 Cass.Sez. III n. 39400 del 24 settembre 2013 (ud 21 mar 2013)
Cass.Sez. III n. 39400 del 24 settembre 2013 (ud 21 mar 2013)
Pres.Lombardi Est. Fiale Ric. Spataro
Urbanistica.Edificazione abusiva e nudo proprietario del fondo 
In tema di reati edilizi, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà.
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. LOMBARDI  Alfredo          - Presidente  - del 21/03/2013
 Dott. FIALE     Aldo        - rel. Consigliere - SENTENZA
 Dott. GRILLO    Renato           - Consigliere - N. 861
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. GAZZARA   Santi            - Consigliere - N. 34406/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 SPATARO VINCENZA N. IL 09/07/1963;
 avverso la sentenza n. 2331/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del  06/03/2012;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/03/2013 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. ALDO FIALE;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gaeta Pietro che  ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.  RITENUTO IN FATTO
 La Corte di appello di Catania, con sentenza del 6.3.2012, ha  confermato la sentenza 18.1.2011 del Tribunale di Siracusa - Sezione  distaccata di Avola, che aveva affermato la responsabilità penale di  Spataro Vincenza in ordine ai reati di cui:
 - al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato  in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto  permesso di costruire, lavori di ristrutturazione previa integrale  demolizione e di sopraelevazione di un fabbricato, con incremento di  superfici e di volumetria - acc. in Rosolini, fino all'11.9.2008);
 - al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato i lavori  edilizi anzidetti in assenza dell'autorizzazione dell'autorità  preposta alla tutela del vincolo) e, riconosciute circostanze  attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della  continuazione, la aveva condannata alla pena complessiva di mesi 3 di  arresto ed Euro 30.000,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle  opere abusive e concedendo il beneficio della sospensione  condizionale.
 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputata, la quale ha  eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di  motivazione:
 - la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità  dell'attività di edificazione abusiva alla propria persona, essendo  essa soltanto "nuda proprietaria" dell'immobile, con usufrutto  spettante a sua madre;
 - la illegittimità del disposto ordine di demolizione dell'intero  manufatto pure a fronte dell'intervenuta esecuzione di lavori interni  che avevano interessato solo alcune parti dell'immobile;
 - la eccessività della pena inflitta.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché articolato  in fatto e manifestamente infondato.
 1. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della  costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente  di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel  senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo  fatto di essere proprietario di un'area, un dovere di controllo dalla  cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione  abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario  del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti  lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non  è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale,  nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a  conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo  necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali  possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo  concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei  lavori abusivi.
 Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è  svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della  piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie  edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova  costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure: dei rapporti  di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il  proprietario; dell'eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo  durante l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di  materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di  provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale  fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle  situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano  trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la  compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo  presente pure la destinazione finale della stessa vedi Cass., Sez. 3:
 27.9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n.  31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536,  Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo;
 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone.  La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva  non per il proprietario dell'area interessata dal manufatto,  dall'esistenza di un consapevole contributo all'integrazione  dell'illecito, ma grava sull'interessato l'onere di negare  circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti  di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà  (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537 Vitale ed altro).  Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici  del merito - con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-  giuridici - hanno ricondotto all'imputata l'attività di edificazione  illecita in oggetto sui rilievi che essa era "nuda proprietaria"  dell'immobile ristrutturato e sopraelevato previa integrale  demolizione, ne aveva la disponibilità giuridica e di fatto, ed  aveva sicuro interesse all'esecuzione delle opere. Essa, Inoltre, non  ha dimostrato che non aveva avuto piena conoscenza della demolizione  e ricostruzione dell'edificio di sua proprietà e non era stata messa  in condizione di esprimere il suo dissenso.
 Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli  passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio non sono  proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura  razionale della decisione sia sorretta, come nei caso in oggetto, da  logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti  sostanzialmente a sollecitare la rilettura dei quadro probatorio,  alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il  riesame nel merito della sentenza impugnata.
 2. L' impartito ordine di demolizione legittimamente ha riguardato  l'intero fabbricato, poiché esso risulta integralmente costruito ex  novo in seguito alla demolizione dell'edificio preesistente.  3. La pena risulta determinata, previo riconoscimento di circostanze  attenuanti generiche, con corretto e motivato riferimento ai criteri  direttivi di cui all'art. 133 cod. pen., essendosi valutata, in  particolare, l'oggetti va entità degli illeciti.
 4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte  Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi  per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in  colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla  declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 cod. proc.  pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del  versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende,  equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura  di Euro 1.000,00.
 dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al  			pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di  			Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso in Roma, il 21 marzo 2013.
 Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2013
 
                    




