I sottoprodotti all’esame della Corte costituzionale
di Luca RAMACCI
pubblicato su Giurisprudenza di Merito n. 4/2007
ABSTRACT

La nota prende in esame l’ordinanza 20 settembre 2006 con la quale il Tribunale di Venezia ha rimesso all’esame della Corte Costituzionale il contenuto dell'art. 183 lett. n) D.Lv. 152/2006 (c.d. Testo unico ambientale) nella parte in cui specificamente sottrae le ceneri di pirite alla disciplina dei rifiuti. La sentenza è consultabile qui

NOTA

Con l’ordinanza in rassegna il Tribunale di Venezia ha correttamente posto in dubbio la legittimità costituzionale dell’articolo 183 lettera n), quarto periodo del D.Lv. 152�6 nella parte in cui sottrae le ceneri di pirite dal novero dei rifiuti, qualificandole come sottoprodotti.

Si tratta, anche in questo caso, di una delle tante spregiudicate soluzioni adottate dal legislatore ambientale per aggirare la normativa comunitaria.

Degno figlio della nota “legge delega” 15 dicembre 2004, n. 308 avente ad oggetto «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione»[1], il Decreto Legislativo 152 del 2006 rappresenta una delle peggiori prove del legislatore ambientale nell’ultimo ventennio.

Manifestando l’intenzione di riorganizzare l’intera normativa ambientale, coordinando le norme nazionali tra di loro e con le direttive comunitarie delle quali si voleva anche completare il recepimento, si è in realtà proceduto alla sistematica demolizione della disciplina vigente con una attenzione particolare alla materia dei rifiuti la cui redazione, si è affermato, è avvenuta con …” la volontà di far uscire dal ciclo dei rifiuti una parte di lavorazioni e di farlo per lo più con intese dirette tra produttori e Ministero …[2]. Singolari pure le modalità di redazione ed approvazione del testo da parte della commissione dei cosiddetti 24 saggi, tanto da suscitare l’interesse anche della stampa quotidiana[3].

Non meno curiosa appare la vicenda dei decreti ministeriali di attuazione del “Testo unico ambientale” o “Nuovo codice dell’ambiente” come ormai viene comunemente (e impropriamente) denominato il D.Lv. n. 152.

Precipitosamente emanati immediatamente dopo la sua promulgazione e pubblicati in Gazzetta Ufficiale quasi allo scadere della legislatura, sono stati oggetto di un singolare “Avviso” del nuovo Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio. Detto avviso, pubblicato nella G.U. n. 146 del 26 giugno 2006, specifica che “i decreti ministeriali ed interministeriali di seguito elencati nell'unito allegato, non essendo stati a suo tempo inviati per essere sottoposti al preventivo e necessario controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 3, primo comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, non sono stati registrati dal predetto organo e, pertanto, non possono considerarsi giuridicamente produttivi di effetti”.

Sebbene essi siano generalmente ritenuti “sospesi” o ”inefficaci”, senza alcuna ulteriore specificazione, si è osservato in dottrina[4] che solo una pronuncia del giudice amministrativo potrebbe effettivamente determinare l’inefficacia dei decreti, ricordando come – anche sulla stampa quotidiana – si era affermato che la formula utilizzata altro non era se non il frutto di un compromesso tra il Ministero dell’Ambiente, che riteneva utilizzabile l’espressione “sono inefficaci” ed i tecnici della Gazzetta Ufficiale che ritenevano più corretta la formula poi adottata.

Non sembra però dello stesso avviso proprio il giudice amministrativo che, in un procedimento per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, di uno dei decreti attuativi, ha testualmente affermato che detto decreto “risulta sospeso, per quanto concerne la produzione degli effetti, da avviso del Ministro dell’ambiente, pubblicato sulla G.U. del 26.6.2006 n. 146” ed ha di conseguenza ritenuto ..”che allo stato dei fatti, non appare giustificato alcun adempimento di quanto disposto dallo stesso decreto” e la mancanza dei presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare proposta[5].

La questione sollevata dal giudice veneziano non è peraltro la prima che riguarda il D.lv. 152�6. Già in precedenza, dopo circa un mese dalla sua entrata in vigore, la legittimità costituzionale del “testone unico” era stata messa in dubbio dal giudice tributario[6] con riferimento all’articolo 186 in materia di terre e rocce da scavo, uno dei materiali sui quali il legislatore ambientale si è particolarmente esercitato nell’opera di erosione della categoria dei rifiuti ed al quale ha dedicato, nel nuovo decreto legislativo, uno specifico articolo mentre, vigente il “decreto Ronchi”, ne trattava nell’articolo 8 unitamente a numerose altre sostanze di volta in volta, secondo le esigenze del momento, inserite nell’elenco di materiali esclusi dall’ambito di applicabilità della disciplina sui rifiuti. Tale elenco, come era prevedibile, è stato ulteriormente ampliato nel testo oggi in vigore[7].

L’ultima vicenda degna di menzione della breve ma tormentata storia del D.Lv. 152�6 riguarda l’intento, manifestato dal Ministro dell’Ambiente succeduto a quello in carica al momento dell’entrata in vigore del “codice ambientale”, di apportare significative modifiche al testo originario.

Si è così pervenuti all’approvazione di un primo schema di decreto legislativo che segue l’intervento del legislatore effettuato con la Legge 12 luglio 2006, n. 228 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 maggio 2006, n. 173, recante proroga di termini per l'emanazione di atti di natura regolamentare. Ulteriori proroghe per l'esercizio di deleghe legislative e in materia di istruzione”)[8] attraverso la quale (art. 1-septies) si è posticipato al 31 gennaio 2007 l’entrata in vigore della parte seconda in materia di VIA VAS e IPPC.

Il provvedimento (D.Lv. 8 novembre 2006 “Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, recante norme in materia ambientale”) [9] veniva approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 30 agosto 2006 e conteneva le prime modifiche al “testo unico” concernenti l’introduzione di un regime transitorio conseguente alla soppressione delle Autorità di bacino di cui alla legge del 1989 n. 183 disposta dall’articolo 63, comma 3, D.Lv. 152�6, la soppressione dell’“Autorità di Vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti” e la proroga del termine fissato dall’articolo 224 comma 2, per l’adeguamento dello Statuto del Conai ai principi del “testo unico”.

Ad esso faceva ulteriore seguito uno “Schema di decreto legislativo concernente ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale” preceduto dalla creazione di un “Comitato di Studio per la revisione del D.Lv. 152-2006”[10] poi integrato con un gruppo di “esperti” individuati con successivo decreto ministeriale[11] ed approvato in via preliminare il 12 ottobre 2006 (il Governo dovrà ora acquisire il parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari in duplice lettura e si è dichiarato pronto a introdurre le modifiche che da quei pareri si rendessero necessari).

Le modifiche apportate sono state individuate come urgenti ed hanno la finalità di recepire i rilievi effettuati nei pareri resi dalle competenti Commissioni parlamentari e dalla Conferenza Unificata sul primo decreto correttivo ed adeguare diverse disposizioni al diritto comunitario, anche in considerazione delle numerose procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia. Ulteriori interventi correttivi, di più ampia portata, vengono invece rinviati ad un momento successivo.

Le prime correzioni, almeno per quanto si desume dal testo diffuso dopo l’approvazione in via preliminare, riguardano alcuni punti rilevanti della disciplina in materia di acque e rifiuti come, ad esempio, il ritorno alla nozione di “scarico” contemplata dalla disciplina previgente e una drastica limitazione dei materiali sottratti al novero dei rifiuti[12].

Anche se, nel testo preliminarmente licenziato dal Consiglio dei Ministri viene meno la nozione di sottoprodotto e la particolare menzione delle ceneri di pirite presente nella disposizione attualmente in vigore, la questione esaminata dal Tribunale veneziano non vede diminuita la sua rilevanza perché affronta un aspetto del D.Lv. 152�6 concernente materiali altamente pericolosi di cui si occupa una norma che è in vigore e produrrà comunque i suoi effetti fino a quando non sarà modificata (sempre che il testo licenziato in via preliminare non subisca ulteriori aggiustamenti).

L’ordinanza si segnala per l’attento esame della nuova normativa anche con richiami ad aspetti che non sono oggetto di verifica immediata da parte del giudice. Ci si riferisce, ad esempio, alle non indifferenti conseguenze determinate dalla diversa formulazione dell’articolo 257 D.Lv. 152�6 rispetto al previgente articolo 51bis del “decreto Ronchi” che il giudice ha colto e che peraltro ha, almeno in un caso, indotto altro giudice di merito a ritenere sussistente una continuità normativa tra le due disposizioni[13].

Altrettanto correttamente il giudice non rileva alcuna differenza tra la nozione di rifiuto riprodotta nel D.L.vo 152�6 nella stessa forma dell’articolo 1 Dir. 75442CEE come modificato dalla Direttiva 91/156/CEE e quella ora contenuta nella Direttiva 200612CE del 5 aprile 2006 nonostante il testo presenti, rispetto al precedente, una differente traduzione in italiano (“…si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi” in luogo di “si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi”).

Attenta appare anche l’analisi della nozione di sottoprodotto attraverso la lettura non solo del testo dell’articolo 183 lettera n) del “testo unico”, ma anche delle più importanti decisioni della giurisprudenza comunitaria che ne hanno enucleato il concetto ed alle quali, come evidenziato nella relazione illustrativa del D.Lv. 152�6, si è ispirato, seppure liberamente, il legislatore italiano.

Il giudice non manca poi di evidenziare tanto le decisioni frequentemente richiamate per evidenziare l’orientamento del legislatore comunitario[14] quanto quelle che, altrettanto frequentemente, vengono ricordate per sostenere la conformità alla disciplina comunitaria della normativa nazionale ponendo l’accento sul fatto che esse estendono la nozione di sottoprodotto anche a residui di produzione destinati alla commercializzazione o all’utilizzazione in un diverso processo produttivo,[15] secondo i due orientamenti ormai “storicamente” contrapposti nella individuazione della nozione di rifiuto e, di conseguenza, nella lettura delle disposizioni che il legislatore, nel corso degli anni, ha utilizzato quasi sempre per ampliare il numero delle materie da sottrarre all’applicazione della disciplina sui rifiuti.

Per tali ragioni si è giunti ad una diversa lettura delle medesime pronunce, spesso tralasciando di considerare che quelle ritenute favorevoli ad una più ampia nozione di sottoprodotto vanno considerate anche con riferimento alla specificità dell’oggetto ed ai riferimenti alle anteriori decisioni che inducono a sostenere l’ipotesi di una esplicita conferma del precedente orientamento, oltre alla circostanza, ricordata anche dal giudice veneziano, che tali ultime decisioni sono pronunciate ai sensi dell’articolo 226 del Trattato e non dell’articolo 234 (anche se poi l’ordinanza in esame sembra aderire alla dottrina meno rigorosa)[16]

Va poi rilevato che la nozione di “sottoprodotto” utilizzata dal legislatore nazionale nell’articolo 183 lettera n) pone alcune precise condizioni per l’esclusione di tale categoria di materiali dalla disciplina dei rifiuti delle quali viene fatta menzione nell’ordinanza in rassegna. Sembra possa dunque affermarsi, sul punto, che la dettagliata indicazione dei requisiti richiesti affinché una sostanza possa qualificarsi come sottoprodotto e l’ulteriore indicazione dei presupposti che la sottrae alle regole fissate per i rifiuti vada interpretata in modo estremamente rigoroso (e dunque in linea con la normativa e la giurisprudenza comunitarie) con la conseguenza che le caratteristiche specificate nell’articolo 183 debbono coesistere, cosicché il venir meno anche di una sola di esse riconduce i materiali in questione nella categoria dei rifiuti con tutte le inevitabili conseguenze.

A pochi mesi dall’entrata in vigore del “testo unico” la giurisprudenza di legittimità ha fornito una prima rigorosa individuazione dell’ambito di operatività della disciplina dettata per i sottoprodotti, escludendo che la stessa possa applicarsi a fanghi provenienti dall’attività di lavorazione di materiali lapidei allorquando manchi la certezza del requisito del riutilizzo del materiale, escludendo che la stessa possa desumersi dalle sole dichiarazioni dei dipendenti dell’azienda non suffragate da riscontri oggettivi (annotazioni sui registri, documentazione del trasporto presso il luogo di riutilizzo) ed, anzi, smentita da accertamenti del personale operante evidenzianti la permanenza per lungo tempo sul luogo del deposito in considerazione dell’altezza dei cumuli e del loro grado di essiccazione[17].

Tenendo dunque presente le caratteristiche del sottoprodotto individuate dal legislatore comunitario e nazionale, il provvedimento in esame ritiene di sottoporre al vaglio del giudice delle leggi l’inserimento delle ceneri di pirite in tale categoria.

La valutazione effettuata è sicuramente corretta come si percepisce immediatamente dalla semplice descrizione effettuata dall’estensore non solo del caso specifico di cui si occupa, ma anche dalle caratteristiche e dalla destinazione comunemente riferibile alle ceneri di pirite.

La disposizione infatti suscita, anche ad una lettura superficiale, non poche perplessità perché sottrae alla disciplina dei rifiuti residui dei quali il detentore si è indubbiamente disfatto, dato che si trovano in stabilimenti dismessi o in aree anche sottoposte a bonifica o ripristino ambientale.

Correttamente, dunque, l’estensore pone l’accento su evidenti incongruenze della disposizione, quali l’evidente contrasto con il concetto di “disfarsi” così come elaborato dalla disciplina comunitaria e supera agevolmente, con argomentazioni convincenti, le possibili obiezioni che potrebbero essere sollevate con riferimento al gestore dei depositi di ceneri di pirite in quanto semplice “detentore” e non produttore originario ed al loro stato di “abbandono” nel senso giuridicamente rilevante del termine.

Di un solo particolare l’estensore del provvedimento, forse per eccesso di benevolenza, non tiene conto e cioè che anche l’inserimento di questa singolare previsione altro non potrebbe essere se non un ulteriore utilizzo dell’ormai abusato sistema di porre rimedio, attraverso lo strumento normativo, a soluzioni interpretative non gradite o a vicende processuali le cui ripercussioni possono interessare interi comparti produttivi.

Di tali interventi è ormai piena la storia del diritto ambientale, basti ricordare la legge “salva sindaci” n. 172 del 1995, i ripetuti interventi sull’articolo 8 del D.Lv. 2297 in tema di rifiuti riguardo alla vicenda del “Pet-coke” ed al sequestro del petrolchimico di Gela, le “terre e rocce da scavo” ed il sequestro dei cantieri per l’alta velocità, l’art. 14 del D.L. 1382002 ed alcuni sequestri di rottami ferrosi. Il fenomeno sembra essersi ripetuto anche con il D.Lv. 152�6 come sembra dimostrare anche la presenza, nell’articolo 185, tra i materiali sottratti alla disciplina dei rifiuti, dei “rifiuti militari” la cui descrizione richiama alla mente una vicenda di cui si era qualche tempo prima occupata la Corte di cassazione[18].

E proprio richiamando quanto accaduto con il D.L. 1382002 appena citato, il giudice ritiene come unica strada praticabile per rimuovere il contrasto tra la norma interna e quella comunitaria il ricorso alla Corte costituzionale richiamando la nota ordinanza “Rubino”[19] cui faceva seguito la restituzione degli atti ai giudici emittenti ai fini di una nuova valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce dello ius superveniens[20].

Ora la Corte Costituzionale dovrà valutare questo ulteriore contrasto tra la normativa nazionale e quella comunitaria, a meno che non vengano prima promulgate le modifiche, già approvate in via preliminare dal Consiglio dei ministri ed alle quali si è fatto cenno in precedenza, che non prevedono più la menzione delle ceneri di pirite nell’articolo 183.

Resta da aggiungere, per concludere, che non sembra possano esservi dubbi sul fatto che, pur volendosi sostenere la rispondenza dell’articolo 183, lettera n), quarto periodo ai principi fissati dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria, anche tale singolare categoria di “sottoprodotti” debba comunque rispettare tutte le condizioni generali indicate dalla medesima norma per tali tipologie di residui con la conseguenza che, in difetto, le ceneri di pirite debbono essere trattate come rifiuti a tutti gli effetti.

Luca RAMACCI



[1] Per un commento v. RAMACCI “Solo una riscrittura equilibrata delle norme può assicurare un bilanciamento degli interessi” Guida al Diritto n.4 /2005 p.47; “Atti di programmazione: consultazione allargataibid. pag. 51

[2] Si tratta del giudizio sul D.Lv. 152�6 espresso dal Presidente della Conferenza delle Regioni

[3] Si veda, ad esempio, la lettera aperta del WWF-ITALIA del settembre 2005 diffusa anche in www.wwf.it

[4] BIANCO “La nuova disciplina delle procedure semplificate di recupero dei rifiuti non pericolosi (D.M. 5 aprile 2006 n. 186): decreto attuativo del T.U.?” in Ambiente e Sviluppo n. 82006 pag. 709

[5] TAR Lazio Roma Sez. II-bis ord. 5657 del 12 ottobre 2006 in www.lexambiente.it

[6] Commissione Tributaria Regionale Toscana sez. 1 ord. 9 maggio 2006 in www.lexambiente.it

[7] Sulle vicende che hanno interessato l’ormai abrogato art. 8 del D.Lv. 2297 v. RAMACCI “Manuale di diritto penale dell’ambiente” Padova 2005 pag. 286 e ss.

[8] In G.U. n. 160 del 12 luglio 2006

[9] In attesa di pubblicazione all’atto della redazione della presente nota

[10] Istituito con decreto GAB-DEC 158 del 12 giugno 2006

[11] Decreto Min. Ambiente GAB-DEC185-2006 del 21 luglio 2006

[12] Poiché il testo licenziato dal CdM in via preliminare il 12 ottobre 2006 è suscettibile di successive modifiche anche rilevanti prima della pubblicazione in GU, si rinvia per un eventuale esame al testo (reperibile in www. lexambiente.it unitamente ad uno schema comparato degli articoli del D.Lv. 152�6 oggetto di modifica) ed alla relazione illustrativa (ibid.)

[13] Trib. Ferrara ord. 30 giugno 2006 in proc 5568�2, Est. Bighetti, inedita

[14] Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit; Corte di Giustizia 11 settembre 2003, AvestaPolarit Chrome e Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli,

[15] Corte di Giustizia 15 gennaio 2004, Saetti e Frediani in Foro It. 32004 parte IV c. 151 con nota di G. AMENDOLA; Corte di Giustizia (Sez. III) 8 settembre 2005 causa C-416/02 e C-121/03 riguardanti contestazioni della Commissione alla Spagna

[16] Per una panoramica sulle varie posizioni assunte v. AMENDOLA, op.cit. ; GIAMPIETRO P. “I materiali ferrosi fra sovranità nazionale e giudice comunitario” in www.lexambiente.it , “Sottoprodotto, rifiuto e diritto comunitarioibid. e, anche per un esame della giurisprudenza della Suprema Corte, PAONE “Il riutilizzo dei residui nella giurisprudenza della cassazioneibid. e in Ambiente & Sviluppo n. 22006

[17] Cass. Sez. III n. 21512 del 21 giugno 2006, Giannecchini in www.lexambiente.it

[18] Si tratta della vicenda relativa all’Arsenale di La Spezia di cui tratta Cass. Sez. III n. 10662 del 14 novembre 2003, Min. Difesa (si veda anche Cass. Sez. VI n. 3947 del 31 gennaio 2001, Sindoni)

[19] Cass. Sez. III ord. n. 1414 del 16 gennaio 2006, Rubino in Ambiente e Sviluppo n. 82006 con nota di BORZI “Il rapporto tra ordinamento interno e comunitario nella vicenda rifiuti: nota a cass. penale sez. III ord. 14142006 pag. 719 e di PAONE “La nozione di rifiuto al vaglio della Corte costituzionale: ancora sull’ordinanza Rubino” pag. 729 si veda anche, dello stesso A. “La nozione di rifiuto al vaglio della Corte costituzionale” in www.lexambiente.it

[20] Corte Cost.le ordinanza n. 288 del 14 luglio 2006 (in www.lexambiente.it). Osservava la Corte che la restituzione degli atti si era resa necessaria a seguito dell’abrogazione del citato articolo 14 ad opera dell’articolo 264 D.Lv. 152�6 e dall’introduzione, sempre nel decreto, della nuova nozione di “materia prima secondaria per attività metallurgiche” (articolo 183, comma 1lettera u) contenente elementi aggiuntivi rispetto al D.Lv. 2297 che riducono la portata del concetto definito a sua volta correlata con quella di nuova introduzione di “materia prima secondaria” (articolo 183, comma 1 lettera q))