Bruciare i rifiuti è reato, ma sulla carta!

di Vincenzo PAONE

Sull'onda dell’ultima (peraltro annunciata) emergenza ambientale, il governo ha emanato l’ennesima «grida» di manzoniana memoria!

Siamo cioè di fronte alla classica legge declamatoria e (quasi) per nulla idonea a fronteggiare adeguatamente il grave fenomeno degli incendi dolosi dei rifiuti.

La severità del nostro giudizio è giustificata dalle brevi osservazioni critiche che ora illustreremo.

1) Era proprio necessario dettare una nuova normativa speciale sull’abbruciamento dei rifiuti, valevole sull’intero territorio nazionale, tenuto conto che il problema è localizzato in particolar modo in alcune aree della regione Campania che, proprio per tale ragione, sono state denominate “terra dei fuochi”?

Si consideri, infatti, che, a parte le disposizioni codicistiche in tema di incendio, l’art. 6 l. 210/2008, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, già punisce chi (soggetto privato o titolare di imprese e responsabile di enti), nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della l. n. 225/92, «incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non».

Inoltre, lo stesso art. 256 d.leg. n. 152/06 già incrimina – sotto la voce della gestione illecita della fase di «smaltimento» di rifiuti – chi provvede ad incenerire rifiuti.

Non era perciò necessario introdurre nuove norme in materia.

2) Il decreto legge commina pene severissime per la combustione dei rifiuti: la pena minima di 2 anni di reclusione (che diventano tre se si tratta di rifiuti pericolosi) è superiore a quella prevista per l’omicidio colposo (punito con la pena minima di 6 mesi di reclusione)!

Con ciò non vogliamo certo minimizzare la rilevanza dei beni protetti mediante l’incriminazione dell’art. 256 bis D.Lgs. n. 152/2006 perché è evidente che la salute dei cittadini può essere gravemente danneggiata dal rogo di rifiuti contenenti sostanze nocive.

Ma non dobbiamo neppure trascurare che la norma risulta applicabile in qualsiasi caso di incendio di rifiuti (essendo sufficiente il dar loro fuoco) e quindi potrebbe essere contrario ai principi costituzionali punire nello stesso modo sia chi esponga ad effettivo e concreto pericolo l’incolumità pubblica sia chi brucia rifiuti per nulla pericolosi.

Nello stesso senso, si sarebbe dovuto tenere conto dell’oggettiva gravità del fatto che è diversa a seconda delle proporzioni dell’incendio, della sua vastità, della difficoltà di spegnimento, delle conseguenze derivatene.

Peraltro, la normativa, che pure prevede aggravanti a tutto spiano (è peraltro noto che, nella prassi applicativa, quasi sempre le aggravanti vengono elise dalla concessione fin troppo indulgente delle attenuanti generiche), non ha introdotto la classica attenuante del fatto di lieve entità (cfr. legge sugli stupefacenti, sulle armi, sulla violenza sessuale) per adeguare la pena al fatto quando questo in concreto è scarsamente offensivo dei beni protetti.

3) Il decreto legge è un vero condensato di cattiva tecnica normativa e di ambiguità. Tanto per fare alcuni esempi: come interpretare il fatto che la norma si applica ai «rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate» per cui se i rifiuti sono stati accatastati in maniera «ordinata», non è reato dargli fuoco? e, analogamente, se sono invece collocati (in maniera incontrollata oppure «controllata») all’interno di aree autorizzate, non è reato dargli fuoco?

Come interpretare la norma nella parte in cui aumenta la pena per i delitti (che, in realtà, è uno solo!) di cui al comma 1 commessi nell'ambito «dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata»: che significato dare a queste locuzioni?

Per non parlare del 5° comma: si è prevista la confisca per i mezzi di trasporto «utilizzati per la commissione dei delitti di cui al comma 1», il che vuol dire, letteralmente, quelli che sono serviti per appiccare il fuoco ai rifiuti, ma si tratta di una cosa assurda perché, a tutto concedere, i veicoli servono per trasportare i rifiuti e non certo per bruciarli e allora bastava la norma sulla confisca di cui all’art. 259, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.

C’è poi da restare perplessi di fronte ad una norma che punisce chi tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e cioè abbandona o deposita rifiuti, «in funzione della [loro] successiva combustione»: è ovvio che tale previsione è astrattamente giusta, ma qui tocchiamo il vertice dell’inefficacia come ora diremo.

4) Infatti, la nuova normativa si manifesta in tutta la sua inutilità pratica se solo si pensi che la prova della responsabilità per il delitto richiede, almeno in via ordinaria, che si colga in flagranza chi appicca il fuoco ai rifiuti o che, quantomeno, sia identificato il soggetto che poco prima gli ha dato fuoco: ma chi ha pensato a queste nuove disposizioni, ha una sola vaga idea dello stato dei nostri apparati di controllo? ha un’idea dell’assoluta carenza di risorse dedicate alla lotta a tutte le forme di inquinamento? ha un’idea di quanto siano costosi i sistemi più tecnologicamente sofisticati che garantiscano, in mancanza di uomini, il controllo del territorio?

Chiunque abbia un po’ di esperienza giudiziaria in materia di tutela dell’ambiente e della salute pubblica, sa invece che molte volte le denunce riguardano fatti di agevole accertamento (quasi sempre sono anche i fatti di minore gravità) e sa che comunque i processi per questo tipo di reati languono e si trascinano fino ad arrivare, troppo spesso, alla prescrizione.

In questo quadro di quotidiana amarezza, c’è da chiedersi veramente che senso abbia che il decreto legge introduca pene molto elevate che ben difficilmente verranno eseguite visto l’attuale trend verso lo sfoltimento delle carceri; che senso abbia che, per l’entità delle pene, sia consentito l’arresto del contravventore anche se, d’ora in avanti, per la contemporanea riforma della custodia cautelare, ben difficilmente seguirà una misura coercitiva; che senso abbia che non sia previsto che il delitto di combustione di rifiuti costituisca reato presupposto per la responsabilità delle persone giuridiche.

L’elenco potrebbe continuare ancora molto a lungo: ma una cosa è certa, come abbiamo detto in esordio, questo è il solito modo di governare tipico di chi strizza l’occhio all’emotività della gente abbagliandola con risposte apparentemente severe, ma in realtà del tutto incapaci di risolvere il fenomeno che si vuole combattere.

Occorrono invece interventi di più largo respiro: a parte l’introduzione nel codice penale dei delitti contro l'ambiente, su cui per la verità siamo tiepidi perché non crediamo che sia la soluzione di tutti i mali, la strada più giusta, sul piano repressivo, dovrebbe essere quella di riordinare e razionalizzare la normativa, per renderla più chiara e quindi più applicabile; potenziare le strutture di controllo e giudiziarie in modo che la risposta penale sia sempre più efficace e tempestiva diventando così un vero deterrente contro queste forme di illegalità; ripensare al sistema delle sanzioni perché il principio della certezza della pena, oggi caduto in disgrazia di fronte allo scandalo delle carceri sovraffollate, è invece un valore da preservare se vogliamo che cresca il senso della legalità.

Tutto questo però non basta se non cresce la coscienza ambientale di tutti i cittadini.