Cass. Sez. III n. 30168 del 15 giugno 2017 (Ud 24 mag 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci Imputato: Pepe
Urbanistica.Interventi soggetti a s.c.i.a. su manufatti abusivi non sanati o condonati
Va esclusa la possibilità eseguire interventi soggetti a d.i.a. (ora s.c.i.a.) su manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, chiarendoso che non è applicabile il regime della d.i.a. a lavori edilizi che interessino detti manufatti, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Salerno, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza dell’11/10/2015 ha rigettato l’istanza di sospensione e/o di revoca dell’ordine di demolizione e di tutti i provvedimenti connessi, ivi compreso il provvedimento in data 12/5/2016 del Procuratore generale presso quella Corte, dell’immobile sito in Angri,via Casalanario, proposta nell’interesse di Giuseppina PEPE.
La Corte di appello disponeva, altresì, la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore in ordine ad eventuali illeciti di natura penale nei confronti degli autori dei provvedimenti amministrativi relativi all’immobile oggetto di esecuzione.
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Premesse alcune indicazioni sullo sviluppo dei diversi procedimenti amministrativi attivati, deduce, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla declaratoria di illegittimità e conseguente disapplicazione dei provvedimenti di condono rilasciati in relazione all’immobile di sua proprietà, avendo la Corte territoriale richiamato per relationem il contenuto della precedente ordinanza con la quale tale illegittimità era stata rilevata.
Osserva, a tale proposito, che, diversamente da quanto argomentato nel precedente provvedimento dal giudice dell’esecuzione, la esistenza di due distinte unità immobiliari, ritenuta insussistente ed indicata quale ragione della non condonabilità delle opere, sarebbe stata attestata dal consulente nominato dalla Corte di appello, il quale avrebbe accertato che la fusione delle due unità immobiliari sarebbe stata effettuata dopo il rilascio delle dei titoli abilitativi in sanatoria, sicché la decisione del giudice dell’esecuzione sarebbe fondata su un presupposto errato.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale non avrebbe considerato che la successiva procedura attivata, recante il numero di protocollo 50/2015, non doveva considerarsi come richiesta di permesso di costruire in sanatoria, perché, a seguito di una integrazione effettuata il 18/3/2016, “...essa assumeva la forma della segnalazione certificata di inizio attività”, per la quale non è richiesta alcuna doppia conformità, con la conseguenza che il collegio giudicante avrebbe erroneamente interpretato la sua iniziativa, ritenendo applicabile una disciplina normativa non utilizzabile nella fattispecie concreta.
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla declaratoria di illegittimità del permesso di costruire in sanatoria il quale, a seguito della SCIA, rappresenterebbe un titolo non richiesto né necessario rispetto alle opere da realizzare sul fabbricato.
5. Con un quarto motivo di ricorso rileva la illogicità della motivazione laddove le attribuisce la volontà di ottenere, con la procedura attivata, il “condono” delle opere, in realtà non più concedibile per difetto del requisito temporale.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente ricordato, qualora ve ne fosse bisogno, che questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento, sicché i plurimi richiami effettuati in ricorso ai provvedimenti amministrativi emanati nell’ambito dei procedimenti attivati dalla ricorrente non possono comportare alcuna valutazione degli stessi da parte del Collegio.
Ciò nonostante, dal contenuto del ricorso e del provvedimento impugnato si desume che, a fronte della costruzione di un fabbricato abusivo, per il quale era intervenuta sentenza definitiva di condanna, irrevocabile il 24/1/2003, era stata attivata, nel 2008, la procedura di esecuzione per la demolizione e rilasciate, nel 2011, due distinte concessioni in sanatoria ai sensi della legge 326/03 in relazione a due porzioni di immobili, ritenute illegittime dal giudice dell’esecuzione con l’ordinanza del 9/10/2015 richiamata nel provvedimento impugnato.
Risulta inoltre dal ricorso che, tra l’altro, il 30/6/2015 la ricorrente richiedeva all’amministrazione comunale il rilascio di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380\01, per la fusione delle due unità abitative e diversa distribuzione interna ed esecuzione di opere consistenti nella riduzione volumetrica del piano terra.
Il 14/3/2016 la ricorrente chiedeva, tuttavia, all’amministrazione comunale, di sospendere provvisoriamente la pratica al fine di ottenere l’attestazione di conformità urbanistica dell’immobile, rilasciata il 16/3/2016.
Il successivo 18/3/2016 veniva richiesta la riattivazione della pratica, chiedendo altresì di considerare la richiesta di permesso di costruire come “intervento di decremento di volumetria del fabbricato di circa 17,5 mc e non in sanatoria in considerazione dell’intervenuta segnalazione certificata di inizio attività”.
Il 6/4/2016 l’amministrazione comunale rilasciava il permesso di costruire in sanatoria, con il quale autorizzava anche le opere richieste, che venivano ultimate il 18/4/2016, come da comunicazione della ricorrente.
2. Fatte tali premesse, si osserva, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso prende in considerazione la questione della ritenuta illegittimità dei due provvedimenti di condono edilizio rilasciati per le opere abusive oggetto di un precedente provvedimento della Corte territoriale.
Con tale provvedimento, rispetto al quale non viene dalla ricorrente fatto alcun cenno ad eventuali impugnazioni, il giudice dell’esecuzione aveva rilevato che i titoli abilitativi conseguiti erano stati ottenuti attraverso la fittizia suddivisione del fabbricato in distinte unità immobiliari al fine di eludere il limite di 750 mc imposto dalla legge per ciascuna unità immobiliare da condonare. Veniva altresì disposta la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica in ordine alla sussistenza di eventuali illeciti penali a carico degli istanti e del funzionario comunale che aveva rilasciato il condono.
La Corte di appello, che richiama evidentemente il precedente provvedimento al fine di meglio esplicitare la complessa e singolare evoluzione della vicenda amministrativa riguardante l’immobile abusivo, evidenzia chiaramente che oggetto dell’istanza presentata dalla ricorrente era l’attestazione di conformità urbanistica dell’immobile rilasciata il 16/3/2016 ed il permesso di costruire in sanatoria del 4/4/2016.
Ciò nonostante, la ricorrente ritiene che tale evenienza le consenta di porre nuovamente in discussione, in questa sede, il provvedimento richiamato dal giudice dell’esecuzione, ma tale assunto è del tutto errato, poiché eventuali censure avrebbero dovuto essere sollevate mediante tempestiva impugnazione.
In ogni caso, sembra opportuno ricordare come la giurisprudenza di questa Sezione abbia da tempo chiarito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale (Sez. 3, n. 37847 del 14/05/2013, Sorini, Rv. 256971. Si vedano anche Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo, Rv. 234469, contenente dettagliata ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza sul tema, nonché Sez. 3, n.35391 del 14/07/2010, Luciani, non massimata; Sez. 3, n. 34809 del 02/07/2009, Giombini, non massimata; Sez. 3, n. 14504 del 20/01/2009, Rv. 243474, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 9177 del 13/01/2009, Corvino, non massimata; Sez. 3, n. 35389 del 27/06/2008, Gallo, non massimata; Sez. 3, n. 28225 del 09/05/2008, Di Stefano, non massimata; Sez. 3, n. 41620 del 02/10/2007, Emelino, Rv. 237995; Sez. 3, n. 1894 del 14/12/2006 (dep. 2007), Bruno, Rv. 235644; Sez. 3, n. 40425 del 28/09/2006, Consiglio, Rv. 237038).
Il menzionato potere dovere del giudice in presenza dell’atto abilitativo illegittimo deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 26503401; Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; Sez. 3, n. 26144 del 22/4/2008, Papa, Rv. 24072801 ed altre prec. conf.)
Le argomentazioni poste a sostegno dell’orientamento appena richiamato valgono, ovviamente, anche per quanto riguarda il giudizio di esecuzione, con riferimento al quale questa Corte ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di “condono edilizio” non determina l’automatica revoca dell’ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l’obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 26097201; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Brasiello, Rv. 25667901; Sez. 3, n. 40475 del 28/9/2010, Ventrici, Rv. 24930601; Sez. 3, n. 39767 del 28/9/2010, Esposito, non massimata; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 23264201).
Alla luce di tali principi emerge dunque chiaramente il corretto operato del giudice dell’esecuzione, il quale ha doverosamente valutato i titoli abilitativi rilasciati, non limitandosi a prenderne atto ed altrettanto correttamente è pervenuto ad un giudizio negativo in ordine alla validità ed efficacia dei titoli, evidentemente sulla base di quanto verificato nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 666, comma 5 cod. proc. pen.
Tale accertamento, fondato, a quanto pare, anche sugli esiti di una consulenza espletata dalla Procura Generale, non può comunque essere oggetto di censura in questa sede, essendo precluso al giudice di legittimità ogni apprezzamento in ordine a dati fattuali oggetto di disamina nei precedenti gradi di giudizio.
3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, perché attengono alla particolare procedura attivata successivamente al rilascio del condono mediante una richiesta di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380\01, seguita da un’istanza di sospensione, dall’attestazione di conformità, dalla richiesta di “riattivazione” considerando la richiesta di sanatoria quale S.C.I.A. e conclusasi con il rilascio del titolo abilitativo sanante con il quale veniva autorizzate altre opere, pure richieste.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di una procedura quanto meno singolare per le modalità con le quali si è sviluppata ma che, in ogni caso, consente di ritenere, pur nell’impossibilità di esaminare in questa sede i singoli atti richiamati, l’inefficacia degli stessi.
Invero, ciò che va tenuto presente è, in primo luogo, la originaria natura abusiva delle opere, accertata con sentenza irrevocabile e non venuta meno per effetto della procedura di condono, la cui illiceità è stata rilevata dal giudice dell’esecuzione con provvedimento che non può essere oggetto di censura in questa sede per le ragioni già dette.
Ne consegue che, se la richiesta di sanatoria fosse qualificabile, come sostiene la ricorrente, quale S.C.I.A., quest’ultima non avrebbe efficacia alcuna, poiché la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso la possibilità eseguire interventi soggetti a d.i.a. (ora s.c.i.a.) su manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, chiarendo che non è applicabile il regime della d.i.a. a lavori edilizi che interessino detti manufatti, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (così Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, Pagano, Rv. 23447201. Conf. Sez. 3, n. 45070 del 24/10/2008, Rubino non mass.; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.M. in proc. Cardito, Rv. 24226901: Sez. 3, n.2112 del del 2/12/2008 (dep. 2009), Pizzolante, non massimata. Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e altri, Rv. 26133001. V. anche Sez. 3, n. 8865 del 8/11/2016 (dep.2017), Visone, non massimata).
Considerando, invece, il permesso di costruire in sanatoria, titolo effettivamente rilasciato dall’amministrazione comunale, rileva invece il Collegio come il giudice dell’esecuzione ne abbia correttamente escluso la validità, dando atto della mancata attestazione della c.d. doppia conformità che, secondo l’articolo 36 d.P.R. 380\01, deve sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, tale non ritenendo la generica attestazione di conformità rilasciata dall’amministrazione comunale ed, inoltre, rilevando come il permesso medesimo sia stato rilasciato previo intervento demolitorio finalizzato alla riduzione della volumetria, non essendo consentita, proprio in ragione del testuale contenuto della citata disposizione normativa, l’esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono.
Tale valutazione, peraltro, è stata anch’essa effettuata sulla base di una disamina degli atti processuali e di documenti che è, come si è già detto, preclusa in questa sede.
4. Per ciò che riguarda, infine, il quarto motivo di ricorso, risulta del tutto evidente che il riferimento, nell’impugnato provvedimento, al “condono” che l’istante vorrebbe ottenere riguarda la procedura precedentemente attivata ai sensi della legge 326\03, come emerge dal richiamo alla precedente ordinanza ed, in ogni caso, non inficia il complessivo percorso argomentativo seguito dal giudice dell’esecuzione, il quale ha chiarito, in maniera inequivocabile e senza cedimenti logici o manifeste contraddizioni, previo richiamo ad altra ordinanza precedentemente emessa, che i provvedimenti assunti successivamente non producono alcuna efficacia ai fini della sospensione o della revoca dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo.
5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 24.5.2017