Cass. Sez. III sent. 23126 del
20 giugno 2005 (c.c. del 19 maggio 2005)
Pres. ONorato Rel. Franco Ric. Riccardi
Urbanistica - Condono edilizio
La possibilità di completare i lavori sotto la propria responsabilità dopo la presentazione della domanda di condono secondo quanto disposto dall'art. 35 comma 14 Legge 4785 non esclude la possibilità del sequestro penale né determina la caducazione del sequestro preventivo già in essere
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 705
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 11047/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RICCARDI Enrico;
avverso l'ordinanza emessa il 27 gennaio 2005 dal tribunale di Napoli, quale
giudice del riesame;
udita nella udienza in Camera di consiglio del 19 maggio 2005 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli ha respinto la
richiesta di riesame proposta da Riccardi Enrico avverso il decreto di sequestro
preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Nola
il 21.12.2004, riguardante una manufatto abusivamente in corso di realizzazione
senza il permesso di costruire e composto da un piano terra ed un primo piano.
L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo violazione ed erronea
applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e degli artt. 38 e 39 legge 28
febbraio 1985, n. 47, come richiamati dal d.l. 30 settembre 2003, convertito con
modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
In sostanza lamenta che il tribunale del riesame non ha accolto la sua eccezione
secondo cui l'immobile in questione non avrebbe potuto essere sottoposto a
sequestro preventivo in quanto in ordine allo stesso era stata proposta domanda
di condono edilizio con il versamento della prima rata e lamenta altresì che il
tribunale del riesame ha omesso di valutare se permaneva il fumus del reato o
questo non fosse già estinto per oblazione e se l'indagato avesse il diritto
alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio
1985, n. 47.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La stesso ricorrente, invero, deduce solo che è stata presentata domanda di
condono edilizio e non anche che si è già verificata la relativa causa di
estinzione del reato, tanto che si limita a invocare la sospensione del
procedimento in attesa della definizione della domanda di condono. Senonché,
secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di condono
edilizio la sospensione del procedimento penale prevista dall'art. 38 e
dall'art. 44 legge 28 febbraio 1985, n. 47, non impedisce l'adozione dei
provvedimenti cautelari e probatori, che proprio per la loro natura mirano a
mantenere fermo lo stato della cosa e ad impedire che alla stessa vengano
apportate modifiche. D'altronde la finalità della sospensione non contrasta con
quella del sequestro, perché la prima mira ad evitare che si pervenga ad una
possibile condanna in riferimento a reati da dichiarare estinti mentre il
secondo mira o ad assicurare la prova in ordine al reato ipotizzato o a non
consentire all'interessato, attraverso la presentazione di una domanda alla
quale o non si possa dar seguito o non segua l'intero pagamento dell'oblazione,
di portare avanti la costruzione, che è certamente in astratto illecita, pur se
sanabile. Deve inoltre ritenersi analogicamente applicabile il principio
ricavabile dall'art. 3 cod. proc. pen. secondo cui è sempre consentito il
compimento degli atti urgenti. D'altra parte corrisponde ad un principio
elementare di logica giuridica che il giudice non sia privato del potere di
urgenza per le vicende che attengono al merito della controversia (Sez. 3^, 24
febbraio 2005, Russa; Sez. 3^, 26 maggio 1995, Simonini, m. 202.484; Sez. 3^, 6
febbraio 1996, Fusco, m. 204.708; Sez. 3^, 1 marzo 1995, Matera, m. 201.988;
Sez. 3^, 2 marzo 1995, Clemente, m. 200.925).
Su tale questione questa Corte si è pronunziata innumerevoli volte con una
pluralità di argomentazioni contenute anche nelle numerose decisioni che assai
puntualmente e diligentemente l'ordinanza impugnata richiama e riporta, ed al
cui contenuto può in questa sede farsi rinvio.
Per completezza, possono solo ricordarsi, tra le più recenti, Sez. 3^,
16.06.2004, Neri, m. 229.390, secondo cui "in materia edilizia, la possibilità
che le opere realizzate abusivamente siano suscettibili di sanatoria ai sensi
del condono edilizio (di cui all'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269,
convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326) non impedisce da parte del giudice
l'adozione di provvedimenti urgenti quali il sequestro preventivo o probatorio,
atteso che questi sono finalizzati ad impedire che i reati siano portati ad
ulteriori conseguenze o ad assicurarne la prova", e Sez. 3^, 11.06.2004,
Pietrosanto, m. 229.009, secondo cui "La sospensione del procedimento penale a
seguito della presentazione della domanda di condono edilizio, regolato
dall'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con legge 24 novembre
2003 n. 326, non determina la impossibilità per il giudice di disporre la misura
cautelare del sequestro preventivo, atteso che può permanere la necessità di
impedire la prosecuzione del comportamento illecito in relazione ad una
fattispecie della quale va altresì ancora verificata la esistenza dei requisiti
che producono l'estinzione del reato". Pertanto, come esattamente osservato dal
tribunale del riesame, il fatto che in relazione al manufatto sequestrato sia
stata presentata richiesta di condono edilizio ai sensi dalla legge n. 326/2003,
non incide sulla legittimità del disposto sequestro preventivo, se non altro
perché tale procedura di condono non si è ancora conclusa e l'esistenza in
concreto della operatività della causa estintiva del reato non è stata accertata
dal competente giudice penale. Per di più, deve anche essere rilevato che nella
specie è molto dubbio che sussistano i presupposti di legge perché possa essere
legittimamente concesso il condono edilizio per il manufatto abusivo in
questione, e quindi che si tratti di immobile condonabile, dal momento che dalla
ordinanza impugnata emerge che il fabbricato in esame (composto da piano terra e
da primo piano, da considerarsi unitariamente) al momento del sopralluogo del 16
dicembre 2004 non era stato ancora ultimato (primo piano ancora allo stato
grezzo e privo di tramezzature interne) e di conseguenza è assai improbabile che
quasi due anni prima, ossia alla data del 31 marzo 2003 - termine ultimo
previsto delle nuove disposizioni sul condono edilizio - lo stesso fosse già
ultimato sia pure ai sensi dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Si
tratta di un accertamento che dovrà essere fatto dal giudice della cognizione,
il quale dovrà appunto verificare se sussista la prova che alla data del 31
marzo 2003 il manufatto fosse già ultimato ai sensi della detta disposizione e
fosse quindi suscettibile di condono. In questa sede cautelare, però, da quanto
risulta dalla ordinanza impugnata, sembrerebbe doversi presumere che non
sussistano le condizioni per la condonabilità e non il contrario. Quindi, vi è
semmai il fumus che l'immobile in questione non sia condonabile e non il fumus
che possa beneficiare del condono.
Anche alla luce di queste considerazioni appare come sia chiaramente infondato,
sotto molteplici profili, anche il motivo di ricorso secondo cui non si sarebbe
potuto disporre il sequestro preventivo perché il ricorrente avrebbe avuto il
diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28
febbraio 1985, n. 47.
In primo luogo, infatti, questo diritto presuppone pur sempre che l'immobile sia
condonabile, e quindi, innanzitutto, che sia stato ultimato ai sensi dell'art.
31 nel termine di legge, mentre allo stato vi è un fumus della inesistenza di
questo presupposto. In secondo luogo, non può nemmeno trovare applicazione il
disposto dell'art. 43, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47,
giacché il factum principis, costituito dal sequestro preventivo, è comunque
intervenuto in una data successiva a quella del 31 marzo 2003, entro la quale
doveva essere già avvenuta l'ultimazione dell'edificio.
In terzo luogo, quand'anche, per ipotesi, sussistessero i presupposti per la
applicazione del condono edilizio, ci si troverebbe in una situazione che di per
sè non da diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14,
legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi non impedisce la sottoposizione
dell'immobile a sequestro, in quanto occorre, perché il sequestro non possa
essere disposto o possa essere revocato, che si verifichino tutti i presupposti
e le condizioni previsti dalla detta disposizione. E difatti, sempre che
l'immobile sia condonabile e quindi sempre che, innanzitutto, sia stato ultimato
ai sensi dell'art. 31 entro la data del 31 marzo 2003, la costruzione può essere
legittimamente proseguita soltanto quando sia puntualmente rispettata la
procedura prevista dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e
quindi soltanto quando: a) siano decorsi 120 giorni dalla presentazione della
domanda di condono e vi sia stato il versamento della seconda rata della
oblazione; b) si tratti delle opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle
indicate dall'art. 33; c) l'interessato abbia notificato al comune il proprio
intendimento di completare le opere consentite, allegando perizia giurata ovvero
documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi; d) i
lavori inizino non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
È per questo motivo che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato
che "il fatto che, a norma del quattordicesimo comma dell'art. 35 legge 28
febbraio 1985, n. 47, il presentatore dell'istanza di sanatoria possa completare
sotto la propria responsabilità, le opere edilizie abusive suscettibili di
sanatoria non significa di per sè che vengano meno le esigenze preventive che
legittimano il sequestro cautelare a norma dell'art. 321 cod. proc. pen. (nella
specie la S.C. ha osservato che non risultava si fossero già realizzate le
condizioni richieste dalla norma per il completamento delle opere, vale a dire
oltre al decorso di centoventi giorni dalla presentazione della domanda di
sanatoria, il versamento della seconda rata dell'oblazione, nonché la notifica
al comune dell'intendimento di completare le opere, con l'allegazione di perizia
giurata, ovvero di documentazione avente data certa in ordine allo stato dei
lavori abusivi: in assenza di queste condizioni il completamento delle opere
nella prospettiva della sanatoria era evento solo futuro e incerto, sicché
permanevano le esigenze cautelari che presiedevano all'istituto del sequestro
preventivo)" (Sez. 3^, 2.5.96, Prestigiacomo, m. 205.253) e che "l'ambito di
applicabilità della disciplina contemplata dall'art. 35, quattordicesimo comma,
della legge n. 47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con
prestabilite scansioni temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente
dimostrato, e non esclude la possibilità del sequestro penale, attese le
differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa. Ed invero
permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la
prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, giacché
il presentatore dell'istanza di condono esegue gli stessi sotto la propria
responsabilità, sicché occorre sempre effettuare una valutazione,
necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla sussistenza della causa di
estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994" (Sez. 3^,
2.7.96, De Santis, m. 206.050).
D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui entro il termine di legge (31 marzo
2003) sia stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato
abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile
senza l'osservanza della procedura di cui all'art. 35, comma 14, legge 28
febbraio 1985, n. 47, determina l'applicabilità delle sanzioni penali, escluse
quelle amministrative (art. 38, comma 4), giacché se la detta procedura non sia
stata rispettata o non sussistano i presupposti richiesti o se i lavori siano
posti in essere prima del momento in cui la legge consente la loro esecuzione,
il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile, pur se
l'immobile non debba essere demolito (Sez. 3^, 10.5.1999, Cimini, m. 214.368),
tanto che, nel caso in cui un immobile sequestrato e poi oggetto di condono sia
stato restituito al proprietario a seguito di dissequestro, la prosecuzione
della costruzione senza il rispetto della procedura stabilita dall'art. 35,
comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, configura un nuovo ed autonomo reato
urbanistico (Sez. 3^, 8.11.2000, Martino, m. 218.001).
In definitiva, attese le differenze proprie della materia penale e di quella
amministrativa, la possibilità, per il presentatore dell'istanza di concessione
o autorizzazione in sanatoria, di completare sotto la propria responsabilità le
opere di cui all'art. 31 legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevista dal successivo
art. 35, quattordicesimo comma, non può escludere la possibilità del sequestro
penale, ne' può far venir meno automaticamente il sequestro preventivo, che
potrà essere caducato solo quando il giudice penale, nell'ambito delle sue
attribuzioni, riterrà che sia cessata la funzione cautelare o quando, al
verificarsi di tutte le condizioni occorrenti, dichiarerà che il reato è estinto
(Sez. 3^, 15 dicembre 1995, Russo, m. 204.315).
Nella specie il ricorrente non solo non ha dato nessuna prova ma non ha nemmeno
allegato di avere iniziato la procedura di cui all'art. 35, co. 14, legge 28
febbraio 1985, n. 47, sicché non può vantare, sotto nessun profilo, alcun
diritto alla prosecuzione della costruzione abusiva.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio
2005.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2005
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio Dott. ONORATO
Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005 Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
SENTENZA Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 705 Dott. SQUASSONI Claudia -
Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N.
11047/2005 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da:
RICCARDI Enrico; avverso l'ordinanza emessa il 27 gennaio 2005 dal tribunale di
Napoli, quale giudice del riesame; udita nella udienza in Camera di consiglio
del 19 maggio 2005 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco; udito
il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli ha
respinto la richiesta di riesame proposta da Riccardi Enrico avverso il decreto
di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del
tribunale di Nola il 21.12.2004, riguardante una manufatto abusivamente in corso
di realizzazione senza il permesso di costruire e composto da un piano terra ed
un primo piano. L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo violazione
ed erronea applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e degli artt. 38 e 39
legge 28 febbraio 1985, n. 47, come richiamati dal d.l. 30 settembre 2003,
convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326. In sostanza
lamenta che il tribunale del riesame non ha accolto la sua eccezione secondo cui
l'immobile in questione non avrebbe potuto essere sottoposto a sequestro
preventivo in quanto in ordine allo stesso era stata proposta domanda di condono
edilizio con il versamento della prima rata e lamenta altresì che il tribunale
del riesame ha omesso di valutare se permaneva il fumus del reato o questo non
fosse già estinto per oblazione e se l'indagato avesse il diritto alla
prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985,
n. 47. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato. La stesso ricorrente,
invero, deduce solo che è stata presentata domanda di condono edilizio e non
anche che si è già verificata la relativa causa di estinzione del reato, tanto
che si limita a invocare la sospensione del procedimento in attesa della
definizione della domanda di condono. Senonché, secondo la costante
giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di condono edilizio la
sospensione del procedimento penale prevista dall'art. 38 e dall'art. 44 legge
28 febbraio 1985, n. 47, non impedisce l'adozione dei provvedimenti cautelari e
probatori, che proprio per la loro natura mirano a mantenere fermo lo stato
della cosa e ad impedire che alla stessa vengano apportate modifiche. D'altronde
la finalità della sospensione non contrasta con quella del sequestro, perché la
prima mira ad evitare che si pervenga ad una possibile condanna in riferimento a
reati da dichiarare estinti mentre il secondo mira o ad assicurare la prova in
ordine al reato ipotizzato o a non consentire all'interessato, attraverso la
presentazione di una domanda alla quale o non si possa dar seguito o non segua
l'intero pagamento dell'oblazione, di portare avanti la costruzione, che è
certamente in astratto illecita, pur se sanabile. Deve inoltre ritenersi
analogicamente applicabile il principio ricavabile dall'art. 3 cod. proc. pen.
secondo cui è sempre consentito il compimento degli atti urgenti. D'altra parte
corrisponde ad un principio elementare di logica giuridica che il giudice non
sia privato del potere di urgenza per le vicende che attengono al merito della
controversia (Sez. 3^, 24 febbraio 2005, Russa; Sez. 3^, 26 maggio 1995,
Simonini, m. 202.484; Sez. 3^, 6 febbraio 1996, Fusco, m. 204.708; Sez. 3^, 1
marzo 1995, Matera, m. 201.988; Sez. 3^, 2 marzo 1995, Clemente, m. 200.925). Su
tale questione questa Corte si è pronunziata innumerevoli volte con una
pluralità di argomentazioni contenute anche nelle numerose decisioni che assai
puntualmente e diligentemente l'ordinanza impugnata richiama e riporta, ed al
cui contenuto può in questa sede farsi rinvio. Per completezza, possono solo
ricordarsi, tra le più recenti, Sez. 3^, 16.06.2004, Neri, m. 229.390, secondo
cui "in materia edilizia, la possibilità che le opere realizzate abusivamente
siano suscettibili di sanatoria ai sensi del condono edilizio (di cui all'art.
32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n.
326) non impedisce da parte del giudice l'adozione di provvedimenti urgenti
quali il sequestro preventivo o probatorio, atteso che questi sono finalizzati
ad impedire che i reati siano portati ad ulteriori conseguenze o ad assicurarne
la prova", e Sez. 3^, 11.06.2004, Pietrosanto, m. 229.009, secondo cui "La
sospensione del procedimento penale a seguito della presentazione della domanda
di condono edilizio, regolato dall'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269,
convertito con legge 24 novembre 2003 n. 326, non determina la impossibilità per
il giudice di disporre la misura cautelare del sequestro preventivo, atteso che
può permanere la necessità di impedire la prosecuzione del comportamento
illecito in relazione ad una fattispecie della quale va altresì ancora
verificata la esistenza dei requisiti che producono l'estinzione del reato".
Pertanto, come esattamente osservato dal tribunale del riesame, il fatto che in
relazione al manufatto sequestrato sia stata presentata richiesta di condono
edilizio ai sensi dalla legge n. 326/2003, non incide sulla legittimità del
disposto sequestro preventivo, se non altro perché tale procedura di condono non
si è ancora conclusa e l'esistenza in concreto della operatività della causa
estintiva del reato non è stata accertata dal competente giudice penale. Per di
più, deve anche essere rilevato che nella specie è molto dubbio che sussistano i
presupposti di legge perché possa essere legittimamente concesso il condono
edilizio per il manufatto abusivo in questione, e quindi che si tratti di
immobile condonabile, dal momento che dalla ordinanza impugnata emerge che il
fabbricato in esame (composto da piano terra e da primo piano, da considerarsi
unitariamente) al momento del sopralluogo del 16 dicembre 2004 non era stato
ancora ultimato (primo piano ancora allo stato grezzo e privo di tramezzature
interne) e di conseguenza è assai improbabile che quasi due anni prima, ossia
alla data del 31 marzo 2003 - termine ultimo previsto delle nuove disposizioni
sul condono edilizio - lo stesso fosse già ultimato sia pure ai sensi dell'art.
31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Si tratta di un accertamento che dovrà
essere fatto dal giudice della cognizione, il quale dovrà appunto verificare se
sussista la prova che alla data del 31 marzo 2003 il manufatto fosse già
ultimato ai sensi della detta disposizione e fosse quindi suscettibile di
condono. In questa sede cautelare, però, da quanto risulta dalla ordinanza
impugnata, sembrerebbe doversi presumere che non sussistano le condizioni per la
condonabilità e non il contrario. Quindi, vi è semmai il fumus che l'immobile in
questione non sia condonabile e non il fumus che possa beneficiare del condono.
Anche alla luce di queste considerazioni appare come sia chiaramente infondato,
sotto molteplici profili, anche il motivo di ricorso secondo cui non si sarebbe
potuto disporre il sequestro preventivo perché il ricorrente avrebbe avuto il
diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28
febbraio 1985, n. 47. In primo luogo, infatti, questo diritto presuppone pur
sempre che l'immobile sia condonabile, e quindi, innanzitutto, che sia stato
ultimato ai sensi dell'art. 31 nel termine di legge, mentre allo stato vi è un
fumus della inesistenza di questo presupposto. In secondo luogo, non può nemmeno
trovare applicazione il disposto dell'art. 43, ultimo comma, della legge 28
febbraio 1985, n. 47, giacché il factum principis, costituito dal sequestro
preventivo, è comunque intervenuto in una data successiva a quella del 31 marzo
2003, entro la quale doveva essere già avvenuta l'ultimazione dell'edificio. In
terzo luogo, quand'anche, per ipotesi, sussistessero i presupposti per la
applicazione del condono edilizio, ci si troverebbe in una situazione che di per
sè non da diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14,
legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi non impedisce la sottoposizione
dell'immobile a sequestro, in quanto occorre, perché il sequestro non possa
essere disposto o possa essere revocato, che si verifichino tutti i presupposti
e le condizioni previsti dalla detta disposizione. E difatti, sempre che
l'immobile sia condonabile e quindi sempre che, innanzitutto, sia stato ultimato
ai sensi dell'art. 31 entro la data del 31 marzo 2003, la costruzione può essere
legittimamente proseguita soltanto quando sia puntualmente rispettata la
procedura prevista dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e
quindi soltanto quando: a) siano decorsi 120 giorni dalla presentazione della
domanda di condono e vi sia stato il versamento della seconda rata della
oblazione; b) si tratti delle opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle
indicate dall'art. 33; c) l'interessato abbia notificato al comune il proprio
intendimento di completare le opere consentite, allegando perizia giurata ovvero
documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi; d) i
lavori inizino non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. È per
questo motivo che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che "il
fatto che, a norma del quattordicesimo comma dell'art. 35 legge 28 febbraio
1985, n. 47, il presentatore dell'istanza di sanatoria possa completare sotto la
propria responsabilità, le opere edilizie abusive suscettibili di sanatoria non
significa di per sè che vengano meno le esigenze preventive che legittimano il
sequestro cautelare a norma dell'art. 321 cod. proc. pen. (nella specie la S.C.
ha osservato che non risultava si fossero già realizzate le condizioni richieste
dalla norma per il completamento delle opere, vale a dire oltre al decorso di
centoventi giorni dalla presentazione della domanda di sanatoria, il versamento
della seconda rata dell'oblazione, nonché la notifica al comune
dell'intendimento di completare le opere, con l'allegazione di perizia giurata,
ovvero di documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori
abusivi: in assenza di queste condizioni il completamento delle opere nella
prospettiva della sanatoria era evento solo futuro e incerto, sicché permanevano
le esigenze cautelari che presiedevano all'istituto del sequestro preventivo)"
(Sez. 3^, 2.5.96, Prestigiacomo, m. 205.253) e che "l'ambito di applicabilità
della disciplina contemplata dall'art. 35, quattordicesimo comma, della legge n.
47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con prestabilite scansioni
temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente dimostrato, e non
esclude la possibilità del sequestro penale, attese le differenze proprie della
materia penale e di quella amministrativa. Ed invero permarrebbe sempre in capo
al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro
completamento sia legittima o meno, giacché il presentatore dell'istanza di
condono esegue gli stessi sotto la propria responsabilità, sicché occorre sempre
effettuare una valutazione, necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla
sussistenza della causa di estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n.
724 del 1994" (Sez. 3^, 2.7.96, De Santis, m. 206.050). D'altra parte, anche
nell'ipotesi in cui entro il termine di legge (31 marzo 2003) sia stato eseguito
il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei
lavori di integrale completamento dello stabile senza l'osservanza della
procedura di cui all'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, determina
l'applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (art. 38,
comma 4), giacché se la detta procedura non sia stata rispettata o non
sussistano i presupposti richiesti o se i lavori siano posti in essere prima del
momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha
natura permanente, è del pari configurabile, pur se l'immobile non debba essere
demolito (Sez. 3^, 10.5.1999, Cimini, m. 214.368), tanto che, nel caso in cui un
immobile sequestrato e poi oggetto di condono sia stato restituito al
proprietario a seguito di dissequestro, la prosecuzione della costruzione senza
il rispetto della procedura stabilita dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio
1985, n. 47, configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Sez. 3^,
8.11.2000, Martino, m. 218.001). In definitiva, attese le differenze proprie
della materia penale e di quella amministrativa, la possibilità, per il
presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria, di
completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 legge 28
febbraio 1985, n. 47, prevista dal successivo art. 35, quattordicesimo comma,
non può escludere la possibilità del sequestro penale, ne' può far venir meno
automaticamente il sequestro preventivo, che potrà essere caducato solo quando
il giudice penale, nell'ambito delle sue attribuzioni, riterrà che sia cessata
la funzione cautelare o quando, al verificarsi di tutte le condizioni
occorrenti, dichiarerà che il reato è estinto (Sez. 3^, 15 dicembre 1995, Russo,
m. 204.315). Nella specie il ricorrente non solo non ha dato nessuna prova ma
non ha nemmeno allegato di avere iniziato la procedura di cui all'art. 35, co.
14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, sicché non può vantare, sotto nessun profilo,
alcun diritto alla prosecuzione della costruzione abusiva. Il ricorso deve
pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così
deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2005