Cass. Sez. III n. 4214 del 1 febbraio 2023 (UP 19 gen 2023)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Doneddu
Rifiuti.Modalità di classificazione

La classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, potendo legittimamente fondarsi anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri e l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi dell'art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 gennaio 2022 la Corte d’appello di Cagliari, Sezione staccata di Sassari, ha respinto l’impugnazione proposta da Bernardo Doneddu nei confronti della sentenza del 16 dicembre 2019 del Tribunale di Sassari, con la quale lo stesso era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. 152/2006 (ascrittogli per avere, quale proprietario e utilizzatore di un terreno della superficie di circa 500 mq., realizzato una discarica non autorizzata di rifiuti, almeno in parte pericolosi, depositando sul suolo in modo incontrollato lastre e frammenti di eternit, tubature e materiale plastico e metallico, residui di demolizioni, pneumatici usati, elettrodomestici dismessi e parti di ricambio di automobili), venendo condannato alla pena di un anno di arresto e 6.000,00 euro di ammenda, con la confisca dell’area, di cui l’imputato era stato condannato a eseguire a proprie spese il ripristino e la bonifica.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 192, comma 1, 255, comma 1, e 256, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, a causa della affermazione della realizzazione nel proprio fondo di una discarica abusiva, in quanto la presenza dei rifiuti non aveva interessato tutta l’area, della superficie di 500 mq., ma solo una porzione di essa, essendo emerso dall’istruttoria che i rifiuti erano prevalentemente concentrati all’interno, o in prossimità o nei dintorni delle costruzioni ivi esistenti, e altri erano stati inglobati in tali fabbricati venendo utilizzati per il completamento delle strutture, mentre la restante parte dell’area o non era interessata dalla presenza di rifiuti o lo era in minima parte, essendo sparsi e in numero esiguo.
Tanto premesso, stante l’assenza di una attività di gestione dei rifiuti, ha affermato che la condotta, in considerazione delle dimensioni dell’area occupata e della quantità di rifiuti ivi depositati, avrebbe dovuto essere qualificata come di deposito incontrollato di rifiuti, richiamando la sentenza n. 25548 del 2019, con la conseguenza che, non essendo il ricorrente titolare di imprese né responsabile di enti, la condotta avrebbe dovuto essere qualificata come illecito amministrativo ai sensi degli artt. 192, comma 1, e 255, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, determinanti travisamento di prove decisive, costituite dalle fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi e dalle dichiarazioni del Maresciallo dei Carabinieri Cubeddu, travisamento che aveva condotto alla erronea qualificazione della condotta, in quanto dalle fotografie dello stato dei luoghi che offrivano una visuale più ampia e che ne estendevano la panoramica si ricavava che i rifiuti erano concentrati o ammassati in una sola porzione dell’area, o all’interno dei fabbricati, o al di sopra di essi, o intorno a essi poggiati sui relativi muri, o, infine, integrati nelle strutture degli stessi, concentrati in una sola porzione dell’area e non per la sua intera estensione; il Maresciallo Cubeddu, inoltre, aveva riferito che i copertoni per auto erano per lo più utilizzati per fissare le coperture dei fabbricati e gli altri rifiuti erano disseminati nell’area, ossia sparpagliati, e non accumulati, come erroneamente ritenuto sia dal Tribunale sia dalla Corte d’appello, che aveva anche, altrettanto erroneamente, affermato che i rifiuti erano coperti di ruggine, benché ciò non emergesse dalle fotografie acquisite, tra l’altro in bianco e nero, e da erbacce, posto che tale ultimo aspetto riguardava solo una piccola parte dei rifiuti.
2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l’erronea applicazione degli artt. 183, comma 1, lett. t), e 256, commi 2 e 3, d.lgs. n. 152 del 2006, a causa della omessa considerazione dell’esistenza di una attività, seppure rudimentale, diretta al riutilizzo dei rifiuti, circostanza che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a qualificare la condotta come deposito incontrollato di rifiuti anziché come discarica abusiva, in quanto una parte dei materiali presenti nel fondo del ricorrente erano stati riutilizzati come materiale da costruzione ed erano stati inglobati nei fabbricati ivi esistenti.
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 183, comma 1, lett. a), e 256, commi 2 e 3, d.lgs. n. 152 del 2006, e degli artt. 2, comma 1, lett. c), e 15 della l. n. 257 del 1992, a causa della qualificazione come rifiuti delle lastre di amianto utilizzate come copertura dei fabbricati rurali presenti nel fondo di proprietà del ricorrente, in quanto tale destinazione funzionale ne escludeva la qualificabilità come rifiuti, che richiede la volontà o l’obbligo di disfarsi degli oggetti, tenendo conto del fatto che non era stata accertata la pericolosità delle lastre di amianto in riferimento alla eventualità del rilascio di fibre aerodisperse nell’ambiente.
2.5. Con il quinto motivo ha denunciato una ulteriore violazione degli artt. 183, comma 1, lett. bb), e 256, commi 2 e 3, d.lgs. n. 152 del 2006, sempre con riferimento alla esclusione della qualificabilità della condotta come deposito incontrollato di rifiuti, avendo erroneamente la Corte d’appello fatto riferimento al deposito temporaneo.
2.6. Anche con il sesto motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 256, commi 2 e 3, d.lgs. n. 152 del 2006, sempre con riferimento alla esclusione della configurabilità di un deposito incontrollato di rifiuti, non essendo stata adeguatamente considerata la pluralità dei conferimenti ripetuti nel tempo, che è elemento costitutivo anche del deposito incontrollato di rifiuti e lo distingue dall’abbandono.
2.7. Con un settimo motivo ha lamentato un vizio della motivazione nella considerazione della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, fondata sulla qualificazione della condotta come volta alla realizzazione di un deposito incontrollato di rifiuti, e della ordinanza di rigetto di tale richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, che non aveva condiviso tale qualificazione ritenendo configurabile una discarica abusiva, e anche della sentenza n. 203 del 2021 del Tribunale di Sassari, relativa alla contestazione di condotta analoga ad altri soggetti proprietari di un fondo limitrofo nel quale pure erano stati depositati in modo incontrollato rifiuti, in quanto i contrasti interpretativi desumibili da tali provvedimenti avrebbero dovuto indurre a escludere la responsabilità dell’imputato.
2.8. Infine, con l’ottavo motivo, ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 163, comma 1, 164, comma 4, e 167, comma 1, cod. pen., a causa della esclusione del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, fondata sul precedente riconoscimento del medesimo beneficio da parte del Tribunale di Sassari con sentenza del 8 ottobre 1985, irrevocabile il 23 gennaio 1986, e sul fatto che le pene inflitte con le due sentenze superano il limite di due anni stabilito dall’art. 163 cod. pen., non essendo stato considerato che tale beneficio avrebbe potuto essere concesso una seconda volta ai sensi dell’art. 164, comma 4, cod. pen., essendosi estinto il reato oggetto della precedente condanna (si richiama la sentenza n. 22872 del 2018).
Ha, inoltre, eccepito la sopravvenuta estinzione per prescrizione del reato ascrittogli, essendo decorso il relativo termine quinquennale il 21 marzo 2022, ovvero, al più tardi, considerando il sequestro dell’area, disposto con ordinanza del 27 marzo 2017, il 27 marzo 2022.

3. Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando la correttezza della qualificazione come discarica abusiva dell’area oggetto delle condotte del ricorrente, per la presenza di numerosi elementi sintomatici di tale reato, quali l’accumulo (più o meno sistematico), ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata, l’eterogeneità dell'ammasso dei beni accantonati, la condizione di degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali (promiscui, pericolosi e non pericolosi, con tracce di ruggine e con erbacce, non rimossi e accumulati indistintamente, con evidente dismissione senza alcuna possibilità di riutilizzo), e anche del diniego del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, per il precedente penale ostativo, per la rilevata pervicacia del proposito criminoso e per la mancata bonifica del terreno interessato dalla condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro pressoché riproduttivo dell’atto d’appello, i cui motivi sono stati tutti adeguatamente e correttamente considerati dalla Corte territoriale, è manifestamente infondato.

2. Il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto con essi è stata denunciata la violazione di disposizioni di legge penale e il travisamento delle prove sempre nella prospettiva che tali violazioni e travisamenti avrebbero erroneamente determinato la qualificazione giuridica della condotta come di realizzazione di una discarica abusiva anziché come deposito incontrollato di rifiuti, da ricondurre nel caso specifico all’illecito amministrativo di cui agli artt. 192, comma 1, e 255, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, sono tutti manifestamente infondati, in quanto tendono, attraverso la prospettazione di violazioni di disposizioni di legge penale e di vizi della motivazione, a conseguire una indebita rilettura e riconsiderazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di pervenire a una diversa qualificazione della condotta, che, invece, è stata correttamente valutata e qualificata dai giudici di merito, sulla base di una lettura non manifestamente illogica delle risultanze istruttorie, non suscettibile di rivisitazione nel giudizio di legittimità.
La Corte d’appello, nel disattendere gli analoghi rilievi proposti dall’imputato con l’atto di gravame, ha ribadito la configurabilità di una discarica abusiva sottolineando la trasformazione dei luoghi realizzata dal ricorrente attraverso plurimi conferimenti di rifiuti di vario genere (lastre in eternit, una canna fumaria pure in eternit, frammenti del medesimo materiale, tubature in ferro, sanitari dismessi, lavabi, materiale plastico e ferroso, una batteria esausta per automobili, pneumatici usati, frigoriferi e congelatori dismessi, materiale di risulta di cantieri edili e tegole), sparsi dappertutto e alla rinfusa nel fondo di proprietà dell’imputato per una estensione di circa 500 mq., non solamente in corrispondenza dei fabbricati rurali ivi insistenti, alcuni poggiati sul suolo e altri a lato o sopra i manufatti, in completo stato di abbandono, parzialmente ricoperti di erbacce o di ruggine.
Si tratta di considerazioni che costituiscono corretta applicazione dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità per poter ritenere configurabile una discarica abusiva, che il ricorrente ha censurato esclusivamente sul piano della valutazione delle risultanze istruttorie, contestando l’occupazione di tutta l’area e la sua trasformazione per effetto e in conseguenza dei plurimi conferimenti di rifiuti nella stessa effettuati dal ricorrente, in tal modo proponendo una non consentita rivisitazione di dette risultanze.
La valutazione dei giudici di merito risulta, infatti, pienamente coerente con la definizione normativa di discarica e con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata” (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918; nonché Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Cotto, Rv. 269914, nella quale è stato chiarito che ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata; e, in precedenza, Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996, e Sez. 3, n. 27296 del 12/05/2004, Micheletti, Rv. 229062).
Nel caso in esame è stata, quindi, correttamente affermata la configurabilità di una discarica abusiva, per la presenza di plurimi elementi sintomatici, come l’accumulo (più o meno sistematico), ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata e per un’ampia estensione della stessa; l’eterogeneità dell'ammasso dei beni accantonati; la condizione di degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali (promiscui, pericolosi e non pericolosi, con tracce di ruggine e con erbacce, non rimossi e accumulati indistintamente, con evidente dismissione senza possibilità di riutilizzo).
La valutazione, concorde, dei giudici di merito circa la concludenza e l’univocità di detti elementi, ai fini della configurabilità di una discarica abusiva, che è stata ritenuta desumibile sulla base di quanto emergente dalle deposizioni degli operanti, dai rilievi fotografici e dal verbale di sequestro, costituisce giudizio di fatto non sindacabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità, come invece inammissibilmente proposto dal ricorrente (che ha anche richiesto una non consentita rivalutazione di quanto emergente dalle fotografie dello stato dei luoghi allegate al ricorso), e le conclusioni che ne sono state tratte, sul piano della qualificazione della condotta, risultano corrette in diritto, cosicché le censure del ricorrente, che ha sostenuto la riconducibilità della propria condotta all’ipotesi del deposito incontrollato di rifiuti, risultano, sotto questo profilo, manifestamente infondate.
In tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell'area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati (Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 276009, nonché Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384, che ha chiarito la configurabilità di una discarica abusiva nell'ipotesi di abbandono di rifiuti reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi).
Nel caso in esame la Corte di appello ha correttamente escluso la ricorrenza del deposito incontrollato evidenziando le caratteristiche, l’eterogeneità, l’apprezzabile quantitativo dei rifiuti in rapporto alla estensione dell'area, la ripetizione nel tempo delle condotte di abbandono, la trasformazione e il degrado dell’area (desunta dalla corrosione dalla ruggine e dalla presenza di sterpaglie).
Deve, dunque, concludersi per l’inammissibilità delle censure formulate dal ricorrente con il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso, sia a causa del loro contenuto non consentito, per essere volte a conseguire una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non essendosi in presenza di travisamenti delle prove (ossia di prove che non esistono o di risultati di prova incontestabilmente diversi da quello reale), sia a cagione della loro manifesta infondatezza, quanto alla qualificazione giuridica della condotta.

3. Il quarto motivo, relativo alla errata qualificazione come rifiuto delle lastre di amianto utilizzate come copertura dei fabbricati rurali presenti nel fondo di proprietà del ricorrente, è manifestamente infondato, essendo volto, anch’esso, a censurare un accertamento di fatto che è stato logicamente motivato dalla Corte d’appello, sottolineando l’improprio riutilizzo da parte del ricorrente di lastre di amianto (chiaramente abbandonate e di cui dunque l’originario detentore si era disfatto, con la conseguente qualificabilità delle stesse come rifiuti ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006), come copertura di detti fabbricati rurali, in assenza di qualsiasi operazione finalizzata al recupero di dette lastre, la cui pericolosità, per la idoneità alla dispersione di fibre di amianto, si ricava, senza necessità di indagini tecniche o di accertamenti specifici da parte della ASL o dell’ARPA, dalle modalità del loro improprio riutilizzo da parte del ricorrente e dalle loro condizioni di conservazione.
Va, infatti, ricordato che la classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, potendo legittimamente fondarsi anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri (Sez. 3, n. 33102 del 07/06/2022, Bartucci, Rv. 283417; conf.: Sez. 3, n. 7705 del 28/06/1991, De Vita Rv. 187805), e che l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi dell'art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se, come nel caso in esame, sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (cfr. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schpis, Rv. 276009, citata, e Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012, Fiorenza, Rv. 252445).

4. L’ottavo motivo, relativo al diniego della sospensione condizionale della pena, è manifestamente infondato, in quanto la riconoscibilità di tale beneficio è stata esclusa sulla base della negativa prognosi di non recidivanza formulata sul conto del ricorrente, fondata, in modo logico e non censurabile sul piano delle valutazioni di merito, sulla reiterazione delle condotte (chiaramente ripetute nel corso del tempo, come si ricava dalla pluralità di rifiuti presenti nel fondo del ricorrente e dalle condizioni dello stesso) e sulla mancata bonifica del terreno, benché imposta con ordinanza sindacale del 26 settembre 2017, con la conseguente irrilevanza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della possibilità di ottenere per una seconda volta tale beneficio, anche in considerazione della estinzione del reato di cui alla precedente condanna (che peraltro non è stato neppure indicato).

5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza e il contenuto non consentito di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado ed eccepita dal ricorrente, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonché Sez.  U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 19/1/2023