habitat importante per la conservazione di popolazioni di uccelli, e le ZSC sono individuate per salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri della Comunità Europea.

In conclusione la “gerarchia degli strumenti di pianificazione” dettata dall\'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 non regge, è insostenibile quando si tirano in ballo le Aree naturali Protette, e mi permetto pertanto di suggerire una via d’uscita a questa empasse creata da un legislatore distratto quanto superficiale, una proposta di modifica dell’articolo 145 che individua il Piano Paesaggistico come livello minimo di tutela da garantire nella stesura del Piano del Parco, lo Stato conserva il tal modo il potere di dettare attraverso il Piano paesaggistici standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale.

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 378 del 2007 avvalora tale ipotesi:  “Occorre poi premettere, per la soluzione del problema del riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome in materia di ambiente, che sovente l’ambiente è stato considerato come “bene immateriale”. Sennonché, quando si guarda all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti. Oggetto di tutela, come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi, e così via. Occorre, in altri termini, guardare all’ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto.  La potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza è stato affidato, in riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in via esclusiva allo Stato, dall’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di “ambiente” in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola “ambiente” la parola “ecosistema”.  Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l’ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto.  Ed è da notare, a questo proposito, che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1987), e deve garantire, (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possano coesistere altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi giuridicamente tutelati.  Si parla, in proposito, dell’ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi : quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi.  Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato. E’ quanto ha affermato la sentenza n. 246 del 2006, secondo la quale «la giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia “tutela dell’ambiente” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (si vedano, tra molte, le sentenze numeri 183 del 2006; 336 e 232 del 2005; n. 259 del 2004 e n. 407 del 2002)»”.

 Proposta di modifica:

 L’articolo 145 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n.42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell\'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 1372 è sostituito dal seguente:

 In grassetto le modifiche

 Articolo 145

Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione

 1. La individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell\'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali.

 2. I piani paesaggistici possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico.

 3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economici, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell\'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ad esclusione dei piani delle Aree Naturali Protette nazionale o regionali.

 4. Le previsioni dei piani paesaggistici sono da considerare quali livelli minimi di tutela dei piani delle aree naturali protette nazionali e regionali, fatte salve specifiche valutazioni coerenti con le finalità istitutivo o di gestione delle stesse.

 5. I comuni, le citta\' metropolitane, le province conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. Gli Enti Gestori delle Aree Naturali protette adeguano i piani in vigore alle disposizioni di cui al comma 4 entro due anni dall’approvazione dei piani paesaggistici. I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.

 6. La regione disciplina il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo.