Consiglio di Stato Sez. II n. 7413 del 19 settembre 2025
Urbanistica.Limiti alla procedura di fiscalizzazione di cui all'art. 38 TUE
Nell’ambito delle conseguenze agli illeciti edilizi, deve rilevarsi come l’impossibilità di riduzione in pristino non possa che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio' di abusi attraverso lo strumento dell'annullamento in autotutela del titolo edilizio originario. La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco. La natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico-costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell'ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro), tenuto altresì conto della acquisizione conseguente all’inottemperanza alla disposta demolizione. Né essa può essere ravvisata nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Difatti, la commissione dell’illecito non esclude, per principio generale, che l’autore si faccia carico di tutte le conseguenze della propria condotta, ivi compresi i pregiudizi arrecati alla sua stessa res (o a quella altrui) per effetto della doverosa attività di restituzione in pristino. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione), rinvenire l’impossibilità di demolizione nel mero danno così arrecato finisce per costituire, in pratica, un sostanziale aggiramento della regola che vede nella riduzione in pristino la ordinaria sanzione dell'abuso edilizio, così finendo con il “legittimare” un abuso e, tramite la fiscalizzazione - costituire, anche in questo caso, una sorta di “condono a titolo oneroso”. L’impossibilità di restituzione in pristino deve, quindi, essere individuata nei soli (eventuali) casi in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile (e ciò - si ribadisce - è difficile che riguardi immobili totalmente abusivi), ovvero laddove la stessa esponga a pericolo, non altrimenti ovviabile, la pubblica o privata incolumità; ovvero ancora nei casi in cui la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il risarcimento di questi risulti eccessivamente oneroso (argomentando dall’art. 2058 cod. civ.)
Pubblicato il 19/09/2025
N. 07413/2025REG.PROV.COLL.
N. 03862/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3862 del 2025, proposto da Anke Seeliger Kretschmer, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Imbergamo e Giovanni Pallottino, con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia;
contro
Lorenza Giambra, rappresentata e difesa dall’avvocato Raffaello Astorri, con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia;
il Comune di Campo nell’Elba, non costituito in giudizio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Luca Frappi, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Michielin e Helga Garuzzo, con domicilio digitale come da p.e.c. dei registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione terza, n. 620 del 1° aprile 2025, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di Lorenza Giambra;
visto l’atto di d’intervento di Luca Frappi;
visti tutti gli atti della causa;
relatore, nell’udienza pubblica del giorno 22 luglio 2025, il consigliere Francesco Frigida;
uditi gli avvocati Giuseppe Ibergamo e Giovanni Pallottino per Anke Seeliger Kretschmer, nonché l’avvocato Raffaello Astorri per Lorenza Giambra e viste le conclusioni scritte dell’avvocato Helga Garuzzo per Luca Frappi;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito:
a) dall’ordinanza del Comune di Campo nell’Elba, area tecnica edilizia, urbanistica e demanio, n. 152 del 15 novembre 2023, notificata il 2 maggio 2024, di ingiunzione di demolizione (e di contestuale previo diniego di applicazione dell’alternativa sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) di un manufatto realizzato da Anke Seeliger Kretschmer, sulla base di un permesso di costruire rilasciato dal predetto ente in data 11 settembre 2015, poi annullato dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana su ricorso di Lorenza Giambra - (opere eseguite in base a permesso annullato);
b) dalla nota del Comune di Campo nell’Elba, area tecnica edilizia, urbanistica e demanio, prot. n. 17365 del 17 dicembre 2024 di diniego della domanda presentata da Anke Seeliger Kretschmer in data 7 novembre 2024 per l’applicazione della sanzione pecuniaria ai sensi del su citato art. 38.
2. Alla luce della documentazione acquisita al fascicolo d’ufficio e delle circostanze di fatto riportate negli scritti difensivi delle parti e non specificamente contestate dalle rispettive controparti, i tratti salienti della vicenda fattuale sono, in sintesi, i seguenti:
a) Anke Seeliger Kretschmer acquistò nel 2011 un terreno gravato da vincolo paesaggistico sito nel Comune di Campo nell’Elba e su cui insisteva una costruzione in stato di degrado;
b) nel 2015 l’interessata chiese ed ottenne dal Comune di Campo nell’Elba, previa autorizzazione paesaggistica, un permesso di costruire per la ristrutturazione del suddetto fabbricato, consistente nella sua demolizione e ricostruzione;
c) il titolo edilizio venne annullato dal T.a.r. per la Toscana con sentenza n. 964 del 23 luglio 2020, pronunciata su ricorso n. 1516 del 2019 proposto dalla controinteressata Lorenza Giambra (proprietaria di un compendio immobiliare confinante con quello dell’interessata) e confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 4205 del 26 aprile 2023 (su ricorso n. 9076 del 2020, nel cui ambito è stata anche disposta una verificazione), in quanto l’intervento non avrebbe potuto essere qualificato come ristrutturazione ricadendo, invece, nella categoria della nuova costruzione non ammessa nelle aree gravate da vincolo paesaggistico dagli strumenti urbanistici comunali e in particolare dall’art. 25, comma 4, delle norme tecniche applicative;
d) definitosi il giudizio amministrativo, l’amministrazione comunale avviò il procedimento per l’emanazione dell’ordinanza di demolizione;
e) l’interessata presentò un’istanza di applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 (cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso);
f) il Comune respinse tale istanza e dispose la demolizione del manufatto con la già citata ordinanza n. 152 del 15 novembre 2023.
3. Tale provvedimento è stato impugnato da Anke Seeliger Kretschmer con ricorso n. 932 del 2024 proposto dinanzi al T.a.r. per la Toscana e affidato a tre motivi di: «Eccessi di potere per sopravvenuta carenza dell’interesse pubblico e per relativo difetto o errore di motivazione, ovvero per macroscopica ingiustizia. Illegittimità costituzionale dell’art. 134, 1° co., lett. h/, nn. 1 e 3, della L. reg. Toscana 10.11.2014 n. 65, per violazione dell'art. 117, 3° co., Cost., in materia di governo del territorio, in funzione della sua disapplicazione. Violazione per erronea applicazione o interpretazione degli artt. 17 e 21 delle n.t.a del vigente Piano Operativo comunale come approvato con delibera del C.C. Campo nell’Elba n. 22 del 31.5.2022. Eccessi di potere per errore dell’istruttoria e della motivazione. Subordinata violazione dell’art. 3, 2° e ult. co. del D.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione per erronea applicazione dell’art. 196 della L. reg. Toscana 10.11.2014 n. 65 (e ss.mm.ii.) e dell’art. 31 del T.U. Edil. (D.P.R. 6.6.2001 n. 380, e ss.mm.ii.)», «Eccesso di potere per contraddittorietà e per vessatorietà, e per difetto di motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241. Violazione per erronea interpretazione del giudicato contenuto nelle sentenze T.A.R. Toscana del 23.7.2020 n. 964 e del Consiglio di Stato (in appello) del 26.4.2023 n. 4205. Eccesso di potere per difetto di motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241» e «Violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Ed.) per sua negata applicazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241. Violazione per erronea motivazione e, in particolare, per erronea interpretazione del giudicato contenuto nelle sentenze T.A.R. Toscana del 23.7.2020 n. 964 e del Consiglio di Stato (in appello) del 26.4.2023 n. 4205. Eccesso di potere per erroneità della motivazione, sotto altro profilo».
3.1. La ricorrente ha contestualmente proposto domanda di tutela cautelare.
4. In data 19 luglio 2024 Luca Frappi, architetto incaricato di predisporre il progetto dell’intervento edilizio e di curare la pratica per l’ottenimento del titolo edilizio, ha depositato atto di intervento ad adiuvandum, previamente notificato.
5. Con ordinanza n. 419 del 25 luglio 2024, il T.a.r. per la Toscana, sezione terza, ha accolto l’istanza cautelare e ha sospeso l’esecutività dell’ordinanza repressiva, «Ritenuto che per la parte afferente la fiscalizzazione dell’abuso il ricorso è basato su considerazioni di ordine tecnico non astrattamente implausibili ancorché necessitanti di approfondimento nella sede del merito. Ritenuto che nelle more appare necessario preservare l’integrità dell’immobile la cui demolizione comporterebbe un pregiudizio grave ed irreparabile».
6. Con atto di motivi aggiunti depositato il 28 gennaio 2025 e previamente notificato, Anke Seeliger Kretschmer ha impugnato la già citata nota del Comune di Campo nell’Elba prot. n. 17365 del 17 dicembre 2024, articolando tre motivi di: «Violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Ed.) per sua negata applicazione. Eccesso di potere per errore o travisamento dei fatti e dei presupposti di diritto. In via derivata ed in via diretta: - Violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Ed.) per sua negata applicazione; - eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241; - violazione per erronea motivazione e, in particolare, per erronea interpretazione del giudicato contenuto nelle sentenze T.A.R. Toscana del 23.7.2020 n. 964 e del Consiglio di Stato (in appello) del 26.4.2023 n. 4205; - eccesso di potere per erroneità della motivazione, sotto altro profilo», «In via alternativo o in subordine. Violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Ed.) per sua negata applicazione. Violazione del procedimento amministrativo in relazione ai principi generali dell’attività della P.A. di cui all’art. 97 Cost. e degli artt. 1 e 10-bis della L. 7.8.1990 n. 241 (e ss.mm.ii.). Eccessi di potere per omessa istruttoria e per difetto od errore della motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241» e «In ogni caso. Violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Ed.) per sua negata applicazione. Eccesso di potere per erronea motivazione».
7. In data 11 febbraio 2025 la controinteressata Lorenza Giambra si è costituita nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso e ai motivi aggiunti.
8. Il Comune di Campo nell’Elba non si è costituito.
9. Con l’impugnata sentenza n. 620 del 1° aprile 2025, il T.a.r. per la Toscana, sezione terza, ha respinto il ricorso, ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti e ha compensato tra le parti le spese e gli onorari di causa.
9.1. In particolare, il collegio di primo grado ha respinto il primo motivo, in quanto «L’ordinanza di demolizione è provvedimento di carattere vincolato la cui adozione non è subordinata alla valutazione di alcun pubblico interesse la cui sussistenza è postulata a priori dal legislatore in tutti i casi in cui sussista un’opera edilizia non legittimata da alcun titolo. Ciò vale anche nel caso in cui il titolo originario sia stato annullato in via amministrativa o giurisdizionale. Anche in tale ipotesi, infatti, la applicazione della sanzione sostitutiva non assume carattere discrezionale ma è subordinata ai presupposti previsti dall’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001. In particolare, come ha chiarito la adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 17/2020 (punti nn. 5.2 e 10 della motivazione) lo jus superveniens non vale ad integrare una valida ragione di emendabilità del vizio sostanziale che ha condotto alla caducazione del titolo originario la cui sussistenza deve essere valutata alla luce della disciplina legislativa e urbanistica vigente al momento della sua adozione»; ha dichiarato inammissibile il secondo, poiché «Il motivo è inammissibile per difetto di interesse atteso che il comune di Campo dell’Elba con la nota del 13/06/2024 (non gravata con ricorso incidentale) ha chiarito il contenuto dell’ordine impartito precisando che lo stesso non comporta la eliminazione tout court del fabbricato ma l’obbligo di riportare l’immobile allo “stato esistente” rappresentato negli elaborati allegati alla domanda dell’annullato permesso di costruire»; ha respinto il terzo, «atteso l’art. 38 del DPR 380/01 nella parte in cui esclude la applicabilità della sanzione reale laddove sia impossibile la restituzione in pristino presuppone una situazione in cui possano materialmente distinguersi una parte legittima del manufatto e una parte abusiva e non sia possibile rimuovere la seconda senza arrecare un serio pregiudizio alla prima, situazione che nella specie non sussiste essendo stato il preesistete fabbricato interamente demolito. Peraltro anche qualora, come afferma il Comune, il ripristino possa consistere nella rimodulazione della struttura del fabbricato esistente finalizzata al riallineamento della sagoma alla situazione preesistente, la ricorrente non ha fornito alcuna prova della impossibilità tecnica di tale operazione tali non potendo considerarsi le generiche asserzioni circa la compromissione della statica complessiva dell’edificio» e ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, considerato che la «una nuova istanza di fiscalizzazione dalla stessa presenta successivamente alla notifica del ricorso principale (…) è stata rigettata in quanto il Responsabile del servizio ha ritenuto che fossero state riproposte le medesime osservazioni già respinte con il precedente provvedimento», con la ritenuta conseguenza che «L’atto impugnato con motivi aggiunti, non essendo stato supportato da una rinnovata istruttoria o da nuova motivazione, ha natura meramente confermativa con conseguente inammissibilità del gravame».
10. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 13 maggio 2025 e in data 14 maggio 2025 – Anke Seeliger Kretschmer ha proposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi e ha formulato altresì istanza cautelare.
11. In data 4 giugno 2025 la controinteressata Lorenza Giambra si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda cautelare e del gravame.
12. In data 5 giugno 2025 Luca Frappi ha depositato atto di intervento ad adiuvandum, previamente notificato, chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e dell’appello.
13. Il Comune di Campo nell’Elba, pur ritualmente evocato, non si è costituito.
14. All’esito della camera di consiglio del 10 giugno 2025, «Il collegio, previa rinuncia - allo stato - della misura cautelare e previa rinuncia ai termini a difesa, rinvia l’affare nel merito alla pubblica udienza del 22 luglio 2025».
15. In vista dell’udienza di discussione l’interveniente e l’appellante hanno depositato memorie rispettivamente in data 20 giugno 2025 e 21 giugno 2025 e l’appellata controinteressata ha depositato memoria di replica in data 1° luglio 2025. Con tali atti defensionali le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi e insistito sulle rispettive posizioni.
L’appellante ha anche insistito per l’ammissione di una verificazione o di una consulenza tecnica «per l’accertamento dell’impossibilità di demolizione dell’extra-sagoma della casa».
La controinteressata ha eccepito pure l’inammissibilità delle memorie depositate dall’appellante e dell’interveniente, in quanto, a suo avviso, le parti, in occasione della camera di consiglio del 10 giugno 2025, rinunciando ai termini a difesa, avrebbero rinunciato anche allo «scambio di scritti difensivi ai sensi dell’art. 73 CPA», replicando comunque, per scrupolo, alle deduzioni delle sue controparti.
16. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 22 luglio 2025.
17. In limine litis, va pregiudizialmente respinta l’eccezione di inammissibilità del deposito delle memorie, poiché le parti hanno rinunciato ai termini a difesa (60 giorni ai sensi dell’art. 71, comma 5, c.p.a.), ma non alle memorie, che sono peraltro rispettose dei termini di cui all’art. 73 del medesimo codice.
18. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni.
19. Tramite il primo motivo d’impugnazione – esteso da pagina 4 a pagina 11 del gravame – l’appellante ha lamentato «Error in iudicando per errore o difetto di motivazione, per erronea declaratoria di assenza di prova dei fatti decisivi e, comunque, per omessa, travisata o erronea valutazione delle prove, in violazione dell’art. 64 del C.p.a.. Error in iudicando per difetto di motivazione ed illogicità sotto altro profilo. Error in iudicando per erronea declaratoria d’inapplicazione dell’art. 38 T.U. Edil. (D.P.R. n. 380/2001) in sua violazione».
In sintesi, secondo l’appellante, vi sarebbero i presupposti per la fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 e il T.a.r. non avrebbe effettivamente considerato le perizie di parte versate in atti e comunque non avrebbe erroneamente disposto la verificazione richiesta dall’interessata. Inoltre, la demolizione ingiunta andrebbe qualificata di natura parziale e non integrale, in quanto l’annullamento in sede giurisdizionale del permesso di costruire impingerebbe soltanto sulle porzioni del fabbricato ricostruito eccedenti la sagoma originaria del preesistente manufatto demolito.
20. Siffatta doglianza è infondata.
20.1. Va premesso che, come chiarito da questa sezione, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 «contempla (…) tre diverse fattispecie. La prima riguarda il caso in cui il titolo sia stato annullato perché affetto da un vizio di procedura emendabile (…) La seconda fattispecie è quella in cui il titolo sia stato annullato per un vizio di procedura insanabile e l’intervento è quindi abusivo, ma, essendo conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, può essere mantenuto previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui integrale versamento produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria (…) Il terzo caso è quello del permesso annullato per un vizio sostanziale, ossia perché l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, circostanza che preclude tanto la convalida, quanto la “fiscalizzazione” e impone il ripristino dello stato dei luoghi, a tutela dell’effettività della normativa urbanistica ed edilizia nonché dell’ordinato sviluppo del territorio nei termini disposti dalle Autorità cui è attribuita la funzione di governarlo» (Cons. Stato, sez. II, 9 settembre 2024, n. 7487; cfr. anche, negli stessi termini, Cons. Stato, sez. II, 13 dicembre 2024, n. 10076; sull’impossibilità di fiscalizzazione nell’ipotesi di vizi sostanziali cfr. anche Cons. Stato, ad. plen., 7 febbraio 2020, n.17).
Con riferimento alla seconda ipotesi, l’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 prevede, come eccezione alla regola della riduzione in pristino stato, la possibilità di fiscalizzazione dell’abuso, ovverosia l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, soltanto «In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, (…) la restituzione in pristino».
In proposito il consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non intende discostarsi, è nel senso che «Quanto alla concreta individuazione di tale impossibilità, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente affermato che: circa la concreta individuazione di tale impossibilità è nel senso che “nell’ambito delle conseguenze agli illeciti edilizi, deve rilevarsi come l’impossibilità di riduzione in pristino non possa che essere di ordine squisitamente tecnico costruttivo; diversamente opinando, l’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio' di abusi attraverso lo strumento dell'annullamento in autotutela del titolo edilizio originario. La riduzione in pristino, pertanto, deve risultare impraticabile alla luce di una valutazione tecnica e non di una ponderazione dei vari interessi in gioco” (Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2023 n. 136; sez. IV, 19 aprile 2022 n. 2919; sez. VI, 28 ottobre 2022 n. 9304). La natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico-costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell'ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro), tenuto altresì conto della acquisizione conseguente all’inottemperanza alla disposta demolizione. Né essa può essere ravvisata nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Difatti, la commissione dell’illecito non esclude, per principio generale, che l’autore si faccia carico di tutte le conseguenze della propria condotta, ivi compresi i pregiudizi arrecati alla sua stessa res (o a quella altrui) per effetto della doverosa attività di restituzione in pristino. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione), rinvenire l’impossibilità di demolizione nel mero danno così arrecato finisce per costituire, in pratica, un sostanziale aggiramento della regola che vede nella riduzione in pristino la ordinaria sanzione dell'abuso edilizio, così finendo con il “legittimare” un abuso e, tramite la fiscalizzazione - costituire, anche in questo caso, una sorta di “condono a titolo oneroso”. L’impossibilità di restituzione in pristino deve, quindi, essere individuata nei soli (eventuali) casi in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile (e ciò - si ribadisce - è difficile che riguardi immobili totalmente abusivi), ovvero laddove la stessa esponga a pericolo, non altrimenti ovviabile, la pubblica o privata incolumità; ovvero ancora nei casi in cui la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il risarcimento di questi risulti eccessivamente oneroso (argomentando dall’art. 2058 cod. civ.)» (Cons. Stato, sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277).
In memoria l’appellante ha richiamato la su citata sentenza n. 277/2024, sostenendo che essa sarebbe favorevole alle sue posizioni e deducendo, in particolare che la pronuncia de qua «riconosce che il requisito dell’impossibilità di restituzione in pristino sussiste a) in caso di demolizione parziale: che è il nostro caso, come sopra dedotto; b) in caso in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile: cosa che nella fattispecie sussiste pienamente (cfr. le citate Relazioni Tecniche giurate Ing. Terreni e Ing. Saimir); c) nei casi, alternativi (infatti disgiunti da “ovvero” e “o”), in cui il ripristino esponga a pericolo l’incolumità “privata” (in alternativa a quella “pubblica”): cosa che nella fattispecie sussiste pienamente, in quanto la demolizione dell’extra-sagoma con pregiudizio della parte legittima della costruzione va a cadere in testa alla proprietaria che vi abita. Pertanto, secondo la sentenza stessa sono sufficienti le suddette tre condizioni perché sussista il requisito dell’impossibilità di restituzione in pristino. Per cui non rilevano affatto le condizioni alternative dell’incolumità pubblica e dei danni ingenti a terzi da risarcire, vanamente enfatizzati ex adverso».
Tale tesi è palesemente smentita dai passaggi testuali della sentenza n. 277/2024 sopra riportati, in quanto ha precisato chiaramente che l’impossibilità tecnico-costruttiva della rimessione nel pristino stato, prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 quale presupposto per la fiscalizzazione dell’abuso, non può essere ravvisata nel potenziale danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi. Inoltre, nel caso di immobile totalmente – e non parzialmente – abusivo (come nel caso di specie) ha sostanzialmente escluso l’impossibilità di una demolizione e, in ogni caso, ha chiarito che essa non può derivare dai danni che la rimessione in pristino arrecherebbe alla proprietà dell’autore dell’opera abusiva.
Né è condivisibile la tesi, su cui in particolare si è soffermato in memoria l’interveniente, secondo cui la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile anche in presenza di vizi sostanziali, in quanto per indirizzo giurisprudenziale consolidato (anche dalla sentenza n. 277/2024 surrichiamata), già richiamato all’inizio del presente paragrafo e da cui il Collegio non intende discostarsi, «la mancanza dei presupposti sostanziali di ammissibilità dell’intervento edilizio preclude la c.d. fiscalizzazione dell’abuso ex art. 38 cit., ammissibile solo per i vizi formali» (Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2025, n. 2995).
Va evidenziato, altresì, che la sentenza della III sezione di questo Consiglio n. 25 ottobre 2023, n. 9243 afferma chiaramente l’opposto di quanto sostenuto dall’interveniente, ovverosia che «l’art. 38 d.p.r. 380/2001 non trova applicazione (…) laddove il titolo edilizio sia stato annullato non per vizi formali o procedurali, bensì sostanziali».
Tanto premesso, nel caso di specie non si riscontrano gli stringenti requisiti per accedere all’eccezionale istituto della fiscalizzazione dell’abuso.
20.2. Le osservazioni contenute nelle relazioni tecniche depositate dall’interessata circa l’asserita impossibilità di procedere al ripristino dello stato dei luoghi non superano le evidenti e assorbenti superiori constatazioni, con conseguente inutilità di disporre una verificazione.
In particolare, anche laddove si ammettesse – il che comunque va in concreto escluso (come si illustrerà al paragrafo 20.3) – che vi siano porzioni di costruzione legittimamente edificate che verrebbero intaccate dalla demolizione, in ogni caso il ripristino non sarebbe tecnicamente impossibile, in quanto la demolizione non comporta alcun pericolo per l’incolumità pubblica e dell’interessata, né determina effettivi danni a terzi, né conduce ad abnorme sproporzioni tra la repressione dell’abuso e la lesione di parti non abusive (e ciò proprio aderendo a quanto prospettato dalla sent. n. 277/2024).
20.3. Ad ogni modo e in via assorbente ogni ulteriore considerazione sul punto, il nuovo fabbricato, edificato a seguito di demolizione del precedente, è integralmente abusivo, sicché non vi è alcuno spazio per la fiscalizzazione, non essendoci, neanche in astratto, la possibilità di ingenerare, attraverso la demolizione, sproporzionati danni ad opere legittime.
Tale complessiva abusività è stata acclarata dal T.a.r. per la Toscana con la già menzionata sentenza n. 964/2020 (confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4205/2023) con cui è stato annullato il titolo edilizio ed è, pertanto, coperta da giudicato.
L’accertamento dell’abuso e della sua esatta perimetrazione è, dunque, non più contestabile.
In particolare, nella suddetta pronuncia il T.a.r. ha accertato che l’intervento è una nuova costruzione e non una semplice ristrutturazione (il che è stato tra l’altro appurato anche dalla verificazione svolta in secondo grado) e che esso è nel suo complesso non conforme alla disciplina edilizia e urbanistica, non soffermandosi meramente sulla non conformità della modifica di sagoma e di altezza, a cui, infatti, è stato assegnato rilievo al solo fine della qualificazione dell’intervento come nuova costruzione e non come ristrutturazione, in mancanza del presupposto della fedele ricostruzione del fabbricato demolito in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.
È stato definitivamente accertato in sede giurisdizionale (ed è, quindi, non più legittimamente contestabile) che l’interessata ha in concreto integralmente demolito il preesistente manufatto costruito e ha edificato un fabbricato totalmente differente, anche con riferimento al suo materiale costruttivo (prima in muratura e poi in legno). Il T.a.r. per la Toscana, infatti, con la sentenza n. 964/2020, ha affermato che dagli atti «emerge che il corpo originario di fabbrica è stato integralmente demolito» e questo Consiglio, con la sentenza n. 4205/2023, alla luce della disposta verificazione, ha ribadito che «l’intervento edilizio oggetto di controversia è consistito nella demolizione integrale dei preesistenti manufatti e nella successiva riedificazione di un nuovo ed unitario fabbricato con l’utilizzo di nuovi materiali» e che «l’immobile ha subito una “innegabile rimodulazione della sagoma” (…) e di altezza (…) rispetto al pregresso, pur senza incremento volumetrico».
Ne discende che alcuna parte dell’originario manufatto è attualmente presente.
La nuova opera avrebbe dovuto essere fedelmente conforme alla precedente, il che non è avvenuto, con conseguente totale illegittimità del titolo in base al quale il nuovo manufatto è stato edificato.
In definitiva, il titolo edilizio è stato annullato integralmente e non con riferimento a parti o tipologie costruttive dell’intervento autorizzato.
Pertanto l’ordinanza repressiva non può che riguardare l’intero fabbricato.
21. Mediante la seconda censura – estesa da pagina 11 a pagina 12 del gravame – l’interessata ha dedotto «Error in iudicando per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 e 113 C.p.c. (richiamati dall’art. 39 C.p.a.) in relazione al motivo di eccesso di potere per assoluto difetto di istruttoria e di motivazione con violazione dell’art. 3, 1° co., L. 7.8.1990 n. 241. Error in iudicando per violazione dell’art. 38 T.U. Edil. per negata sua applicazione».
In sintesi, l’appellante ha sostenuto che il T.a.r. non ha considerato che il diniego di fiscalizzazione sarebbe non motivato e sorretto da istruttoria deficitaria, con conseguente illegittima mancata applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001.
22. Tale motivo è infondato.
Posto che, come già diffusamente illustrato al paragrafo 20.3, la demolizione deve necessariamente attenere all’intero fabbricato, siccome realizzato sulla base di un titolo edilizio integralmente annullato in sede giurisdizionale, l’amministrazione comunale non è onerata di fornire una specifica motivazione, né di svolgere ulteriori accertamenti circa l’insussistenza dei requisiti per l’accesso al meccanismo della sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, né di effettuare una ponderazione degli interessi e delle aspettative confliggenti, trattandosi, invero, di un diniego doveroso e necessitato in presenza di una nuova opera non sorretta da alcun titolo in nessuna delle sue parti.
23. Con il terzo motivo – esteso da pagina 12 a pagina 19 del gravame – l’appellante ha lamentato «Error in iudicando per difetto della motivazione ed erronea decisione. Error in iudicando per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 e 113 C.p.c. (richiamati dall’art. 39 C.p.a.) su particolari profili».
In sostanza, l’interessata ho sostenuto che l’ordine di demolizione non sarebbe un atto dovuto, siccome per sopravvenienze normative l’intervento sarebbe attualmente assentibile, vi sarebbe un suo affidamento tutelabile sulla validità del titolo edilizio poi annullato e tali circostanze sarebbero poziori
rispetto all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.
24. Detta censura è infondata.
24.1. Innanzi tutto e in via assorbente, si osserva che la convalida conseguente a ius superveniens non è legittimamente predicabile, nemmeno in astratto, in una vicenda in cui il titolo annullato non era viziato sul versante formale, bensì su quello sostanziale, peraltro con riferimento all’intero fabbricato; diversamente opinando, si consentirebbe di fatto un condono in alcun modo previsto dal legislatore.
Sulla sussistenza di tale illegittimità sostanziale, come già evidenziato, vi è un giudicato tra le stesse parti.
24.2. Per completezza e ad abundantiam, si rileva, inoltre, che l’applicazione dello ius superveniens (già recisamente esclusa alla luce delle precedenti osservazioni) non potrebbe determinare la sanatoria di un abuso sprovvisto, sul piano sostanziale, del requisito della doppia conformità, essendo al momento della sua edificazione, in contrasto con la normativa edilizia e urbanistica vigente ratione temporis.
Sempre soltanto per esigenze di completezza e ferma restando la radicale e assorbente inapplicabilità dello ius superveniens al caso di specie, si evidenzia che le sopravvenienze normative non militano nel senso prospettato dall’appellante e anche dall’interveniente, poiché, in base agli articoli 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380/2001 (nel testo attualmente vigente) e 135-bis della legge regionale della Toscana 10 novembre 2014, n. 65 (introdotto dall’art. 14 della legge regionale 18 marzo 2024, n. 10), in relazione agli immobili situati in nuclei storici consolidati – tra cui rientra sostanzialmente quello demolito dall’appellante, che, infatti, come specificato nell’ordinanza comunale n. 152/2023, «risulta classificato dal vigente strumento urbanistico come edificio di antica formazione (presente al 1954)» e non essendo decisiva, in senso contrario, a differenza di quanto sostenuto dall’interveniente in memoria, la tavola n. 3d del piano operativo comunale (“POC”) depositata in primo grado dalla controinteressata – un intervento di demolizione e ricostruzione può essere sussunto nell’area della ristrutturazione soltanto laddove siano mantenute la sagoma originaria e le caratteristiche plani-volumetriche e tipologiche originarie, il che tuttavia, come sopra puntualizzato, non è avvenuto nella vicenda de qua.
Inoltre le vigenti norme tecniche di attuazione del piano operativo comunale ammettono su tale tipo di immobili soltanto interventi di ristrutturazione conservativa e non quelli di ristrutturazione ricostruttiva, come esplicitamente rappresentato nell’ordinanza di demolizione (risultando non dirimente il riferimento a una dedotta possibilità di modificazione della sagoma effettuato dall’interveniente in memoria, non essendo l’unico dato differenziale), dove si precisa pure che il bene ricade in area vincolata, nella quale valgono altresì le regole contenute nel piano di indirizzo territoriale (“PIT”) e al piano paesaggistico regionale (“PPR”), il cui rispetto da parte dell’intervento edilizio è stato dedotto dall’interveniente in memoria in questo grado, ma non dall’interessata in appello, né soprattutto nel ricorso introduttivo e, pertanto, esula dal thema decidendum.
24.3. Infine, si osserva che in tale contesto non può essere legittimamente predicabile alcun legittimo affidamento, su cui ha insistito anche l’interveniente in memoria, nell’ipotesi di annullamento del titolo edilizio per abusi di tipo sostanziale (cfr., ex aliis, Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2024, n. 2634 e 4 gennaio 2023, n. 136), in quanto in tema di fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 «la tutela dell’affidamento del privato circa la legittimità del titolo edilizio costituisce (…) un limite rispetto al potere di riduzione in pristino dell’Amministrazione solo nel caso in cui l’opera non presenti profili di abusività dal punto di vista sostanziale» (Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2024, n. 4997; in termini quasi identici cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 136). Pertanto un’ipotetica posizione psicologica di buona fede soggettiva dell’interessato (comunque difficilmente prospettabile a fronte di violazioni di carattere materiale) è recessiva rispetto alla tutela dell’ordinato sviluppo del territorio e non può comportare un’apertura di rigidi e stringenti limiti per l’ammissione all’eccezionale istituto della fiscalizzazione dell’abuso, pena l’insorgere, tra l’altro, di una forma di condono permanente non prevista dall’ordinamento. amministrativo affidato alla valutazione dell'amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l'inammissibile elusione del principio di programmazione e l'irreversibile compromissione del territorio,
25. Attraverso il quarto motivo – esteso da pagina 19 a pagina 21 del gravame – l’interessata ha dedotto «Error in iudicando per erronea motivazione sul primo motivo aggiunto. Error in iudicando per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 e 113 C.p.c. (richiamati dall’art. 39 C.p.a.) sui motivi aggiunti 2° e 3°».
In sintesi, per l’appellante i motivi aggiunti non sarebbero inammissibili, in quanto l’atto tramite essi impugnato non avrebbe carattere meramente confermativo del diniego di fiscalizzazione, già oggetto del ricorso introduttivo.
26. Il motivo è infondato, giacché il secondo diniego di fiscalizzazione è stato adottato senza una previa fase di riesame della domanda.
No vi è stata, pertanto, una nuova effettiva valutazione della richiesta, sicché l’atto è senz’altro meramente confermativo.
Va precisato, altresì, che l’amministrazione comunale non aveva comunque alcun obbligo di avviare un procedimento di riesame nelle more della definizione di un ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento repressivo in materia edilizia doverosamente e vincolativamente emanato a seguito di annullamento da parte del giudice amministrativo del titolo edilizio.
27. In conclusione l’appello deve essere respinto.
28. La peculiarità, anche in fatto, della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3862 del 2025, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 luglio 2025, con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere