Consiglio di Stato Sez. IV n. 2757 del 16 marzo 2023
Urbanistica.Decadenza e proroga dei termini del permesso di costruire

L’amministrazione, in omaggio ai canoni di certezza giuridica e di trasparenza, deve sempre addivenire all’adozione di un provvedimento espresso di decadenza del titolo edilizio, nei termini legalmente scanditi dall’art. 15 del testo unico dell’edilizia, sia pure con valenza ricognitiva di effetti ex lege. La richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, essendo funzionale ad evidenziare la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero vantare un interesse oppositivo all’altrui iniziativa edificatoria. La proroga dei termini è un provvedimento di secondo grado modificativo, sia pure parzialmente, dei complessivi effetti giuridici promananti dal precedente atto, e recante, perciò solo, uno spostamento in avanti del termine finale di efficacia. Il rinnovo della concessione, invece, sostanziantesi nel rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, postula una diversa verifica della ricorrenza dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, con sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo.


Pubblicato il 16/03/2023

N. 02757/2023REG.PROV.COLL.

N. 03342/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3342 del 2016, proposto dalla signora Maria Gabriella Stravato, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Scipione e Luca Scipione, con domicilio eletto presso lo studio Salvatore A. Napoli in Roma, via A.Riboty, n. 23;

contro

il comune di Itri, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, n. 788 del 27 novembre 2015, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2022 il consigliere Alessandro Verrico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dal provvedimento prot. n. 6509 del 14 maggio 2009 emesso dal responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Itri di annullamento della proroga prot. n. 14156 del 30 ottobre 2008 della concessione edilizia n. 19209 del 28 dicembre 2001.

2. In particolare, ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio, in fatto si precisa quanto segue:

i) con istanza del 12 dicembre 2001 (prot. n. 19209) la ricorrente, proprietaria del terreno di mq. 6.190, sito nel comune di Itri, località Corano ed annotato in catasto al foglio n. 53 particella n. 69, gravato da vincolo idrogeologico e sito in zona agricola E1, chiedeva al comune di Itri la concessione edilizia per la costruzione di due depositi agricoli, ciascuno della superficie di mq. 77,40 e per una superficie complessiva di mq. 154,80;

ii) il comune rilasciava la concessione edilizia n. 19209 del 28 dicembre 2001, nella quale erano fissati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, ossia un anno per l’inizio dei lavori e tre anni per la loro ultimazione, e veniva prescritto che nessun lavoro potesse essere iniziato senza la preventiva acquisizione del nulla osta relativo al vincolo idrogeologico e della preventiva autorizzazione scritta dell’Ufficio del Genio civile di Latina ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 della legge 2 febbraio 1974, n. 64;

iii) la ricorrente, con nota del 30 dicembre 2001 prot. 20010, comunicava al comune di Itri l’inizio dei lavori di preparazione e di installazione del cantiere;

iv) con istanza del 20 maggio 2005 la proprietaria chiedeva al comune di Itri la proroga del termine di ultimazione dei lavori;

v) il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, con atto prot. 14156 del 30 ottobre 2008, concedeva alla ricorrente la proroga del termine di ultimazione dei lavori per un anno, a partire dal rilascio della stessa;

vi) in data 3 marzo 2009 veniva effettuato dai Carabinieri un sopralluogo, dal quale emergeva, tra l’altro, che nessun lavoro era stato eseguito a quella data, come accertato nel relativo verbale;

vii) alla ricorrente veniva notificato in data 25 maggio 2009, il provvedimento, a firma del responsabile dell’ufficio tecnico, di annullamento d’ufficio dell’atto di proroga prot. 14156 della concessione edilizia prot. 19209 del 28 dicembre 2001;

viii) infine, con nota prot. n. 77887/09 del 16 giugno 2009 la Direzione regionale infrastrutture Area genio civile di Latina rilasciava il nulla osta sismico, pronunciandosi sulla relativa istanza presentata dalla proprietaria in data 28 aprile 2009 (prot. n. 77887109).

3. La signora Maria Gabriella Stravato ha proposto ricorso dinanzi al T.a.r. per il Lazio, sezione staccata di Latina (r.g. n. 683/2009), affidandolo a tre motivi (estesi da pagina 2 a pagina 11 del ricorso).

3.1. Con successivo atto di motivi aggiunti la ricorrente deduceva ulteriori vizi di legittimità del provvedimento gravato.

4. Il T.a.r. per il Lazio, sezione staccata di Latina, con la sentenza n. 788 del 27 novembre 2015, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, nulla disponendo per le spese, non essendosi in prime cure costituito il comune.

5. L’originaria ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha affidato il gravame a quattro motivi impugnatori (estesi da pagina 11 a pagina 27 del ricorso).

5.1. Nessuno si è costituito per il comune di Itri.

5.2. Con l’ordinanza presidenziale n. 188 del 5 febbraio 2020 è stato chiesto alle parti se fosse persistente l’interesse alla definizione del giudizio, peraltro ammonendole dell’eventuale applicazione dell’art. 26 c.p.a.

5.3. In data 13 settembre 2022 la parte appellante ha depositato la dichiarazione di interesse alla decisione.

6. All’udienza del 6 dicembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Nel merito, il Collegio esamina direttamente il ricorso di primo grado, che, del resto, individua e perimetra ab origine l’oggetto del giudizio, ai sensi dell’art. 104 c.p.a.

7.1. Al riguardo si osserva che:

a) con un primo motivo la ricorrente lamenta il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento, necessaria anche per i provvedimenti di secondo grado, come l’annullamento d’ufficio, anche alla luce dell’omesso richiamo ad una situazione di particolare urgenza;

b) con il secondo motivo di ricorso, come giustificazione del ritardo viene addotto il mancato rilascio del nulla osta relativo al vincolo idrogeologico, a cui era subordinato l’inizio dei lavori. Peraltro, si esclude la sopravvenuta decadenza della concessione al momento della richiesta di proroga, dovendo a tal fine essere presa a riferimento la data di presentazione di tale istanza e non essendo mai intervenuto un provvedimento formale di decadenza prima dell’adozione dell’atto di annullamento in autotutela;

c) con il terzo motivo di ricorso si deduce che l’atto di proroga prot. 14156 del 30 ottobre 2008, annullato con il provvedimento impugnato, si configurerebbe, nella sostanza, come un atto di rinnovo della pregressa concessione edilizia e, quindi, come una nuova concessione edilizia, stante l’avvenuto ricalcolo degli oneri concessori, in conformità a quanto richiesto dall’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001 per il rinnovo del permesso di costruire;

d) con il motivo aggiunto del primo grado si nega ulteriormente la sopraggiunta decadenza del titolo edilizio, non potendo essere avviati i lavori in assenza della preventiva autorizzazione da parte dell’Ufficio del Genio civile al momento della richiesta di proroga.

7.2. Tutti i motivi, stante la stretta connessione esistente tra loro, possono essere trattati e disattesi congiuntamente.

8. Ciò considerato, il collegio rileva, in primo luogo, che l’atto impugnato, con cui, come visto, è stato disposto l’annullamento dell’atto di proroga prot. n. 14156 del 30 ottobre 2008 della concessione edilizia prot. 19209 del 28 dicembre 2001, deve essere qualificato - tenuto conto del contenuto del potere in concreto esercitato dal comune - come decadenza del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 15 t.u. edilizia, nonché quale esercizio del potere di autotutela sulla pregressa concessione della proroga dei termini.

8.1. In fatto nulla di quanto dedotto dal privato ricorrente risulta provato, non essendovi alcuna dimostrazione delle precedenti richieste di proroga ovvero degli ulteriori e antecedenti solleciti per acquisire il nulla osta idrogeologico ed il nulla osta sismico.

Invero, dagli atti risulta che l’unica istanza di proroga del termine di ultimazione dei lavori è stata quella presentata in data 20 maggio 2005, che l’unica domanda per il rilascio del nulla-osta idrogeologico è stata quella del 25 maggio 2005 e, infine, che solo in data 28 aprile 2009 veniva chiesto il rilascio del nulla osta sismico.

Da tali considerazioni discende l’infondatezza dei motivi proposti dalla ricorrente, secondo cui il ritardo sarebbe giustificato dal mancato rilascio del nulla osta relativo al vincolo idrogeologico ovvero del nulla osta sismico, palesandosi l’inerzia della proprietà sia nell’avviare i lavori che nel richiedere tali autorizzazioni.

8.2. In punto di diritto, si rileva l’infondatezza del primo motivo incentrato sulla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, alla luce dei principi dettati in materia della recente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3385 del 2021; Cons. giust. amm. reg. sicil., n. 116 del 2022), secondo cui:

a) “nei procedimenti amministrativi la partecipazione è funzionale ad una più compiuta istruttoria e alla migliore rappresentazione degli interessi privati destinati ad essere incisi, ma non si spinge sino a identificarsi con il contraddittorio, tipico del processo, in cui ogni valutazione è sottoposta all’altra parte perché la stessa possa replicare nell’esercizio del proprio diritto di difesa in vista della decisione del giudicante” (Cons. Stato, sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);

b) “del difetto di partecipazione può segnatamente discorrersi quando l’amministrazione da avvio ad un procedimento, per un motivo, e lo concluda per un motivo diverso in assenza di garanzie procedimentali integrative, non già quando essa, in relazione al preannunciato motivo, e sulla base di un’istruttoria trasparente, addivenga alle proprie conclusioni senza avere previamente sentito l’opinione del partecipante” (Cons. St., sez. III, 30 marzo 2020, n. 2177);

c) “le norme in materia di partecipazione procedimentale, non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081);

d) del resto l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato”, “attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato” (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1081).

8.3. Nella presente fattispecie risulta evidente come l’impugnato provvedimento di annullamento d’ufficio abbia rappresentato per l’amministrazione un atto vincolato, così come nessun apporto concreto sia stato provato in sede processuale dal privato ricorrente.

L’applicazione al caso di specie del richiamato art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 rende pertanto irrilevante, ai fini della valutazione di legittimità dell’atto impugnato, il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento.

9. In ordine ai caratteri del provvedimento di decadenza, il Collegio rileva, sulla base dei principi ritraibili dai precedenti di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 7373 del 2021; id., n. 4648 del 2021; id., sez. IV, n. 2078 del 2020; id., sez. II, n. 2206 del 2020), che:

a) in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, è sempre richiesto che l’amministrazione si pronunci con provvedimenti espressi, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge, sicché risulta necessaria l’adozione di un formale provvedimento in relazione all’esercizio del potere attribuito dall’art. 15 t.u. edilizia;

b) alla luce del tenore testuale delle norme sancite dall’art. 15, commi 2 e 2-bis, del t.u. edilizia, non può dirsi irrilevante la tardività della istanza di proroga, essendo necessario che essa venga richiesta prima della decorrenza del termine ultimo per la fine dei lavori;

c) invero, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi; la presentazione della richiesta di proroga è infatti funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria;

d) diversamente dalla proroga dei termini - intesa quale provvedimento di secondo grado che modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, accedendo all’originaria concessione ed operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia - il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, in tal modo presupponendo la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo.

9.1. Alla luce di tali coordinate, deve quindi ritenersi infondata la tesi di parte ricorrente secondo cui al momento della richiesta di proroga non si sarebbe potuta ritenere già decaduta la concessione, considerato che, a tal fine, la presentazione di tale istanza (20 maggio 2005) avveniva in un momento di gran lunga successivo alla scadenza del termine per l’avvio dei lavori (28 dicembre 2002).

10. In conclusione l’appello deve essere respinto.

11. Nulla deve esser disposto in ordine alle spese di giudizio, non essendosi costituita parte intimata.

12. Il Collegio rileva, inoltre, che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 234 del 2022; n. 7998 del 2021; n. 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; n. 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. ex plurimis sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).

A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura minima di legge di € 2.000,00 (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.).

La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. rileva, infine, anche agli eventuali effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 148 del 2022).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello (r.g. n. 3342/2016), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese di giudizio.

Condanna l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della sanzione nella misura di € 2.000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2022, con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere