Cons.Stato, Sez. IV n. 4619 del 27 agosto 2012

Urbanistica. Rappresentazione dei luoghi difforme

La rappresentazione di una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo,tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto. In dipendenza di ciò, risulta del tutto in conferente, il richiamo alla disciplina contenuta negli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 241 del 1990, semmai, proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva necessaria e vincolante l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04619/2012REG.PROV.COLL.

N. 07389/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7389 del 2009, proposto da:

Fusco Alessandro, rappresentato e difeso dall’Avv. Cesare Oliva e dall’Avv. Adelina Feola, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Claudio Santini, via Jacopo Ruffini, 2/A;

contro

Comune di Caserta (Ce), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Fernanda D’Ambrogio, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Angelo Piraino , via Carlo Mirabello, 14; Fusco Costantino e Mingione Assunta, parimenti costituitisi in giudizio, nonché rappresentati e difesi dall’Avv. Nicola Gentile, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Tullio Galiani, via S. Tommaso D’Aquino, 47;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, Napoli, Sez. VIII, n. 1136 dd. 27 febbraio 2009, concernente demolizione opere abusive e risarcimento del danno.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Caserta , nonché di Fusco Costantino e Mingione Assunta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Fusco Alessandro l’Avv. Adelina Feola, per l’appellato Comune di Caserta l’Avv. Fernanda D’Ambrogio e per gli appellati Fusco Costantino e Mingione Assunta l’Avv. Nicola Gentile;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, Sig. Alessandro Fusco, espone di aver presentato - quale proprietario di un fabbricato ad uso abitativo ubicato nel territorio comunale di Caserta, frazione Casolla, via Angelo Fusco n. 10 - un’ istanza per la realizzazione di un sottotetto non abitabile di circa 35 mq. al secondo piano del preesistente immobile di sua proprietà, ricadente secondo la vigente strumentazione urbanistica in zona C3.

Tale realizzazione è stata assentita con concessione edilizia 130 del 22 maggio 2003.

Il medesimo Fusco espone, quindi, di aver eseguito nel corso del relativo intervento lavori in parziale difformità e consistenti, tra l’altro, nella costruzione di tre pilastri all’interno di un preesistente locale di sgombero (ex stalla) abbattuto e tempestivamente ricostruito.

Tali lavori – espone sempre il Fusco – sono stati dapprima sospesi, e quindi sanati mediante permesso dell’11 luglio 2006 in accoglimento di una denuncia di inizio di attività (DIA) in variante da lui presentata.

Il Fusco riferisce quindi che i lavori medesimi sono stati nuovamente sospesi a causa del ritrovamento, in esito a sopralluogo compiuto dall’Amministrazione comunale in data 27 marzo 2007, di un preesistente vano bagno risalente all’800, ubicato in vicinanza dell’erigendo locale di sgombero e che il Comune medesimo reputa insistere su di in una porzione di terreno corrispondente alla particella catastale n. 334, non di proprietà del medesimo Fusco e non rappresentato nei grafici di progetto allegati alle istanze presentate al fine del rilascio dei predetti titoli edilizi.

Pertanto, a seguito di tale circostanza, con provvedimento prot. gen. n. 71353 dd. 18 luglio 2007, il Dirigente preposto all’Ufficio Antiabusivismo del Comune di Caserta ha disposto l’annullamento di tutti i titoli edilizi rilasciati al Fusco per asserita mancanza di titolarità a chiederne il rilascio, per asserita violazione delle norme dettate in tema di distanza minima tra i fabbricati e asseritamente errata rappresentazione dello stato dei luoghi.

Con susseguente ordinanza-ingiunzione n. 53/2007b – prot. gen. n. 83711 dd. 7 settembre 2007 lo stesso Dirigente ha quindi intimato al Fusco di demolire le opere asseritamente abusive da lui realizzate.

1.2. Il Fusco, pertanto, con ricorso proposto sub r.g.. 6145 del 2007 innanzi al T.A.R. per la Campania, ha impugnato sia il provvedimento di annullamento dei titoli edilizi a lui rilasciati, sia l’ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto le relative opere.

Il Fusco ha dedotto al riguardo l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nonché eccesso di potere per contraddittorietà tra più atti, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 cod. civ., eccesso di potere per ingiustizia manifesta, violazione del principio del tempus regit actum, violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 118 del regolamento edilizio del Comune di Caserta, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del T.U. 380 del 2001, eccesso di potere per falsità del presupposto, per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, nonché sviamento, violazione e falsa applicazione del principio di annullamento dell’atto amministrativo, violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 per difetto di motivazione ed eccesso di potere per violazione dei limiti alla discrezionalità amministrativa.

1.3. Il Fusco ha pure chiesto, a’ sensi dell’art. 35 del D.L.vo 31 marzo 1997 n. 80, la condanna del Comune di Caserta al pagamento dei danni discendenti dagli atti impugnati.

1.4. Si è costituito nel primo grado di giudizio il Comune di Caserta, replicando puntualmente alle censure avversarie.

1.5. Nel medesimo giudizio hanno pure dispiegato intervento ad opponendum i Signori Costantino Fusco e Assunta Mingione, confinanti del Sig. Alessandro Fusco, in quanto comproprietari di una quota del fabbricato ubicato al civico n. 8 della predetta via Angelo Fusco.

Con ordinanza n. 3482 dd. 3 dicembre 2007, la Sezione VIII dell’adito T.A.R. ha respinto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati, avanzata da Fusco Alessandro, “considerato che, nei limiti di cognizione praticabili in sede cautelare, non pare illegittima la decisione assunta dall’amministrazione resistente, sia in ragione delle contestazioni sulla proprietà dell’area, sia in rapporto alla mancata corrispondenza del progetto con lo stato di fatto dell’area, stante il rinvenimento di un manufatto non descritto nella documentazione tecnica”.

Fusco Alessandro ha proposto appello avverso tale ordinanza con ricorso proposto sub R.G. 1309 del 2008, ma tale impugnativa è stata respinta da questa stessa Sezione con ordinanza n. 1309 dd. 11 marzo 2008, “rilevato che non ricorrono le condizioni per accordare l’invocata tutela cautelare”.

1.6. Fusco Alessandro ha quindi impugnato con motivi aggiunti ulteriori provvedimenti successivamente intervenuti, ossia l’ordinanza di sospensione dei lavori edili n. 26 – prot. gen. n. 30494 dd. 19 marzo 2008, il parere in materia paesaggistico-ambientale adottato dalla Commissione edilizia comunale integrata nella sua seduta del 19 marzo 2008 e la comunicazione prot. gen. n. 31311 dd. 25 marzo 2008.

Fusco Alessandro ha dedotto a tale riguardo eccesso di potere per travisamento dei fatti, eccesso di potere per contraddittorietà tra atti, violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.L.vo 24 marzo 2006 n. 57, violazione di legge per difetto di motivazione ex art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per illogicità o contraddittorietà tra più atti , nonché eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti.

Il Comune e gli interventori hanno puntualmente replicato con proprie memorie anche a tali censure.

Con ordinanza n. 1632 adottata nel corso della camera di consiglio del 9 giugno 2008 la Sezione VIII dell’adito T.A.R. ha respinto una nuova istanza cautelare presentata al riguardo da Fusco Alessandro, “considerato che allo stato non sussiste alcun apprezzabile interesse rilevante in fase cautelare, versandosi in ipotesi di contestazione di una sospensione dei lavori - ormai inefficace - e di un atto endoprocedimentale (parere negativo reso in sede esame della domanda di sanatoria)”.

Tale provvedimento non è stato gravato in sede di appello.

1.7.1. Con sentenza n. 1136 dd. 27 febbraio 2009 la Sezione VIII del T.A.R. per la Campania ha respinto il ricorso del Fusco, compensando integralmente tra tutte le parti le spese di tale primo grado di giudizio.

1.7.2. Il giudice di primo grado ha innanzitutto rilevato che il Fusco Alessandro ha dapprima impugnato il provvedimento di annullamento della concessione edilizia n. 130/03 del 22 maggio 2003 e del permesso di costruire per varante in sanatoria n. 167/06 dell’11 luglio 2006.

Sempre come detto innanzi, nel provvedimento di autotutela emesso dal Comune e contestato in sede giudiziale da Fusco Alessandro, si desume che, in esito al sopralluogo effettuato in data 27 marzo 2007, è emersa la preesistenza di un vano bagno, vicino all’erigendo locale di sgombero, non rappresentato nei grafici di progetto allegati alle istanze di cui ai citati titoli, che il medesimo vano bagno insisterebbe su particella catastale non di proprietà di Fusco Alessandro e che le ragioni del disposto annullamento risiedono nell’errata rappresentazione dei luoghi, nella mancanza di titolarità a chiedere il rilascio di titoli edilizi e nella violazione sulla distanza minima dei fabbricati.

Lo stesso giudice di primo grado ha quindi richiamato la circostanza per la quale il predetto locale di sgombero (ex stalla) è stato interessato da lavori connessi alla concessione edilizia rilasciata ab origine, dapprima sospesi e poi resi oggetto dell’istanza di permesso in sanatoria presentata sempre da Fusco Alessandro.

1.7.3. Ciò posto, il giudice di primo grado ha innanzitutto respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad opponendum di Fusco Costantino e di Mingione Assunta, formulata da Fusco Alessandro.

In tal senso lo stesso giudice ha rilevato che, anche a prescindere dagli esiti dei giudizi intestati innanzi al giudice ordinario e relativi a parte degli immobili interessati dall’attuale vicenda, non è stata contestata dal ricorrente in primo grado la proprietà degli interventori predetti, anche se pro quota, del confinante edificio ubicato in via Angelo Fusco n. 8 e che - sotto altro e specifico profilo - se può invero convenirsi con la tesi del ricorrente in primo grado per la quale il soggetto che spiega intervento nel processo non può evidenziare altri motivi non contenuti nel provvedimento, la diversa eventualità non implica di per se stessa l’inammissibilità dell’intero atto d’intervento, ma - al limite - solo di quanto evidentemente estraneo al thema decidendum, per come fissato dal contenuto del provvedimento e dalle contestazioni sullo stesso appuntate in via principale.

1.7.4. Per quanto attiene al primo motivo di ricorso il T.A.R. ha evidenziato che Fusco Alessandro ha dedotto l’avvenuta violazione dell’art. 11 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ritenendo illegittima la ragione per la quale, ad avviso dell’Amministrazione comunale, lo stesso “avrebbe dovuto avere anche la proprietà della particella catastale 334 su cui insiste il vano-bagno, appartenente, allora , a Fusco Rosa”; e tanto anche in considerazione della circostanza per la quale le opere interesserebbero il “fabbricato di sua proprietà insistente sulla particella 335”.

Il giudice di primo grado ha respinto tale primo ordine di censure, rilevando che dagli atti di causa ben emergerebbe, infatti, la circostanza per cui i lavori hanno interessato un’area di aliena proprietà acquisita dal ricorrente soltanto con successivo atto pubblico e che a tanto dovrebbe poi aggiungersi che, diversamente da quanto dedotto dal medesimo Fusco Alessandro, i lavori ai quali si riferiscono i due titoli edilizi poi annullati non riguarderebbero unicamente quelli di cui all’originaria concessione edilizia (ossia la realizzazione di un sottotetto non abitabile al secondo piano del preesistente immobile), ma anche quelli dettagliatamente descritti nella relazione tecnica allegata all’istanza del permesso in sanatoria.

1.7.5. Per quanto concerne, invece, al secondo ordine di motivi contenuto sempre nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, il T.A.R. ha rilevato che Fusco Alessandro ha argomentato l’illegittimità del provvedimento impugnato, affermando in punto di fatto che il progettista avrebbe operato secondo l’ordinaria diligenza, per cui non sarebbe deducibile come motivo di illegittimità dei titoli annullati la mancata rappresentazione grafica del“rudere-latrina”, del quale – per l’appunto - non si sarebbe potuto rilevare la presenza, perché coperto da rovi ed allocato su altrui proprietà.

Lo stesso T.A.R. ha peraltro ritenuto anche tale motivo di ricorso infondato, reputando che proprio la documentazione fotografica allegata dallo stesso Fusco Alessandro contraddirebbe l’affermata inaccessibilità e, quindi, anche l’altrettanto asserita non visibilità del manufatto in questione.

Sempre per quanto attiene alla pretesa inaccessibilità, inoltre, il giudice di primo grado ha rilevato che di tale circostanza non vi è traccia nelle relazioni tecniche di parte redatte dallo stesso progettista e prodotte a sostegno delle censure opposte all’impugnato provvedimento.

1.7.6. Il T.A.R. ha anche rilevato che la necessità di una completa rappresentazione grafica si giustifica all’evidenza per la necessità di adeguatamente informare l’Amministrazione comunale di ogni evenienza rilevante in relazione alla verifica della conformità dell’intervento alla regolamentazione edilizia ed urbanistica implicata.

1.7.7. Per quanto poi attiene alla contestata violazione sulla distanza minima dei fabbricati, il giudice di primo grado ha parimenti respinto il relativo motivo di ricorso, preliminarmente rilevando che, diversamente da quanto esposto da Fusco Alessandro, nella specie è stato realizzato un intervento di nuova costruzione, posto che dai verbali di sopralluogo, in disparte ogni considerazione in esito alla questione della legittimazione del locale deposito (ex stalla), ben emergerebbe la realizzazione di un manufatto in tutto diverso dal precedente.

Se così è, sempre secondo la tesi del giudice di primo grado, ove si riguardi alle distanze tra lo stesso locale deposito e il “rudere - latrina”, insistente ratione temporis su proprietà altrui e anche ove si ammetta in proposito la rilevanza dell’art. 118 del regolamento edilizio comunale, l’assunto di Fusco Alessandro circa la conformità del tutto a tale ultima disposizione si fonderebbe su di un dato di fatto solo da lui affermato, ma non comprovato e ab origine non graficamente rappresentato e supportato con perizie di parte comunque successive all’intervenuta demolizione del manufatto di riferimento, ossia dell’anzidetto “rudere-latrina”.

1.7.8. In ordine all’ultimo motivo di ricorso il giudice di primo grado, anche in considerazione delle ragioni poste a sostegno dell’impugnato annullamento dei titoli edilizi rilasciati a Fusco Alessandro, ha affermato, anche sulla scorta di Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6554, che l’errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e nei relativi allegati complessivamente posti alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.” (Consiglio Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6554).

1.7.9. Il giudice di primo grado ha pure dichiarato inammissibile, sempre per quanto attiene al ricorso proposto ab origine, la censura dedotta da Fusco Alessandro circa l’asserita impossibilità della demolizione e la conseguente irrogabilità della sanzione pecuniaria: e ciò in quanto la censura medesima è stata introdotta solo con memoria depositata il 20 dicembre 2008 e non già mediante l’atto introduttivo del giudizio.

1.7.10. I motivi aggiunti sono stati parimenti dichiarati inammissibili dal T.A.R., poiché, come già emerso nella sede cautelare del giustizio di primo grado, essi sono stati dedotti avverso il provvedimento di sospensione dei lavori medio tempore divenuto inefficace, nonché avverso un atto endprocedimentale correlato all’istanza di accertamento di conformità presentata dall’attuale appellante in data 19 dicembre 2007.

2.1.1. Con l’appello in epigrafe Fusco Alessandro chiede ora la riforma di tale sentenza.

2.1.2. L’appellante, in sostanza, dopo aver riproposto le medesime censure già da lui dedotte in primo grado, deduce con un primo ordine di motivi l’avvenuto travisamento dei fatti da parte del giudice di primo grado, in quanto questi avrebbe negato la sussistenza di determinati presupposti che invece sarebbero stati comprovati dalla parte ivi ricorrente, e avrebbe ritenuto inesistenti alcuni fatti la cui esistenza sarebbe stata per contro comprovata dai documenti prodotti dalla parte stessa.

Fusco Alessandro in tal senso ribadisce di non aver utilizzato nella sua potenzialità edificatoria la particella catastale n. 334/b di proprietà di Fusco Rosa e afferma che il progettista, nelle prescrizioni urbanistiche presenti nei grafici dei titoli edilizi, riporta una superficie del lotto pari a mq. 500 riferendosi alla superficie reale, posto che la superficie nominale sarebbe pari a mq. 473.

Sempre secondo Fusco Alessandro, tale ultima circostanza risulterebbe – a ben vedere – comunque ininfluente al fine del decidere, posto che l’indice di fabbricabilità vigente nell’area di cui trattasi è pari a 1,5, e che pertanto egli avrebbe potuto ivi realizzare un volume pari a 709,5 mc., a fronte dei 652,55 mc. da lui effettivamente realizzati.

Fusco Alessandro afferma, quindi, che “il calcolo si commenta da sé” e che lo stesso comproverebbe che egli non avrebbe mai utilizzato per la costruzione aree non di sua proprietà, “e che anche con una superficie di lotto come quella nominale il volume realizzato col Permesso 167 del 2006 è perfettamente legale” (cfr. pag. 32 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

L’appellante contesta quindi l’assunto contenuto nella sentenza impugnata secondo cui “diversamente da quanto dedotto, i lavori ai quali si riferiscono i due titoli edilizi ora annullati non riguardano unicamente quelli di cui all’originaria concessione edilizia, ma anche quelli dettagliatamente descritti nella relazione tecnica allegata all’istanza del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006” (cfr. pag. 4 e 5 sentenza cit.), nonché l’assunto secondo il quale “diversamente da quanto esposto, nel caso si è in presenza di intervento di nuova costruzione, emergendo dai verbali di sopralluogo … la realizzazione di un manufatto in tutto diverso dal precedente” (cfr. ibidem, pag. 5).

L’appellante afferma al riguardo che i verbali di cui trattasi sono stati redatti dai tecnici comunali geom. Bologna e geom. De Sire, e che nel primo verbale dd. 3 agosto 2007 si afferma – tra l’altro – che “il locale deposito al piano terra è completato della tompagnatura laterale … si è rilevato sul muro di confine nord l’apposizione di nuova muratura in sopraelevazione al preeesitente”, mentre nel secondo verbale dd. 27 marzo 2007 si afferma – tra l’altro – che “il piccolo wc è posto ad una distanza di circa metri 3 dal corpo di fabbrica del garage in costruzione … detto corpo di fabbrica (garage o stalla) non è riportato nei grafici relativi alla concessione edilizia n. 130 del 2003, né sui grafici del predetto permesso di costruire n. 167 del 2006”.

Ad avviso dell’appellante anche i verbalizzanti avrebbero con ciò contribuito ad estendere un vizio meramente formale del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006 ai grafici integranti la concessione edilizia n. 130 del 2006, e ciò “per tentare di confondere una vicenda caratterizzata da equivoci creati ad arte” (cfr. pag. 33 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

L’appellante medesimo, per contro, ribadisce che i lavori sulla ex stalla erano iniziati sin dal 2006, ossia in epoca ben antecedente ai due verbali anzidetti, e che nella propria relazione il progettista avrebbe puntualmente descritto l’abbattimento del tetto e della parete nord del locale di sgombero, nel mentre la parete est con la vecchia muratura intonacata risulterebbe risalire ad epoca antica.

Nella stessa relazione il progettista afferma pure che vi è stata pronta ricostruzione di quanto abbattuto.

Fusco Alessandro afferma quindi che “la ricostruzione ovviamente ha presentato agli occhi dei tecnici nuova muratura in sopraelevazione al preesistente” e che “la vecchia muratura non è stata abbattuta fino a terra poiché per i tre pilastri da realizzare nella parete nord del fabbricato residenza non era necessario abbattere la vecchia muratura fino a terra in quanto serviva soprattutto rimuovere il tetto del locale di sgombero. … Di certo dopo aver realizzato i tre pilastri per ricostruire il locale di sgombero sarebbe stato impossibile utilizzare la vecchia muratura. Ecco perché dal giudizio degli accertatori, anche nel secondo verbale si descrive un garage in costruzione. Ovviamente gli accertatori non hanno potuto descrivere la pregressa fase dell’abbattimento del tetto e della parete nord del locale a piano terra. Ma ciò non dimostra che il garage non era preesistente” (cfr. ibidem, pag. 34).

Da tutto ciò – pertanto - l’appellante ricava, come conseguenza, la dimostrazione della preesistenza del garage o ex stalla di cui trattasi, con la conseguente smentita – a suo dire – della diversa tesi contenuta al riguardo nella sentenza impugnata.

Il medesimo appellante rileva, inoltre, un ulteriore equivoco insito nell’assunto di cui al verbale dd. 27 marzo 2007, laddove si afferma – come detto innanzi – che “detto corpo di fabbrica (garage o stalla) non è riportato nei grafici relativi alla concessione edilizia n. 130 del 2003, né sui grafici del predetto permesso di costruire n. 167 del 2006”, posto che – per contro – i grafici del permesso di costruire n. 167 del 2006 rappresenterebbero, per l’appunto, proprio il locale di sgombero, nel mentre, per quanto attiene alla concessione edilizia n. 130 del 2003, i grafici non riporterebbero il locale di sgombero perché, a suo dire, ciò non sarebbe stato a quel momento necessario, dato che in un primo momento i lavori edili riguardavano solo la realizzazione del sottotetto non abitabile al secondo piano per motivi di isolamento termico e risparmio energetico del fabbricato sottostante, e che il locale di sgombero o ex stalla è ubicato al piano terra e costituisce una pertinenza del fabbricato principale.

Al più, quindi, ad avviso dell’appellante sarebbe stata compiuta una violazione formale dei grafici, non influente sui lavori in concreto a quel momento realizzati e – pertanto – non idonea determinare la necessità di un annullamento in autotutela della medesima concessione edilizia n.130 del 2003.

Comunque sia, l’appellante medesimo rimarca che nei grafici della concessione edilizia n. 130 del 2003 risulterebbe comunque riportato il rilievo aerofotogrammetrico del Comune di Caserta che rappresenta tutta la pianta del piano terra del fabbricato, comprendente quindi anche il locale di sgombero: locale che, unitamente al ritrovato rudere-latrina è stato debitamente rappresentato nella pratica relativa al permesso di costruire presentato al Comune da Fusco Alessandro in data 19 dicembre 2007.

L’appellante contesta ancora l’“espressione equivoca” (pag. 36 dell’atto introduttivo del presente giudizio) del giudice di primo grado(cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), laddove dichiaratamente si vorrebbe trascurare il tema della legittimazione (v. l’espressione “in disparte ogni considerazione in esito alla questione della legittimazione del locale deposito (ex stalla)”, affermando (lo stesso appellante) che al giudice di primo grado sarebbero con ciò sfuggiti i chiarimenti presentati in ordine alla preesistenza della stalla, unitamente alle foto nn. 1-3 allegate al fascicolo prodotto innanzi al T.A.R., al predetto rilievo aerofotogrammetrico a colori e alla misura di metri 18,50 riportata nell’atto notarile del 1982 in riferimento alla lunghezza della pianta del piano terra del fabbricato.

L’appellante afferma anche che lo stesso giudice di primo grado, pur considerando l’art. 118 del Regolamento edilizio del Comune di Caserta, a conferma dei 3 metri di distanza tra i due manufatti con pareti fronteggiatesi cieche, non conferirebbe in realtà all’articolo medesimo la dovuta forza regolamentare, ma riterrebbe che il tutto “riposa su di un dato di fatto solo affermato ... ma non dimostrato.. (cfr. ibidem).

Tale affermazione desterebbe “enorme sconcerto” (cfr. pag. 37 dell’atto introduttivo del presente giudizio) nell’appellante, in quanto:

1) la distanza di m. 3 tra i due manufatti è confermata dal Comune, dagli atti difensivi degli interventori nel giudizio di primo grado e dalla Relazione di accertamento tecnico del 28 marzo 2007 con data dell’accertamento 27 marzo 07;

2) il giudice, in caso di incertezze sullo stato dei luoghi – e almeno per alcune cose tuttora verificabili ed importanti al fine della decisione - aveva la possibilità di disporre una consulenza tecnica d’ufficio;

3) la pianta del piccolo rudere-latrina è tuttora ben visibile e, pertanto, mediante la consulenza tecnica d’ufficio ben si potevano e si potrebbero a tutt’oggi assumere le reali distanze.

Né andrebbe sottaciuto che, come da dichiarazione dei Vigili del Fuoco riportata nell’ordinanza resa in sede civile dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere sub r.g. 130 del 2008, il rudere-latrina era fatiscente e “non può esser escluso il possibile crollo fortuito” dello stesso, del vano wc, come del resto hanno confermato i VV.FF nel verbale del 9/6/07”.

Sempre secondo l’appellante, l’intervento dei coniugi Fusco-Mingione nel presente giudizio agli effetti giuridici sostanziali non muterebbe nulla, stante il fatto che si verte in tema di distanze tra edifici, e anche se la presunta comproprietà sul rudere-latrina, fatta valere dai medesimi è basata su una scrittura privata di Fusco Rosa e Fusco Costantino, mai trascritta nei pubblici registri immobiliari, e, quindi, inopponibile ai terzi a’ sensi dell’art. 2644 cod. civ..

2.1.3. Con un secondo ordine di motivi l’appellante deduce ulteriore travisamento dei fatti, violazione e falsa applicazione del c.d. “principio della ragione sufficiente”, violazione e falsa applicazione degli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 7 agosto 1990 n. 241, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380.

In particolare, Fusco Alessandro contesta il richiamo operato dal giudice di primo grado al c.d. “principio della ragione sufficiente”, laddove segnatamente questi ha richiamato la decisione di Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6554, secondo la quale la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa), rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati posti alla base del rilascio del titolo edilizio, che diversamente non sarebbe stato rilasciato, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento d’ufficio del titolo edilizio medesimo, tanto che in tale situazione ben può prescindersi dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto al mantenimento del titolo stesso. concessione medesima.

Secondo l’appellante tale decisione di questa Sezione atterrebbe ad un caso non omologo al proprio, e comunque il principio predetto risulterebbe inconferente per l’economia della presente causa

“poiché è semplificante e crea una giustizia sommaria” (cfr. pag. 42 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

L’appellante reputa, infatti, che il giudice di primo grado avrebbe con ciò sostanzialmente affermato che se il dirigente che ha emanato il provvedimento di annullamento avversato innanzi al T.A.R. avesse avuto la completa rappresentazione grafica (ossia, comprensiva anche del rudere-latrina al piano terra, allora su particella di proprietà di Fusco Rosa) “sarebbe stato addirittura legittimato a non rilasciare la concessione edilizia n. 130 del 2003 relativa al sottotetto edificato, invece, al secondo piano e senza edifici fronteggianti” (cfr. ibidem).

In tal senso l’appellante insiste, quindi, che il giudice di primo grado non avrebbe considerato, per quanto segnatamente attiene ai grafici presentati, la differenza tra vizio formale e vizio sostanziale ed i nuovi interventi del legislatore, in merito alla necessità sostanziale e non formale di annullare un atto amministrativo, soprattutto se atto vincolato.

L’appellante rimarca, sempre in tal senso, che, se il dirigente avesse avuto la completa conoscenza dei grafici, avrebbe dovuto ugualmente rilasciare sia la concessione edilizia n. 130 del 2003, sia il permesso di costruire in sanatoria n.167 del 2006, poiché tali atti sarebbero vincolati e non discrezionali, posto che il progettista non avrebbe avuto alcun motivo per non rappresentare graficamente il rudere.

L’appellante reputa, quindi, che, ai sensi degli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 241 del 1990, l’annullabilità del provvedimento sarebbe possibile solo nel caso in cui il dirigente fosse stato in grado di adottare un provvedimento diverso da quello in concreto adottato, e che se l’atto – come, per l’appunto, nel caso di specie – ha natura vincolata, il dirigente non potrebbe annullarlo se non per vizi formali, ossia “nel caso in esame 1) valutate le tre presunte violazioni stigmatizzate dal dirigente nel provvedimento di annullamento dei due titoli abilitativi a costruire; 2) considerato che la presunta violazione sostanziale riguarderebbe la distanza tra gli edifici e la titolarità a richiedere; 3) dimostrato che sia la distanza che la titolarità non sono violate; 4) considerato che la incompletezza dei grafici progettuali, in particolare del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006 privo del rudere-latrina, costituisce soltanto un vizio formale, che, sulla base del “principio del raggiungimento del risultato” impedisce al dirigente l’annullamento del provvedimento solo formalmente viziato.., in presenza di elementi che inducano il convincimento della sua correttezza sostanziale......ne deriva che: a) la concessione edilizia n. 130 del 2003 non presenta vizi formali, nè vizi sostanziali tali da giustificare l’annullamento del dirigente; b) il permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006 non presenta alcun vizio sostanziale, ma solo il vizio formale di un grafico incompleto che nel modo più assoluto non può consentire al dirigente di annullare i titoli abilitativi” (cfr. pag. 43 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).

L’appellante, dopo aver evidenziato che l’art. 21-nonies comunque chiede, ai fini dell’annullamento d’ufficio, sia il contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto, che non è stato dimostrato dal dirigente, sia l’emanazione del provvedimento di autotutela “entro un termine ragionevole”, rimarca che nel caso di specie sono trascorsi più di sei anni dal rilascio della concessione edilizia n. 130 del 2003, e che si dovrebbe comunque tener conto degli interessi dei destinatari, posto che annullando i titoli abilitativi ed ordinando la demolizione si arrecherebbe nella specie soltanto a lui un danno grave, irreparabile ed irrimediabile.

Sempre a tal fine, l’appellante invoca a proprio favore anche la disciplina contenuta nell’art. 38 del T.U. 380 del 2001.

2.1.4. L’appellante, da ultimo, chiede inoltre l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio.

2.2. Si è costituito in giudizio l’appellato Comune di Caserta, concludendo per la reiezione dell’appello.

La difesa del Comune ha pure preliminarmente eccepito l’inammissibilità di mutamento della causa petendi nel giudizio in appello e di introduzione di nuovi mezzi di prova, operate entrambi dall’appellante.

2.3. Si sono parimenti costituiti in giudizio i parimenti appellati Fusco Costantino e Mingione Assunta, rassegnando analoghe eccezioni e conclusioni.

3. Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello va respinto.

4.2. Va innanzitutto evidenziato che, come a ragione hanno dedotto le parti appellate, nel processo amministrativo di appello il mutamento della causa petendi è inammissibile, come è pure inammissibile l’introduzione nello stesso grado di nuove richieste di ulteriori mezzi di prova.

Tali principi sono stati ora espressamente codificati nell’art. 104, commi 1 e 2, cod. proc. amm., ma anche all’epoca della proposizione dell’appello qui disaminato la corrispondente disciplina contenuta nell’art. 345 cod. proc. civ. era reputata dall’unanime giurisprudenza perfettamente applicabile anche al giudizio amministrativo d’appello (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2011 n. 3642), dovendo oltretutto ritenersi incluse nel divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello anche le prove cc.dd. “precostituite”, ossia i documenti la cui produzione è subordinata, al pari delle prove cc.dd. “costituende”, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile alla parte che le produce e che abbia impedito alla parte medesima la produzione nel primo grado di giudizio, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità da parte del giudice adito (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2011 n. 6067).

Nel caso di specie, la parte appellante ha invero prodotto nel presente grado di giudizio una perizia di parte a firma del Geom. Di Lorenzo-Passerini, dalla quale risulterebbe l’avvenuta utilizzazione, sia per il rilascio dell’originaria concessione edilizia n. 130 del 2003, sia per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006, della sola particella n. 334/a, divenuta quindi n. 334 e che sarebbe stata sempre di esclusiva proprietà di Fusco Alessandro, senza quindi mai richiamare la particella n. 334/b che è invece di proprietà esclusiva di Fusco Rosa.

Tale produzione di Fusco Alessandro e la relativa prospettazione in diritto risultano, pertanto, intrinsecamente inammissibili e contraddicono sia il contenuto della perizia giurata a firma dell’Arch. Giuseppe Greco, allegata nell’interesse del medesimo Fusco Alessandro agli atti dell’originario ricorso da lui proposto innanzi al T.A.R. per la Campania, sia la tesi in diritto conseguentemente ivi sviluppata dall’attuale appellante.

Dinanzi a tale mutatio libelli, non consentita dalla legge processuale, discende pure l’improponibilità nella presente sede di giudizio di una consulenza tecnica d’ufficio idonea a supportare le inammissibili prospettazioni e produzioni dell’appellante.

4.3. Chiarito ciò, è opportuno ribadire che, in dipendenza di ciò, la vicenda rimane quindi fattualmente inquadrabile come segue.

Fusco Alessandro, dopo aver conseguito il rilascio della concessione edilizia n. 130 del 2003, ha dato inizio a lavori in sopraelevazione del preesistente fabbricato, in parziale difformità da quanto previsto da tale titolo edilizio e – altresì – con realizzazione di nuove opere prive di titolo abilitativo e consistenti – tra l’altro, e come accertato dal nucleo di polizia edilizia di Caserta, informato da esposto - nella costruzione di un locale di sgombero nel lato nord del giardino dell’edificio in questione.

Dall’accertamento dell’abuso è conseguita la sospensione dei lavori disposta dal dirigente dell’ all’Ufficio Antiabusivismo della Ripartizione urbanistica del Comune.

Fusco Alessandro ha quindi dapprima presentato una denuncia di inizio attività (D.I.A.) in sanatoria e, poi, preso atto della non sanabilità degli abusi mediante tale procedimento, ha chiesto e ottenuto il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006, riprendendo l’esecuzione dei lavori, a loro volta nuovamente sospesi dai tecnici del settore urbanistica all’esito di un sopralluogo, dal quale è emersa la preesistenza di un vano adibito a bagno, risalente all’800, attiguo all’erigendo locale di sgombero e non rappresentato nei grafici di progetto prodotti ai fini del rilascio sia della concessione edilizia n. 130 del 2003, sia del permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006.

Fusco Alessandro, nondimeno, ha proseguito l’esecuzione dei lavori di costruzione nel cd. “locale di sgombero” e nel sottotetto; inoltre, nel tentativo di rimediare all’irregolarità della propria situazione, ha provveduto ad abbattere il vano del bagno comune alla proprietà di Fusco Costantino, Mingione Assunta e Fusco Rosa, nonché a stipulare in data 29 agosto 2007 un contratto di compravendita per effetto del quale ha acquistato da Fusco Rosa quota parte della particella 334 frazionata con la particella 5377, su cui insisteva il bagno comune, e quota parte della particella ex 333 frazionata con la particella 5376.

Va inoltre da subito evidenziato che l’originaria e legittima consistenza dell’edificio di cui trattasi, così come discendente dalle concessioni edilizie n. 65 dd. 10 aprile 1979 e n. 180 dd. 4 agosto1982, contempla la presenza nell’orto pertinenziale assegnato in proprietà a Fusco Rosa per effetto dell’atto di divisione dd. 1 luglio 1982 del dott. Vincenzo Di Caprio, notaio in Caserta, di un solo manufatto edilizio pertinenziale isolato e adibito a bagno, non risultando altre costruzioni in aderenza sul fronte nord del porticato terraneo; e, per contro, lo stato di fatto riportato nel grafico assentito con la concessione edilizia n. 130 del 2003, poi annullata, non evidenzia la presenza del bagno nella proprietà di Fusco Rosa, ma individua come limite di proprietà al lato nord il confine della particella n. 960, di altrui proprietà.

Va pure evidenziato che Fusco Rosa e Fusco Alessandro hanno già utilizzato al fine del rilascio della predetta concessione edilizia n. 65 dd. 10 aprile 1979 e la susseguente sua variante n. 180 dd. 4 agosto 1982 tutta la potenzialità edificatoria della particella 334, oltre a quella propria delle particelle nn. 331, 332 e 333, per un totale di mq. 946, e che il P.R.G. del Comune di Caserta, adottato dal Consiglio Comunale nel 1983 e approvato con decreto del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/LP dd. 24 luglio 1987, aveva incluso l’edificio in questione nella zona territoriale omogenea A2 (centro storico) e l’area libera pertinenziale nella zona territoriale omogenea C3 (residenziale di espansione semiestensiva), in ordine alla quale il piano medesimo prevedeva l’edificazione mediante concessione edilizia quando le superfici inedificate di ciascuna parte di zona C3, delimitata da assi viari pubblici, fossero inferiori a mq. 10 e con distanza tra gli edifici anche inferiore a m. 10, purché fosse presentato il planovolumetrico esteso all’intera zona così definita: e – come afferma la difesa del Comune – poiché la documentazione posta a corredo della richiesta della concessione edilizia n. 130 del 2003 risultava mancante del planovolumetrico previsto, la prescritta distanza rimaneva pertanto nella specie fissata in m.10.

Il P.R.G. attualmente in vigore individua invece la proprietà di Fusco Alessandro nelle tavole nn. 10 e 11 quale UMI 2 dell’U.P.9 “delle Pietre” e contempla al riguardo le seguenti tre tipologie di intervento:

1) ristrutturazione edilizia composita (art. 14.4.2 delle N.T.A.);

2) recupero a fini residenziali dei sottotetti esistenti (art. 24 delle N.T.A.);

3) adeguamento qualitativo tipologico (art. 25.1 delle N.T.A.)

La medesima disciplina di piano non ammette la tipologia di intervento di ristrutturazione mediante abbattimento e ricostruzione, né ammette aumenti di altezza del fabbricato, di superficie, di volumetria, né di morfologia.

Con i provvedimenti avversati in primo grado da Fusco Alessandro è stato disposto l’annullamento di tutti i titoli edilizi a lui rilasciati per mancanza di titolarità a chiederne il rilascio, per violazione delle norme dettate in tema di distanza minima tra i fabbricati ed errata rappresentazione dello stato dei luoghi, ed è stato quindi intimato al medesimo Fusco Alessandro di demolire le opere abusive da lui realizzate.

4.4. Con il primo motivo di appello, Fusco Alessandro contesta la sentenza di primo grado in quanto, a suo dire, negherebbe la sussistenza di determinati presupposti esattamente da lui dimostrati nel giudizio di primo grado, ritenendo - per contro - insussistenti alcuni fatti la cui esistenza sarebbe invece comprovata dai documenti da lui prodotti.

Fusco Alessandro particolarmente incentra le proprie contestazioni sulla parte della sentenza nella quale si tratta della mancanza della sua titolarità a chiedere il rilascio dei titoli edilizi impugnati, e sostiene, in contrario a ciò, che egli sarebbe l’unico ed esclusivo proprietario del fabbricato di cui trattasi e dell’annessa zonetta di giardino, e ciò in dipendenza di quanto consta dall’anzidetto rogito notarile di compravendita del Notaio dott. Vincenzo Di Caprio dd. 1 luglio 1982 e dal susseguente atto di identificazione catastale, a rogito del medesimo Notaio.

Orbene, a parte le preclusioni derivanti al riguardo da quanto innanzi esposto al § 4.2. della presente sentenza, va evidenziato che, se dalla nuova tesi sostenuta in questo grado di giudizio dall’appellante questi ricava pure la conseguenza che la sola sua proprietà della particella n. 334/a legittimerebbe il volume da lui realizzato, risulta assorbente in senso contrario la constatazione che, comunque, i germani Fusco Alessandro e Fusco Rosa hanno già consunto l’intera potenzialità edificatoria sulla parimenti allora intera particella n. 334, in dipendenza di quanto già da loro realizzato per effetto della precedente concessione edilizia n. 65 dd. 10 aprile 1979 e della susseguente concessione edilizia in variante n. 180 dd. 4 agosto 1982.

Ciò, pertanto, risultava e risulta ex se circostanza preclusiva per il rilascio a Fusco Alessandro di ulteriori titoli edilizi.

Né, ovviamente, può rilevare a favore di Fusco Alessandro l’ulteriore circostanza che la zonetta di terreno utilizzata per l’ulteriore edificazione assentita con la concessione edilizia n. 130 del 2003 e il permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006 ad oggi risulti di sua proprietà esclusiva, posto che, solo dopo il rilascio di tali titoli edilizi, Fusco Alessandro ha acquistato da Fusco Rosa, in forza di contratto di compravendita dd. 29 agosto 2007 a rogito del notaio dott. Vincenzo di parte della particella n. 334 frazionata con la particella 5377, su cui insisteva il bagno comune, e quota parte della particella ex n. 333 frazionata con la particella 5376.

Tale circostanza infatti non è sanante ex tunc del difetto di legittimazione di Fusco Alessandro a chiedere sia la concessione edilizia n. 130 del 2003, sia il permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006, i quali, anche per tale (e di per sé assorbente) ragione, per certo non costitutiva di un vizio meramente formale, sono stati doverosamente annullati dall’Amministrazione comunale.

4.5. Per quanto poi attiene alla presunta preesistenza del locale di sgombero, o ex stalla, di cui al permesso di costruire n. 167 del 2006, ai rilievi fotografici allegati non può riconoscersi la valenza di prova sufficiente a dimostrare la preesistenza del locale-garage; né lo stesso rilevo aerofotogrammetrico prodotto dall’appellante può costituire dato certo in tal senso, essendo contraddetto dall’atto pubblico rogato in data 26 aprile 1905 dal Notaio dott. Francesco Suppa, acquisito al fascicolo di primo grado e dal quale si ricava che tale locale era in origine ubicato all’interno del cortile comune, nella zona adiacente al portico.

Né va sottaciuto che nei verbali di sopralluogo redatti dai funzionari dell’Amministrazione comunale, mai contestati dall’attuale appellante con querela di falso, è - per l’appunto espressis verbis accertata l’esistenza di un garage in costruzione, mai peraltro riportato nei grafici di progetto.

In ogni caso, comunque, risulta ulteriormente assorbente a tal fine la circostanza per cui, a fronte dell’assunto dell’appellante secondo cui “il progettista”, nella sua relazione, ha “specifica(to) che vi è stata la tempestiva ricostruzione di ciò che era stato abbattuto” ( cfr. pag. 34 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), l’attuale disciplina di piano non ammette – come detto innanzi al § 4.4. della presente sentenza - per l’UMI 2 dell’U.P.9 “delle Pietre” tipologie di intervento di ristrutturazione mediante abbattimento e ricostruzione, escludendo pure aumenti di altezza del fabbricato, di superficie, di volumetria, o di morfologia.

Da qui, dunque, l’ulteriormente assodata esistenza di un’ulteriore violazione commessa dal Fusco Alessandro, cui va riconosciuta natura sostanziale e non già meramente formale.

Né possono essere accolte le censure dedotte dall’appellante circa la necessità di una completa rappresentazione grafica del vano adibito a latrina, o- più esattamente -“rudere-latrina”, e della violazione della distanza minima tra i fabbricati, considerati entrambi dall’Amministrazione Comunale quali presupposti per l’annullamento della concessione edilizia n. 130 del 2003 e del permesso di costruire n. 167 del 2006.

Tale “rudere-latrina” insiste sulla predetta particella contraddistinta con il n. 334 ed era appartenente, in uno ad altri comodi, in comune ed in relazione ai proporzionali diritti, a Fusco Rosa, nonché a Fusco Costantino e Mingione Assunta, giusta atto del dott. Cutillo, notaio in Caserta, dd. 16 febbraio 1931 e del dott. Vincenzo Barletta, parimenti notaio in Caserta, dd. 10 agosto 1983.

Fusco Alessandro ha al riguardo sostenuto l’applicabilità nella specie dell’art. 118 del Regolamento Edilizio del Comune di Caserta, il quale dispone – per quanto qui segnatamente interessa – che la distanza minima tra pareti cieche e/o non finestrate nella zona C deve essere pari a 3 metri.

Il medesimo Fusco Alessandro afferma che tale distanza sarebbe stata, per l’appunto, da lui rispettata nell’edificazione del locale deposito o ex stalla: ma tale assunto è smentito dal verbale di sopralluogo del 27 marzo 2007, laddove il manufatto risulta collocato ad un distanza inferiore a m. 3 metri dal rudere-latrina di proprietà comune a Fusco- Mingione, e a m. 6,50 dal confine, ossia anche in violazione delle disposizioni sulla distanza minima tra i fabbricati, prevista, come detto innanzi, per la zona C3 in m. 10, non risultando presentato alcun planovolumetrico dell’intera zona.

4.6. Da ultimo, per quanto segnatamente attiene all’asseritamente errata o insufficiente rappresentazione del c.d.“principio della ragione sufficiente”, va evidenziato che Fusco Alessandro ha affermato, in sostanza, che l’omessa rappresentazione del “rudere-latrina” nei grafici di progetto di cui agli annullati titoli abilitativi non avrebbe sottratto all’Amministrazione comunale un elemento essenziale ai fini della verifica, in sede di istruttoria, della distanza tra i fabbricati e dai confini.

A parte l’assorbenza della constatazione che la violazione di tali distanze è materialmente esistente e non costituisce – a differenza di quanto sostenuto dall’appellante – un vizio “meramente formale”, va osservato che il giudice di primo grado ha comunque fatto buon governo nella specie di un principio per certo rilevante per il caso in esame, ben consolidato nella giurisprudenza e in forza del quale, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6554, nonché Sez. V, 12 ottobre 2004 n. 6554).

In dipendenza di ciò, risulta del tutto in conferente, nell’economia di causa, il richiamo dell’appellante alla disciplina contenuta negli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 241 del 1990, la circostanza per cui è causa non integrando le ipotesi ivi previste; semmai, proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo – esso sì - non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidati nel dispositivo.

Va – altresì – dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 corrisposto per il presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna Fusco Alessandro al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 2.500,00.- (duemilacinquecento/00) a favore del Comune di Caserta e nella misura di € 2.500,00.- (duemilacinquecento/00) a favore di Fusco Costantino e Mingione Assunta.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 corrisposto per il presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/08/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)