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Corte di Appello Milano  Sez. II civ. sent. 14 febbraio 2003
Est. Chindemi Ric. Centro Poligrafico Milano Srl
Risarcimento "danno esistenziale" conseguente da inquinamento ambientale

Si ringrazia il Dott. N.Girardi per la segnalazione.

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Con atto di citazione notificato in data 25.3.1994 Alfio Ciraldo e Paliasi Caterina convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano la società Centro Poligrafico di Milano srl chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per l’asserita intollerabile rumorosità degli impianti di stampa utilizzati dal settembre 1992 all’interno del capannone, sito in Rozzano, attiguo all’abitazione degli attori.
Esponevano gli istanti di avere proposto ricorso ex articolo 700 Cpc davanti al Pretore di Milano che, previe le opportune indagini tecniche, aveva ordinato alla resistente di tenere chiusi i portoni e le finestre durante le ore lavorative e di far funzionare le macchine ad una velocità massima di 4.500 copie all’ora per ridurre la rumorosità a livelli tollerabili.
Chiedevano gli attori la conferma del provvedimento del Pretore e la condanna del Centro Poligrafico di Milano al risarcimento dei danni patiti a seguito delle immissioni rumorose dal 1992, all’epoca attuale.
Si costituiva il Centro Poligrafico di Milano contestando l’esistenza di rumorosità molesta, asserendo di avere sempre lavorato con porte e finestre chiuse e di aver installato nel capannone anche l’impianto di ventilazione suggerito dal ctu.
Disposta ctu medico-legale, il Tribunale di Milano, con sentenza 2305/00, previo riconoscimento del superamento della soglia della normale tollerabilità delle immissioni acustiche, condannava il Centro Poligrafico di Milano al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di lire 4.000.000 a favore di ciascuno degli attori, oltre interessi al tasso medio ponderato del 6,8% dal settembre 1992, oltre al pagamento delle spese processuali e di ctu.
Il tribunale riconosceva che “costituisce nozione di comune esperienza che rumori che superino la soglia della normale tollerabilità con carattere continuativo (e non saltuario o occasionale) determinano stress, nervosismo, irascibilità, ossia una sensazione di malessere ed un’alterazione dell’equilibrio psico-fisico che, pur senza qualificarsi come vero e proprio danno biologico (effettiva menomazione dell’integrità psico fisica soggetta all’onere della prova) può considerarsi comunque una lesione del diritto alla salute ed alla serenità domestica, suscettibile di risarcimento”.
Avverso tale sentenza proponevano appello, con atto di citazione notificato in data 4.4.2000 il Centro Poligrafico di Milano srl eccependo l’erronea decisione del primo giudice che aveva accolto la domanda risarcitoria, nonostante il danno fosse stato escluso dalla ctu medico-legale rilevando anche come la durata delle immissioni, comunque contestata, andrebbe circoscritta in ambiti temporali inferiori a quelli stimati in sentenza, chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto della domanda e, in subordine, la rideterminazione in misura inferiore del danno, previa sospensione dell’efficacia della provvisoria esecutività della sentenza, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Si costituivano i convenuti, contestando i motivi addotti dall’appellante, insistendo per la conferma della sentenza del Tribunale.
Respinta l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza, la causa passava, quindi, in decisione sulle conclusioni delle parti trascritte in epigrafe.

Motivi della decisione

1. Il Centro Poligrafico di Milano non contesta l’illegittimità delle immissioni, eccedenti la normale tollerabilità, ma dopo avere censurato la pronuncia del primo giudice per avere liquidato il danno, avendo la ctu medico-legale escluso qualsiasi danno accertabile medicalmente, richiede, nelle conclusioni rassegnate, in parziale riforma della sentenza, la riduzione della somma liquidata dal primo giudice(lire 4.000.000,oltre interessi), eventualmente con ricorso al criterio di equità ex articolo 1226 Cc.
Il tribunale ha riconosciuto, anche in mancanza di accertamento di un danno alla salute accertabile con criterio medico legale, il risarcimento del danno alla serenità familiare, in considerazione dello “stress, nervosismo, irascibilità, ossia una sensazione di malessere ed un’alterazione dell’equilibrio psico-fisico” dei coniugi appellati.
In relazione ai danni lamentati, deve ritenersi, così come ritenuto dal Tribunale, conformemente alle conclusioni della ctu medico legale, che l’ipoacusia da cui è risultato affetto il Ciraldo fosse da ascriversi a cause estranee all’attività della convenuta.
La progressiva accentuazione della finalità riparatoria del macrosistema della responsabilità civile, impone di considerare,a i fini della tutela, tutte le istanze del danneggiato, in relazione sia alle tradizionali fattispecie generatrici di danno, sia in relazione alle nuove forme risarcitorie emergenti.
A seguito di fatti illeciti ad opera di terzi che provochino nelle vittime, una alterazione dei normali ritmi di vita, insofferenza, ansia stress, ecc,, senza alcuna alterazione della salute medicalmente accertabile, è stata riconosciuta dal tribunale una lesione suscettibile di riparazione pecuniaria mediante risarcimento del danno.
Negli ultimi anni si è assistito, soprattutto da parte della giurisprudenza di merito, ad un ampliamento dell’ambito di tutela del “valore uomo” la cui sfera di interessi, qualora si traduca in una violazione di diritti costituzionali,lesi da fatto illecito di terzi, viene garantita e tutelata, indipendentemente dall’accertamento di una lesione, sia fisica che psichica, accertabile medicalmente.
Ci si trova, nella fattispecie, di fronte ad un danno di natura psichica, non percettibile visivamente dal giudicante e, quindi, di difficile valutazione in mancanza di un accertamento medico-legale che ne attesti l’esistenza.
Non può, tuttavia, disconoscersi la effettività del danno, ove provato o accertato, alla sfera psichica del danneggiato, come nella fattispecie, anche se, tuttora, permangono dubbi, da parte della giurisprudenza, sul riconoscimento della risarcibilità del pregiudizio psichico subito, in mancanza di una lesione medicalmente accertabile.
Rileva la Corte come ai fini della completezza del sistema risarcitorio non debbono rimanere vuoti o spazi scoperti nella tutela di diritti soggettivi,costituzionalmente garantiti, a seguito di alterazioni, non riconducibili al danno biologico, della personalità del soggetto leso, avendo, comunque, diritto il danneggiato al ristoro integrale delle conseguenze pregiudizievoli nella sfera dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, conseguenti a fatto illecito di terzi.
La tutela risarcitoria, prevista in termini generali negli articoli 2043 Cc e 2059 Cc, costituisce una sorta di convenzione, codificata dalla giurisprudenza, in mancanza di una normativa specifica, che, in sintesi, può essere determinata nella tripartizione: danno patrimoniale, danno non patrimoniale (per lungo tempo identificato nel danno morale), danno biologico.
In presenza di alterazioni fisiche o psichiche nel soggetto danneggiato, il danno non patrimoniale, per il combinato disposto degli articoli 2059 Cc e 185 Cp è stato riconosciuto solamente in presenza di fatto-reato e il danno biologico,, la cui prima definizione legislativa si rinviene nella legge 57/2001 (articolo 3), sia pure in relazione alla normativa specifica, ma con valenza generale (“…per danno biologico si intende la lesione all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale) è stato ritenuto risarcibile dalla prevalente giurisprudenza solamente in presenza di una lesione all’integrità psico-fisica, medicalmente accertabile.
Restava fuori dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale, non risarcibile in mancanza di fatto reato e le alterazioni fisio-psichiche non rilevabili con criterio medico-legale,
Tali limitazioni risarcitorie potrebbero dar luogo a profili di incostituzionalità sotto il profilo della parità di trattamento (articolo 3 della Costituzione), ove si pensi ad esempio alla non risarcibilità del danno non patrimoniale in caso, statisticamente non infrequente, di presunzione di responsabilità ex articolo 2054, comma secondo, Cc che non consente il risarcimento del danno morale al danneggiato.
Il giudice, nell’interpretazione ed applicazione della legge, deve, tuttavia, privilegiare, ove non voglia rimettere la questione alla consulta, l’interpretazione costituzionalmente corretta.
Al riguardo dovrà essere approfondita dalla giurisprudenza, in mancanza di un intervento adeguatore del legislatore, la tematica della risarcibilità del danno morale e, più in generale, del danno non patrimoniale, in caso di violazione di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, della possibilità di riconoscimento del danno non patrimoniale oltre gli stretti confini del danno morale, anche in mancanza di fatto reato.
Occorre, in tale sede, determinare, in presenza di fatti potenzialmente idonei a ledere diritti fondamentali dell’individuo, la soglia della tutela costituzionale.
In mancanza di una norma specifica che riconosca la tutela risarcitoria, nel caso di accertata violazione di diritti fondamentali dell’individuo, occorre che la violazione accertata abbia caratteristiche tali da costituire effettivo pregiudizio ai valori tutelati dalla Carta fondamentale, tali da incidere sulla loro mancata realizzazione. Costituisce attuazione dei principi costituzionali la piena tutela dei diritti della personalità, compressi, in misura apprezzabile, a causa di fatto illecito altrui, anche ove non accompagnata dalla lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile.
Appare netta, sotto il profilo sistematico, la distinzione tra il danno morale (che considera il dolore e le sofferenze, cosiddetto “pretium doloris”), il danno biologico (lesione dell’integrità psico-fisica, suscettibile di accertamento medico-legale erisarcibile indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato ) ed il danno esistenziale (lesione della personalità del soggetto nel suo modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in “un agire altrimenti” o in un “non poter più fare come prima”).
In particolare il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa.
Pertanto, in linea di principio, le tre voci risarcitorie potranno essere tutte individuabili, distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo, ciascuna, ad autonomo risarcimento
Occorre, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie e sarà, quindi, compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno non patrimoniale o del danno biologico, che potrebbero anche essere liquidati comprensivi del cd. danno esistenziale.
Nella fattispecie in esame è ravvisabile, nei confronti dei coniugi appellati, una violazione del diritto alla libera estrinsecazione della personalità di entrambi, lesa a seguito di alterazione, ad opera di fatto illecito di terzi, delle loro quotidiane attività, protrattasi per un arco temporale considerevole (circa due anni).
Tale diritto è garantito dall’articolo 2 della Costituzione, che tutela i “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singole che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e ricomprende anche le attività di svago, culturali, di intrattenimento, di riposo, di relax, ecc. che incidono, con modalità e gradi diversi, conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità, ove compresse in misura apprezzabile, nella sfera psichica del soggetto leso, alterando in misura non irrilevante l’ambito dei rapporti interpersonali (familiari sociali, culturali, affettivi, etc).
Trattasi di alterazioni non riconducibili direttamente ad una lesione psichica, accertabile medicalmente,ma che, tuttavia, appaiono suscettibili di tutela, provocando una alterazione del modo di essere dell’individuo che, se non assume rilievo sotto il profilo del danno psichico in senso stretto, connesso ad una vera e propria patologia, accertabile medicalmente, tuttavia lede diritti fondamentali dell’individuo, di rango costituzionale, che vanno tutelati dall’ordinamento, indipendentemente da limitazioni risarcitorie previste da singole leggi ordinarie.
Non assume particolare rilievo il “nomen iuris”” del danno, individuato dal Tribunale, in senso positivo, nella tutela della serenità domestica e che può definirsi quale “danno esistenziale da inquinamento ambientale”.
E’, infatti, la lesione della personalità del soggetto che è suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che può anche non essere di diretta rilevanza costituzionale (si pensi ad esempio al danno esistenziale da vacanza rovinata), ma va tutelato ogni qual volta configuri alterazione della manifestazione della personalità, tutelata costituzionalmente ex articolo 2 Costituzione.
Qualunque alterazione, purché di valenza apprezzabile, di diritti che costituiscono ostacolo alla realizzazione della libertà individuale va, quindi, tutelata dall’ordinamento
Non è soltanto il diritto alla serenità domestica, nel ristretto ambito della propria abitazione, ad essere violato, ma anche la menomazione delle altre attività di svago, sociali e culturali che solitamente si svolgono al di fuori della abitazione familiare e costituiscono corollario alla libera estrinsecazione della personalità che può essere lesa sia nell’ambito familiare e privato, sia esterno, cioè sociale, culturale, ricreativo, senza che insorga necessariamente una vera e propria malattia psichica.
Il danno esistenziale è, quindi, individuabile, ove sia accertata una modificazioni peggiorative, purché, come già evidenziato, apprezzabile per intensità e qualità, nella sfera personale del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare la alterazione del diritto alla “ normale qualità della vita” e/o “alla libera estrinsecazione della personalità”.
Occorre anche che sussista il nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi, oltre che nella consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno, anche in un giudizio di proporzionalità o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose.
2. Il Tribunale ha anche ritenuto che non vi sia prova certa e dimostrabile con criterio medico legale tra la rumorosità ambientale e l’episodio di autolesionismo (tentato suicidio) posto in essere dalla Paliasi.
Nella documentazione clinica dell’Ospedale San Paolo, ove l’appellata è stata ricoverata si legge che “ha sempre goduto di buona salute, da un mese è in situazione stressante per cui non può dormire, sembra che per riuscire a dormire abbia ingoiato 18 capsule di Tavor ed un flacone di Novalgina” (doc. 4), riferendo allo psichiatra dell’Ospedale San Paolo che il Tavor le era stato prescritto dal medico curante nel settembre del 1992 “perché da quel periodo in poi una fabbrica proprio vicino all’abitazione della paziente iniziò a lavorare giorno e notte impedendo il riposo” (doc. 4).
Deve pertanto ritenersi probabile il nesso eziologico tra tentato suicidio e l’eccessiva rumorosità, anche se agevolato dalle particolari condizioni psichiche del paziente, pur non potendosi ritenere, in base ad una valutazione prognostica fondata sul “id quod plerumque accidit”, quale conseguenza logica e casualmente collegata alle immissioni rumorose il tentativo di suicidio della vittima.
Occorre, quindi, accertare se l’evento (tentato suicidio), ancorché collegabile, in rapporto di connessione causale con le immissioni rumorose, possa essere posto a carico del danneggiante, a titolo di responsabilità.
La questione controversa concerne la imputabilità al danneggiante dei danni psichici agevolati dalla predisposizione della vittima .
Va escluso che lo stato di particolare debolezza emotiva della vittima possa determinare una attenuazione della responsabilità o una riduzione del risarcimento, ma ciò solamente qualora il fatto sia ritenuto sufficiente a provocare il danno psichico, in base ad un giudizio di valore che si fondi sul senso comune.
Solamente in tal caso, anche se la vittima versi in uno stato di particolare sensibilità emotiva che dia causa a danni psichici più gravi di quelli prevedibili, questi ultimi debbano essere risarciti integralmente e sempre che si provi che le ripercussioni psichiche negative, pur accertate, siano riconducibili causalmente al fatto illecito.
Ove ricorra tale evenienza il risarcimento del danno è integrale, indipendentemente dalle pregresse condizioni psichiche del soggetto.
Ai fini della imputabilità al danneggiante occorre, tuttavia, accertare il nesso di causalità “adeguato” tra fatto illecito ed evento, acclarando se il primo (immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilità ) sia astrattamente idoneo a provocare l’evento (tentativo di suicidio).
Nel caso di specie non sussistono tali condizioni in quanto deve ritenersi, in base al senso comune, che la percezione sensoriale della eccessiva rumorosità, non possa cagionare, in termini generali, un impatto emotivo tale da causare nella vittima una alterazione psichica talmente intensa da spingerla al suicidio
Va, quindi, esclusa l’imputabilità al danneggiante del tentato suicidio della vittima, ma per motivazioni differenti da quelle del Tribunale che ha negato “tout court” l’esistenza del nesso di causalità per mancanza di prova del nesso causale semplice.
3. Il Tribunale non ha preso in esame la natura patrimoniale o meno, del danno liquidato, essendosi limitato al riconoscimento “tout court” della risarcibilità della lesione del diritto alla serenità familiare.
Tale indagine va, invece, effettuata dalla Corte per individuare la natura giuridica del danno esistenziale o alla serenità familiare, come definito dal Tribunale, e trarne le necessarie conseguenze in tema di eventuali limitazioni risarcitorie, rilevabili anche d’ufficio.
Nel caso di specie, trattasi di danno non reddituale, quale conseguenza di evento lesivo che non incide direttamente sulla capacità di guadagno o patrimoniale dei soggetti lesi, ma che ha ripercussione sui rapporti extra –lavorativi e più specificamente familiari, di intrattenimento o svago, sociali, e culturali.
Quindi ne va affermata la natura non patrimoniale.
Conseguentemente bisognerebbe accertare, in base al combinato disposto degli articolo 185 Cp e 2059 Cc la sussistenza di un fatto costituente anche astrattamente reato, al fine di poter liquidare il danno non patrimoniale.
Va, al riguardo rilevato come la categoria del danno non patrimoniale non si esaurisce nel danno morale, in mancanza di un’espressa previsione legislativa in tal senso, ma ricomprende anche altre voci di danno individuate ed elaborate dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi anni (danno edonistico, alla serenità familiare, alla vita sessuale, esistenziale, da vacanza rovinata, ecc.).
Estendendo il metodo sistematico interpretativo ricavabile dalla sentenza della Corte costituzionale 184/86 in tema di danno biologico che, in estrema sintesi, esclude limitazioni risarcitorie a diritti i costituzionalmente garantiti, nel caso in cui, come nella fattispecie, si accerti la lesione del diritto costituzionale alla libera estrinsecazione della propria personalità, non sussistono ostacoli alla risarcibilità del danno esistenziale da inquinamento acustico anche in mancanza di prova di fatto costituente reato.
Si legge, in particolare, in tale pronuncia che “ se è vero che l’articolo 32 Costituzione tutela la salute come diritto fondamentale del privato e se è vero che tale diritto è primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno biologico, quali quelli posti dall’articolo 2059 Cc,non è ipotizzabile limite alla risarcibilità dello stesso danno, per sé considerato, ex articoli 2043 Cc Il risarcimento del danno ex articolo 2043 Cc è sanzione esecutiva del precetto primario: ed è la minima (a parte il risarcimento ex articolo 2058 Cc) delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse.
Quand’anche si sostenesse che il riconoscimento in un determinato ramo dell’ordinamento, d’un diritto subiettivo non esclude che siano posti limiti alla sua tutela risarcitoria ....va energicamente sottolineato che ciò, in ogni caso, non può accadere per i diritti e gli interessi della Costituzione dichiarati fondamentali. Il legislatore ordinario, rifiutando la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla predetta tutela. La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra, nelle ipotesi escluse dalla tutela risarcitoria: il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro dell’effettività della predetta dichiarazione costituzionale. Con l’aggravante che, mentre il combinato disposto degli articoli 32 Costituzione e 2043 Cc porrebbe il divieto primario, generale, di ledere la salute, il fatto lesivo della medesima, per il quale non è previsto dalla legge ordinaria il risarcimento del danno, assurdamente impedirebbe al precetto primario d’applicarsi (il risarcimento del danno rientra, infatti, nelle sanzioni che la dottrina definisce esecutive) o, dovrebbe ritenersi giuridicamente del tutto irrilevante.
Dalla correlazione tra gli articoli 32 Costituzione e 2043 Cc è posta, dunque, una norma che, per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico” (Corte costituzionale 184/86).
.Tale importante principio, evidenziato dalla Consulta in relazione agli articoli 32 e Costituzione e 2043 Cc. risulta applicabile anche in tutti gli altri casi di lesioni di interessi o valori costituzionalmente garantiti, estendendo la pronuncia della Corte costituzionale, stante l’ampiezza dei principi enunciati, ad ogni lesione di diritti fondamentali, con una lettura costituzionale dell’articolo 2043 Cc, nel senso che tale in tale norma devono trovare integrale tutela i diritti fondamentali della persona violati.
La stessa Suprema Corte ha riconosciuto che “il citato articolo 2043 Cc, correlato agli articoli 2 e segg. della Costituzione, va così necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento dei danni non solo in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Per cui, quindi, essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente operanti, anche nei rapporti tra privati (cosiddetto “drittwirkung”)- non è ipotizzabile limite alla risarcibilità della relativa lesione, per sé considerata (Corte costituzionale 184/86), ai sensi dell’articolo 2043 Cc (Cassazione 7713/00).
Il precetto costituzionale integra la norma di garanzia di cui all’articolo 2043 Cc e consente di fondare un sistema completo di garanzia del principio generale del “neminem laedere”, che comprende anche la tutela del danno esistenziale, inteso quale violazione di un diritto fondamentale dell’individuo, tutelabile, senza limitazioni risarcitorie, ex articolo 2043 Cc che, interpretato ed applicato alla luce dell’articolo 2 della Costituzione va esteso fino a ricomprendere la risarcibilità non solamente dei danni patrimoniali, ma anche di tutti gli altri danni connessi alla mancata realizzazione della persona umana, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica (patrimoniale o non patrimoniale).
Ogni lesione, di contenuto apprezzabile, di un diritto costituzionalmente protetto non può, quindi, soffrire limitazioni risarcitorie da parte del legislatore ordinario.
Ciò vale anche, in particolare, in relazione all’articolo 2059 Cc che limita la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi di fatto costituente anche reato.
Il principio ispiratore della Consulta è individuabile nella tutela integrale di tutti i diritti della personalità, intesi anche come diritti dell’individuo che, pertanto, vanno risarciti senza limitazione alcuna.
La tutela della persona umana costituisce, peraltro, principio informatore di tutte le Costituzioni europee e di quella Americana, la cui centralità di tutela è individuabile anche nella nostra Costituzione negli articoli 2, 3 e 32 e non può subire limitazioni e condizionamenti da parte del legislatore ordinario.
Il precetto costituzionale, improntato alla piene tutela della persona, prevale, quindi, su eventuali limitazioni risarcitorie imposte dal legislatore ordinario.
4. Il danno è rappresentato dalle ripercussioni sulle attività non reddituali dei danneggiati,ed, in particolare dalla alterazione delle normali abitudini di vita e non va qualificato, come già evidenziato, come danno biologico in senso stretto, in quanto non comporta un’alterazione dello stato di salute o l’insorgere di una malattia, ma consiste in un’alterazione dei normali ritmi di vita che si riflettono sulla personalità del soggetto danneggiato, incidendo negativamente, come riconosciuto dal Tribunale nella fattispecie, sulle normali attività quotidiane e provocando uno stato di malessere diffuso che genera, cumulativamente o alternativamente, ansia, irritazione, difficoltà a far fronte alle normali occupazioni, depressione, pur non cagionando in una vera e propria patologia sotto il profilo medico-legale
La tutela deve, quindi ammettersi, in base al precetto costituzionale violato, indipendentemente dalla prova di perdite patrimoniali, in quanto oggetto del risarcimento è la diminuzione o privazioni di valori della persona inerenti al bene protetto (per tale principio in materia di danno biologico da morte cfr. Corte costituzionale 372/94).
Trattandosi di danno “evento”, conseguente alla accertata lesione di un diritto fondamentale dell’individuo ne va riconosciuta “la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale” (cfr. in tema di danno biologico, Corte costituzionale 184/86).
Occorre, peraltro, accertare se e quale tipologia di prove siano sufficienti ai fini risarcitori
Un orientamento, seguito anche dalla Suprema Corte, ritiene che la prova della lesione di un diritto costituzionale è anche prova del danno, nel senso che la lesione è “in re ipsa” (Cassazione, 4881/01, 6507/01).
Occorre, tuttavia, accertare se da tale enunciazione o, comunque, in base ai principi generali del nostro ordinamento, ne discende che l’accertata violazione del diritto fondamentale attribuisca il diritto al risarcimento del danno, anche senza necessità di prova specifica.
A tale quesito deve darsi risposta negativa.
La prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, così come affermato dalla stessa Corte Costituzionale, in relazione al danno biologico da morte (cfr. Corte costituzionale 372/94).
Infatti, sottolinea la Consulta, la “…prova della lesione è, in re ipsa, prova dell’esistenza del danno, non già che questa prova sia sufficiente ai fini del risarcimento”, in quanto “è sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’articolo 1223 Cc,costituito dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato” (Corte costituzionale 372/94).
Tale importante enunciazione trova fondamento giuridico ove si consideri che, nel nostro ordinamento, mentre sono previste forme di responsabilità oggettiva (es: responsabilità dei genitori per fatti commessi dai figli minori (articolo 2047 Cc), dei datori di lavoro (articolo 2049 Cc) o presunta (articoli 2050-2054 Cc, non è prevista alcun danno di natura oggettiva, risarcibile indipendentemente dalla sua prova o alcuna presunzione di danno, né la tutela accordata alla lesione di valori costituzionali, anche in mancanza di una normativa specifica, può legittimare l’esclusione della prova del danno.
La necessità della prova del danno, anche in caso di violazione di diritti fondamentali della persona non è, inoltre, contrastante con i principi della Carta costituzionale, vigendo anche in materia di onere della prova del danno la generale enunciazione di cu all’articolo 2697 Cc, con le eccezioni espressamente previste dalla legge e la norma di chiusura di cui all’articolo 2698 Cc relativa alla nullità dei patti di modifica o inversione dell’onere della prova, nei casi indicati dalla norma.
Peraltro il risarcimento del danno esistenziale, riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, non può fondarsi su considerazioni che, sia pure basate sulla comune esperienza, si limitino ad un aspetto interiore della persona lesa, occorrendo la prova dell’incidenza, in concreto, della lesione di valori fondamentali dell’individui sulle attività realizzatrici del soggetto danneggiato, con conseguente alterazione, di contenuto apprezzabile, della personalità del soggetto, sia sotto il profilo personale che relazionale, quindi “esterno”,quale conseguenza del fatto illecito altrui.
Anche se la lesione, in tal caso, è “in re ipsa”, non ne può discendere, quale corollario, che il danno debba essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza, costituendo la lesione di valori costituzionali un semplice indizio, sia pure di valenza pregnante, dell’esistenza del danno che, tuttavia, dovrà essere provato facendo ricorso ai principi generali in tema di prova.
Si ritiene che la prova, per le considerazioni dianzi espresse, possa essere agevolata o meno rigorosa, anche mediante il ricorso, in base al prudente apprezzamento del giudicante, alle presunzioni, ai “fatti notori”, alle massime di “comune esperienza”, ma senza esonerare il danneggiante dall’onere di allegare i fatti e gli elementi concreti posti a fondamento della richiesta risarcitoria.
Peraltro costituisce principio pacifico, che, anche ove si ricorra alla valutazione equitativa, nel caso in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare (articolo 1226), occorra pur sempre fornire la prova del danno stesso.
Non può infatti escludersi, in linea di principio, che la lesione di valori costituzionali, non provochi, per ragioni peculiari o contingenti legati alla sfera soggettiva del soggetto leso o alle particolari situazioni ambientali, alcun danno concreto nella sfera del danneggiato, con conseguente esclusione del risarcimento, sia pure in presenza di un fatto illecito, solo potenziamele lesivo di datti valori costituzionali..
Relativamente ai mezzi di prova ammissibili, in mancanza di un accertamento medico-legale, potrà anche farsi riferimento, come già evidenziato, ove ne ricorrano i presupposti, alle presunzioni semplici o a situazioni reali, di valenza sintomatica, da cui desumere in termini di certezza o di elevata probabilità, l’effettività del pregiudizio subito.
Tuttavia non è da escludersi che la stessa consulenza medico-legale, una volta esclusa una lesione apprezzabile sotto il profilo medico-legale, possa estendersi, ove sia formulato apposito quesito, ad accertare la compromissione, sotto l’aspetto esistenziale, delle attività realizzatrici del soggetto danneggiato, avendo anche il consulente tecnico medico-legale,a seguito dell’anamnesi del soggetto leso e degli altri elementi in suo possesso, formulare un giudizio attendibile sulle ripercussioni concrete del fatto illecito sulla personalità della parte lesa, indagine che non necessariamente, salvo casi particolari, deve essere affidata a psicologi o assistenti sociali, con nuova CTU, anche per evitare ulteriori spese non necessarie.
Si ritiene, invece, che occorra cautela qualora si voglia fondare la tutela risarcitoria sui “fatti notori” o sulle nozioni di “comune esperienza”, in mancanza di riscontri concreti, riferibili alla fattispecie in esame, che consentano l’utilizzazione a fini probatori di tali elementi presuntivi, in quanto ogni individuo ha una propria personalità, unica e diversa da ogni altro soggetto e, quindi, diverse da individuo a individuo saranno le conseguenze psichiche collegate a fatti illeciti di valenza simile, sotto il profilo della loro concreta incidenza sulla personalità del soggetto leso.
In mancanza di tali elementi la tutela risarcitoria, sulla base di tali mezzi di prova presuntiva, va riconosciuta in quella minima, individuata dal giudice in base a parametri riferibili alla fattispecie, astrattamente considerata.
Nondimeno sarà, in linea generale, ammissibile, ai fini della prova del danno, Il ricorso alle cd. presunzioni semplici, che dovranno tenere conto non solamente degli aspetti cd “interni” della lesione esistenziale, ma anche e soprattutto delle ripercussioni nell’ambito cosiddetto “esterno”.
Il criterio risarcitorio, non può, allo stato, che essere equitativo, ex articolo 1226 C.C., stante le difficoltà intuitive di pervenire, stante la particolare natura del danno, ad una sua precisa quantificazione.
Tuttavia, ai fini della determinazione del “quantum”, occorre individuare, per evitare possibili liquidazioni arbitrarie, parametri di valutazione omogenei che tengano conto di tutti gli elementi della fattispecie;
pertanto, a fini esemplificativi, si dovrà tenere conto : a) della personalità del soggetto leso, b) dell’interesse violato; c) dell’ attività svolte dalla vittima; d) delle ripercussioni del fatto illecito sulla personalità del soggetto leso, e) delle alterazioni, provocate dal fatto illecito, anche nell’ambito familiare e sociale del danneggiato.
Le conseguenze sugli appellati della intollerabilità delle immissioni, considerato anche un arco temporale ridotto di 2 mesi, rispetto al più ampio arco temporale di 24 mesi circa preso in esame dal Tribunale, (da settembre 1992 ad aprile 1994, epoca di installazione del sistema di ventilazione, oltre che nei mesi estivi del 1994), pur considerata la chiusura feriale settimanale o in occasione di festività, devono ritenersi particolarmente gravose, sotto il profilo dell’equilibrio psichico, per i danneggiati, rilevato che l’attività lavorativa si svolgeva nell’arco temporale delle 24 ore, quindi anche di notte, e certamente, fino alla installazione del sistema di ventilazione, ma anche fino ai mesi estivi del 1994, Il Centro Poligrafico Milano non poteva svolgere l’attività produttiva tenendo costantemente porte e finestre chiuse. Al riguardo il C.T.U. ha rilevato che non sussistevano le condizioni termoigrometriche compatibili tra la chiusura delle porte e finestre e la presenza di personale all’interno del capannone.
Peraltro anche con portone aperto e le finestre dello stabilimento verso strada venivano superati i limiti tollerabili, a tutti i regimi di funzionamento della macchina con finestre dell’abitazione del Ciraldo sia aperte che chiuse.
Considerato l’arco temporale di intollerabilità delle immissione, la loro intensità, e soprattutto la costante durata nell’intero arco della giornata, valutate le conseguenze psichiche, in senso ampio, subite dai danneggiati, già evidenziate, la somma liquidata dal primo giudice appare, sotto il profilo equitativo, limitativa dell’effettivo pregiudizio subito dai danneggiati, certamente suscettibile di un risarcimento maggiore, ma non essendovi appello incidentale sul punto, non può essere emessa alcuna pronuncia al riguardo, dovendosi limitare la Corte alla conferma della sentenza impugnata.
Anche le spese processuali del secondo grado di giudizio vanno poste a carico del Centro Poligrafico Milano srl, rimasto soccombente

PQM

Definitivamente pronunciando, sull’appello proposto contro la sentenza del Tribunale di Milano 2305 in data 22.12.1999/28.2.2000,respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa, respinge l’appello. Conferma la sentenza impugnata, condanna il Centro Poligrafico Milano srl al rimborso, a favore degli appellati anche delle spese processuali del giudizio d’appello che liquida in € 46,48 per spese, € 466.89 per diritti, € 2.298,22 per onorario, oltre Iva e Cpa.