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Cass. Sez. III sent. 23126 del 20 giugno 2005 (c.c. del 19 maggio 2005)
Pres. ONorato Rel. Franco Ric. Riccardi

Urbanistica - Condono edilizio

La possibilità di completare i lavori sotto la propria responsabilità dopo la presentazione della domanda di condono secondo quanto disposto dall'art. 35 comma 14 Legge 4785 non esclude la possibilità del sequestro penale né determina la caducazione del sequestro preventivo già in essere

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 705
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 11047/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RICCARDI Enrico;
avverso l'ordinanza emessa il 27 gennaio 2005 dal tribunale di Napoli, quale giudice del riesame;
udita nella udienza in Camera di consiglio del 19 maggio 2005 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli ha respinto la richiesta di riesame proposta da Riccardi Enrico avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Nola il 21.12.2004, riguardante una manufatto abusivamente in corso di realizzazione senza il permesso di costruire e composto da un piano terra ed un primo piano. L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo violazione ed erronea applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e degli artt. 38 e 39 legge 28 febbraio 1985, n. 47, come richiamati dal d.l. 30 settembre 2003, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
In sostanza lamenta che il tribunale del riesame non ha accolto la sua eccezione secondo cui l'immobile in questione non avrebbe potuto essere sottoposto a sequestro preventivo in quanto in ordine allo stesso era stata proposta domanda di condono edilizio con il versamento della prima rata e lamenta altresì che il tribunale del riesame ha omesso di valutare se permaneva il fumus del reato o questo non fosse già estinto per oblazione e se l'indagato avesse il diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La stesso ricorrente, invero, deduce solo che è stata presentata domanda di condono edilizio e non anche che si è già verificata la relativa causa di estinzione del reato, tanto che si limita a invocare la sospensione del procedimento in attesa della definizione della domanda di condono. Senonché, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di condono edilizio la sospensione del procedimento penale prevista dall'art. 38 e dall'art. 44 legge 28 febbraio 1985, n. 47, non impedisce l'adozione dei provvedimenti cautelari e probatori, che proprio per la loro natura mirano a mantenere fermo lo stato della cosa e ad impedire che alla stessa vengano apportate modifiche. D'altronde la finalità della sospensione non contrasta con quella del sequestro, perché la prima mira ad evitare che si pervenga ad una possibile condanna in riferimento a reati da dichiarare estinti mentre il secondo mira o ad assicurare la prova in ordine al reato ipotizzato o a non consentire all'interessato, attraverso la presentazione di una domanda alla quale o non si possa dar seguito o non segua l'intero pagamento dell'oblazione, di portare avanti la costruzione, che è certamente in astratto illecita, pur se sanabile. Deve inoltre ritenersi analogicamente applicabile il principio ricavabile dall'art. 3 cod. proc. pen. secondo cui è sempre consentito il compimento degli atti urgenti. D'altra parte corrisponde ad un principio elementare di logica giuridica che il giudice non sia privato del potere di urgenza per le vicende che attengono al merito della controversia (Sez. 3^, 24 febbraio 2005, Russa; Sez. 3^, 26 maggio 1995, Simonini, m. 202.484; Sez. 3^, 6 febbraio 1996, Fusco, m. 204.708; Sez. 3^, 1 marzo 1995, Matera, m. 201.988; Sez. 3^, 2 marzo 1995, Clemente, m. 200.925).
Su tale questione questa Corte si è pronunziata innumerevoli volte con una pluralità di argomentazioni contenute anche nelle numerose decisioni che assai puntualmente e diligentemente l'ordinanza impugnata richiama e riporta, ed al cui contenuto può in questa sede farsi rinvio.
Per completezza, possono solo ricordarsi, tra le più recenti, Sez. 3^, 16.06.2004, Neri, m. 229.390, secondo cui "in materia edilizia, la possibilità che le opere realizzate abusivamente siano suscettibili di sanatoria ai sensi del condono edilizio (di cui all'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326) non impedisce da parte del giudice l'adozione di provvedimenti urgenti quali il sequestro preventivo o probatorio, atteso che questi sono finalizzati ad impedire che i reati siano portati ad ulteriori conseguenze o ad assicurarne la prova", e Sez. 3^, 11.06.2004, Pietrosanto, m. 229.009, secondo cui "La sospensione del procedimento penale a seguito della presentazione della domanda di condono edilizio, regolato dall'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003 n. 326, non determina la impossibilità per il giudice di disporre la misura cautelare del sequestro preventivo, atteso che può permanere la necessità di impedire la prosecuzione del comportamento illecito in relazione ad una fattispecie della quale va altresì ancora verificata la esistenza dei requisiti che producono l'estinzione del reato". Pertanto, come esattamente osservato dal tribunale del riesame, il fatto che in relazione al manufatto sequestrato sia stata presentata richiesta di condono edilizio ai sensi dalla legge n. 326/2003, non incide sulla legittimità del disposto sequestro preventivo, se non altro perché tale procedura di condono non si è ancora conclusa e l'esistenza in concreto della operatività della causa estintiva del reato non è stata accertata dal competente giudice penale. Per di più, deve anche essere rilevato che nella specie è molto dubbio che sussistano i presupposti di legge perché possa essere legittimamente concesso il condono edilizio per il manufatto abusivo in questione, e quindi che si tratti di immobile condonabile, dal momento che dalla ordinanza impugnata emerge che il fabbricato in esame (composto da piano terra e da primo piano, da considerarsi unitariamente) al momento del sopralluogo del 16 dicembre 2004 non era stato ancora ultimato (primo piano ancora allo stato grezzo e privo di tramezzature interne) e di conseguenza è assai improbabile che quasi due anni prima, ossia alla data del 31 marzo 2003 - termine ultimo previsto delle nuove disposizioni sul condono edilizio - lo stesso fosse già ultimato sia pure ai sensi dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Si tratta di un accertamento che dovrà essere fatto dal giudice della cognizione, il quale dovrà appunto verificare se sussista la prova che alla data del 31 marzo 2003 il manufatto fosse già ultimato ai sensi della detta disposizione e fosse quindi suscettibile di condono. In questa sede cautelare, però, da quanto risulta dalla ordinanza impugnata, sembrerebbe doversi presumere che non sussistano le condizioni per la condonabilità e non il contrario. Quindi, vi è semmai il fumus che l'immobile in questione non sia condonabile e non il fumus che possa beneficiare del condono.
Anche alla luce di queste considerazioni appare come sia chiaramente infondato, sotto molteplici profili, anche il motivo di ricorso secondo cui non si sarebbe potuto disporre il sequestro preventivo perché il ricorrente avrebbe avuto il diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47.
In primo luogo, infatti, questo diritto presuppone pur sempre che l'immobile sia condonabile, e quindi, innanzitutto, che sia stato ultimato ai sensi dell'art. 31 nel termine di legge, mentre allo stato vi è un fumus della inesistenza di questo presupposto. In secondo luogo, non può nemmeno trovare applicazione il disposto dell'art. 43, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, giacché il factum principis, costituito dal sequestro preventivo, è comunque intervenuto in una data successiva a quella del 31 marzo 2003, entro la quale doveva essere già avvenuta l'ultimazione dell'edificio.
In terzo luogo, quand'anche, per ipotesi, sussistessero i presupposti per la applicazione del condono edilizio, ci si troverebbe in una situazione che di per sè non da diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi non impedisce la sottoposizione dell'immobile a sequestro, in quanto occorre, perché il sequestro non possa essere disposto o possa essere revocato, che si verifichino tutti i presupposti e le condizioni previsti dalla detta disposizione. E difatti, sempre che l'immobile sia condonabile e quindi sempre che, innanzitutto, sia stato ultimato ai sensi dell'art. 31 entro la data del 31 marzo 2003, la costruzione può essere legittimamente proseguita soltanto quando sia puntualmente rispettata la procedura prevista dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi soltanto quando: a) siano decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda di condono e vi sia stato il versamento della seconda rata della oblazione; b) si tratti delle opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle indicate dall'art. 33; c) l'interessato abbia notificato al comune il proprio intendimento di completare le opere consentite, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi; d) i lavori inizino non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
È per questo motivo che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che "il fatto che, a norma del quattordicesimo comma dell'art. 35 legge 28 febbraio 1985, n. 47, il presentatore dell'istanza di sanatoria possa completare sotto la propria responsabilità, le opere edilizie abusive suscettibili di sanatoria non significa di per sè che vengano meno le esigenze preventive che legittimano il sequestro cautelare a norma dell'art. 321 cod. proc. pen. (nella specie la S.C. ha osservato che non risultava si fossero già realizzate le condizioni richieste dalla norma per il completamento delle opere, vale a dire oltre al decorso di centoventi giorni dalla presentazione della domanda di sanatoria, il versamento della seconda rata dell'oblazione, nonché la notifica al comune dell'intendimento di completare le opere, con l'allegazione di perizia giurata, ovvero di documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi: in assenza di queste condizioni il completamento delle opere nella prospettiva della sanatoria era evento solo futuro e incerto, sicché permanevano le esigenze cautelari che presiedevano all'istituto del sequestro preventivo)" (Sez. 3^, 2.5.96, Prestigiacomo, m. 205.253) e che "l'ambito di applicabilità della disciplina contemplata dall'art. 35, quattordicesimo comma, della legge n. 47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con prestabilite scansioni temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente dimostrato, e non esclude la possibilità del sequestro penale, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa. Ed invero permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, giacché il presentatore dell'istanza di condono esegue gli stessi sotto la propria responsabilità, sicché occorre sempre effettuare una valutazione, necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla sussistenza della causa di estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994" (Sez. 3^, 2.7.96, De Santis, m. 206.050).
D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui entro il termine di legge (31 marzo 2003) sia stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile senza l'osservanza della procedura di cui all'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, determina l'applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (art. 38, comma 4), giacché se la detta procedura non sia stata rispettata o non sussistano i presupposti richiesti o se i lavori siano posti in essere prima del momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile, pur se l'immobile non debba essere demolito (Sez. 3^, 10.5.1999, Cimini, m. 214.368), tanto che, nel caso in cui un immobile sequestrato e poi oggetto di condono sia stato restituito al proprietario a seguito di dissequestro, la prosecuzione della costruzione senza il rispetto della procedura stabilita dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Sez. 3^, 8.11.2000, Martino, m. 218.001).
In definitiva, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa, la possibilità, per il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria, di completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevista dal successivo art. 35, quattordicesimo comma, non può escludere la possibilità del sequestro penale, ne' può far venir meno automaticamente il sequestro preventivo, che potrà essere caducato solo quando il giudice penale, nell'ambito delle sue attribuzioni, riterrà che sia cessata la funzione cautelare o quando, al verificarsi di tutte le condizioni occorrenti, dichiarerà che il reato è estinto (Sez. 3^, 15 dicembre 1995, Russo, m. 204.315).
Nella specie il ricorrente non solo non ha dato nessuna prova ma non ha nemmeno allegato di avere iniziato la procedura di cui all'art. 35, co. 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, sicché non può vantare, sotto nessun profilo, alcun diritto alla prosecuzione della costruzione abusiva.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio 2005.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2005

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 19/05/2005 Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 705 Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 11047/2005 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: RICCARDI Enrico; avverso l'ordinanza emessa il 27 gennaio 2005 dal tribunale di Napoli, quale giudice del riesame; udita nella udienza in Camera di consiglio del 19 maggio 2005 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Napoli ha respinto la richiesta di riesame proposta da Riccardi Enrico avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Nola il 21.12.2004, riguardante una manufatto abusivamente in corso di realizzazione senza il permesso di costruire e composto da un piano terra ed un primo piano. L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo violazione ed erronea applicazione dell'art. 321 cod. proc. pen. e degli artt. 38 e 39 legge 28 febbraio 1985, n. 47, come richiamati dal d.l. 30 settembre 2003, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326. In sostanza lamenta che il tribunale del riesame non ha accolto la sua eccezione secondo cui l'immobile in questione non avrebbe potuto essere sottoposto a sequestro preventivo in quanto in ordine allo stesso era stata proposta domanda di condono edilizio con il versamento della prima rata e lamenta altresì che il tribunale del riesame ha omesso di valutare se permaneva il fumus del reato o questo non fosse già estinto per oblazione e se l'indagato avesse il diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato. La stesso ricorrente, invero, deduce solo che è stata presentata domanda di condono edilizio e non anche che si è già verificata la relativa causa di estinzione del reato, tanto che si limita a invocare la sospensione del procedimento in attesa della definizione della domanda di condono. Senonché, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di condono edilizio la sospensione del procedimento penale prevista dall'art. 38 e dall'art. 44 legge 28 febbraio 1985, n. 47, non impedisce l'adozione dei provvedimenti cautelari e probatori, che proprio per la loro natura mirano a mantenere fermo lo stato della cosa e ad impedire che alla stessa vengano apportate modifiche. D'altronde la finalità della sospensione non contrasta con quella del sequestro, perché la prima mira ad evitare che si pervenga ad una possibile condanna in riferimento a reati da dichiarare estinti mentre il secondo mira o ad assicurare la prova in ordine al reato ipotizzato o a non consentire all'interessato, attraverso la presentazione di una domanda alla quale o non si possa dar seguito o non segua l'intero pagamento dell'oblazione, di portare avanti la costruzione, che è certamente in astratto illecita, pur se sanabile. Deve inoltre ritenersi analogicamente applicabile il principio ricavabile dall'art. 3 cod. proc. pen. secondo cui è sempre consentito il compimento degli atti urgenti. D'altra parte corrisponde ad un principio elementare di logica giuridica che il giudice non sia privato del potere di urgenza per le vicende che attengono al merito della controversia (Sez. 3^, 24 febbraio 2005, Russa; Sez. 3^, 26 maggio 1995, Simonini, m. 202.484; Sez. 3^, 6 febbraio 1996, Fusco, m. 204.708; Sez. 3^, 1 marzo 1995, Matera, m. 201.988; Sez. 3^, 2 marzo 1995, Clemente, m. 200.925). Su tale questione questa Corte si è pronunziata innumerevoli volte con una pluralità di argomentazioni contenute anche nelle numerose decisioni che assai puntualmente e diligentemente l'ordinanza impugnata richiama e riporta, ed al cui contenuto può in questa sede farsi rinvio. Per completezza, possono solo ricordarsi, tra le più recenti, Sez. 3^, 16.06.2004, Neri, m. 229.390, secondo cui "in materia edilizia, la possibilità che le opere realizzate abusivamente siano suscettibili di sanatoria ai sensi del condono edilizio (di cui all'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003 n. 326) non impedisce da parte del giudice l'adozione di provvedimenti urgenti quali il sequestro preventivo o probatorio, atteso che questi sono finalizzati ad impedire che i reati siano portati ad ulteriori conseguenze o ad assicurarne la prova", e Sez. 3^, 11.06.2004, Pietrosanto, m. 229.009, secondo cui "La sospensione del procedimento penale a seguito della presentazione della domanda di condono edilizio, regolato dall'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003 n. 326, non determina la impossibilità per il giudice di disporre la misura cautelare del sequestro preventivo, atteso che può permanere la necessità di impedire la prosecuzione del comportamento illecito in relazione ad una fattispecie della quale va altresì ancora verificata la esistenza dei requisiti che producono l'estinzione del reato". Pertanto, come esattamente osservato dal tribunale del riesame, il fatto che in relazione al manufatto sequestrato sia stata presentata richiesta di condono edilizio ai sensi dalla legge n. 326/2003, non incide sulla legittimità del disposto sequestro preventivo, se non altro perché tale procedura di condono non si è ancora conclusa e l'esistenza in concreto della operatività della causa estintiva del reato non è stata accertata dal competente giudice penale. Per di più, deve anche essere rilevato che nella specie è molto dubbio che sussistano i presupposti di legge perché possa essere legittimamente concesso il condono edilizio per il manufatto abusivo in questione, e quindi che si tratti di immobile condonabile, dal momento che dalla ordinanza impugnata emerge che il fabbricato in esame (composto da piano terra e da primo piano, da considerarsi unitariamente) al momento del sopralluogo del 16 dicembre 2004 non era stato ancora ultimato (primo piano ancora allo stato grezzo e privo di tramezzature interne) e di conseguenza è assai improbabile che quasi due anni prima, ossia alla data del 31 marzo 2003 - termine ultimo previsto delle nuove disposizioni sul condono edilizio - lo stesso fosse già ultimato sia pure ai sensi dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Si tratta di un accertamento che dovrà essere fatto dal giudice della cognizione, il quale dovrà appunto verificare se sussista la prova che alla data del 31 marzo 2003 il manufatto fosse già ultimato ai sensi della detta disposizione e fosse quindi suscettibile di condono. In questa sede cautelare, però, da quanto risulta dalla ordinanza impugnata, sembrerebbe doversi presumere che non sussistano le condizioni per la condonabilità e non il contrario. Quindi, vi è semmai il fumus che l'immobile in questione non sia condonabile e non il fumus che possa beneficiare del condono. Anche alla luce di queste considerazioni appare come sia chiaramente infondato, sotto molteplici profili, anche il motivo di ricorso secondo cui non si sarebbe potuto disporre il sequestro preventivo perché il ricorrente avrebbe avuto il diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47. In primo luogo, infatti, questo diritto presuppone pur sempre che l'immobile sia condonabile, e quindi, innanzitutto, che sia stato ultimato ai sensi dell'art. 31 nel termine di legge, mentre allo stato vi è un fumus della inesistenza di questo presupposto. In secondo luogo, non può nemmeno trovare applicazione il disposto dell'art. 43, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, giacché il factum principis, costituito dal sequestro preventivo, è comunque intervenuto in una data successiva a quella del 31 marzo 2003, entro la quale doveva essere già avvenuta l'ultimazione dell'edificio. In terzo luogo, quand'anche, per ipotesi, sussistessero i presupposti per la applicazione del condono edilizio, ci si troverebbe in una situazione che di per sè non da diritto alla prosecuzione dei lavori ai sensi dell'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi non impedisce la sottoposizione dell'immobile a sequestro, in quanto occorre, perché il sequestro non possa essere disposto o possa essere revocato, che si verifichino tutti i presupposti e le condizioni previsti dalla detta disposizione. E difatti, sempre che l'immobile sia condonabile e quindi sempre che, innanzitutto, sia stato ultimato ai sensi dell'art. 31 entro la data del 31 marzo 2003, la costruzione può essere legittimamente proseguita soltanto quando sia puntualmente rispettata la procedura prevista dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, e quindi soltanto quando: a) siano decorsi 120 giorni dalla presentazione della domanda di condono e vi sia stato il versamento della seconda rata della oblazione; b) si tratti delle opere di cui all'art. 31 non comprese tra quelle indicate dall'art. 33; c) l'interessato abbia notificato al comune il proprio intendimento di completare le opere consentite, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi; d) i lavori inizino non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. È per questo motivo che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che "il fatto che, a norma del quattordicesimo comma dell'art. 35 legge 28 febbraio 1985, n. 47, il presentatore dell'istanza di sanatoria possa completare sotto la propria responsabilità, le opere edilizie abusive suscettibili di sanatoria non significa di per sè che vengano meno le esigenze preventive che legittimano il sequestro cautelare a norma dell'art. 321 cod. proc. pen. (nella specie la S.C. ha osservato che non risultava si fossero già realizzate le condizioni richieste dalla norma per il completamento delle opere, vale a dire oltre al decorso di centoventi giorni dalla presentazione della domanda di sanatoria, il versamento della seconda rata dell'oblazione, nonché la notifica al comune dell'intendimento di completare le opere, con l'allegazione di perizia giurata, ovvero di documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi: in assenza di queste condizioni il completamento delle opere nella prospettiva della sanatoria era evento solo futuro e incerto, sicché permanevano le esigenze cautelari che presiedevano all'istituto del sequestro preventivo)" (Sez. 3^, 2.5.96, Prestigiacomo, m. 205.253) e che "l'ambito di applicabilità della disciplina contemplata dall'art. 35, quattordicesimo comma, della legge n. 47 del 1985 prevede tutta una serie di adempimenti con prestabilite scansioni temporali, il cui verificarsi deve essere rigorosamente dimostrato, e non esclude la possibilità del sequestro penale, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa. Ed invero permarrebbe sempre in capo al giudice la possibilità di accertare se la prosecuzione dei lavori per il loro completamento sia legittima o meno, giacché il presentatore dell'istanza di condono esegue gli stessi sotto la propria responsabilità, sicché occorre sempre effettuare una valutazione, necessariamente sommaria in sede di riesame, sulla sussistenza della causa di estinzione prevista dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994" (Sez. 3^, 2.7.96, De Santis, m. 206.050). D'altra parte, anche nell'ipotesi in cui entro il termine di legge (31 marzo 2003) sia stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile senza l'osservanza della procedura di cui all'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, determina l'applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (art. 38, comma 4), giacché se la detta procedura non sia stata rispettata o non sussistano i presupposti richiesti o se i lavori siano posti in essere prima del momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile, pur se l'immobile non debba essere demolito (Sez. 3^, 10.5.1999, Cimini, m. 214.368), tanto che, nel caso in cui un immobile sequestrato e poi oggetto di condono sia stato restituito al proprietario a seguito di dissequestro, la prosecuzione della costruzione senza il rispetto della procedura stabilita dall'art. 35, comma 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, configura un nuovo ed autonomo reato urbanistico (Sez. 3^, 8.11.2000, Martino, m. 218.001). In definitiva, attese le differenze proprie della materia penale e di quella amministrativa, la possibilità, per il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria, di completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'art. 31 legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevista dal successivo art. 35, quattordicesimo comma, non può escludere la possibilità del sequestro penale, ne' può far venir meno automaticamente il sequestro preventivo, che potrà essere caducato solo quando il giudice penale, nell'ambito delle sue attribuzioni, riterrà che sia cessata la funzione cautelare o quando, al verificarsi di tutte le condizioni occorrenti, dichiarerà che il reato è estinto (Sez. 3^, 15 dicembre 1995, Russo, m. 204.315). Nella specie il ricorrente non solo non ha dato nessuna prova ma non ha nemmeno allegato di avere iniziato la procedura di cui all'art. 35, co. 14, legge 28 febbraio 1985, n. 47, sicché non può vantare, sotto nessun profilo, alcun diritto alla prosecuzione della costruzione abusiva. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19 maggio 2005. Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2005