Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 5513 del 03/05/2000
Presidente: Sensale A. Estensore: Benini S. P.M. Russo LA. (Conf.)
Sardone (Romanelli) contro Min. Beni Culturali (Avv. Gen. Stato)
(Cassa senza rinvio, App. Torino, 23 maggio 1997).
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) - PROCEDIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL'INDENNITÀ - DETERMINAZIONE (STIMA) - IN GENERE - Area soggetta a vincolo archeologico - Interesse archeologico riguardante l'area nel suo complesso - Inedificabilità assoluta - Sussistenza - Conseguenze - Valutazione alla stregua di area agricola - Necessità.

Il vincolo di inedificabilità connesso alla presenza di testimonianze archeologiche non è astrattamente qualificabile come assoluto, non potendosi teoricamente escludere un'attività edificatoria che non snaturi ne' pregiudichi la conservazione ed integrità dei reperti archeologici, a meno che, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in cassazione se congruamente motivato, non debba ritenersi che in concreto l'interesse archeologico non rimane circoscritto ad alcuni resti presenti nell'area, ma si correla al luogo nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico assetto storico di insediamento: ne consegue che l'inedificabilità assoluta determina il regime indennitario, per il caso di espropriazione, commisurato al valore agricolo, senza che abbia rilevanza la prevista realizzazione di strutture a servizio del sito (parco archeologico ed antiquarium), discendendo dal sistema dell'art. 5 bis legge 8.8.1992 n. 359 che la presenza di un vincolo conformativo della proprietà non ammette ai fini indennitari alcuna valutazione integrativa sulle possibilità effettive di edificazione o comunque di sfruttamento economico alternativo del fondo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Antonio SENSALE - Presidente -
Dott. Michele ANNUNZIATA - Consigliere -
Dott. Francesco FELICETTI - Consigliere -
Dott. Sergio DI AMATO - Consigliere -
Dott. Stefano BENINI - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SARDONE RITA, FOGLIA GIANFRANCO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA COSSERIA 5, presso l'avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUDOGOROFF RICCARDO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 719/97 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 23/05/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2000 dal Consigliere Dott. Stefano BENINI;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Romanelli, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito per il resistente, l'Avvocato dello Stato La Porta, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario RUSSO che ha concluso in via principale: per l'annullamento della sentenza per carenza del presupposto del provvedimento oblatorio per quanto riguarda la questione dell'indennità di esproprio, in subordine: per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 14.12.1995, Sardone Rita e Foglia Gianfranco convenivano in giudizio il Ministero per i beni culturali e ambientali davanti alla Corte d'appello di Torino, opponendosi alla stima è chiedendo la determinazione dell'indennità di occupazione e di esproprio relativamente a terreni di loro proprietà, dichiarati d'importante interesse archeologico con d.m. 30.11.1982, occupati a fini di ricerca archeologica, e successivamente sottoposti a procedura espropriativa da parte dell'amministrazione convenuta, con la dichiarazione di pubblica utilità delle opere relative alla conservazione, tutela e valorizzazione dell'area archeologica, e con l'occupazione d'urgenza dell'area stessa.
Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni culturali e ambientali, contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza depositata il 23.5.1997, la Corte d'Appello di Torino, ritenuto che sull'intera proprietà degli opponenti gravasse un vincolo di inedificabilità assoluta, e che di conseguenza l'indennità di esproprio dovesse essere liquidata secondo il criterio del valore agricolo medio, di cui all'art. 16 l. 22.10.1971 n. 865, determinava l'indennità in L. 46.770.400 e l'indennità di occupazione in L. 7.795.066.
Ricorrono per Cassazione Sardone Rita e Foglia Gianfranco affidandosi ad un solo motivo, al cui accoglimento si oppone con controricorso l'Avvocatura generale dello Stato, per conto del Ministero per i beni culturali e ambientali.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso, Sardone Rita e Foglia Gianfranco, denunciando errore di fatto, violazione dell'art. 5 bis l. 8.8.1992 n. 359, della legge 1^.6.1939 n. 1089, carenza e contraddittorietà di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto la natura inedificabile del terreno, e dunque l'indennizzabilità a valore agricolo dei terreni, mentre la presenza del vincolo archeologico non è di per sè idonea ad escludere l'edificazione dei terreni nella loro integrale estensione, anche per il fatto che gli scavi hanno riguardato la proprietà solo in parte, e le aree assoggettate a procedura ablatoria sono caratterizzate da possibilità sia legali che effettive di edificazione. Pregiudizialmente, si rileva dalle deduzioni dell'Avvocatura generale, che è pendente davanti a questa Suprema Corte, ed in fase di fissazione della data dell'udienza, il ricorso proposto dal Ministero contro la sentenza di rigetto della propria domanda di revocazione, proposta avverso la sentenza oggetto dell'impugnazione all'odierno esame. Ciò tuttavia non impedisce, a parere del collegio, la trattazione del ricorso per cassazione contro la sentenza di merito, poiché alla luce dell'art. 398 c.p.c., come modificato dall'art. 68 l. 26.11.1990 n. 353, vi è completa autonomia tra il giudizio di cassazione e quello per revocazione, almeno finché il giudice investito di quest'ultima non ritenga di sospendere i termini per la proposizione del primo o il procedimento di cassazione stesso. Tanto più qualora tra le due cause non sussista interferenza di questioni. Nel presente processo si dibatte sul criterio di indennizzo adottabile, se quello proprio delle aree edificabili o quello delle aree inedificabili. Il giudizio di revocazione attiene, diversamente, alla concreta determinazione del valore agricolo, ove sia applicabile il secondo criterio. Che anzi, se una pregiudizialità è ravvisabile, essa sussiste a favore del presente giudizio, all'esito del quale, in ipotesi, potrebbe cessare la materia del contendere del giudizio di revocazione, qualora si ritenessero applicabili le regole di indennizzo per i suoli edificabili. Diversamente, se nell'odierna sede si ritenga di confermare la sentenza di merito, che ha ritenuto l'applicabilità del criterio dei suoli inedificabili, la pendenza del giudizio di cassazione avverso la sentenza che ha deciso sulla revocazione impedirebbe comunque il passaggio in giudicato della sentenza di merito (art. 324 c.p.c.) . In sede di revocazione, in tal caso, si approderebbe alla definizione concreta di uno degli elementi di determinazione del quantum, sul presupposto dell'applicabilità del criterio generale delle aree inedificabili.
Il giudizio ha per oggetto sia l'indennità di esproprio che l'indennità di occupazione: pur se il ricorso contiene costante riferimento alla dedotta erroneità dell'indennità di espropriazione, dal tenore generale dell'impugnazione, della memoria depositata per l'udienza, e della stessa discussione orale del difensore, tenuto conto del fatto che la liquidazione del compenso per il mancato godimento dell'immobile è del tutto consequenziale al calcolo dell'indennità espropriativa, va ritenuto che i ricorrenti si dolgano della determinazione, operata dal giudice di merito, di entrambe le indennità espropriative.
Le azioni per la determinazione delle indennità espropriative possono essere iniziate indipendentemente dalla stima amministrativa:
ma se il compenso per l'occupazione può in teoria essere determinato via via che il bene resti sottratto al godimento del proprietario, anche se i frutti maturano alla scadenza di ogni annualità o frazione di annualità (Cass. 5.2.1999, n. 27/SU), non appena sia avvenuta l'apprensione del bene da parte dell'occupante (Cass. 21.11.1998, n. 11773), la determinazione dell'indennità di esproprio è condizionata alla rituale conclusione del procedimento ablatorio. Con riguardo alla fattispecie, lo stesso giudice di merito dà atto (e le parti non hanno smentito nel corso della discussione orale), che la procedura ablatoria non si è conclusa con un decreto di esproprio. L'occupazione, prima disposta a fini di ricerca archeologica, e successivamente (dal 1990) anche per la sistemazione dei resti e delle strutture, e dunque in anticipazione dell'esproprio, non è stata seguita da provvedimento ablatorio, pur se l'amministrazione ha provveduto alla determinazione dell'indennità, alla quale i proprietari si sono opposti, dando luogo alla presente causa.
Sussiste un indissolubile collegamento tra l'indennità di espropriazione ed il momento del trasferimento della proprietà del bene, attraverso l'espropriazione per pubblica utilità, nel senso che l'ammontare dell'indennità deve determinarsi con riferimento alla data del provvedimento ablatorio. Di conseguenza non è possibile alcuna statuizione su detto ammontare, se il provvedimento di espropriazione non è sopravvenuto, costituendo tale sopravvenienza presupposto indefettibile e, quindi, condizione dell'azione di determinazione definitiva dell'indennità (Cass. 29.11.1999, n. 833; 11.10.1999, n. 11370). Tale principio, affermato con riguardo alla procedura espropriativa regolata dalla l. 22.10.1965 n. 871, in cui è ben proponibile, in seguito alla sentenza Corte Cost. 22.2.1990, n. 67, l'azione di determinazione dell'indennità a prescindere dalla stima amministrativa, è a maggior ragione alla base della procedura di cui alla legge 25.6.1865 n. 2359, in cui la determinazione dell'indennità è tutt'uno con il decreto ablatorio, ed in cui non si dà per definizione il caso di una liquidazione amministrativa definitiva dell'indennità, indipendente dalla conclusione del procedimento ablatorio (art. 51 l. 2359/1865).
Poca importanza ha stabilire se la procedura applicata, nella fattispecie all'esame, sia stata quella regolata dalla legge fondamentale delle espropriazioni, come sarebbe stato corretto, trattandosi di opere di interesse statale, o diversamente si sia fatto riferimento alla legge 865/71, come sarebbe dato di desumere dalla sentenza impugnata e dal contegno e dalle affermazioni delle parti (circa l'avvenuta offerta di indennità provvisoria, la determinazione da parte della Commissione provinciale, l'opposizione alla stima davanti alla Corte d'appello).
Nè possono configurarsi deroghe di sorta in materia di espropriazioni per fini di tutela del patrimonio storico - artistico (artt. 54-56 l. 1^.6.1939 n. 1089), in cui sono applicabili, come già rilevato, le norme procedurali della l. 2359/1865, cui peraltro fa richiamo l'art. 68 r.d. 30.1.1913 n. 363 (regolamento tuttora vigente in virtù del richiamo di cui all'art. 73 della legge 1^.6.1939 n. 1089). Diversamente, in materia di determinazione dell'indennità, la norma fondamentale è ora l'art. 5 bis l. 8.8.1992 n. 359, che a seconda della edificabilità o meno dell'area espropriata, adotta il criterio della semisomma dettato dal primo comma, o rinvia al titolo II della l. 22.10.1971 n. 865. In mancanza di decreto di esproprio entro la scadenza del termine di occupazione legittima, dunque, non sussiste il presupposto idoneo a trasformare il diritto di proprietà in diritto all'indennizzo, e ciò comporta che il giudice debba porsi d'ufficio la relativa questione (Cass. 4.9.1999, n. 9382), anche in sede di legittimità (Cass. 7.4.1998, n. 3559; 19.5.1989, n. 2397). La sentenza deve essere cassata senza rinvio, sul punto concernente la determinazione dell'indennità di esproprio, ravvisandosi un'ipotesi nella quale il processo non poteva essere proseguito.
Lo svolgimento della vicenda suggerisce che alla scadenza dell'occupazione i proprietari avrebbero dovuto optare per la tutela risarcitoria: non sembra configurabile, infatti, una possibilità di restituzione del bene, in primo luogo per la presenza, all'interno di esso, di emergenze archeologiche che, dal momento della scoperta, sono da ritenere appartenenti al demanio (art. 822, secondo comma, c.c., in relazione all'art. 44 l. 1089/39; vedi ora l'art. 88 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490). Per la parte di suolo ancora da assoggettare a scavi per riportare in luce le testimonianze archeologiche nel suo complesso, sembra configurabile un'ipotesi di occupazione appropriativa. L'acquisizione del bene alla proprietà pubblica, conformemente alla dilatazione che tale istituto ha ricevuto nell'applicazione giurisprudenziale, sembra dipendere nell'ipotesi non tanto dall'irreversibilità delle trasformazioni materiali apportate durante l'occupazione (che pure ricorrono nell'ipotesi di occupazione a fini di ricerca archeologica), quanto dalla preponderanza del publicum sulla proprietà privata in seguito all'emergere delle testimonianze storico-culturali, con la nascita di esigenze di conservazione, tutela, valorizzazione. La nozione di "opera pubblica" è andata via via espandendosi, fino a ricomprendere ogni intervento dei pubblici poteri diretto ad ottenere nell'interesse della collettività, una durevole modificazione del mondo fisico, a prescindere da iniziative edificatorie in senso stretto (Cass. 3.4.1997, n. 2897; 15.7.1999, n. 394), tanto più che anche la procedura espropriativa ritualmente condotta al fine di tutela di beni archeologici, è di per sè satisfattiva del pubblico interesse indipendentemente dalla realizzazione di opere (Cass. 31.7.1969, n. 2908).
Il ricorso va ora esaminato sotto il solo profilo di riscontrata procedibilità, ovvero con riguardo all'indennità di occupazione. Il legame funzionale ravvisabile tra il procedimento di occupazione e la successiva ablazione del bene, nel senso che il primo è fase preliminare e quasi indefettibile dell'espropriazione, fa si che l'indennità di occupazione è determinabile sulla base di una percentuale dell'indennità di esproprio, avendo la funzione di ricostituire il patrimonio del soggetto espropriato nella parte in cui viene depauperato della somma corrispondente ai frutti civili che avrebbe percepito se gli fosse stata corrisposta l'indennità di esproprio al momento dello spossessamento (Cass. 29.8.1998, n. 8596). Ove il procedimento ablatorio non abbia avuto rituale conclusione, o per essere avvenuta la restituzione del bene, o per l'irreversibile trasformazione del fondo quale modo d'acquisto della proprietà alla mano pubblica a titolo originario, l'indennità di occupazione è determinabile in base ad un calcolo fondato su un dato virtuale, costituito dall'indennità di espropriazione che sarebbe spettata ove il procedimento si fosse concluso. La regola vale sia nell'ipotesi di aree edificabili (Cass. 20.1.1998, n. 493; da ultimo:
Cass. 7.6.1999, n. 5551), che per le aree soggette alla disciplina indennitaria delle aree agricole (art. 5 bis l. 8.8.1992 n. 359, il cui quarto comma richiama il titolo II della l. 22.10.1971 n. 865), per le quali l'indennità di occupazione corrisponde ad una somma pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell'indennità che darebbe dovuta per l'espropriazione (art. 20, terzo comma, l. 865/71).
Dovendosi allora verificare il calcolo dell'indennità di esproprio (che tuttavia non è dovuta per la mancanza, sopra rilevata, del decreto di esproprio), debbono esaminarsi le censure mosse con il ricorso ai criteri adottati dal giudice di merito per la determinazione dell'indennità: i ricorrenti si dolgono, in sostanza, che i terreni siano stati considerati alla stregua di suoli agricoli, con l'adozione dei meno favorevoli criteri indennitari dell'art. 16 l. 865/71, piuttosto che di quelli dettati dal primo comma dell'art. 5 bis l. 359/92, per le aree edificabili.
Il ricorso è infondato.
Le doglianze dei ricorrenti attengono a contestazioni sostanzialmente in punto di fatto, come del resto riconoscono nella stessa intestazione del motivo di censura, che denuncia "errore di fatto". Essi lamentano infatti che il giudice di merito abbia ritenuto che la situazione di inedificabilità, determinante l'opzione indennitaria per i criteri indicati dalla l. 865/71, interessasse l'intero compendio soggetto a procedura ablatoria. Diversamente, la Corte d'appello ha dato congrua e logica motivazione sul punto che le aree, a suo tempo dichiarate d'importante interesse archeologico nella loro estensione integrale, debbono essere considerate assolutamente inedificabili, senza esclusione di porzioni di terreno. Il ragionamento è in parte condotto secondo presunzioni, senza che peraltro ne risulti compromessa la logicità dello sviluppo argomentativo e la condivisibilità dei risultati: l'evidenza delle testimonianze archeologiche messe in evidenza dagli scavi va posta in relazione con l'estensione topografica delle strutture, desumibile dalla tipologia delle ville romane rustiche dei primi secoli dell'impero, e induce a ritenere che la proprietà dei ricorrenti nella sua integrale estensione sia interessata dai resti, in modo tale da non tollerare la trasformazione edilizia delle aree, pur se le testimonianze murarie non siano state ancora interamente riportate alla luce. Per i terreni sui quali è presumibile l'esistenza di reperti, il giudizio di inedificabilità è attribuito all'apprezzamento del giudice di merito, ed è incensurabile in cassazione, se congruamente motivato: se è anche vero che il vincolo di inedificabilità connesso alla presenza di testimonianze archeologiche non è astrattamente qualificabile come assoluto (non potendosi teoricamente escludere un'attività edificatoria che non snaturi ne' pregiudichi la conservazione ed integrità dei reperti archeologici), è tuttavia da rilevare che, in concreto, tale vincolo di inedificabilità si configura come assoluto quando l'interesse archeologico non rimanga circoscritto ad alcuni resti presenti nell'area, ma si correli al luogo nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico assetto storico di insediamento (Cass. 21.5.1998, n. 5060). Del resto, l'argomentazione condotta dalla Corte d'appello di Torino, per cui tutta la proprietà espropriata è interessata dalle testimonianze archeologiche, come gli scavi condotti durante l'occupazione hanno dimostrato, tanto da imporre in epoche successive una fascia di rispetto ad una consistente superficie limitrofa alle particelle 280, 281, 282, del foglio 11 C.T. del Comune di Albese, di proprietà dei ricorrenti, trova riscontri nel dibattito, sviluppato dalla giurisprudenza amministrativa, sulla legittimità d'imposizione del vincolo, anche in assenza di reperti affioranti. L'esistenza di reperti, che ovviamente preclude un'attività edificatoria, può desumersi, oltre che dal loro ritrovamento, da elementi di valutazione e ricerca storica atti a condurre ad una ragionevole supposizione della loro esistenza: Cons. Stato, sez. VI, 1 febbraio 1996, n. 165; o dal reperimento di ruderi in zona limitrofa: 18 settembre 1992, n. 674;
13 aprile 1992, n. 261. L'estensione può riguardare terreni limitrofi ai fondi nei quali tali reperti sono stati individuati, ed anche intere aree in cui le testimonianze siano disseminate, purché esse costituiscano complesso unitario e inscindibile (Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 1994, n. 1132).
La deduzione dei ricorrenti, circa la prevista realizzazione di un parco archeologico e di un antiquarium, e dunque di strutture a servizio del sito, rivelerebbe di per sè l'idoneità
all'edificazione. Si tratta di elementi assolutamente privi di significato, nel senso che, a differenza delle ipotesi in cui può essere ammessa una valutazione integrativa sulle possibilità effettive di un fondo a prescindere dalla disciplina urbanistica che non preveda una destinazione edificatoria (vale comunque il principio generale secondo cui, nella liquidazione dell'indennità, non può tenersi conto dell'aumento di valore che derivi al fondo espropriato dalla costruzione dell'opera pubblica), nella specie il vincolo che discende dall'art. 3 l. 1089/39 viene a sovrapporsi alla disciplina urbanistica, e di esso quest'ultima deve, tra l'altro, tener conto in sede di pianificazione (art. 7, secondo comma, n. 4, l. 17 agosto 1942 n. 1150). Se nella valutazione del giudice di merito il vincolo è tale da determinare l'inedificabilità di tutta l'area da esso interessata, questo è l'unico dato che rileva ai fini della regolamentazione indennitaria in caso di espropriazione, pur se in seguito, nell'ambito della discrezionalità che compete all'amministrazione dei beni culturali, si rendano necessarie opere di sistemazione dell'area di scavo, e servizi idonei ad assicurare la fruibilità del bene culturale. La realizzabilità di tali opere, d'altro canto, non rileva ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, attesa la rigida distinzione tra aree edificabili ed aree agricole stabilita dall'art. 5 bis, quarto comma, legge 8 agosto 1992 n. 359, che non ammette la riconoscibilità di un tertium genus: va esclusa la rilevanza delle qualità e della concreta utilizzabilità di un terreno non edificabile per la presenza di vincolo archeologico, per il quale debbono applicarsi le norme di cui al tit. II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (Cass. 20.1.1998, n. 483), anche agli effetti, conseguenti, dell'indennità di occupazione.
Il ricorso, nella parte relativa all'indennità di occupazione, va dunque rigettato. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata riguardo all'indennità di esproprio, e rigetta il ricorso nella parte concernente l'indennità di occupazione. Compensa le spese. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2000.
Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2000