Cass. Sez. III n.39650 del 29 ottobre 2024 (UP 25 sett 2024)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. Contino
Urbanistica.Violazioni disciplina antisismica e soggetti responsabili del reato
Il reato di cui all'art. 95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere commesso da chiunque violi o concorra a violare gli obblighi imposti e, quindi, dal proprietario, dal committente, dal titolare della concessione edilizia e da qualsiasi altro soggetto che abbia la disponibilità dell'immobile o dell'area su cui esso sorge, nonché da coloro, come il direttore e l'assuntore dei lavori, che abbiano esplicato attività tecnica ed iniziato la costruzione senza il doveroso controllo del rispetto degli adempimenti di legge. Soggetto attivo del reato di cui all'art. 95 del D.Lgs. 6 giugno 2001 n. 380 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) è anche il titolare della ditta chiamata ad eseguire opere edilizie in zone sismiche, in quanto destinatario diretto del divieto di esecuzione dei lavori in assenza dell'autorizzazione e in violazione delle prescrizioni tecniche e, come tale, non esonerato automaticamente da responsabilità per la presenza di un direttore dei lavori.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del 18 ottobre 2022 del tribunale di Foggia, con cui Contino Alfonso era stato condannato in ordine al reato di cui all’art. 44 lett. b) del DPR 380/01.
2. Avverso la predetta sentenza Contino Alfonso ha proposto ricorso per cassazione mediante difensore, deducendo sette motivi di impugnazione.
3. Si rappresenta, con il primo motivo, che vi sarebbe la erronea considerazione della esistenza di un permesso di manutenzione, che alla luce della disciplina vigente non può sussistere in rapporto a tale tipologia di interventi e quindi sarebbe incomprensibile la condotta alternativa esigibile a carico del ricorrente, quanto alle verifiche su titolo edilizio ipotizzate quale suo onere. Si aggiunge che il ricorrente avrebbe accertato la sussistenza di un permesso di costruire che, se rilasciato, aveva il senso di una sua conformità agli strumenti urbanistici e quindi nessun addebito avrebbe potuto muoversi all’imputato. Anche la motivazione sarebbe viziata, alla luce innanzitutto della esistenza di errori nella descrizione dei fatti contestati, pur non volendosi inquadrare gli stessi nell’ambito di una eccezione di genericità del capo di imputazione. Inoltre, non si sarebbe presa in considerazione la integrazione documentale prodotta, né le dichiarazioni del consulente della difesa e dell’attuale ricorrente. E mancherebbe la motivazione sulla ritenuta inadeguatezza del titolo edilizio e sulla qualificazione dei lavori come realizzati in totale difformità. E si ribadisce, alfine, la sussistenza di adeguato titolo abilitativo idoneo a legittimare quanto realizzato. Sarebbe carente la motivazione anche riguardo all’elemento soggettivo, in assenza di un giudizio fondato su elementi concreti a fronte di un ricorrente che si sarebbe avvalso di consulenti tecnici ed era altresì a conoscenza tanto della intervenuta autorizzazione antisismica che del permesso di costruire, senza che gli si potesse chiedere di verificare la legittimità dei titoli abilitativi esibiti dal committente.
4. Con il secondo motivo e in relazione al capo a) deduce vizi di violazione di legge Si contesta la qualificazione dei lavori realizzati in termini di totale difformità dal permesso di costruire. Laddove lo stesso giudice avrebbe riscontrato difformità solo parziali. Laddove poi l’ufficio comunale, il 18 luglio 2018, non avrebbe confermato tale impostazione.
5. Con il terzo motivo rappresenta vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione agli artt. 93 e 95 del DPR 380/01, 125 comma 3 e 546 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. Mancherebbe la motivazione sulla responsabilità per il reato di cui al capo c), ex artt. 93 e 95 del DPR 380/01.
6. Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in ordine agli artt. 40 cod. pen. e 93 e 95 DPR 380/01, osservandosi che l’imputato non poteva ritenersi responsabile, in quanto solo esecutore dei lavori, figura non riconducibile al tipo di reato – a soggettività ristretta – contestato. Inoltre sussisterebbe una comunicazione inviata dal committente per inizio lavori, allo Sportello unico.
7. Con il quinto motivo deduce vizi di violazione di legge anche processuale e di motivazione, in ordine agli artt. 94 e 95 del DPR 380/01. La motivazione rispetto al capo d) sarebbe apparente se si ritenesse di ricondurre quella esistente al capo c) invece che d). E in caso contrario sarebbe comunque illogica, siccome la fattispecie del capo d) non sarebbe a soggettività ristretta ma riconducibile a tutti i soggetti di cui all’art. 29 del DPR 380/01. Comunque, il fatto non sussiste perché sarebbe stato rispettato un progetto autorizzato dal Genio civile il 4 ottobre 2017, di cui sarebbe stata attestata la conformità dal medesimo ufficio. L’autorizzazione sismica inoltre, sussisteva al momento dell’intervento.
8. Con il sesto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine all’art. 95 del DPR 380/01, 7 Cedu, 76, 81 commi 1 e 3, 133 e 135 cod. pen. 609 comma 2 cod. proc. pen. per illegalità della pena. Sarebbe stata applicata in aumento una pena detentiva e pecuniaria per i reati satellite sebbene gli stessi siano puniti solo con pena pecuniaria, per cui l’aumento andava effettuato mediante ragguaglio. Inoltre, il cumulo giuridico non sarebbe favorevole, in violazione dell’art. 81 comma 3 cod. pen., atteso che previo ragguaglio l’aumento disposto sarebbe pari a euro 9000 per ogni reato satellite mentre ciascuno di essi prevede un massimo di pena pari a 10.329,00 euro. Quindi l’aumento sarebbe vicino alla pena massima mentre la pena per il reato principale è lontana dal massimo. In punto di pena poi mancherebbe la motivazione.
9. Con il settimo motivo deduce vizi di violazione di legge in ordine all’art. 442 comma 2 cod. p.p., per mancata riduzione della metà della pena finale in ragione del rito abbreviato relativo a reati contravvenzionali.
10. E’ stata altresì presentata memoria dall’avv.to Quarticelli con particolare attenzione al tema della prescrizione
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi 5 motivi, afferendo alla complessiva valutazione della condotta del ricorrente rispetto ai capi da a) a d), appaiono sostanzialmente collegati ed omogenei e quindi meritano una valutazione congiunta. Essi risultano privi di specificità estrinseca, sebbene sia noto che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Invero, i giudici di appello, anche richiamando la conforme sentenza di primo grado, da una parte, hanno chiarito come il riferimento ad un permesso di costruire di cui alla contestazione, del 20.2.2017, afferisse ad opere di manutenzione straordinaria su tre unità, cosicchè, risultando incontestato il contenuto dell’atto, appare chiaro che, al di là della formale definizione quale permesso (laddove come noto rileva, nella qualificazione di un atto amministrativo, la sostanza dello stesso, non essendone dirimente la formale definizione), si trattava di un titolo abilitativo di mera manutenzione, così che appare coerente la concreta contestazione operata ai sensi dell’art. 44 lett. b) del DPR 380/01, in termini di realizzazione di una attività di ristrutturazione “pesante”, mai supportata da alcun titolo. E invero, in sentenza si precisa opportunamente come il primo giudice, alla luce degli esiti istruttori, avesse correttamente evidenziato la realizzazione, da parte dell’imputato, in concorso, di opere dalla portata tale da realizzare un organismo “in parte diverso da quello esistente per altezza e prospetti” – e dunque di ristrutturazione cd. “pesante” – che non risultavano “integralmente previste dai titoli abilitativi”; cosicchè il riferimento, talvolta, a difformità da titoli formalmente rappresentativi di interventi di manutenzione, a partire dallo stesso capo di imputazione, assume un carattere meramente descrittivo della “distanza” qualitativa e tecnica tra manutenzione prospettata e ristrutturazione realizzata, così da risultare coerentemente inquadrati, gli interventi ascritti, nell’ambito di opere di ristrutturazione abusive riconducibili, come tali, nel quadro dell’art. 44 lett. b) del DPR 380/01 di cui al capo a), senza alcun tipo di violazione di legge e tantomeno di motivazione; anche a fronte di un effettivo contraddittorio intervenuto, con riguardo ai fatti ascritti e alla realizzazione di un intervento di ristrutturazione non assentito, ove si aggiunga, in proposito, altresì, l’accuratezza e la dovizia di particolari con cui i giudici hanno spiegato le ragioni per cui il Contino doveva avere piena consapevolezza ( cfr. da pag. 8 a 9 della sentenza impugnata e pag. 10 e 11) dello stato originario dei luoghi e di talune false rappresentazioni grafiche, all’interno di procedure presentate presso taluni uffici tecnici, anche con riferimento alla disciplina antisismica. Avendo persino compartecipato, con un suo collaboratore, alla predisposizione di documentazione allegata ad una falsa pratica in materia di rilascio di autorizzazione sismica. Così che può ben ascriversi al medesimo ricorrente quantomeno una condotta colposa, consistente nell’aver dato seguito alla realizzazione di un organismo in parte significativamente diverso da quello originario. Con coerente applicazione, in tale contesto, non solo del principio per cui il costruttore, quale diretto responsabile dell'opera, prima di iniziare i lavori, ha il dovere di controllare che siano state richieste e rilasciate le prescritte autorizzazioni (e non semplicemente un titolo per manutenzione a fronte di opere di ristrutturazione “pesante”), con la conseguenza che risponderà a titolo di dolo se darà inizio alle opere nonostante l'accertamento negativo, ed a titolo di colpa, nell'ipotesi in cui ometta tale accertamento, perché la responsabilità del costruttore trova il suo fondamento nella violazione dell'obbligo, imposto dalla legge, di osservare le norme in materia urbanistica-edilizia (così Sez. 3, n. 860 del 25/11/2004 (dep. 2005), Cima, Rv. 230663, anche in motivazione, Sez. 3, n. 16802 del 08/04/2015 Rv. 263474 - 01). Ma anche di quello, che questo collegio condivide, per cui il reato di cui all'art. 95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere commesso da chiunque violi o concorra a violare gli obblighi imposti e, quindi, dal proprietario, dal committente, dal titolare della concessione edilizia e da qualsiasi altro soggetto che abbia la disponibilità dell'immobile o dell'area su cui esso sorge, nonché da coloro, come il direttore e l'assuntore dei lavori, che abbiano esplicato attività tecnica ed iniziato la costruzione senza il doveroso controllo del rispetto degli adempimenti di legge (Sez. 3 - n. 43178 del 15/05/2018 Rv. 274206 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 49991 del 10/11/2015 Rv. 266420 – 01). Va anche ricordato l'indirizzo già espresso da questa Corte, per cui soggetto attivo del reato di cui all'art. 95 del D.Lgs. 6 giugno 2001 n. 380 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) è anche il titolare della ditta chiamata ad eseguire opere edilizie in zone sismiche, in quanto destinatario diretto del divieto di esecuzione dei lavori in assenza dell'autorizzazione e in violazione delle prescrizioni tecniche e, come tale, non esonerato automaticamente da responsabilità per la presenza di un direttore dei lavori. (Sez. F, Sentenza n. 35298 del 24/07/2008 Rv. 240665 – 01). Orbene, le censure proposte, da una parte trascurano, come anticipato, inammissibilmente, l’articolato argomentare dei giudici di merito, che appare peraltro chiaramente comprensivo anche della spiegazione delle ragioni in fatto e diritto sottese al giudizio di responsabilità per i capi c) e d), dall’altra, conseguentemente, si traducono in una frammentaria rivalutazione in fatto degli elementi istruttori disponibili, anche essa inammissibile in questa sede, come noto.
2. Quanto al sesto motivo, dedotto in tema di illegalità della pena, va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte (n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818), nel ricapitolare, confermandoli, gli approdi della giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021), nell'ambito di una più ampia riflessione in chiave costituzionale e convenzionale, hanno messo a fuoco le nozioni di illegalità e di illegittimità della pena. In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che "l'illegalità della pena ricorre solo quando essa eccede i valori (espressi sia qualitativamente: genere e specie, che quantitativamente: minimo e massimo) assegnati dal legislatore al tipo astratto nel quale viene sussunto il fatto storico reato. E’ solo la violazione di esse - che sono la manifestazione ed il frutto del potere legale di determinazione della pena - ad integrare la pena illegale. Ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere integra un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo ad una pena che è illegittima". Di conseguenza, "gli errori nell'applicazione delle diverse discipline che entrano in gioco nella commisurazione della pena danno luogo ad una pena illegale solo se la risultante (ovvero la pena indicata in dispositivo) è per genere, specie o per valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha previsto per il tipo (o sottotipo) astratto al quale viene ricondotto il fatto storico reato. Fuori da tale caso, la pena è illegittima, ove commisurata sulla base della errata applicazione della legge o non giustificata secondo il modello argomentativo normativa mente previsto".
Tanto premesso, le deduzioni sollevate non attengono ad una pena illegale alla luce dei principi sopra esposti, venendo qui in rilievo una sanzione rientrante per quantità e qualità, nei limiti astrattamente previsti per i reati ascritti, ma al più illegittima. Tuttavia, dall’atto di appello, disponibile tra i documenti cui questa Suprema Corte può accedere, e dalla stessa sentenza impugnata, sul punto incontestata, emerge che il ricorrente si era solo limitato, in relazione alla pena, a richiedere una generica rideterminazione della stessa in diminuzione. Per cui in questa sede non è possibile proporre, con riferimento alla pena come confermata in appello, censure non dedotte nel precedente giudizio di impugnazione ovvero generiche. Con conseguente inammissibilità del motivo proposto nonché, per le medesime ragioni, anche dell’ultimo motivo, relativo alla mancata riduzione della pena della metà. Va aggiunto per completezza che nessun vizio si rinviene in punto di motivazione, a fronte della determinazione di una pena vicina ai minimi edittali e espressamente definita congrua alla luce della gravità, non certo irrisoria, dei fatti contestati. In proposito si rammenta che la determinazione della pena, tra il minimo ed il massimo edittale, rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili – come nel caso di specie -, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen (cfr. Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 Ud. (dep. 17/05/2013 ) Rv. 256197 – 01). Consegue la manifesta infondatezza del motivo.
3. Non possono ritenersi prescritti altresì i reati: come noto il reato edilizio e gli altri contestati sono reati permanenti. In ordine ad essi i capi di imputazione delineano la sussistenza della permanenza ancora alla data del sopralluogo del 18.12.2018 così disegnando una contestazione “aperta” in ordine a reati permanenti, rispetto ai quali, in assenza di specificazioni diverse rinvenibili in sentenza, deve ritenersi che la prescrizione cominci a decorrere dalla data della prima sentenza di condanna, che risale al 18 ottobre del 2022. Per cui ancora attualmente i reati non possono ritenersi prescritti.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Si condanna inoltre l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che si liquidano in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024.