Cons. Stato Sez. VI n. 5055 del 30 luglio 2010
Urbanistica. Indennità per concessioni di scavo

Successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, il Comune non può più subordinare il rilascio di concessioni per lo scavo al pagamento dell’indennità; donde l’illegittimità degli atti che impongano, in contrasto con l’art. 93 D.Lgs. n. 259/2003, il pagamento preventivo di oneri aggiuntivi (quali l’ “indennità di civico ristoro” ed il “canone metro/ tubo”) a carico degli operatori di TLC che devono eseguire scavi sul territorio comunale.

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N. 05055/2010 REG.DEC.

N. 03211/2007 REG.RIC.


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)



ha pronunciato la presente


DECISIONE


sul ricorso numero di registro generale 3211 del 2007, proposto dalla società Telecom Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Ferraris ed Enzo Robaldo, con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. Pierfrancesco della Porta in Roma, via Lorenzo Valla 2,

contro

il Comune di Carate Brianza, rappresentato e difeso dagli avv.ti Umberto Grella e Guido Francesco Romanelli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Cosseria 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 00064/2007, resa tra le parti, concernente DINIEGO LAVORI DI MANUTENZIONE INFRASTRUTTURE NEL SOTTOSUOLO.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2010, il Cons. Paolo Buonvino;

Uditi, per le parti, gli avv.ti Franzin per Romanelli;

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue:


FATTO e DIRITTO


1) - Con la sentenza appellata il TAR ha dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento del provvedimento 6 ottobre 2004, prot. n. 27534, assunto dal Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune di Carate Brianza avente ad oggetto il diniego dell’autorizzazione ad effettuare lavori manutentivi delle infrastrutture per comunicazioni elettroniche installate nel sottosuolo stradale di via Manzoni; in parte qua, del Regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo degli impianti tecnologici adottato con provvedimento commissariale 24 giugno 2004, n. 138, e di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente, con particolare riferimento al provvedimento assunto dal Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune stesso il 22 luglio 2004, prot. L.P. 17248; con il conseguente risarcimento del danno patito.

Hanno premesso, i primi giudici:

- che la società Telecom Italia s.p.a. aveva chiesto al comune intimato, nell'anno 2004, l'autorizzazione ad eseguire lavori di manutenzione della rete di comunicazione elettronica installata nel sottosuolo comunale, comportanti la perforazione del suolo stradale;

- che a tale richiesta il comune aveva opposto un diniego, con la citata nota del 22 luglio 2004, n. L.P. 17248, che aveva motivato genericamente la decisione con la difformità della richiesta stessa rispetto a quanto previsto dal regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo di impianti tecnologici;

- che la società anzidetta, avendo informalmente saputo che la ragione del rifiuto consisteva nel mancato pagamento dell'indennità di “civico ristoro” di cui all'art. 11 di detto regolamento, con nota 30 settembre 2004 aveva evidenziato all’amministrazione di non essere tenuta al pagamento della stessa;

- che a tale nota il Comune aveva fornito riscontro con un nuovo diniego in data 6 ottobre 2004 prot. 17450, evidenziando le ragioni che, a suo dire, avrebbero comportato nel caso di specie l'applicazione dell’indennità;

- che tale ultimo diniego, insieme al diniego precedente ed in parte qua al regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo degli impianti tecnologici, era stato, allora, impugnato per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Fatte tali premesse, hanno osservato, i primi giudici, che, con il primo motivo di gravame, la ricorrente sosteneva che il Codice delle comunicazioni avrebbe vietato l'imposizione di oneri per l'occupazione di suolo pubblico da parte di imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, le quali sarebbero tenute solo al rimborso delle spese necessarie per la sistemazione delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi; mentre, con il secondo motivo si lamentava che l'indennità prevista dal regolamento comunale in discussione sarebbe stata calcolata con criteri avulsi dagli effettivi costi di ripristino del suolo pubblico.

Il TAR riassumeva, poi, le eccezioni di inammissibilità e irricevibilità del ricorso sollevate dal Comune resistente.

Quindi, respinta l’accezione di sopravvenuta carenza di interesse dallo stesso Comune sollevata, il TAR ha rilevato:

- che il primo diniego alla richiesta autorizzativa per i lavori in questione risaliva al 22 luglio 2004, mentre il ricorso era stato notificato il 4 dicembre 2004;

- che risultava dagli atti che la ricorrente era a conoscenza di tale diniego quantomeno alla data del 30 settembre 2004, poiché in quel giorno ha fatto pervenire all'amministrazione comunale una sua nota con la quale lo contestava;

- che tale diniego, pertanto avrebbe dovuto essere impugnato, al più tardi, il 30 novembre 2004;

- che il diniego in questione non presentava i vizi elencati dall'art. 21 septies, legge 7 agosto 1990 n. 241, e pertanto non poteva essere considerato nullo, sicché esso esplicava i propri effetti nel mondo giuridico fino ad annullamento avvenuto;

- che era vero che esso non conteneva le indicazioni circa l'autorità e il termine cui ricorrere, obbligatorie in base all’art. 3, comma 4, l. 241/90, ma che, tuttavia la ricorrente non aveva chiesto che venisse riconosciuto l'errore scusabile per tale motivo;

- che ne seguiva, pertanto, l’irricevibilità del ricorso rispetto al primo diniego di cui alla nota del Comune intimato 22 luglio 2004, prot. L.P. 17248;

- che, per l’effetto, il ricorso si presentava, allora, carente di interesse rispetto all'impugnazione del secondo diniego in data 6 ottobre 2004, prot. 27534, poiché l'annullamento di quest'ultimo non avrebbe comportato la caducazione del primo rifiuto, che avrebbe continuato ad esplicare i propri effetti rendendo quindi inutile per la ricorrente l’accoglimento del gravame.

- che, quindi, il ricorso andava dichiarato irricevibile quanto al provvedimento di cui alla nota del Comune intimato 22 luglio 2004, prot. L.P. 17248, ed inammissibile per carenza di interesse quanto al provvedimento di cui alla nota del Comune intimato 6 ottobre 2004, prot. 27534.

2) - Appella la società ricorrente in primo grado deducendo, anzitutto, che il predetto regolamento comunale e gli altri atti impugnati intenderebbero determinare un’alterazione dei rapporti concessori per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che l’accertamento della loro illegittimità rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge TAR, sicché non potrebbe soggiacere al termine decadenziale

Deduce, poi, l’appellante l’erroneità della sentenza in quanto la prima delle suindicate note comunali (22 luglio 2004) non avrebbe costituito, in considerazione dei suoi contenuti del tutto generici, atto utilmente impugnabile; e, comunque, la successiva nota del 6 ottobre 2004, pure impugnata, non avrebbe costituito atto meramente confermativo, con la conseguente piena ammissibilità del gravame avverso di essa proposto.

In ogni caso la ricorrente avrebbe dovuto essere ammessa al beneficio dell’errore scusabile.

Nel merito, poi, le censure svolte innanzi al TAR, qui riproposte, meriterebbero accoglimento, attesa l’illegittimità - per violazione degli artt. 88, comma 10, e 93 del d.lgs. n. 259/2003, nonché degli artt. 2033 e 2041 c.c., oltre che dell’art. 23 Cost. - delle impugnate statuizioni e dell’art. 11 del regolamento comunale che ne costituiva presupposto, nonché dei relativi allegati B1, B2 e C.

Reitera, infine, l’appellante la propria pretesa risarcitoria, con riserva di quantificarla in corso di causa.

3) - Per il Comune appellato avrebbero errato, i primi giudici, a disattendere l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, correlata al fatto che la richiesta autorizzazione sarebbe stata, poi, comunque rilasciata all’odierna appellante; per quant’altro, comunque, la sentenza in esame dovrebbe essere pienamente confermata; nella specie, infatti, opererebbe l’ordinario termine decadenziale e correttamente il TAR avrebbe ritenuto, al riguardo tardiva l’impugnazione della prima delle dette note comunali (22 luglio 2004) e inammissibile quella della seconda (6 ottobre 2004); il Comune ha, inoltre, escluso l’applicabilità, nella specie, del beneficio dell’errore scusabile.

Quanto alle censure riproposte dalla società appellante, il Comune resistente deduce, anzitutto, l’inammissibilità di quelle che investono la citata disciplina regolamentare comunale, sia perché tardive, sia perché detto regolamento costituisce mera attuazione dell’inoppugnata Direttiva della PCM 3 marzo 1999, con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione del regolamento stesso e delle note comunali che di questo si limitano a fare applicazione.

Le censure stesse, secondo la difesa comunale, sarebbero, comunque, prive di fondamento.

Da rigettare sarebbe, infine, per il Comune, anche la pretesa risarcitoria avanzata ex adverso.

4) - Rileva, anzitutto, il Collegio l’inammissibilità dell’eccezione di improcedibilità dell’originario ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (per avere, l’appellante, nelle more del giudizio, conseguito il richiesto titolo autorizzatorio); l’eccezione era stata, infatti, motivatamente disattesa dai primi giudici, con la conseguenza che, ai fini della sua rinnovazione in appello, la stessa avrebbe potuto essere nuovamente prospettata solo previa proposizione di gravame incidentale, in quanto volta a colpire un capo per il Comune non favorevole della sentenza in esame.

5) - Quanto alle censure formulate avverso la sentenza stessa da parte della società Telecom Italia s.p.a., le stesse meritano, invece, accoglimento nei limiti che seguono.

Detta società, con nota pervenuta al Comune il 16 luglio 2004, chiedeva di essere autorizzata ad eseguire lavori di formazione, in una strada comunale, di una buca per collocare un giunto.

Il Comune, con nota del 22 luglio 2004, n. LP 17248 (in partenza il 28 luglio successivo con prot. n. 21356) rigettava l’istanza perché “non conforme a quanto previsto dal Regolamento per la sistemazione nel sottosuolo di impianti tecnologici (esecutivo dal 09/07/2004)”.

Replicava l’odierna appellante con nota pervenuta in Comune il 30 settembre 2004, con la quale esponeva articolatamente le ragioni che si opponevano alla richiesta di corresponsione di oneri e indennità correlate alle richieste di manomissione dalla stessa società avanzate, ostandovi gli artt. 88 e 93 del d.lgs. n. 259/2003.

Controreplicava il Comune con nota 6 ottobre 2004, n. LP 17450 (in partenza il giorno successivo con protocollo in uscita n. 29539), sostenendo che “l’art. 93, comma 2, 1° periodo, d.lgs. 259/2003 stabilisce esattamente il contrario di quanto da voi sostenuto; in particolare, gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale; la disposizione è molto chiara e da essa si evince che l’operatore ha due obblighi: 1) ripristinare a regola d’arte le aree oggetto di intervento; 2) corrispondere una indennità a titolo di sistemazione delle aree interessate dai lavori; quest’ultima indennità è quella prevista dal suddetto regolamento”.

Avverso le note ed il Regolamento anzidetti veniva proposto ricorso innanzi al TAR, notificato il 4 dicembre 2004.

Per il TAR l’impugnativa della prima di dette note era tardiva, con la conseguente inammissibilità, per carenza di interesse, dell’impugnativa della successiva nota del 6 ottobre 2004 e del presupposto regolamento comunale.

Tale convincimento può essere solo in parte condiviso.

Vero che la prima delle note impugnate avrebbe dovuto essere fatta oggetto di gravame nei sessanta giorni decorrenti dal 30 settembre 2004 (data, questa, di sicura conoscenza della missiva da parte della società destinataria) e, quindi, entro il 30 novembre 2004, non rilevando che la stessa non recava indicazione circa l’Autorità giurisdizionale presso la quale avrebbe dovuto essere gravata, né il termine entro il quale l’impugnativa avrebbe dovuto essere proposta, tali circostanze potendo costituire presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile solo nel caso in cui sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, dovendosi, in caso contrario, evitare che tale formale inadempimento conduca ad una indiscriminata esenzione dall’onere di ottemperare a prescrizioni vincolanti dettate dalla legge in vigore (cfr., tra le altre, Cons. St.; Sezione IV, 27 novembre 2008, n. 5860; 10 aprile 2008, n. 1528; 11 maggio 2007, n. 2270).

In definitiva, correttamente il TAR ha dichiarato tardiva l’impugnativa della nota ora detta.

Deve, per converso, ritenersi che abbiano errato, i primi giudici, nel dichiarare inammissibile per carenza di interesse l’impugnativa della nota del 6 ottobre 2004.

A seguito delle doglianze manifestate con nota del 30 settembre 2004, infatti, il Comune ha ripreso in considerazione la vicenda ed ha fornito ampia motivazione in merito alle ragioni che si opponevano all’accoglimento dell’istanza e del successivo reclamo, tenendo conto, in particolare, anche delle norme di carattere primario invocate dalla società interessata che, ad avviso del Comune, non ostavano al rigetto dell’istanza autorizzatoria, ma, anzi, lo sorreggevano.

La nota in questione, quindi, non costituiva mero atto confermativo del precedente diniego, bensì provvedimento di puntuale riesame dell’istanza e del reclamo proposto avverso il suo rigetto, con la conseguente ammissibilità ricevibilità della relativa impugnativa, avvenuta, in questo caso, in termini, mentre non rileva, in una situazione siffatta, la tardività dell’impugnativa del precedente provvedimento negativo.

Quanto al Regolamento comunale, il termine per la sua impugnativa non decorre dal momento della sua adozione, ma solo da quello di adozione del relativo atto applicativo (e, quindi, della ripetuta nota del 6 ottobre 2004); mentre non può condividersi l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa del regolamento stesso in quanto costituente, si assume, atto meramente attuativo della citata direttiva della PCM del 1999, in quanto si trattava, evidentemente, di atto - non avente carattere normativo - di mero indirizzo e che non poteva, inoltre, logicamente tenere conto, ratione temporis, della novella di cui al Codice delle comunicazioni e, in particolare, degli artt. 88 e 93 dello stesso.

6) - Appaiono fondate, poi, le censure di merito svolte dall’appellante con particolare riferimento all’art. 11, comma 2, del citato Regolamento (di cui le note di diniego oggetto del presente giudizio costituiscono provvedimenti attuativi).

Prevede, tale norma, che “è corrisposta al Comune…………un’indennità a titolo di civico ristoro in relazione al complesso dei maggiori oneri che vengono a gravare sul Comune e dei disagi che si determinano nei riguardi del regolare svolgimento delle attività e dei servizi in conseguenza della realizzazione delle opere. Detta indennità è destinata prioritariamente ad interventi connessi con il miglioramento delle opere concernenti la mobilità, ivi comprese le infrastrutture sotterranee e, comunque, per la copertura di oneri che siano attinenti alla viabilità”.

Analoga disciplina - in quel caso, del Comune di Firenze - è già stata, peraltro, da questa Sezione, ritenuta illegittima con decisione (7 marzo 2008, n. 1005) dai cui contenuti non vi è ragione di discostarsi.

È stato rilavato, nell’occasione, che, mentre prima dell’entrata in vigore dell’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, nella vigenza dell’art. 238 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, l’amministrazione comunale ben poteva istituire una indennità di ristoro a carico di coloro che avessero eseguito scavi nella sua sede stradale, per evitare che questi potessero conseguire un arricchimento senza causa (Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1572; Sez. VI, 1° marzo 1995, n. 214).

Sennonché, rileva ora, in materia, l’art. 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, per il quale, oltre alla tassa, al canone e al contributo una tantum ivi elencati, “nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto”.

Tale disposizione ha fatto dunque perdere efficacia alle disposizioni regolamentari, emesse dai Comuni - con riferimento a tali opere - sulla base della previgente normativa (l’art. 238 del d.P.R. n. 156 del 1973, ovvero l’art. 4 della legge n. 259 del 1997), e dunque preclude all’amministrazione di subordinare il rilascio delle autorizzazioni al pagamento di importi riferibili al periodo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo art. 93.

Sotto tale aspetto è da escludere, quindi, che le contestate disposizioni del regolamento del 2001 continuino ad avere un proprio fondamento nell’art. 2041 del codice civile; infatti:

- il testo dell’art. 93, comma 2, è univoco nel disporre che non può essere più “imposto” dall’amministrazione alcun altro onere, oltre quelli espressamente previsti dalla legge, e cioè che non può essere subordinato il rilascio dell’autorizzazione al pagamento di altri importi, né può essere imposto un pagamento sulla base di determinazioni unilaterali;

- l’art. 2041 c.c. conserva il suo rilievo di carattere generale, poiché consente all’amministrazione - una volta constatata la spesa pubblica con cui i luoghi sono stati ripristinati, in assenza di corrispondenti lavori di ripristino a regola d’arte da parte del gestore - di formulare la relativa richiesta e di agire in giudizio, conseguentemente, per la condanna del debitore.

In altri termini, l’art. 93, comma 2, ha precluso che il rilascio dell’autorizzazione e la gestione dell’impianto siano subordinati al pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli ivi espressamente previsti (poiché non può essere determinata ex ante alcuna spesa per il ripristino a regola d’arte), ma non preclude che l’amministrazione ex post chieda al gestore il pagamento dell’importo che abbia effettivamente speso per il ripristino, che il medesimo gestore abbia omesso di realizzare.

Ciò comporta che, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, il Comune non può più subordinare il rilascio di concessioni per lo scavo al pagamento dell’indennità; donde l’illegittimità degli atti che impongano, in contrasto con l’art. 93 D.Lgs. n. 259/2003, il pagamento preventivo di oneri aggiuntivi (quali l’ “indennità di civico ristoro” ed il “canone metro/ tubo”) a carico degli operatori di TLC che devono eseguire scavi sul territorio comunale.

Tali considerazioni calzano pienamente nella presente controversia, avente ad oggetto la disciplina regolamentare concernente proprio l’ “indennità di civico ristoro” e relativo atto applicativo di cui alla nota comunale del 6 ottobre 2004 che, quindi, vanno, per le considerazioni tutte che precedono, dichiarati illegittimi; la nota comunale di diniego nella sua interezza e il regolamento comunale nella parte in cui, all’art. 11, comma 2, prevede un onere siffatto.

7) - Va, infine, dichiarata inammissibile la pretesa risarcitoria ribadita in appello, non avendo la deducente fornito alcun elemento atto a comprovare l’entità del danno solo asseritamente patito; al riguardo, si noti, tra l’altro, che l’autorizzazione risulta, di lì a poco, rilasciata all’interessata e che nell’ipotesi, in tal caso, di versamento dei richiesti oneri, si porrebbe solo la questione dell’eventuale pretesa restitutoria degli stessi, distinta e autonoma rispetto alla presente controversia).

8) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato nei limiti di cui all’esposizione che precede e va, pertanto, parzialmente accolto; per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, va accolto in parte il ricorso di primo grado, con il conseguente annullamento del provvedimento assunto dal Responsabile del Settore Lavori Pubblici del Comune di Carate Brianza il 6 ottobre 2004, prot. n. 27534, e dell’art. 11, comma 2, del Regolamento comunale per la sistemazione nel sottosuolo degli impianti tecnologici adottato con provvedimento commissariale 24 giugno 2004, n. 138.

Le spese del grado possono essere integralmente compensate tra le parti attesa, all’epoca dei fatti, la novità della questione.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, accoglie, nei termini e limiti di cui in narrativa, l’appello in epigrafe e, per l’effetto, accoglie in parte in ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Giovanni Ruoppolo, Presidente

Paolo Buonvino, Consigliere, Estensore

Luciano Barra Caracciolo, Consigliere

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Domenico Cafini, Consigliere


L'ESTENSORE                                                                     IL PRESIDENTE

Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/07/2010