Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2861, del 11 giugno 2015
Urbanistica.Computo della distanza tra pareti finestrate di edifici antistanti, ex art. 9 del d.m. 1444/1968
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del decreto 2 aprile 1968, n. 1444, deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela; che nel computo delle distanze vanno considerati tutti gli elementi costruttivi aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione; che pertanto vanno ricompresi tra i manufatti rilevanti a fini di distanze, anche i muri di contenimento quale quello in questione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 02861/2015REG.PROV.COLL.
N. 01095/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 1095 del 2014, proposto da
Davide Orsi, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Gerbi e Giovanni Candido Di Gioia, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, piazza Mazzini n. 27, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Sara Galli, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gabriele Pafundi, Luigi Cocchi e Gerolamo Taccogna, ed elettivamente domiciliata presso il primo dei difensori in Roma, viale Giulio Cesare n. 14A, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta e dell’appello incidentale;
nei confronti di
Comune di Santa Margherita Ligure, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Davide Rossi, Teresa Carla Sannazzari e Giuseppe Orsi, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione prima, n. 1406 del 21 novembre 2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica e revoca della sospensione D.I.A.;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sara Galli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Gerbi, Di Gioia e Pafundi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 1095 del 2014, Davide Orsi propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sezione prima, n. 1406 del 21 novembre 2013 con la quale accolto, per quanto concerne gli atti relativi alla d.i.a. e con annullamento degli atti stessi ed accertamento dell’insussistenza dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio in questione, il ricorso proposto da Sara Galli contro lo stesso appellante e il Comune di Santa Margherita Ligure per l'annullamento dell’autorizzazione paesaggistica e del provvedimento a seguito di istanza di rimozione, anche in via di autotutela, degli effetti derivanti da d.i.a., della d.i.a. stessa e\o per l’accertamento della insussistenza dei presupposti per la d.i.a. e dell’illegittimità del relativo intervento, nonché per motivi aggiunti della nota 13\12\2012 di revoca della sospensione degli effetti della d.i.a..
Il giudice di prime cure ricostruiva i fatti in esame in questi termini:
“Con il ricorso in epigrafe parte ricorrente, in qualità di proprietaria di immobile confinante in posizione sovraordinata dall’altro lato della strada comunale rispetto a quello oggetto di intervento, impugnava l’autorizzazione paesaggistica e gli atti relativi alla d.i.a. concernente la sopraelevazione dell’immobile di parte controinteressata, comportante ampliamento di 56.64 mq, giustificato ex art. 3 l.r. 49\2009 e l.r. 24\2001.
Avverso tali atti venivano quindi dedotte le seguenti censure:
- rispetto all’autorizzazione paesaggistica: violazione degli artt. 146 d.lgs. 42\2004 e 3 l. 241\1990 per difetto di motivazione paesaggistica; analoghi vizi e violazione dell’art. 43 ptcp per mancata indicazione dei presupposti ivi previsti per consentire edificazioni;
- rispetto alla dia ed all’intervento edilizio: violazione degli artt. 1 ss. e 31 e 41 quater l. 1150\1942, 1, 14, 20 e 22 tu edilizia, illegittimità della l.r. 49\2009 e l.r.24\2001 per contrasto con le norme statali di principio; violazione degli artt. 1 e 3 l.r. 49 cit., eccesso di potere sotto diversi profili, per mancanza dei necessari presupposti di miglioramento della funzionalità e della qualità architettonica; analoghi vizi e violazione dell’art. 3 tu edilizia e dell’art. 9 dm 1444\1968 in relazione anche all’art. 18 l.r. 16\2008, eccesso di potere per falsità presupposti e travisamento, non potendo qualificarsi la sopraelevazione come ristrutturazione e per violazione delle distanze rispetto ad edificio antistante ed al muro di contenimento del fabbricato posto a monte; violazione della l.r. 24 cit. in relazione alle norme di prg in tema di altezza massima; violazione degli artt. 19 comma 6 ter l. 241\1990 e 26 l.r. 16 cit., diversi profili di eccesso di potere, non potendo limitarsi a sospendere la dia, il Comune.
La parte controinteressata si costituiva in giudizio e, replicando punto per punto, chiedeva la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame.
Con successivo atto di motivi aggiunti le censure venivano estese all’atto comunale di revoca della sospensione della dia.
Anche avverso tale impugnativa replicavano le parti resistenti costituite.
Con ordinanza cautelare n. 66\2013 veniva accolta la domanda cautelare e fissata udienza di merito.
Alla pubblica udienza del 14\11\2013, in vista della quale le parti producevano ulteriori memorie, la causa passava in decisione.”
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R., scindendo i diversi profili delle censure proposte, riteneva infondate quelle concernenti l’autorizzazione paesaggistica mentre accoglieva le doglianze relative all’assentibilità dell’intervento edilizio, in relazione alla violazione delle distanze minime tra i fabbricati.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie difese.
Nel giudizio di appello, si è costituita Sara Galli, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso e dispiegando altresì appello incidentale, estendendo il contraddittorio a Davide Rossi, Teresa Carla Sannazzari e Giuseppe Orsi.
All’udienza del 4 marzo 2014, l’esame dell’istanza cautelare veniva rinviata al merito.
Alla pubblica udienza del 28 aprile 2015, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare, la Sezione ritiene di evidenziare come la fattispecie de qua attenga unicamente a profili di diritto e non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi assodata la prova dei fatti oggetto di giudizio.
La detta considerazione vale anche per il motivo di appello con cui si contesta la sussistenza del requisito minimo della distanza tra gli edifici, atteso che non viene in gioco il fatto oggettivo, ma la sua applicabilità alla fattispecie e quindi “integra gli estremi dell'error juris sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all'ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all'ipotesi della violazione)” (in termini, Cassazione civile, sez. lav., 10 giugno 2009 n. 13367).
2. - L’appello principale non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
3. - Con il primo motivo di appello, viene riproposta l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa per difetto di interesse, in relazione alla circostanza dell’insufficienza del criterio della vicinitas per radicare il potere di impugnativa.
3.1. - La censura va respinta.
Come evidenziato, la controversia in scrutinio concerne la legittimità di un intervento edilizio di sopraelevazione di immobile esistente, attraverso l’autorizzazione paesaggistica rilasciata e la D.I.A. presentata. La legittimazione della parte è fondata sull’esistenza della vicinitas, visto che non è oggetto di contestazione la circostanza che gli immobili siano distanti solo pochi metri, che appartengano allo stesso contesto urbanistico territoriale e si pongano ai lati della medesima strada.
Osserva la Sezione come, sulla sufficienza di tale solo requisito, siano registrabili orientamenti giurisprudenziali difformi (per l’esame di alcuni profili della questione si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2012 n. 6081; id., sez. VI, 20 ottobre 2010, n. 7591). Secondo una tesi più ampliativa, la legittimazione a impugnare un titolo edilizio non postulerebbe necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535). Per una concezione più limitativa, ai fini dell'impugnazione di una concessione edilizia la condizione della vicinitas andrebbe ponderata in base ad un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (Consiglio di Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2849).
Ritiene tuttavia la Sezione di doversi rifare all’orientamento ampliativo prima indicato, in ragione del diverso atteggiarsi della prova del requisito ulteriore, come è andata evolvendosi in tempi recenti. Infatti, l’evoluzione delle tematiche connesse alla pianificazione territoriale ha trasferito nel campo urbanistico temi prima ad esso estranei (come la salvaguardia dei valori ambientali o culturali), determinando una ricerca più puntuale in questi settori di ulteriori fatti di legittimazione (si veda, in materia di impugnazione di titoli che incidano su interessi ambientali, da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 21 novembre 2013 n. 5528).
Appare quindi necessario ribadire, in tale contesto evolutivo, il principio della maggiore tutelabilità di quegli interessi che, contrastando una nuova edificazione, mirano a preservare le condizioni dell'area, il pregiudizio in capo alla proprietà preesistente e anche l'assetto edilizio ed urbanistico ed ambientale della zona. E ciò può aversi riconoscendo ad essi, forse in modo più intenso che nel passato, il connotato della legittimazione in relazione alla sola vicinanza, senza ulteriori qualificazioni che, invece, ben si addicono a forme di tutela di maggiore ampiezza e più difficile esperibilità.
Nel caso di specie, non sono in dubbio né il tema della vicinanza né quello dell’identità del contesto territoriale ed urbanistico, rendendo quindi insostenibile l’eccezione de qua.
4. - Con il secondo motivo di appello, vengono sollevate censure in relazione al motivo che ha determinato l’accoglimento del ricorso da parte del T.A.R., lamentando erroneità della sentenza per travisamento, perplessità, difetto di motivazione e contraddittorietà; violazione e falsa applicazione dell’art. 117 della Costituzione, dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, dell’art. 3 della L.R. Liguria n. 49 del 2009 e dell’art. 100 c.p.c.; mancato giudizio di inammissibilità.
Nel dettaglio, si evidenzia (punto a) la derogabilità degli standard di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 e (punto b) la presenza della distanza minima di dieci metri tra le costruzioni.
4.1. - Entrambi i profili del motivo sono infondati.
In relazione alla derogabilità o meno degli standard previsti dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, va rimarcato come il tema della loro cogenza abbia avuto una conferma espressa, in senso diametralmente opposto a quanto voluto dalla parte appellante, proprio con la disciplina di cui all’art. 2 bis del d.P.R. n. 380 del 2001 (introdotta dall'articolo 30, comma 1 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98). La detta disposizione ha attribuito ex novo un potere di predisporre deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati, “ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative”, alle regioni ed alle province autonome che potranno fruire di tale opportunità tramite “proprie leggi e regolamenti”, confermando quindi l’esigenza di una positiva ed espressa valutazione dei modi di deroga alla disciplina generale di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444, e quindi negando una recessività sui generis della norma.
Peraltro, proprio l’ipotesi di deroghe allo stesso D.M. era stata vagliata dalla Corte costituzionale, con sentenza del 23 gennaio 2013 n. 6, nella quale si è evidenziato che la legislazione regionale che interviene in tema “è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico” e che “le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.” Enunciando un principio del tutto valevole nel caso in esame, il giudice delle leggi ha quindi affermato “Il punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella regionale in materia di «governo del territorio», come identificato dalla Corte costituzionale, trova una sintesi normativa nell'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto dotato di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011; sentenza n. 232 del 2005). Quest'ultima disposizione consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». Le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque, consentite nei limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.”
È quindi evidente che, nel caso in esame, non vertendosi in alcuna delle eccezioni sopra vagliate, correttamente il primo giudice ha ritenuto la disciplina ministeriale del tutto inderogabile.
Venendo poi al secondo punto, attinente alla questione della distanza tra i fabbricati, va evidenziato che non è qui in contestazione il fatto oggettivo, ma la sua applicabilità alla vicenda in esame, in relazione ai presupposti esistenti. Infatti, la parte appellante contesta che la disciplina sia applicabile alla fattispecie sia perché la nuova edificazione “non dista meno di dieci metri da alcun fabbricato di proprietà dell’attuale appellata (che risiede nell’appartamento a piano terra del civico 8 di via privata Giovo)” sia perché la distanza di dieci metri, come computata dal T.A.R., è riferita al muro di contenimento frontistante la via privata Giovo e quindi non è riferibile ad una parete finestrata.
Le questioni sono però inconferenti.
Iniziando dal secondo dei profili di doglianza, va notato, come correttamente notato dal T.A.R., che “nella specie appaiono pacifici i dati di fatto: l’intervento comporta un nuovo volume (con parete finestrata) in altezza del preesistente edificio, rispetto al quale il limite dei dieci metri non viene rispettato in confronto al muro di contenimento frontistante del fabbricato di via privata Giovo n. 6 e per una porzione nei confronti dell’edificio della stessa via privata nn. 3a e 3b posto in posizione latistante.” Infatti, è incontestabile l’esistenza di una parete finestrata, che è quella dell’edificio che si andrà a realizzare (fatto peraltro rinvenibile dall’esame dei progetti presentati a corredo della D.I.A. e inserito al n. 7 dei documenti presentati dalla ricorrente Galli al T.A.R. e, peraltro, non contestato dalla parte appellante, che evidenzia la natura di immobile non finestrato del muro di contenimento, senza mai accennare alla condizione dell’immobile che sarà realizzato).
La doglianza è quindi smentita in fatto (e peraltro, nemmeno aggredita dalla parte che, si ripete, fa riferimento solo ad uno dei due manufatti contrastanti, trascurando completamente quello che essa stessa andrà a realizzare).
In merito poi alle modalità di calcolo della distanza predicabile, il primo giudice ha fatto buon governo delle precedenti decisioni in tema, evidenziando: che la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del decreto 2 aprile 1968, n. 1444, deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Consiglio Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2005 n. 6909); che nel computo delle distanze vanno considerati tutti gli elementi costruttivi aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 marzo 1996, n. 268); che pertanto vanno ricompresi tra i manufatti rilevanti a fini di distanze, anche i muri di contenimento quale quello in questione (da ultimo, Cassazione civile, sez. VI, 13 settembre 2012 n. 15391).
Anche in questo caso, il primo giudice ha valutato la fattispecie correttamente.
I rilievi appena svolti consentono di respingere il motivo anche in relazione al primo profilo, dove la parte fondava le proprie affermazioni sulla disaggregazione del concetto di edificio, ritenendo che l’abitazione della parte appellante non comprendesse anche il muro di contenimento, ricostruzione del tutto infondata, come appena visto.
Il motivo di appello è quindi infondato e va respinto.
5. - Il rigetto delle ragioni dell’appello principale impone di prendere contezza delle questioni dedotte nell’ambito dell’appello incidentale proposto da Sara Galli.
In quella sede, sono evidenziate doglianze riguardanti il mancato accoglimento delle doglianze riguardanti, in primo luogo, l’impugnativa dell’autorizzazione paesistica n. 1904 del 19 settembre 2011 (primo motivo); la violazione dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2009 (secondo motivo) e, in secondo luogo, i profili edilizi, per quanto attinente all’illegittimità della DIA e dell’intervento stesso, sia per vizi derivati (terzo motivo) che per vizi di violazione dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, degli artt. 14, 20 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001; nonché per illegittimità costituzionale dell’art. 3 della L.R. Liguria n. 4 del 2009, dell’art. 2 della L.R. Liguria n. 24 del 2001; degli artt. 10, 14, 15, 21 bis, 23 e 31 della L.R. Liguria n. 16 del 2008 (quarto motivo).
Vengono, inoltre, proposte doglianze per violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 3 della L.R. Liguria n. 49 del 2009 (quinto motivo); vizi di infrapetizione (sesto motivo); violazione di legge della stessa L.R. Liguria n. 49 del 2009 e del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto altri profili, ivi compresa la stessa incostituzionalità della legge regionale (settimo motivo) e, infine, vizio di infrapetizione, in relazione a uno dei motivi aggiunti proposti in prime cure (ottavo motivo).
Come emerge tuttavia dalla valutazione delle ragioni dell’appello principale, il rigetto di tale impugnativa comporta, in concreto, l’annullamento dei titoli abilitativi rilasciati e quindi, nel caso di una eventuale nuova riproposizione dell’istanza edificatoria, la nuova rivalutazione dell’intera fattispecie alla luce dei dati, soprattutto progettuali, sopravvenuti.
Pertanto, l’esame delle ragioni dell’appello incidentale non potrebbe portare alcun giovamento ulteriore all’interessata, né sotto forma di conformazione dell’attività amministrativa, che andrà comunque calibrata in relazione alle eventuali ulteriori sopravvenienze, né in rapporto alle questioni di legittimità costituzionale proposte, che non potrebbero qui essere portate davanti al giudice delle leggi per difetto di rilevanza nella questione a quo.
Conclusivamente, anche il ricorso incidentale deve essere respinto.
6. - Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
7. - L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge gli appelli principale ed incidentale proposti nel ricorso n. 1095 del 2014;
2. Condanna Davide Orsi a rifondere a Sara Galli le spese del presente grado di giudizio che liquida in €. 3.000,00 (euro tremila/00) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 aprile 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:
Riccardo Virgilio, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)