Cass. Sez. III n. 19653 del 8 maggio 2019 (PU 27 feb 2019)
Pres. Andreazza Est. Macrì Ric. Iachetta
Caccia e animali.Atteggiamento di caccia

L’interpretazione della locuzione “atteggiamento da caccia” è ampia, ricomprendendo non solo l’effettiva uccisione o cattura della selvaggina, ma anche ogni attività prodromica o preliminare e comunque ogni atto desumibile dall’insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che comunque appaia diretto a tal fine.


RITENUTO IN FATTO
    
1. Con sentenza in data 19.7.2018 il Giudice per le indagini preliminari di Palermo, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna e di giudizio definito con il rito abbreviato, ha condannato Giuseppe Iachetta, Giuseppe Mandalà, Vincenzo Russo e Filippo Piazza alle pene di legge, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per il reato di cui agli art. 110 cod. pen. e 30, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 21, comma 1, lett. r), l. n. 157/1992 per aver usato richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con amplificazione del suono, in Palermo il 15.5.2018.  

2. Giuseppe Iachetta con un unico motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli art. 30, comma 1, lett. h) e 21, comma 1, lett. r, l. n. 157/1992. Rileva che l’uso del richiamo elettronico non costituiva reato essendo penalmente rilevante solo l’uso per fini venatori, che si evidenziavano con la disponibilità di mezzi idonei all’abbattimento o alla cattura della selvaggina. Nella specie, non stava svolgendo con i suoi sodali l’attività di caccia essendo essi sprovvisti di ogni mezzo utile all’abbattimento della fauna selvatica e perché si trovavano sui luoghi con il richiamo elettronico vietato, mentre stavano addestrando i cani.
 
3. Giuseppe Mandalà, Vincenzo Russo e Filippo Piazza con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli art. 12, 21, lett. r), 30, lett. h), l. n. 157/1992. Affermano che non era emersa la detenzione di armi o di strumenti idonei alla soppressione o apprensione della selvaggina. Il Giudice aveva ritenuto che bastava il richiamo sonoro per far ritenere integrato il reato. Osservano che il provvedimento aveva omesso di considerare che la nozione di esercizio venatorio rilevante per l’applicazione delle sanzioni previste dalla l. n. 157/1992 comprendeva necessariamente la disponibilità dei mezzi idonei all’abbattimento o alla cattura della selvaggina; inoltre, la libera disponibilità di un richiamo utile ad attirare i pennuti non integrava alcuna contravvenzione se non riferito ad una persona in atteggiamento di caccia. Quanto alla presenza dei cani da caccia, il provvedimento aveva omesso di considerare che, come risultava dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria in data 13.5.2018, si trattava di cani da ferma che si limitavano a puntare la selvaggina senza rincorrerla o catturarla; dallo stesso verbale di sequestro era emerso che essi erano intenti ad addestrare i cani da ferma, tanto che era stata applicata la sanzione prevista dall’art. 41 della l. r. n. 33/1997; in motivazione, pur dando atto che non erano stati rinvenuti armi e munizioni sulle autovetture, né altri strumenti idonei all’apprensione della selvaggina, il Giudice aveva affermato apoditticamente che erano in atteggiamento di caccia. Sennonché, l’atteggiamento di caccia comprendeva necessariamente la disponibilità di mezzi idonei all’abbattimento o alla cattura della selvaggina. Del resto, lo stesso Tribunale del riesame aveva ritenuto non sussistente il fumus dei reati contestati, mentre la sentenza impugnata si era discostata dal giudicato cautelare e, nonostante l’avvenuto dissequestro, aveva disposto la confisca e distruzione dei beni ormai restituiti agli aventi diritto.
  Con il secondo motivo lamentano la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quanto all’accertamento dell’attività venatoria. Il provvedimento aveva omesso d’indicare il percorso logico-giuridico seguìto per giungere all’affermazione di responsabilità dei ricorrenti, ritenendo che stessero esercitando l’attività venatoria. Il provvedimento si era limitato ad affermare che bastava l’uso del richiamo acustico per integrare la contravvenzione dell’art. 30 l. n. 157/1992, ma tale affermazione era avulsa dalla normativa secondo la consolidata interpretazione della giurisprudenza.     

CONSIDERATO IN DIRITTO

    4. I ricorsi sono fondati.
    Deve darsi continuità al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 21, lett. r), l. n. 157 del 1992, è necessario che la detenzione di richiami di genere vietato avvenga da persona in " atteggiamento da caccia", desumibile da un insieme di elementi, quali la presenza in luogo di caccia e la detenzione di strumenti idonei allo scopo, sintomatici ed indicativi di un'attività volta alla soppressione o cattura di uccelli o animali in genere (si veda tra le più recenti Cass., Sez. 3., n. 1625 del 28/10/2015, dep.  2016, Veneziano e altro, Rv. 265861, con ampi riferimenti ai precedenti, in un caso in cui gli imputati erano stati trovati anche con i fucili in auto). L’interpretazione della locuzione “atteggiamento da caccia” è ampia, ricomprendendo non solo l’effettiva uccisione o cattura della selvaggina, ma anche ogni attività prodromica o preliminare e comunque ogni atto desumibile dall’insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che comunque appaia diretto a tal fine. Ciò nondimeno, nella specie, gli imputati sono stati trovati solo con i cani ed i richiami, senza armi o altri strumenti per la cattura dell’uccellagione. L’interpretazione del Giudice che ha anticipato la fase prodromica addirittura al momento del presumibile addestramento dei cani da caccia non è coerente con il dato normativo che richiede comunque elementi univoci, in termini di organizzazioni di mezzi (es. disponibilità di reti, gabbie, trappole, armi etc.) e di persone, nel senso del compimento della condotta criminosa.    
    S’impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata per consentire i dovuti approfondimenti in fatto sull’illiceità penale della condotta tenuta.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo.
Così deciso, il 27 febbraio 2019