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LA DIFFICILE APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA PENALE DELLA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI, EX ART. 17, D. LGS. N. 22/97: IRRETROATTIVITÀ DEL FATTO O DI DIRITTO ?
Avv. Fabio Anile (relazione tenuta al Corso "La gestione dei rifiuti" presso il Centro Studi di diritto ambientale dei CEAG - Legambiente in Rispecia (GR), maggio 2003
L’A. analizza le diverse opzioni interpretative elaborate dalla dottrina sulla fattispecie penale di cui all’art. 51bis del d. lgs. n. 22/97, relativa alla bonifica dei siti contaminati, evidenziando i problemi di coordinamento con la disciplina sostanziale di cui all’art. 17, derivanti da una poco chiara formulazione della norma.
Particolare interesse merita l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nell’unica sentenza rinvenibile in materia (c.d “Pizzuti”), la quale pone delicati interrogativi in ordine all’applicazione retroattiva della disciplina di cui all’art. 17.
L’A. si sofferma, quindi, sull’analisi critica della cit. sentenza, i cui principi sono stati recepiti anche dai Tribunali Amministrativi Regionali, chiamati a decidere in ordine all’applicabilità della disciplina della bonifica dei siti contaminati, anche rispetto a fatti di inquinamento cagionati anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 17.

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LA DIFFICILE APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA PENALE DELLA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI, EX ART. 17, D. LGS. N. 22/97: IRRETROATTIVITÀ DEL FATTO O DI DIRITTO ?

Avv. Fabio Anile

Associato dello Studio Legale

Prof. Avv. Franco Giampietro e Associati

 

 

 

1.      Premessa

 

Nella ormai nota sentenza “Pizzuti”[1], il regime penalistico della disciplina della bonifica dei siti contaminati, di cui all’art. 17, d. lgs. n. 22/97 (c.d. decreto Ronchi), viene affrontato per la prima volta dalla Suprema Corte[2], con una decisione che assume una netta posizione nel non ancora sopito dibattito dottrinale sulla qualificazione giuridica del reato contravvenzionale previsto dall’art. 51bis d. lgs. n. 22/97.

Ed, infatti, nonostante la disposizione de qua abbia già subìto diversi interventi correttivi e modificativi[3], prima di giungere alla sua attuale configurazione[4], sembra, tuttavia, non aver raggiunto quel sufficiente grado di certezza che è imposto dalla vigenza nel nostro ordinamento del principio di legalità.

La circostanza che detta fattispecie contempli due distinte condotte, l’una consistente nel cagionare il superamento od il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità, l’altra nel non provvedere alla bonifica, ha indotto la dottrina[5] a formulare interpretazioni di segno diverso, in ordine alla qualifica giuridica del reato  in esame.

Appare evidente che le diverse ed, a volte, contrastanti opinioni emerse sulla condotta di reato e, quindi, sul momento consumativo, nonché sull’interesse protetto dalla norma, altro non rappresentano se non il più evidente indice del grado di incertezza che inficia la disposizione di cui all’art. 51bis.

Di fronte a questo scenario, a cui il Legislatore sembra aver assistito come mero spettatore ed in cui non si è ancora registrata alcuna presa di posizione interpretativa da parte della giurisprudenza di merito, la Cassazione, ha colto l’occasione offertale da un ricorso proposto avverso un’ordinanza di rigetto del Tribunale del Riesame, (che aveva confermato il sequestro preventivo del GIP), per fare una scelta di campo, a nostro avviso, non del tutto conforme al dettato legislativo.

 

 

2.      Le tesi elaborate dalla dottrina

 

Dopo aver ripercorso l’iter normativo che ha portato all’attuale formulazione dell’art. 51bis, il Giudice di legittimità entra nel vivo della nuova disciplina, passando in rassegna gli orientamenti dottrinali emersi sull’art. 51bis, che possono essere così riassunti:

secondo una parte della dottrina[6], la condotta antigiuridica sanzionata dall’art. 51bis, andrebbe individuata nell’atto del cagionare il superamento dei limiti di accettabilità o nell’aver cagionato il pericolo concreto ed attuale di superamento degli stessi, con la conseguenza di configurare il reato in questione, come reato con evento di danno.

Secondo quest’impostazione – che, senza dubbio, ha il pregio di restringere l’area del penalmente rilevante ai soli casi di inquinamento cagionato con dolo o colpa, secondo il noto principio fissato dall’art. 27 Cost. e 42 C.p., escludendo, pertanto, qualsiasi rilievo ai fatti di inquinamento accidentale, cui pure l’art. 17 ricollega l’obbligo di risanamento – la “clausola” del provvedere  alla bonifica si configurerebbe come causa di non punibilità, o secondo altri come causa obiettiva di punibilità[7], ai sensi dell’art. 44 C.p.

In una posizione, che potremmo definire, “intermedia”, si colloca quell’orientamento secondo cui il reato previsto dall’art. 51bis andrebbe qualificato come reato a condotta mista[8], in cui, tanto  l’atto del cagionare, quanto quello del non provvedere alla bonifica, assumono disvalore penale. In altre parole, questa dottrina ritiene che con l’art. 51bis si sia inteso sanzionare tanto la compromissione od il pericolo concreto e attuale di compromissione delle matrici ambientali, descritte dall’art. 17, comma 2, lett. a), quanto l’omessa restitutio in integrum degli stessi beni ambientali oggetto di inquinamento.

Infine, si è sostenuto[9], che il reato previsto dall’art. 51bis, sarebbe integrato dalla omissione dell’obbligo di bonifica, mentre l’evento di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento verrebbe a costituire solo un antecedente logico-giuridico, oltre che di fatto, della condotta penalmente sanzionata, consistente nell’omissione dell’obbligo di bonifica, di cui all’art. 17, comma 2, d. lgs. n. 22/97. In altre parole, secondo questa impostazione, l’evento consistente nel superamento o nel pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità non può ritenersi sufficiente ad integrare la condotta di reato, ma ne costituisce solo un prius, un presupposto (che dev’essere conosciuto dall’agente), ossia una situazione di fatto, richiesta dalla legge, perché nasca l’obbligo giuridico di agire, la cui violazione è sanzionata dall’art. 51bis[10]. In tale ipotesi, il reato in esame potrà dirsi consumato solo in quanto il soggetto obbligato abbia omesso, dolosamente o colposamente, di adempiere agli obblighi procedimentali indicati dall’art. 17, comma 2, cit.

 

 

3.      L’indirizzo condiviso dalla Corte: l’art. 51bis come reato di pericolo presunto

 

Dopo aver illustrato  le posizioni assunte dalla dottrina sul reato in esame, il Supremo Collegio dichiara di aderire all’ultima delle tesi sopra esposte, affermando apertis verbis che la ricostruzione condivisa «…appare più coerente con il sistema complessivo delineato dall’art. 17, con i principi comunitari e nazionali in tema di danno ambientale…., con la pregressa disposizione contemplata dall’art. 50, 2° comma, …e con analoga disposizione (art. 58, 4° comma, d. lgs. n. 152/99…dovendosi escludere dalla condotta, cioè dall’elemento oggettivo del reato, l’attività che ha cagionato l’inquinamento, che potrà anche essere accidentale senza violare l’art. 27 Cost., in quanto la stessa integra soltanto il fatto originante gli obblighi di bonifica e non il precetto citato ».

A sostegno della cennata ricostruzione interpretativa, che vede nell’art. 51bis una fattispecie (omissiva) di pericolo presunto, il Collegio si richiama, inoltre, alla previsione dell’obbligo di porre in essere gli interventi ripristinatori già al momento del verificarsi del semplice pericolo concreto ed attuale (v. art. 17, comma 2, D. lgs. n. 22/97 e art. 2, lett. c) D.M. 471 cit.), nonché l’art. 2, lett. b) del D.M. 471/99, ove si prevede il superamento “anche di uno solo dei valori di concentrazione”, nonché nell’art. 9 del cit. D.M., che espressamente disciplina l’inquinamento pregresso.

Ed, infatti, come già osservato [11], ove si accogliesse quella ricostruzione del 51-bis che ravvisa, nel cagionare l’inquinamento, la condotta di reato e nella clausola del provvedere alla bonifica, una condizione, si finirebbe per limitare l’operatività della norma ai soli casi di inquinamento cagionato con dolo o colpa.

Appare, pertanto, evidente che una simile conclusione determinerebbe un’evidente frattura con la disciplina sostanziale prevista dall’art. 17, che, espressamente, impone al responsabile l’obbligo della bonifica, anche quando il superamento o il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di contaminazione si sia verificato in maniera accidentale.

Al contrario, ove si ritenesse di aderire alla teoria del reato con evento di danno, si giungerebbe ad escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 51bis quei soggetti, i quali, pur avendo cagionato l’inquinamento in maniera del tutto accidentale, volontariamente e coscientemente omettono di adoperarsi per il raggiungimento del fine ultimo della disciplina in esame, consistente nel risanamento del sito inquinato.

Secondo quest’ultima ricostruzione, che vede incentrare il disvalore penale della norma sull’omissione dell’obbligo di bonifica, piuttosto che sull’evento di inquinamento, ne consegue, infatti, che, poiché, al contrario degli elementi essenziali, i presupposti del reato, sono anch’essi oggetto della colpevolezza, ma solo in quanto siano noti all’agente[12], ciò che rileva, è che essi debbono effettivamente sussistere nel momento in cui la condotta è avvenuta[13], preesistere od essere concomitanti alla condotta[14]; inoltre, attenendo l’elemento soggettivo (del dolo o, quantomeno, della colpa, trattandosi di fattispecie contravvenzionale) alla sola omissione dell’obbligo di bonifica, a nulla rileverà – ai fini dell’accertamento del giudice - che l’evento di inquinamento sia stato cagionato con dolo, colpa o in maniera accidentale, ponendo, così, “in sintonia” la norma penale con la relativa disciplina sostanziale, ex art. 17, comma 2.

 

 

3.1.  L’art. 51bis, tra irretroattività del fatto di inquinamento ed irretroattività di diritto

 

Dalla considerazione che il superamento od il pericolo concreto ed attuale di inquinamento, ex art. 17, comma 2, costituiscono solo i presupposti di fatto da cui nasce l’obbligo giuridico di agire (id est: la scansione procedimentalizzata di adempimenti descritti alle lett. a), b) e c) dell’art. 17, comma 2), la Corte ne trae un ulteriore, delicatissima, conseguenza.

Basandosi sull’assunto che i presupposti del reato – al contrario degli elementi essenziali – assumono rilevanza, ai fini della colpevolezza, solo in quanto siano noti all’agente, il Supremo Collegio ritiene che l’art. 51bis cit., potrà applicarsi “anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all’emanazione del regolamento attuativo”, costituito dal D.M. n. 471/99[15], “non solo nell’ipotesi in cui il soggetto responsabile venga diffidato dal comune, ai sensi dell’art. 17 (comma 3)”.

Il tema, la cui portata presenta un’indubbia rilevanza (ove si considerino i costi economici e “sociali”, derivanti da taluni interventi di bonifica)[16], è stato anch’esso oggetto di dispute dottrinali, che, a valle della pronuncia in commento, sembrano destinate ad acuirsi maggiormente.

In effetti, né nell’art. 17, né tra le altre norme del d. lgs. n. 22/97 e succ. mod. ed int. è dato rinvenire una norma transitoria, volta a regolamentare l’inquinamento pregresso.

Invero, non possono sottacersi alcune disposizioni, che sembrano mirare all’obiettivo della restitutio in integrum del bene ambientale contaminato, sempre e comunque, a prescindere dal momento del verificarsi del fatto di inquinamento.

In questo senso sembra deporre la previsione dell’istituto dell’onere reale, di cui all’art. 17, comma 10, che grava sui proprietari dei siti inquinati, anche se non responsabili; ma si veda anche la speciale disciplina degli “interventi ad iniziativa degli interessati” (…), di cui al comma 13bis, d. lgs. n. 22/97 ed all’art. 9 del D.M. 471/99, che, al comma 6, esclude dal suo campo di applicazione “le situazioni di inquinamento…determinate da eventi anche accidentali, verificatisi in data successiva all’entrata in vigore del presente regolamento”.

Detta disposizione, proprio per il suo inatteso contenuto transitorio, aumenta il coefficiente di incertezza della disciplina applicabile ai fatti di inquinamento pregresso, ove si consideri che essa viene introdotta, ex post, da un atto regolamentare, che non trova alcun richiamo, in parte qua, nell’ambito della disciplina generale di cui all’art. 17.

Per tale ragione, il richiamo operato dalla Corte alla cit. disposizione, ci sembra non condivisibile, in quanto azzera il principio generale di irretroattività, della legge, attraverso il ricorso ad una norma regolamentare, che non trova alcun fondamento nella fonte legislativa sovraordinata.

Quanto al richiamo del Supremo Collegio alla disciplina contenuta nell’art. 58, commi 1 e 4 del d. lgs. n. 152/99, occorre precisare che essa contempla una disciplina simile, ma non del tutto identica a quella contemplata dall’art. 51bis, d. lgs. n. 22/97[17].

Diversi sono, infatti, i presupposti dell’obbligo di bonifica, identificati dall’art. 58, d. lgs. n 152, cit., nel danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, o nel pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale quali conseguenze di una condotta posta in essere in violazione delle norme del cit., decreto, difformemente da quanto previsto dal decreto sui rifiuti, che richiede il dato “formale” del superamento dei limiti di accettabilità, quale conseguenza di una condotta posta in essere anche accidentalmente.

Certo, non si può nascondere che inequivocabilmente, il Legislatore – con norma successiva a quella del decreto sui rifiuti - ha configurato la fattispecie penale prevista dal d. lgs. n. 152/99, come reato omissivo dell’obbligo di bonifica; ma v’è pure da dire che la diversa formulazione delle disposizioni in commento produce ulteriori problemi interpretativi.

V’è, infatti, da chiedersi come considerare la diversa oggettività (fattuale e giuridica) dei limiti di accettabilità di cui al d. lgs. n. 22/97 rispetto all’evento “di danno”, imputabile, questa volta, a titolo di responsabilità colpevole, esplicitamente richiesto dall’art. 58, 1° comma, e con quali conseguenze sul contenuto sostanziale dell’offesa sottostante alle due norme incriminatrici ?

Ma tornando al punctum dolens della pronuncia in esame, v’è da dire che, seppure, da un lato, appare evidente che l’intento del Legislatore è quello di stimolare i proprietari e/o i gestori dei siti inquinati a provvedere alla decontaminazione dei siti; dall’altro, tale conclusione trova un limite invalicabile nel principio di irretroattività assoluta, espresso dall’art. 11 delle disp. prel. al c.c., secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Conseguentemente, occorre ritenere che, ferma restando la successione di leggi penali tra le fattispecie contemplate dal previgente d.P.R. n. 915/82 e quelle previste dal d. lgs. n. 22/97 (ad es: i reati di abbandono di rifiuti o di discarica non autorizzata), le quali potranno essere prodromiche rispetto al verificarsi dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento di cui all’art. 17, nessuna continuità è dato di riscontrare quanto alla speciale disciplina sulla bonifica, introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento, con gli artt. 17 e 51bis, d. lgs. n. 22/97.

 

 

3.2.  La tesi ritenuta dalla Corte di Cassazione e ribadita dai Tribunali Amministrativi Regionali: retroattività del fatto

 

L’analisi della questione giuridica concernente l’irretroattività o meno della disciplina della bonifica dei siti contaminati deve, quindi, tener conto, da una parte, dell’assenza di esplicite indicazioni legislative e, dall’altra, della regola generale, posta dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile.

Tanto premesso, si osserva, innanzitutto, che la disciplina di cui all’art. 17, comma 2, fonda le previste responsabilità civili e penali sul disposto “chiunque cagiona” il superamento od il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità.

Ed, infatti, non può negarsi che il presupposto del reato, proprio in quanto riconnesso legislativamente alla condotta dello stesso soggetto (id est: il responsabile) tenuto all’adempimento degli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell’inquinamento, non può non assumere una precisa rilevanza sotto il profilo temporale.

In altre parole, ove si riconnettesse la responsabilità penale, ex art. 51bis, anche ai fatti di inquinamento cagionati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, si finirebbe per attrarre i fatti di inquinamento pregresso nell’alveo della fattispecie in esame, con la conseguenza di addossare ai soggetti responsabili di situazioni di inquinamento, in altri tempi ritenute lecite, gli obblighi di decontaminazione, sorti con l’entrata in vigore della disciplina de qua.

In altre parole, l’interpretazione fornita dalla Corte, condurrebbe a ritenere – come evidenziato da attenta dottrina  - che “seppure la ricostruzione del reato in forma omissiva superi, sul piano formale, il divieto costituzionale di retroattività della norma incriminatrice, sul piano sostanziale non può non rilevarsi come l’inquinamento stesso partecipi inevitabilmente del disvalore che la norma intende colpire”[18].

Invero, occorre segnalare una recente pronuncia del T.A.R. Lombardia[19] (ma, nello stesso senso, v. anche TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 27 luglio 2001, n. 488, nonché TAR Veneto, sentenza 14 febbraio 2002, n. 1052), che si innesta nello stesso “solco”, percorso dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento.

In questa decisione, il Tribunale amministrativo, investito di una questione concernente l’applicabilità della disciplina sulla bonifica dei siti contaminati, ha respinto le censure mosse dal ricorrente circa l’errata applicazione della normativa de qua, perché successiva ai fenomeni di contaminazione rilevati, sostenendo sic et simpliciter che «la nuova normativa, a parere del Collegio, è diretta a risanare qualunque sito inquinato, purché sia tale al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo; infatti la situazione di inquinamento va considerata come fenomeno permanente fintantoché non venga riportata nei limiti di accettabilità. In questo senso non può definirsi retroattiva la normativa, ma piuttosto vanno giudicati perduranti ed in atto i livelli di inquinamento, che necessitano dell’adozione delle misure ivi stabilite».

Certo, non può negarsi che le gravi forme di inquinamento realizzate in passato possano costituire, ancor oggi, situazioni di contaminazione “in atto”. Tuttavia, non v’è chi non veda che ritenere che dette forme di inquinamento[20] siano state “cagionate” sotto la vigenza del nuovo regime sulla bonifica, costituisca una forzatura giuridica del dato normativo, oltre che  fattuale, che espone (gl)i (ignari) destinatari della norma  a conseguenze imprevedibili, aprendo così un vulnus al principio di legalità[21].

Ed, infatti, ci sembra fuor di dubbio che solo nel momento in cui sono entrati in vigore i limiti di accettabilità, fissati dal D.M. n. 471/99, ha assunto rilevanza giuridica la condotta del cagionare l’inquinamento od il pericolo concreto ed attuale di inquinamento, su cui si fonda l’obbligo di bonifica previsto dall’art. 17, d. lgs. n. 22/97.

Al contrario, tanto il Giudice penale, quanto quello amministrativo, travisandone il senso logico e letterale, mostrano di considerare l’atto del cagionare come equivalente alla situazione di permanenza della contaminazione.

In tale evenienza, è, infatti, evidente che l’offesa al bene tutelato viene a “spostarsi” dall’omissione dell’obbligo di bonifica alla causazione del fatto di inquinamento[22].

A nostro avviso, la circostanza che ai fini della sussistenza del reato, i presupposti devono sussistere, preesistere od essere concomitanti alla condotta, oltre che conosciuti o conoscibili da parte dell’agente, e che, nella specie, il legislatore abbia configurato un fatto-presupposto “atipico”[23], che dipende dalla condotta dello stesso soggetto, tenuto poi all’adempimento dell’obbligo di decontaminazione del sito, non può condurre a ritenere irrilevante il momento causativo del fatto di inquinamento, da cui origina l’obbligo di bonifica, il cui inadempimento è penalmente sanzionato dal cit. art. 51-bis.

Pertanto, se non si vuol violare il precetto di cui all’art. 11 disp. prel. c.c., e conseguentemente stravolgere la portata dell’art. 51bis, occorre ritenere che il nuovo regime sulla bonifica dei siti contaminati sia operante esclusivamente con riferimento ai fatti di inquinamento “cagionati” dopo l’entrata in vigore del nuovo regime ed, in specie, dopo il 16 dicembre 1999, data in cui – com’è noto – sono entrati in vigore i limiti di accettabilità previsti dal comma 2 dell’art. 17.

 

4.      Conclusioni

 

Come si è già avuto modo di evidenziare[24], dopo ed accanto alle vigenti fattispecie, di tipo preventivo-cautelare[25] ed a quelle di danno[26] con la nuova normativa sulla bonifica dei siti contaminati, il contesto normativo esistente si arricchisce di un ulteriore livello di tutela penale, che si colloca “a valle” del fatto di inquinamento, con lo scopo di presidiare in via autonoma la restitutio in integrum del bene ambientale.

In quest’ottica le fattispecie previste dai richiamati artt. 51bis e 58, comma 4 si presentano come reati volti sì alla tutela dell’ambiente, ma solo in via mediata e che punendo non l’azione di chi inquina, ma, successivamente a tale evento, la mancata riparazione del danno o del pericolo di danno, mostrano ancora una volta la specialità del modo in cui si atteggia il diritto penale ambientale rispetto ai tradizionali istituti repressivi.

A fronte dei nobili intenti perseguiti dal Legislatore attraverso la predisposizione di una normativa così stringente, non può, tuttavia, sottacersi l’imbarazzo che suscitano nell’interprete, l’utilizzo indiscriminato di termini diversi, la confusa redazione delle norme sanzionatorie che, da un lato, mostrano di perseguire il medesimo fine e dall’altro, presentano elementi specializzanti e, da ultimo, (ma non per ultimo) il complesso intreccio civile-amministrativo-penale, che caratterizza la disciplina della bonifica dei siti contaminati.

Le decisioni commentate mostrano, infatti, a quali imprevedibili conseguenze possa condurre l’applicazione di una disciplina, come quella in esame, carente di un apposito regime transitorio, con il rischio di legittimare il giudice a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla legge…

Per quanto si è esposto sin qui, riteniamo necessario un tempestivo intervento (…risolutivo) del Legislatore, volto a fare chiarezza sui molti nodi emersi in sede di prima applicazione della disciplina in esame, ed, in particolare, sulla “sorte” dei siti gravati dall’inquinamento pregresso, che, al momento, – come si è visto – possono determinare conseguenze, sul piano sanzionatorio e su quello del diritto proprietario, tanto inattese, quanto inique.

 

 



[1] Per i primi commenti, si rinvia ai contributi di F. Giampietro e F. Anile, apparsi, rispettivamente, a pag. 94 e 241 del volume La bonifica dei siti contaminati, i nodi interpretativi giuridici e tecnici, Giuffrè, 2001, a cura di Franco Giampietro, nonché al contributo di L. Prati, in Riv. Giur. Ambiente, n. 1/2001

[2] Fatta eccezione per la discutibile sentenza del 13.01.99, n. 9157, Palascino, Cass. Sez. III , in Ambiente n.5/99, pag. 463, con nota di F. Anile. In questa pronuncia, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistere una continuità tra la fattispecie di cui all’art. 32, d.P.R. n.915/82, concernente il divieto di aumento di inquinamento, e la nuova disciplina sulla bonifica dei siti inquinati. In punto di diritto, abbiamo rilevato come detta “continuità” non era in alcun modo configurabile, attesa la diversa oggettività giuridica delle due fattispecie.

[3] Si tratta del d. lgs. n. 389/97, che ha dato luogo all’attuale configurazione della fattispecie in esame. La prima “versione” di detta norma era contemplata nell’art. 50, comma 2, d. lgs. n. 22/97, il quale configurava il reato in questione come inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 17. Altre modifiche ed integrazioni sono state apportate dalla L. 426/98 e dalla L. 23.12.2000, n. 388 (c.d. legge finanziaria per il 2001) che ha introdotto una speciale causa di non punibilità, in favore di chi pone in essere gli interventi di cui all’art. 17, d. lgs. n. 22/97, per chi ha commesso “reati connessi all’inquinamento, di cui all’art. 17”. Da ultimo, sono state introdotte ulteriori integrazioni alla normativa de qua dalla L. 23 marzo 2001, n. 93.

[4] Art. 51bis: Chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’art. 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da si mesi a un anno e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da lire dieci milioni a lire cento milioni se l’inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di cui al presente comma o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale.

[5] Per una compiuta disamina delle posizione assunta dalla dottrina sulla qualificazione giuridica del reato in esame, v. S. Beltrame in Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, CEDAM, 2000, pag. 386 e ss.

[6] V. F, Giampietro, il d. lgs. Ronchi-bis  modifica dopo otto mesi quello n. 22/97: è alle viste il Ronchi-ter ?, in Cass. Pen. 1998, pp. 1546-1553, nonché P. Severino di benedetto, I profili penali connessi alla bonifica dei siti contaminati, in Ambiente – Consulenza e pratica per l’impresa, IPSOA, n. 5/2000.

[7] Per questa tesi, v. E. Aliotta, Art. 51bis “bonifica dei siti”: tutto da rifare !, in Ambiente – Consulenza e pratica per l’impresa, IPSOA n. 1/1998, pag. 75 e ss.

[8] Per questa tesi, v. P. PAgliara, Bonifica dei siti inquinati: dibattito ancora aperto II, in Ambiente – Consulenza e pratica per l’impresa, IPSOA, n. 9/1998, pag. 743

[9] Per questa tesi, v. F. Anile, Bonifica dei siti contaminati: obblighi di ripristino e tutela penale, in Ambiente – Consulenza e pratica per l’impresa, IPSOA, n. 2/99m pagg. 119 e ss. Nello stesso senso, vedi anche L. Bisori, Gli istituti ripristinatori nel diritto penale dell’ambiente, in Ambiente e Diritto, Fondazione Carlo Marchi – Quaderni 3, Leo Olschki, 1999, secondo cui l’antigiuridicità “dovrà coprire solo il fatto omissivo, di tal ché sarà sempre necessario individuare una rimproverabilità per l’inottemperanza, con ovvia rilevanza del fortuito (impossibilità dell’adempimento…) e del putativo scusabile (ad es. erronea convinzione di aver bene adempiuto”)

[10] La ricostruzione sin qui operata, del resto non è nuova al nostro ordinamento che conosce norme come l’art. 641 C.p. (Insolvenza fraudolenta), che contempla – come nel caso in esame – una prima condotta consistente nel contrarre un’obbligazione con il proposito di non adempierla, una seconda condotta, che è quella consumativa del reato, consistente nel non adempiere l’obbligazione, e l’ulteriore previsione di una esplicita causa di non punibilità al 2° comma, nel caso in cui l’obbligazione sia adempiuta prima della sentenza di condanna.

[11] V. F. Anile, Obblighi di ripristino e tutela penale, in Ambiente, op. cit.

[12] Così F. Mantovani op cit. pag. 169-170.

[13] Così T. Padovani, diritto Penale parte generale, pag. 147

[14] Così Fiandaca-Musco pag. 189-190

[15] Entrato in v. vigore il 16 dicembre 1999, il D.M. n. 471/99 è stato pubblicato in G.U., del 15.12.1999, n. 293.

[16] Il riferimento, in specie, è ai c.d. “siti di interesse nazionale”, individuati con L. 426/98.

[17] Per approfondimenti, si rinvia al nostro contributo pubblicato nel volume La bonifica dei siti contaminati, i nodi interpretativi giuridici e tecnici, a cura di Franco Giampietro, giuffrè, 2001, pag. 241 e ss.

[18] L. Prati, Bonifica dei siti contaminati in base al decreto Ronchi: l’art. 51-bis del d. lgs. 22/97 al vaglio della Cassazione, in Rivista Giuridica dell’Ambiente n. 1/2001, pagg. 80 e 81

[19] TAR Lombrdia-Milano, sez. I, 13 febbraio 2001, n. 987. La sentenza è consultabile sul sito www.Giust.it. Per un primo commento, si rinvia a Franco Giampietro, La disciplina sulla bonifica dei siti inquinati è applicabile retroattivamente ?, in Ambiente, n. 5/2001.

[20] Si ricordi che il D.M. 471/99, all’art. 2, lett. b) definisce “inquinato” il sito nel quale anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque sotterranee o superficiali risulta superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente regolamento.

[21] Occorre, peraltro, segnalare che detta impostazione sarebbe applicabile solo con riferimento all’inquinamento od al pericolo concreto ed attuale di inquinamento cagionato da rifiuti, mentre – come si è già anticipato – la formulazione dell’art. 58, commi 1 e 4, proprio perché fondata sul presupposto della “violazione delle norme del presente decreto” escluderebbe qualsiasi applicazione retroattiva della medesima disciplina, ove l’inquinamento sia cagionato per mezzo di scarichi idrici.

[22] Sotto questo profilo, mi permetto di riportare l’illustre pensiero di G. fiandaca, in “L’offensività è un principio codificabile ?”, Foro Italiano, V-1, 2001, il quale rileva che “l’esperienza legislativa degli ultimi anni…dimostra che il topos del bene giuridico si presta ad essere utilizzato, piuttosto che in funzione critico-delimitativa della punibilità, come criterio estensivo dell’area del penalmente rilevante: il bene giuridico come una sorta di <>
[23] E’ noto, infatti, che tradizionalmente il presupposto del reato attiene ad elementi estranei alla condotta dell’agente, come la situazione di pericolo, nell’omissione di soccorso, od il precedente stato di gravidanza nei delitti di aborto.

[24] Ci sia consentito rinviare il lettore a f. Anile¸ Obblighi di ripristino e tutela penale, op. cit. e La disciplina della bonifica dei siti inquinati: aspetti penalistici, nel volume La bonifica dei siti inquinati, i nodi interpretativi…, op. cit., pag.264 e ss.

[25] Tali sono la maggior parte delle fattispecie criminose vigenti nella materia ambientale. Si tratta di quelle figure di reato la cui offesa non è costituita dall’aggressione ad un bene finale, quanto al legittimo esercizio di attività presuntivamente considerate pericolose per l’ambiente.
[26] Si tratta di figure di reato costruite in chiave di offesa rispetto a beni finali. Si pensi, ad es. al reato previsto dall’art. 635 C.p. (danneggiamento).