Sez. 3, Sentenza n. 37865 del 04/05/2004 Ud. (dep. 24/09/2004 ) Rv. 230030
Presidente: Papadia U. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Musio. P.M. Iacoviello FM.
(Conf.)
(Dichiara inammissibile, App. Lecce, 3 Ottobre 2003)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Opere abusivamente eseguite in area sottoposta a vincolo - Condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003 - Conformità agli strumenti urbanistici e nulla osta ambientale - Necessità.
Massima (fonte CED Cassazione)
In materia edilizia, le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici possono ottenere la sanatoria ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269 del 2003 solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 04/05/2004
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 861
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 45715/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MUSIO Vito, nato a Supersano il 31.1.1934;
avverso la sentenza 3.10.2003 della Corte di Appello di Lecce. visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore, avv. CAROLI Silvio, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3.10.2003 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza 20.12.2002 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase, che aveva affermato la responsabilità penale di Musio Vito in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato un immobile di mq. 67 di superficie, in zona assoggettata a vincolo paesistico, in assenza della prescritta concessione edilizia);
- all'art. 1 sexies legge n. 431/1985 (per avere realizzato detti lavori in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica - acc. in Marittima di Diso, il 17.4.1999) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 30.000,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del condannato. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Musio, il quale ha eccepito:
- violazione di legge, per il non corretto uso del potere discrezionale nella determinazione della pena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché manifestamente infondato.
1. La pena, infatti, risulta determinata con corretto riferimento ai criteri direttivi indicati nell'art. 133 cod. pen. e particolarmente correlata all'entità oggettiva delle opere abusive, al danno rilevante arrecato al territorio costiero, alla personalità dell'imputato, gravato pure di un precedente specifico;
2. L'inammissibilità del ricorso - la cui declaratoria deve considerarsi pregiudiziale - non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 44 della legge n. 47/1985, io relazione alla possibilità di sanatoria (c.d. condono edilizio) riconosciuta dall'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e 28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili"' dei capi 4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724 (vedi già, in tal senso, Cass., Sez. 3^: 13.11.2003, Sciaccovelli; 9.3.2004, Modica; 6.4.2004, Paparusso).
Appare opportuno ricordare, in proposito, che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema:
- con la sentenza 26.2.1976, n. 2553, ric. Delle Donne, hanno affermato il principio secondo cui, in caso di inammissibilità genetica dell'impugnazione resta preclusa la possibilità di valutare l'eventuale applicabilità di disposizioni sopravvenute più favorevoli al reo;
- con la sentenza 3.11.1998, n. 11493, ric. Verga, hanno affermato che il ricorso inammissibile è inidoneo a mantenere in vita il rapporto processuale;
- con la sentenza 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca, hanno ricostruito l'inammissibilità dell'impugnazione come categoria unitaria, riconoscendo la regola della prevalenza della declaratoria di ogni causa di inammissibilità prevista dalla legge su quelle di non punibilità. In particolare, secondo tale pronuncia, il rapporto ammissibilità-fondatezza, come delineato dalla legge, "non ammette l'introduzione di zone grigie, cosicché la manifesta infondatezza, collocata nell'alveo dell'inammissibilità, resta in quest'ambito definita da dati di ordine qualitativo che ne provocano l'assimilazione - sul piano della struttura e della funzione - agli altri casi di inammissibilità previsti dalla legge";
- con la sentenza 11.9.2001, n. 53542, ric. Cavalera, hanno ribadito la prevalenza della declaratoria dell'inammissibilità del ricorso su quella di non-punibilità prevista nell'art. 129 c.p.p.. Nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, in sostanza, devono ritenersi ormai consolidati i seguenti principi:
a) La prescrizione dell'art. 648 c.p.p. - secondo cui la sentenza diviene irrevocabile nel momento in cui interviene il provvedimento dichiarativo della eventuale inammissibilità della impugnazione non implica che sempre, fino a quel provvedimento, vi sia pendenza del procedimento, e dunque potere-dovere, per il giudice, di fare immediata applicazione di eventuali cause sopravvenute di non- punibilità. La sentenza 11.11.1994, n. 21, ric. Cresci, ha chiarito che lo stesso art. 648 c.p.p. vale ad identificare i criteri di maturazione del c.d. giudicato formale, e dunque a fissare il momento e la condizione per l'eseguibilità della sentenza, mentre la disciplina dei rapporti tra cause di inammissibilità e fattori estintivi della punibilità va ricostruita mediante il riferimento alle norme processuali che regolano la materia delle impugnazioni. Tale considerazione è stata ripresa e condivisa in tutti i successivi interventi delle Sezioni Unite sulla materia. b) Il giudicato sostanziale si determina con l'insorgenza della causa di inammissibilità, mentre il provvedimento dichiarativo di quella inammissibilità è produttivo del giudicato formale e determina, dunque, l'eseguibilità della sentenza (sentenza 30.6.1999, n. 15, ric. Piepoli): la norma dell'art. 648 c.p.p. interviene a regolare non il giudicato sostanziale, bensì il momento di eseguibilità della sentenza invalidamente impugnata.
c) La chiave di lettura, per stabilire i limiti dei poteri di cognizione da parte del giudice dell'impugnazione inammissibile, è stata individuata (sentenza 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca) nell'art. 673 c.p.p., con riferimento alle specifiche ipotesi della sopravvenuta "abolitio criminis" e della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, cui viene riconosciuta l'eccezionale possibilità di incidere "in executivis" sul provvedimento pure contrassegnato dalla formazione del giudicato formale.
Nel caso di sopravvenuta morte dell'imputalo, inoltre, deve essere dichiarata l'estinzione del reato a norma dell'art. 150 c.p.p., poiché, venuta meno la componente soggettiva del rapporto processuale (per la definitiva scomparsa di uno dei soggetti necessari), quest'ultimo va considerato risolto.
Alla stregua dei principi dianzi compendiati - oltre che del principio di ragionevole durata del processo - deve rilevarsi che l'astratta possibilità di usufruire del c.d. "condono edilizio" non è suscettibile di rilevazione in ipotesi di inammissibilità del ricorso.
3. Non può condividersi l'orientamento secondo il quale la sospensione di cui all'art. 44 della legge n. 47/1985 (che è finalista a consentire agli interessati di presentare la domanda di condono edilizio) sarebbe automatica ed andrebbe applicata a tutti i processi penali per reati urbanistici astrattamente interessati dal condono; mentre il controllo del giudice sulla sanabilità dell'opera potrebbe essere effettuato solo in un momento successivo, quando l'interessato che abbia effettivamente presentato nei termini la domanda di condono edilizio, richieda una nuova sospensione del processo ai sensi dell'art. 38 della legge n. 47/1985. Mentre l'art. 31 della legge n. 47/1985, infatti, nella sua formulazione testuale, prevedeva una serie di requisiti esclusivamente in relazione alla possibilità di conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria, l'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 convertito dalla legge n. 326/2003 (come già l'art. 39 della legge n. 724/1994) subordina l'"applicazione degli interi capi 4^ e 5^ della legge n. 47/1985 all'esistenza dei requisiti attualmente prescritti perché l'opera possa essere condonata.
L'art. 44 della legge n. 47/1985, conseguentemente, può essere applicato esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di condonabilità di cui all'art. 32 del D.L. n. 269/2003. In assenza di tali "requisiti di condonabilità" neppure può essere applicato l'art. 39 della legge n. 47/1985 (estinzione dei reati conseguente alla mera effettuazione dell'oblazione, "qualora le opere non possano conseguire la sanatoria"), per cui risulterebbe incongruo argomentare che la sospensione possa essere comunque finalizzata a conseguire il beneficio già previsto da tale ultima norma. Deve evidenziarsi, in proposito, che dalla sentenza delle Sezioni Unite 24.11.1999, n. 22, ric. Sadini - correlata al condono edilizio previsto dall'art. 39 della legge n. 724/1994, che è nonna formulata in modo speculare a quella posta dall'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 - può razionalmente dedursi il principio generale secondo il quale il giudice, anche prima di sospendere il processo ex art. 44 della legge n. 47/1985, deve effettuare un controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la concedibilità in astratto del condono: diversamente opinandosi si allungherebbero "inevitabilmente ed inutilmente i tempi del processo". Nel caso in cui il giudice sospenda il processo in assenza dei presupposti di legge, la sospensione è inesistente ed il corso della sospensione non è interrotto.
4. Nella vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a).
Nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la norma anzidetto ammette, infetti, la possibilità di ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
In proposito, appare opportuno ricordare che la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003 si esprime nel senso che "... è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano... quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici... Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale". 5. Poiché la inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, neppure può tenersi conto di eventuali cause di estinzione dei reati intervenute successivamente alla pronuncia della decisione impugnata (vedi Cass., Sez. Unite:
30.6.1999, ric. Pispoli e 27.6.2001, ric. Cavalera);
6. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2004