Cass.Sez. III n. 3139 del 23 gennaio 2014 (Ud 3 dic 2013)
Pres.Squassoni Est. Scarcella Ric. Domingo e altro
Urbanistica.Ordine di demolizione dato dal giudice e ordine di demolizione dato dalla P.A.

In materia di illeciti edilizi, il beneficio della sospensione condizionale della pena può legittimamente essere subordinato alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, mediante la demolizione dell'opera abusivamente eseguita, alla sola condizione che il condannato non sia impossibilitato ad ottemperare a tale ordine per effetto della già avvenuta acquisizione dell'opera al patrimonio del Comune. (In motivazione, la Suprema Corte ha escluso che il provvedimento giurisdizionale di subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'immobile abusivo costituisca esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 03/12/2013
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 3443
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere - N. 32910/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DOMINGO LEONARDO, n. 12/08/1968 ad Alcamo;
ROMANO VINCENZA, n. 8/07/1974 ad Alcamo;
avverso la sentenza della Corte d'Appello di PALERMO in data 15/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Cons. dott. POLICASTRO Aldo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. DOMINGO LEONARDO e ROMANO VINCENZA hanno proposto separatamente, a mezzo del difensore fiduciario - procuratore speciale cassazionista, tempestivi ricorsi avverso la sentenza della Corte d'Appello di PALERMO in data 15/03/2013, depositata in data 18/03/2013, confermativa della sentenza 16/02/2010 emessa dal Tribunale di TRAPANI - SEZ. DIST. DI ALCAMO, con cui i medesimi imputati sono stati condannati alla pena di giorni quindici di arresto ed 10.000,00 Euro di ammenda ciascuno, ritenuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche e demolizione delle opere abusive se non altrimenti eseguita, per i seguenti reati: a) artt. 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), ora sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (perché, in concorso tra loro, quali coniugi versanti in regime patrimoniale di comunione legale dei beni tra di loro e comproprietari dell'immobile, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e in assenza della prescritta concessione edilizia/permesso di costruire, ponevano abusivamente in essere, un appezzamento di terreno ubicato in zona sismica di Alcamo, via Mirga o C.da Vallone di Nuccio, opere edili consistenti nella realizzazione, con struttura di cemento armato e copertura a due falde spioventi con travi e tavole in legno e tegole soprastanti, di un fabbricato ad una sola elevazione fuori terra, internamente in parte rifinito e privo di infissi, sanitari e rubinetteria, occupante una superficie di mq. 170 circa e della recinzione, costituita da muri in cemento armato alti mt. 0,80 circa, del lotto in cui il succitato manufatto è stato costruito); b) artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 13 in relaz. alla L. n. 1086 del 1971, art. 2, commi 1 e 2, ora sostituiti dall'art. 71 in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 64, commi 2 e 3, (per avere, nelle condizioni e qualità di cui al capo a), realizzato le predette opere edili abusive senza che l'esecuzione di queste avvenisse in base ad un progetto esecutivo redatto e sotto la direzione di un ingegnere o architetto o geometra o perito industriale edile iscritto nel relativo albo e nei limiti delle proprie competenze); d) artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 20 in relazione alla L. n. 64 del 1974, artt. 1, 3, 17 e 18 ora sostituiti dall'art. 95, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 52, 83, 93 e 94 (per avere, nelle condizioni e qualità di cui sopra, realizzato in zona sismica le predette opere edili abusive, senza aver dato preavviso scritto al competente ufficio del Genio civile, senza la preventiva autorizzazione scritta di quest'ultimo e in difformità dalle prescrizioni tecniche previste dalla legge sismica e dai relativi decreti interministeriali). Tutti accertati in Alcamo, il 9/03/2009.
2. Ricorrono avverso la predetta sentenza gli imputati, a mezzo del difensore fiduciario - procuratore speciale cassazionista, deducendo, il primo, 6 motivi di ricorso e, la seconda, 5 motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3. Il DOMINGO deduce, con il primo motivo, l'erronea applicazione dell'art. 110 c.p. e dell'art. 530 c.p.p. con riferimento a tutti i reati di cui al capo d'imputazione (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 71 e 95); in sintesi, si duole il ricorrente per aver la Corte territoriale individuato la responsabilità del Domingo sulla base di alcuni elementi: 1) essere coniuge della Romano, proprietaria e committente dei lavori; 2) essere acquirente dell'area su cui si è edificato abusivamente; c) essere sostanzialmente comproprietario in quanto il fondo era stato acquistato in regime di comunione legale;
4) essere la costruzione destinata a casa di abitazione della famiglia. Ad avviso del ricorrente, nessuno di essi si troverebbe in rapporto causale necessario con l'assunzione della qualità di committente dei lavori abusivi, fondante l'ipotesi di concorso ex art. 110 c.p..
4. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, poi, come primo motivo di ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione dell'art. 157 c.p. con riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 71 e 95, ex art. 606 c.p.p., lett. b); si dolgono, in sintesi, per non aver la Corte territoriale dichiarato l'estinzione per prescrizione dei reati, essendo emerso che la costruzione fosse stata eseguita nell'estate del 2007, laddove invece la Corte d'appello avrebbe individuato quale data di consumazione quella del sequestro; essendo i reati di costruzione abusiva reati istantanei, la condotta illecita si sarebbe consumata al momento dell'arresto dei lavori anche se la costruzione non era ultimata.
5. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ancora, come secondo motivo di ricorso comune ad entrambi, l'illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento alla tempo di consumazione del reato, in quanto dall'istruttoria sarebbe emerso che la costruzione abusiva si trovava nella consistenza attuale sin dall'agosto 2007; tale risultanza istruttoria sarebbe stata ignorata dalla Corte territoriale, facendo riferimento ad un pregiudizio di verosimiglianza che l'intenzione dei proprietari dell'immobile fosse quello di continuare nell'attività edilizia. 6. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ulteriormente, come terzo motivo di ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione dell'art. 165 c.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e); la Corte territoriale, come già il primo giudice, non avrebbe dato alcuna motivazione circa i criteri di giudizio utilizzati per subordinare l'efficacia della sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato abusivo.
7. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, inoltre, come quarto motivo di ricorso comune ad entrambi, ancora l'erronea applicazione dell'art. 165 c.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e), per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l'eliminazione dell'immobile abusivo integrasse la fattispecie all'art. 165 c.p., facendo così erronea ed immotivata applicazione del concetto di danno nella stessa norma indicato; in sintesi, si dolgono i ricorrenti per aver il giudice d'appello affermato che la costruzione abusiva costituisce un danno in re ipsa, affermazione che non consentirebbe alcuna prova ne' in senso favorevole ne' contrario, ponendosi in contrasto con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, che prevedendo la possibilità del Comune di conservare il manufatto abusivo ne esclude, per ciò stesso, la consistenza dannosa in sè, altrimenti il Comune dovrebbe comunque demolirlo. 8. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, infine, come quinto motivo di ricorso comune ad entrambi, l'erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, per difetto di attribuzione, in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. a); in sintesi, si dolgono i ricorrenti poiché il giudice di merito, subordinando la sospensione condizionale della pena all'eliminazione del fabbricato, avrebbe sottratto al Comune la possibilità di valutazione e di scelta di acquisire al suo patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i fabbricati abusivi non spontaneamente demoliti dai proprietari, valutazione e scelta propria degli organi della PA e, nello specifico, del Consiglio comunale a cui la legge sugli Enti locali attribuisce il potere programmatorio sul territorio. CONSIDERATO IN DIRITTO
9. Ambedue i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per le ragioni di seguito evidenziate.
10. Quanto al primo motivo proposto dal DOMINGO, con cui questi si duole dell'erronea applicazione dell'art. 110 c.p. e dell'art. 530 c.p.p. con riferimento a tutti i reati di cui al capo d'imputazione (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44, 71 e 95), per l'assenza di elementi conducenti ad attribuire la responsabilità dei fatti al ricorrente, lo stesso si appalesa inammissibile per genericità, in quanto non tiene in conto di quanto puntualmente argomentato dai giudici d'appello sul punto. È pacifico, infatti, che è inammissibile per genericità il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 - dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 243838). Ed invero, la sentenza impugnata si fa carico specificamente di disattendere l'omologo motivo di appello, evidenziando come fosse da escludere che l'imputato Domingo non avesse contribuito alla realizzazione delle opere abusive, in quanto mero coniuge in regime di comunione dei beni con la ROMANO, unica proprietaria del lotto di terreno in cui erano stati realizzati i manufatti in questione. La Corte territoriale, sul punto, deduce argomentatamente come, pur essendo vero che l'atto di acquisto del predetto lotto fosse solo in favore della moglie dell'imputato (e, dunque, che lo stesso non fosse formalmente il comproprietario), era, tuttavia, altrettanto pacifico come dal rogito notarile emergesse che l'acquisto era stato effettuato con assegno bancario trattato dal c/c del DOMINGO, elemento, questo, comprovante la consapevolezza dell'imputato quale comproprietario non dichiarato del bene immobile il quale - come correttamente evidenziato dalla Corte d'appello - essendo i coniugi in regime di comunione legale al momento della stipula del rogito, ne' essendovi una diversa indicazione, sarebbe stato considerato in caso di successiva separazione ricadente nel patrimonio di entrambi. Ulteriore elemento che consente di riferire anche soggettivamente i fatti al DOMINGO è costituito dalla presenza in atti di un verbale di dissequestro dell'immobile in cui ambedue gli imputati si qualificarono e sottoscrissero come "proprietari"; infine, come sempre risulta dalla sentenza impugnata, altro elemento di indubbia rilevanza in tal senso, è costituito dalla circostanza che il manufatto abusivo principale, era destinato ad abitazione della ROMANO e della sua famiglia.
Sulla scorta di tali inequivoci elementi indiziari, dunque, ben può essere ritenuto il DOMINGO comproprietario del lotto su cui venne edificato l'immobile abusivo, a nulla rilevando la circostanza che questi giuridicamente non fosse il comproprietario del lotto medesimo, prevalendo la realtà fattuale sull'apparenza giuridica. Tanto premesso, è pacifico nella giurisprudenza di questa Sezione che la responsabilità del comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato (v., tra le tante: Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012 - dep. 03/07/2012, Zeno e altro, Rv. 253065). Nel caso in esame, come già anticipato la responsabilità del Domingo venne identificata sulla base di alcuni elementi: 1) essere coniuge della Romano, proprietaria e committente dei lavori; 2) essere acquirente dell'area su cui si è edificato abusivamente; c) essere sostanzialmente comproprietario, in quanto il fondo era stato acquistato in regime di comunione legale; 4) essere la costruzione destinata a casa di abitazione della famiglia. Trattasi di elementi indiziari sufficienti a ritenere provata la compartecipazione del ricorrente nella realizzazione dei reati oggetto di volontà comune con il coniuge Romano Vincenza, di talché è evidente come la Corte territoriale non sia incorsa nell'invocata violazione dell'art. 110 cod. pen..
11. Quanto al primo motivo di ricorso comune ad entrambi i ricorrenti, lo stesso si appalesa, al pari del precedente, inammissibile perché generico, in quanto non tiene in conto di quanto puntualmente argomentato dai giudici d'appello sul punto. Ed infatti, la Corte territoriale chiarisce che i reati non potevano dichiararsi estinti per prescrizione in quanto, al momento dell'accertamento (9/03/2009), l'immobile non era definito, mancava di impianto elettrico, rubinetterie, sanitari ed infissi e vi erano tracce di cantiere attorno ad esso, come emergeva dalle fotografie in atti; la stessa corte, peraltro, esclude che fosse verosimile che i coniugi avessero abbandonato i lavori, in quanto l'immobile era destinato a comune abitazione. Secondo i ricorrenti la costruzione sarebbe stata eseguita nell'estate del 2007, laddove invece la Corte d'appello avrebbe individuato quale data di consumazione quella del sequestro, così commettendo un errore, attesa la natura istantanea del reato di costruzione abusiva. Tale doglianza è destituita di fondamento, atteso che il reato de quo, ha natura permanente. La cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va, infatti, individuato nel momento dell'ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta nella L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31 e che anticipa tale momento a quello dell'ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso di costruire: v., ex multis: Sez. 3, n. 33013 del 03/06/2003 - dep. 05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv. 225553).
12. In ordine, poi, al secondo motivo di ricorso comune ad entrambi, lo stesso è inammissibile per genericità per le medesime ragioni già esposte in sede di confutazione del primo motivo comune ad ambedue i ricorrenti, cui pertanto si rinvia. Il riferimento al cd. pregiudizio di verosimiglianza che inficerebbe la valutazione del giudice d'appello, secondo cui l'intenzione dei proprietari dell'immobile era quella di continuare nell'attività edilizia, in realtà si risolve in un'infondata critica del ragionamento logico attraverso il quale la Corte territoriale è pervenuta argomentatamente a ritenere che alla data del 2009 le opere non fossero ancora ultimate. Poiché l'accertamento relativo all'ultimazione dei lavori costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato, ne discende che, non rilevandosi alcun vizio motivazionale della decisione sul punto, la censura difensiva dev'essere disattesa. 13. In ordine al terzo motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato sull'asserita assenza di motivazione circa i criteri di giudizio utilizzati per subordinare l'efficacia della sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato abusivo, è sufficiente richiamare in questa sede, per disattenderne la consistenza argomentativa, quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 - dep. 03/02/1997, Luongo, Rv. 206659) secondo cui il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile. È ben vero che il potere di "subordinazione" è previsto dalla legge come discrezionale, ma è altrettanto vero che la demolizione ordinata dal giudice configura una sanzione amministrativa specifica, che ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene urbanistico offeso ed è, quindi, un provvedimento giurisdizionale che irroga una sanzione amministrativa in via accessoria rispetto alla sanzione penale, svolgendo una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e riconnettendosi, conseguentemente, all'interesse sotteso all'esercizio stesso dell'azione penale, dal momento che l'incriminazione del reato urbanistico ha per oggetto, in senso sostanziale e finale, la tutela dell'assetto del territorio (v., sul punto: Sez. 3, sentenza n. 25930 del 2013, Tascone, non massimata). Ne discende, pertanto, che il giudice esercita legittimamente il potere discrezionale di subordinare il beneficio di cui all'art. 163 alla demolizione dei manufatti abusivi ogniqualvolta, come avvenuto nel caso di specie, la prognosi di astensione del reo dal commettere nuovi reati richiede, quale manifestazione di effettivo ravvedimento, l'adempimento di un obbligo di tacere funzionale direttamente al ripristino del bene offeso. E ciò si evince chiaramente dalla motivazione dell'impugnata sentenza, laddove si evidenzia che nessuno dei ricorrenti si era attivato per demolire i manufatti abusivi nonostante a ciò ingiunti dal Comune, comportamento, questo, che giustificava, in assenza di uno spontaneo adempimento dell'obbligo demolitorio, l'esercizio del potere discrezionale di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo entro il termine di gg. 90 dal passaggio in giudicato della sentenza.
14. In ordine al quarto motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato ancora sull'asserita violazione dell'art. 165 c.p. per aver il giudice d'appello affermato che la costruzione abusiva costituisce un danno in re ipsa, affermazione che non consentirebbe alcuna prova ne' in senso favorevole ne' contrario, ponendosi in contrasto con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, a sottolinearne l'inammissibilità per manifesta infondatezza è sufficiente richiamar quanto già in precedenza affermato da questa Corte, secondo cui la subordinazione della concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, da parte del condannato, dell'opera abusiva, è da ritenersi, in via generale, legittima, in quanto corrispondente alla espressa previsione dell'art. 165 c.p., comma 1, configurandosi la presenza sul territorio di una costruzione, realizzata in violazione della legge, come conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (Sez. 1, n. 7660 del 06/06/1996 - dep. 02/08/1996, Spina ed altro, Rv. 205709). Peraltro, nessun contrasto è ravvisabile con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5 poiché è altrettanto pacifico che l'ordine di demolizione è operativo fino a quando, con esso, il parallelo e concorrente ordine della P.A. persegua lo stesso obiettivo, oppure fino a quando la stessa Amministrazione rimanga inerte, omettendo, cioè, sia di ingiungere la demolizione, sia di procedere all'acquisizione dell'opera: nel caso in cui, invece, la P.A. abbia proceduto all'acquisizione dell'opera, con specifica deliberazione contraria alla demolizione, viene a verificarsi, rispetto all'obbligo di osservare l'ordine del giudice, una situazione oggettivamente impeditiva, sicché sarebbe illegittima la condizione apposta alla concessione del predetto beneficio, consistente nel subordinare la concessione stessa alla demolizione dell'opera, allorquando sia sopravvenuta l'impossibilità per il condannato di ottemperare a tale ordine. Poiché, però, dalla sentenza impugnata atti non risulta che la P.A. abbia proceduto all'acquisizione dell'opera, nessuna illegittimità della "subordinazione" è ravvisabile nel caso in esame.
15. In ordine, infine, al quinto motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato sull'asserita erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, per aver sottratto i giudici di merito al Comune la possibilità di valutazione e di scelta di acquisire al suo patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i fabbricati abusivi non spontaneamente demoliti dai proprietari, l'inammissibilità per manifesta infondatezza del medesimo discende dall'ovvia considerazione che l'ordine di demolizione ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei confronti dell'interesse tutelato dalla norma. Proprio l'art. 165 cod. pen. prevede che la sospensione della pena può essere subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e non può esservi dubbio che il manufatto abusivamente realizzato costituisce, come già in precedenza evidenziato, conseguenza del reato edilizio dannosa per l'assetto del territorio. Ne discende, pertanto, che, costituendo l'ordine di demolizione di opera abusiva, dato dal giudice, atto dovuto in caso di condanna e di mancata esecuzione della demolizione, non è nemmeno ipotizzabile un contrasto con il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, che disciplina l'ordine di demolizione amministrativo (con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso) "salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali". Non è, invero, ipotizzabile alcun rapporto alternativo tra l'ordine di demolizione emesso dall'A.G. e l'ordine emesso dalla Pubblica Amministrazione, dal momento che la misura emessa dal giudice rappresenta un rafforzamento di quella adottata dall'autorità amministrativa ed è diretta a rendere ineludibile l'obbligo della demolizione delle opere abusive e dal momento, altresì, che essa va subito revocata a cura dello stesso giudice (e tale revocabilità conferma il carattere amministrativo della sanzione) qualora vengano meno i presupposti che l'avevano determinata (v., in tal senso: Sez. 3, n. 73 del 30/04/1992 - dep. 12/06/1992, Rizzo, Rv. 190604).
Alla luce di quanto evidenziato, pertanto, non sussiste la denunciata violazione dell'art. 606 cod. proc. pen., lett. a); tale norma considera, quale motivo di ricorso per cassazione, che giustifica l'annullamento senza rinvio della sentenza (art. 620 cod. proc. pen.), l'esercizio da parte del giudice di merito di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri. L'esercizio di una potestà riservata agli organi dell'amministrazione si realizza quando il giudice con il provvedimento impugnato abbia usurpato poteri amministrativi (ad esempio, annullando o revocando un atto amministrativo) e, cioè, abbia esercitato una potestà tipica spettante all'amministrazione. Non sussiste pertanto l'esercizio di una siffatta potestà allorché il giudice ordina la demolizione dell'opera abusiva, atto dovuto in caso di condanna e di mancata esecuzione della demolizione, previsto espressamente dal cit. art. 31 comma 9 che obbliga infatti il giudice "per le opere abusive di cui al presente articolo" ad ordinare "con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44 ... la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita". Ed è pacifico che la clausola normativa "se non altrimenti eseguita" non attiene ad un limite estrinseco al potere del giudice, ma considera la eventualità del suo esercizio, che può renderlo "inutiliter datum" quando l'offesa sia rimossa anche mediante acquisizione al patrimonio del Comune, circostanza - come detto - non emergente dall'impugnata sentenza (Sez. 3, n. 7148 del 07/05/1998 - dep. 15/06/1998, Dionisi L, Rv. 211220).
16. I ricorsi vanno, dunque, dichiarati entrambi inammissibili. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2014