TRGA Trento Sez. unica n. 309 del 24 novembre 2017
Rifiuti.Curatela fallimentare e qualifica di detentore di rifiuti

Il curatore - pur avendo “l’amministrazione del patrimonio fallimentare” (cfr. l’art. 31, comma 1, della legge fallimentare) - non può tuttavia essere considerato un “detentore di rifiuti” ai sensi dall’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dalla relativa norma nazionale di recepimento, costituita dall’art. 183, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 152/2006. Inoltre, ai fini dell’applicazione della normativa europea e della normativa nazionale di recepimento, la produzione di rifiuti è innegabilmente connessa all’esercizio di un’attività imprenditoriale, attività che - salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 del R.D. n. 267/1942 (in cui il curatore esercita attività di impresa) - non viene proseguita dal curatore, che ha il limitato compito di liquidare i beni del fallito per soddisfare i creditori ammessi al passivo (compito al quale è strettamente connessa “l’amministrazione del patrimonio fallimentare”)



Pubblicato il 24/11/2017

N. 00309/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00149/2017 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 149 del 2017, proposto dal Fallimento Ires Costruzioni s.r.l., in persona del curatore fallimentare, dott. Stefano Inzoli, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Quadrio, domiciliato in Trento, via Calepina n. 50, presso la Segreteria di questo Tribunale;

contro

il Comune di Lavis, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con la quale è domiciliato in Trento, largo Porta Nuova n. 9;

per l’annullamento

dell’ordinanza del sindaco del Comune di Lavis n. 22/2017, notificata in data 12 aprile 2017, nella parte in cui viene ordinato, ai sensi dell’art. 192, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006, al dott. Stefano Inzoli, in qualità di curatore del Fallimento IRES Costruzioni, di porre in essere una serie di attività, ivi compresa la caratterizzazione e la rimozione di rifiuti abbandonati presso lo stabilimento di Lavis della società IRES Costruzioni, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale, collegato e comunque connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lavis;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il dott. Carlo Polidori e udito l’avvocato Stefania Dusini, in sostituzione dell’avvocato Stefano Quadrio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La parte ricorrente - autorizzata ad agire in giudizio con decreto del Giudice delegato in data 30 maggio 2017 - preliminarmente rappresenta quanto segue: A) l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente della Provincia autonoma di Trento in data 10 gennaio 2017 ha eseguito un’ispezione presso lo stabilimento della società IRES Costruzioni sito nel Comune di Lavis, ove ha constatato la presenza di tre cumuli di rifiuti derivanti da attività di costruzione e/o demolizione edilizia, nonché di altri materiali che erano contenuti in big bags ed in container metallici adagiati presso l’area di parcheggio del predetto capannone, oltre ad alcuni fusti contenenti olio esausto, utilizzati dalla società finché era stata operativa; B) l’intera area è stata, quindi, sottoposta a sequestro ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., configurandosi, secondo l’Amministrazione, una fattispecie di “abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti”, in violazione dell’art. 192, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; C) il Sindaco del Comune di Lavis in base alla nota della Provincia autonoma di Trento del 3 marzo 2017, con la quale è stato comunicato l’esito della predetta ispezione, ha adottato il provvedimento impugnato, con il quale ha ordinato le seguenti attività: sospendere i conferimenti di rifiuti presso lo stabilimento; inoltrare, entro 20 giorni dalla notifica dell’atto, un’apposita richiesta all’autorità giudiziaria al fine di accedere all’area per effettuare la caratterizzazione dei rifiuti; produrre, entro 20 giorni dall’accesso, la caratterizzazione dei rifiuti; provvedere, entro 60 giorni dall’accesso, ad avviare i rifiuti allo smaltimento; produrre, entro 90 giorni dall’accesso, la documentazione relativa allo smaltimento dei rifiuti; D) destinatari dell’ordinanza impugnata e, quindi, degli ordini ivi contenuti sono, senza distinzioni di sorta, il signor Luca Bert, in qualità di amministratore unico e rappresentante legale della società IRES Costruzioni, ed il dottor Stefano Inzoli, in qualità di curatore del fallimento della società.

2. Avverso il provvedimento impugnato la parte ricorrente deduce le seguenti censure: violazione e falsa applicazione del titolo I, parte IV, del decreto legislativo n. 152/2006 e, in particolare, dell’art. 192; violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di responsabilità ambientale; violazione e falsa applicazione delle norme sulla gestione dei rifiuti di cui alla parte III del Decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl. (T.U. provinciale sulla tutela dell’ambiente) e in particolare dell’articolo 90; carenza di legittimazione passiva della curatela fallimentare; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza dei presupposti, sviamento e ingiustizia manifesta. La parte ricorrente sostiene che: A) alla luce del vigente quadro normativo - comunitario, nazionale e regionale - gli obblighi in materia di smaltimento di rifiuti e bonifica di siti inquinati sono posti esclusivamente a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento, mentre il curatore fallimentare non può essere individuato come soggetto responsabile dell’inquinamento causato dal fallito o da terzi e, quindi, non può essere destinatario di un ordine come quello contenuto nel provvedimento impugnato; B) non è configurabile, in capo al curatore, una responsabilità concorrente in base alla quale egli possa essere chiamato a rispondere in solido con il responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 192, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 152/2006, perché la legge fallimentare non fa sorgere alcun obbligo per il curatore di attivarsi per la bonifica del sito inquinato; C) alla luce della relazione di sopralluogo del 3 marzo 2017, richiamata in motivazione, nel caso in esame il responsabile dell’inquinamento risulta già individuato nel presidente del consiglio di amministrazione della società IRES Costruzioni.

3. L’Amministrazione resistente con memoria depositata in data 3 luglio 2017, nel replicare alle suesposte censure, ha chiesto al Tribunale di valutare la compatibilità con l’ordinamento dell’Unione Europea dell’interpretazione della vigente legislazione nazionale recepita da questo Tribunale con la sentenza n. 93 del 20 marzo 2017.

4. Questo Tribunale con l’ordinanza n. 43 in data 7 luglio 2017 ha accolto la domanda cautelare proposta dal ricorrente, richiamando i principi affermati nella propria sentenza n. 93 del 2017 e ribaditi nella sentenza n. 173 del 19 maggio 2017.

5. L’Amministrazione resistente con memoria depositata in data 21 agosto 2017 ha insistito nel senso che l’orientamento espresso in tali sentenze pone seri dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con l’art. 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, ove si prevede che “Secondo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti”, e con quanto statuito, sia pure con riferimento alla precedente direttiva 75/442/CE, dalla CGUE nella sentenza 3 ottobre 2013 in C-113/2012 al punto 74, ove è stato precisato che «gli Stati membri debbono garantire che “ogni detentore di rifiuti” provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento ... oppure li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni ... . Tali obblighi, posti a carico di ogni detentore di rifiuti, sono il corollario del divieto di abbandono, scarico o smaltimento incontrollato dei rifiuti». In particolare l’Amministrazione - invocando un orientamento giurisprudenziale definito minoritario (T.A.R. Brescia, Sez. I, 12 maggio 2016, n. 669) - ha precisato che «Il criterio comunitario fa quindi riferimento ad un dato puramente oggettivo, che prescinde da profili di responsabilità soggettiva, che rilevano eventualmente sotto l’eventuale aspetto - diverso ed ulteriore - delle sanzioni ... Ebbene, non pare ragionevolmente contestabile che la curatela fallimentare, conservatrice di tutti i beni dell’impresa fallita, debba considerarsi - secondo la prevalente nozione comunitaria (e non secondo la definizione settoriale di diritto interno) la - “detentrice del momento” anche dei rifiuti depositati su aree o immobili di proprietà e/o di pertinenza dell’impresa stessa». Inoltre, secondo l’Amministrazione, l’art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006, costituendo «doverosa attuazione degli obblighi di recepimento assunti dall’Italia in ordine alle direttive comunitarie in materia ambientale, non può ... essere interpretato in maniera sostanzialmente abrogativa nei confronti delle imprese in procedura fallimentare, o applicato in modo tale da esonerare totalmente (salvo limitati, rarissimi e quindi praticamente irrilevanti casi) tali imprese e, quindi, i loro organi fallimentari - indubbiamente detentrici dei rifiuti abbandonati su aree di proprietà delle imprese medesime - dai precisi obblighi loro imposti dal diritto comunitario in materia di trattamento dei rifiuti, trasferendoli - in ultima analisi - direttamente sulla collettività generale rappresentata ed impersonata dalle varie autorità della pubblica amministrazione». Del resto, «diversamente opinando si finirebbe, in buona sostanza, a vanificare del tutto - in questi casi - la responsabilità solidale della società che si era pur sempre avvantaggiata - assieme ai suoi soci e creditori - dell’illecito dei propri amministratori, trasferendo in tal modo i connessi costi di bonifica sulla collettività: trasferimento che, in caso di impresa in procedura di fallimento, assumerebbe peraltro un sostanziale carattere definitivo (non ultimo a vantaggio dei creditori privati, premiandoli dell’illecito ambientale commesso dal loro debitore dei vantaggi economici così conseguiti da quest’ultimo)». Quindi l’Amministrazione ha conclusivamente chiesto al Tribunale di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, il seguente quesito: «se l’articolo 14, paragrafo 1 ed il considerando 26 della direttiva 2008/98/CE, laddove affermano il principio fondamentale “chi inquina paga”, unitamente a quanto stabilito dalla CGUE al punto 74 della sentenza 3.10.2013 in causa C113/12, Brady, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una applicazione del diritto nazionale - in particolare dell’articolo 192 del decreto legislativo n. 152/2006 e della legge fallimentare - in base alla quale la procedura fallimentare, ed in particolare il curatore fallimentare, non sono considerati “detentori del momento” dei rifiuti e non possono, di conseguenza, essere ritenuti destinatari dell’obbligo di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi e, perciò, destinatari dell’ordinanza del Sindaco che dispone le operazioni a tal fine necessarie, come stabilito dal menzionato articolo 192 del decreto legislativo n. 152/2006 (se non nei casi limite nei quali il curatore è autorizzato all’esercizio provvisorio ai sensi dell’articolo 104 della legge fallimentare o nel caso di autonoma responsabilità del curatore nell’abbandono del rifiuti)».

6. La parte ricorrente con memoria depositata in data 19 ottobre 2017 ha replicato alla tesi dell’Amministrazione, sulla scorta della qualificazione del curatore fallimentare quale mero amministratore dei beni del fallito, e della considerazione che l’art. 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE si limita a stabilire a chi devono essere imputati i costi della gestione dei rifiuti, mentre l’amministrazione pretende di individuare nel curatore del fallimento il soggetto che dovrà svolgere le attività di caratterizzazione e smaltimento dei rifiuti, in palese violazione dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152/2006, secondo il quale il responsabile delle condotte di “abbandono e deposito incontrollati di rifiuti” (comma 1) è il solo soggetto “tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi” (comma 3). Da ciò deriva che, qualora intervenga una dichiarazione di fallimento della società proprietaria del sito inquinato, gli enti competenti, in assenza di soggetti terzi interessati ad attivarsi di propria iniziativa, possono solo intervenire d’ufficio e, soltanto nell’ipotesi in cui sia accertata la responsabilità della società fallita, possono procedere al recupero delle somme anticipate mediante insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare; la pronuncia della Corte di Giustizia richiamata da controparte è del tutto inconferente, mentre assume rilievo la sentenza 4 marzo 2015, in C 534/13, con la quale la Corte (chiamata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato a decidere una questione relativa all’interpretazione del principio del “chi inquina paga”) ha conclusivamente affermato che «La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi».

7. Alla pubblica udienza del 9 novembre 2017 il ricorso è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Torna nuovamente all’attenzione di questo Tribunale la delicata e controversa questione relativa alla posizione del curatore fallimentare in relazione ai beni del fallito direttamente definibili rifiuti o comunque contenenti fattori di inquinamento ambientale, tali da richiedere, secondo la normativa di settore, un intervento di bonifica. Nel caso in esame, alla luce della relazione di sopralluogo del 3 marzo 2017, richiamata nella motivazione del provvedimento impugnato, non è in discussione la circostanza che il responsabile dell’inquinamento vada individuato nel presidente del consiglio di amministrazione della società IRES Costruzioni.

2. Questo Tribunale nella sentenza n. 93 del 2017 (richiamata nella successiva sentenza n. 173 del 2017) - relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame, nella quale il curatore non era stato autorizzato all’esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 del R.D. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare) - ha diffusamente analizzato la questione facendo proprio il prevalente orientamento giurisprudenziale (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 giugno 2014 n. 3274; id., 16 giugno 2009, n. 3885; id., 12 giugno 2009, n. 3765) che esclude la legittimazione passiva del curatore fallimentare (non autorizzato alla prosecuzione dell’attività della società fallita) con riferimento ad ordinanze sindacali che impongono la rimozione, l’avvio a recupero o smaltimento di rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi in quanto: A) «il fallimento non può essere reputato un subentrante, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare. La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio ... e correlativamente il fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus pubblico rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942). Il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite»; B) «il fatto che alla curatela sia affidata l’amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell’attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all’inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16.3.1942 n. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito ... poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell’espletamento della pubblica funzione non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono gli obblighi del fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell’inizio della procedura concorsuale».

3. L’Amministrazione chiede ora al Collegio di rimeditare tali conclusioni o comunque di adire la Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, invocando un precedente di altro Giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 12 maggio 2016, n. 669), ove è stato affermato che «la curatela fallimentare è attualmente il detentore dei rifiuti secondo il diritto comunitario, e dunque ha l’obbligo di rimuovere gli stessi e di avviarli a smaltimento o recupero» in quanto: A) «L’art. 3 par. 1 punto 6 della Dir. 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE (sostitutiva di direttive anteriori) definisce il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti. Nel diritto comunitario la categoria del possesso comprende anche la detenzione secondo il diritto interno (compresa la categoria che qualifica il tipo di detenzione esercitato sui beni del fallimento). Per le finalità perseguite dal diritto comunitario, infatti, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione, senza necessità di indagare il titolo giuridico sottostante. L’elemento decisivo è il carattere materiale della detenzione dei rifiuti. Anche i commercianti e gli intermediari hanno quindi il possesso dei rifiuti, ma nel loro caso la norma comunitaria prevede eccezionalmente che il possesso possa anche non essere materiale (v. 3 par. 1 punti 7-8 della Dir. 2008/98/CE)»; B) «In base al diritto comunitario (v. art. 14 par. 1 della Dir. 2008/98/CE), i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale, o dai detentori del momento, o dai detentori precedenti dei rifiuti. Questo costituisce un applicazione del principio “chi inquina paga” (v. anche il considerando n. 1 della Dir. 2008/98/CE). In altri termini, la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione comunitaria avente un duplice contenuto: (a) il divieto di abbandonare i rifiuti; (b) l’obbligo di smaltire gli stessi. Se per effetto di categorie giuridiche interne questa obbligazione non fosse eseguibile, l’effetto utile delle norme comunitarie sarebbe vanificato (v. C. Giust. Sez. IV 3 ottobre 2013 C-113/12, Brady, punti 74-75). Solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi sono collocati, può invocare l’esimente interna dell’art. 192 comma 3 del Dlgs. 152/2006. La curatela fallimentare, che assume la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi di tale norma, lasciando abbandonati i rifiuti».

4. Al riguardo il Collegio - ricordando innanzi tutto che lo stesso Tribunale che ha emesso il richiamato precedente ha rimeditato il proprio orientamento, pervenendo successivamente ad affermare (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 38) che «in sede di applicazione dell’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, in assenza dell’individuazione di una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso sull’abbandono dei rifiuti, nessun ordine di ripristino può essere imposto dal Comune alla curatela fallimentare quale mera responsabilità di posizione. Il curatore non sostituisce, infatti, il fallito, atteso che la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell’impresa fallita” - conferma l’orientamento già espresso nell’accogliere la domanda incidentale proposta dal ricorrente con l’ordinanza cautelare n. 43 del 2017, non essendo fondati i dubbi di compatibilità della normativa nazionale (e, in particolare, dell’art. 31, comma 1, del R.D. n. 267/1942 e dell’art. 192, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006), con il diritto dell’Unione Europea (e, in particolare, con l’articolo 14, paragrafo 1, ed il considerando 26 della direttiva 2008/98/CE).

6. Il considerando 26 della direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti recita “Il principio «chi inquina paga» è un principio guida a livello europeo e internazionale. Il produttore di rifiuti e il detentore di rifiuti dovrebbero gestire gli stessi in modo da garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute umana”. La predetta direttiva: A) all’art. 3, paragrafo 1, n. 6), definisce detentore di rifiuti “il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso”; B) all’art. 14, paragrafo 1, prevede che “Secondo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti”; C) all’art. 15, paragrafo 1, impone agli Stati membri di adottare “le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato in conformità degli articoli 4 e 13”. Il decreto legislativo n. 152/2006: A) all’art. 183, comma 1, lett. h), definisce detentore di rifiuti “il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso”; B) all’art. 188, comma 1, primo periodo, prevede che “Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179”. Il soggetto responsabile del trattamento dei rifiuti è, poi, destinatario delle sanzioni di cui all’art. 255 del decreto legislativo n. 152/2006, in tema di abbandono di rifiuti, e può essere destinatario delle ordinanze sindacali ripristinatorie di cui all’art. 192, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006, volte a dare attuazione all’obbligo di ripristino inadempiuto. L’art. 31, comma 1, del R.D. n. 267/1942 dispone che il curatore fallimentare “ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite”.

7. Secondo l’Amministrazione, nel caso del curatore fallimentare ricorrerebbe la figura del “detentore dei rifiuti” come definita dalla normativa europea e, quindi, il curatore ben potrebbe essere destinatario di ordinanze ripristinatorie ai sensi dell’art. 192, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006. In particolare il curatore, anche prescindendo dalle condotte dallo stesso poste in essere in caso di esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 della legge fallimentare (nel qual caso il curatore stesso si pone come il produttore dei rifiuti), ben potrebbe essere chiamato a rispondere di abbandono di rifiuti prodotti (non da lui ma) dal fallito. Diversamente opinando, si finirebbe per trasferire «direttamente sulla collettività generale rappresentata ed impersonata dalle varie autorità della pubblica amministrazione» gli oneri connessi alla gestione dei rifiuti.

8. Tale tesi non è condivisibile perché il curatore - pur avendo “l’amministrazione del patrimonio fallimentare” (cfr. l’art. 31, comma 1, della legge fallimentare) - non può tuttavia essere considerato un “detentore di rifiuti” ai sensi dall’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dalla relativa norma nazionale di recepimento, costituita dall’art. 183, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 152/2006. Difatti alla luce della sentenza della Corte di Giustizia U.E. n. 534 del 4 marzo 2015 il principio “chi inquina paga”, desumibile dall’art. 191, paragrafo 2, del TFUE, «comporta una preclusione alla normativa interna di imporre ai singoli costi per lo smaltimento dei rifiuti che non si fondino su di un ragionevole legame con la produzione dei rifiuti medesimi» (così Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2017, n. 2724). Inoltre, ai fini dell’applicazione della normativa europea e della normativa nazionale di recepimento, la produzione di rifiuti è innegabilmente connessa all’esercizio di un’attività imprenditoriale, attività che - salva l’ipotesi dell’esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 104 del R.D. n. 267/1942 (in cui il curatore esercita attività di impresa) - non viene proseguita dal curatore, che ha il limitato compito di liquidare i beni del fallito per soddisfare i creditori ammessi al passivo (compito al quale è strettamente connessa “l’amministrazione del patrimonio fallimentare”). Significativa al riguardo è la posizione assunta della giurisprudenza civile (Tribunale di Milano, Sezione fallimentare, 8 giugno 2017) secondo la quale deve escludersi che i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito costituiscano beni da acquisire alla procedura fallimentare per cui, a fronte dell’abbandono degli stessi, nessun ordine di ripristino può essere imposto alla curatela fallimentare. In tal senso è orientata anche la giurisprudenza penale in materia fallimentare (Cass. pen., Sez. III, 16 giugno 2016, n. 40318), secondo la quale il curatore del fallimento - non essendo né rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge, né essendo destinatario di specifici obblighi di sorveglianza - non può essere chiamato a rispondere di comportamenti del responsabile dell’inquinamento. Deve allora conclusivamente ritenersi che «la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti» (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 3 marzo 2017, n. 520).

9. Né giova all’Amministrazione sostenere che, così ragionando, si finisce per trasferire «direttamente sulla collettività generale rappresentata ed impersonata dalle varie autorità della pubblica amministrazione» gli oneri connessi alla gestione dei rifiuti. Difatti, secondo la giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885), se si ammettesse la legittimazione passiva del curatore si «determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento».

10. Resta allora solo da evidenziare che nel sistema del rinvio pregiudiziale, la posizione dei giudici nazionali varia a seconda che essi emettano o meno decisioni contro le quali sia possibile esperire un ricorso giurisdizionale di diritto interno; nel primo caso, il giudice nazionale ha una facoltà di rinvio (art. 267, comma 2, del TFUE), mentre nel secondo caso il giudice è sottoposto ad un vero e proprio obbligo di rinvio (art. 267, comma 3, del TFUE). Ciò posto, risultando acquisito in giurisprudenza il principio di diritto per cui il curatore del fallimento non può essere considerato un detentore dei rifiuti ai sensi dall’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dell’art. 183, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 152/2006, il Collegio ritiene che non vi sia motivo per sollevare innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale prospettata dall’Amministrazione resistente.

11. Il ricorso in esame deve conclusivamente essere accolto e, per l’effetto, l’impugnata ordinanza del Sindaco del Comune di Lavis n. 22/2017 va annullata nella parte in cui si ordina al dott. Stefano Inzoli, in qualità di curatore del Fallimento IRES Costruzioni, una serie di attività connesse con la smaltimento dei rifiuti, ivi comprese la caratterizzazione e la rimozione di rifiuti abbandonati presso lo stabilimento di Lavis della IRES Costruzioni.

12. Tenuto conto dei contrasti giurisprudenziali evidenziati in motivazione, sussistono comunque i presupposti per compensare tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 149/2017, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’ordinanza del Sindaco del Comune di Lavis n. 22/2017, nella parte indicata in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberta Vigotti, Presidente

Carlo Polidori, Consigliere, Estensore

Antonia Tassinari, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Carlo Polidori        Roberta Vigotti