Il TAR Sardegna indica i principi della pianificazione urbanistica comunale

di Stefano DELIPERI

Il T.A.R. Sardegna ha recentemente delineato i principi della pianificazione urbanistica comunale con due pronunce di grande interesse.
La sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. I, 18 ottobre 2022, n. 678 ha chiaramente indicato ambiti, competenze, spazio per la discrezionalità amministrativa, circoscrivendo inoltre gli i criteri di riconoscibilità degli strumenti attuativi.
Con la successiva sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. I, 18 ottobre 2022, n. 679, anch’essa in merito al piano urbanistico comunale (P.U.C.) di Pula (CA), ha disegnato analogo orientamento giurisprudenziale.
I Giudici amministrativi sardi confermano i principi giurisprudenziali dominanti in materia, “da ultimo ripresi dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. II, 2 dicembre 2020, n. 7636) e già condivisi da questo Tribunale (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 30 aprile 2021, n. 322)”, così sinteticamente espressi:
“- l’esercizio della funzione pianificatoria (quale è quella sottesa all’adozione degli atti impugnati) si caratterizza per l’ampio margine di discrezionalità attribuito all’Amministrazione, con possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino come manifestamente illogiche o contraddittorie (Cons. Stato, Ad. Plen, 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571);
- in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l’Amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell’individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l’uso del proprio territorio (e anche nel rivedere le proprie, precedenti previsioni urbanistiche), valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico; tali scelte, peraltro, non richiedono una particolare motivazione, conformemente - del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2017, n. 2403; Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4867);
- ne consegue che in vista dell’adozione di atti di pianificazione incombe sull’Amministrazione solo l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio del relativo potere, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità; occorre dunque tener conto della congruenza delle scelte con le linee di sviluppo del territorio illustrate nella relazione tecnica e nei documenti accompagnatori, rispetto alla quale l’onere motivazionale degli strumenti di piano si attenua risolvendosi nella mera indicazione della congruità con le direttrici di sviluppo del territorio esposte nella relazione tecnica o, più in generale, nei documenti che accompagnano la predisposizione del piano stesso (T.A.R. Sardegna – Cagliari, Sez. II, n. 499/2022);
- la scelta, compiuta in sede di pianificazione generale, di imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona, non necessita di particolare motivazione, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854);
- le evenienze generatrici di affidamento ‘qualificato’, sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, sono ravvisabili nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie, o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione, in mancanza dei quali non è configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un’aspettativa generica, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all’utilizzazione più proficua dell’immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione, in relazione alla quale non può essere invocato il difetto di motivazione, a ciò ostando la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854 cit.; Sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104);
- non grava quindi sull’Amministrazione l’onere di motivare ulteriormente le statuizioni relative a ciascuna posizione individuale: laddove, infatti, si opinasse in tal senso, l’attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 1461 del 28.2.2020 n. 1461).
Le scelte effettuate dalla p.a. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono dunque accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale per cui, nel merito, appaiono insindacabili e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse; in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 704 del 14.10.2020; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 30 marzo 2020, n. 255; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 20.12.2018, n. 1231; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.5.2012, n. 2952)”.

Il T.A.R, sardo ha sottolineato l’inesistenza in materia urbanistica del divieto di reformatio in pejus, perché in ambito pianificatorio vige ampia discrezionalità “che relega l’interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina ad interesse di mero fatto non tutelabile in sede giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2017, n. 1326)”, mentre possono e devono trovare risposta anche “esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (così, Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656)”.

Infatti, l’urbanistica e il consequenziale esercizio delle competenze in tema di pianificazione, sul piano giuridico, non possono limitarsi a disciplinare le “potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà”, ma devono vedersi quali espressione della necessità da parte degli Enti pubblici territoriali di regolare complessivamente e armonicamente l’intero territorio di pertinenza, tenendo ben conto “delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione. In tale contesto, spetta all’Ente esponenziale effettuare una mediazione tra i predetti valori e gli altri interessi coinvolti, quali quelli della produzione o delle attività antropiche più in generale, che comunque non possono ritenersi equiordinati in via assoluta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710; 22 febbraio 2017, n. 821; 13 ottobre 2015, n. 4716)”.

Nella fattispecie concreta (la Comunione Is Morus), poi, ci si ritrova in presenza di una serie di interventi edilizi nel corso di decenni, “in assenza di piano attuativo e non … provvista delle necessarie urbanizzazioni primarie”, per giunta già oggetto di svariate pronunce in sede di giustizia amministrativa (es. T.A.R. Sardegna,  Sez. II, 23 ottobre 2013, n. 664, in Lexambiente, 3 novembre 2013, Non è possibile costruire in assenza di fognature e impianti di depurazione anche in lotti interclusi).

L’orientamento giurisprudenziale in caso di zone parzialmente edificate in assenza di strumento attuativo afferma la pressante esigenza di pianificazione da parte dell’Amministrazione pubblica competente, con la ricognizione delle opere di urbanizzazione eventualmente realizzate e quelle da realizzare, proprio per “correggere” scelte o assenze del passato in funzione di una corretta gestione del territorio (vds. (Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2014, n. 5488; vds. anche. Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2008, n. 35880).

Autorevoli indicazioni e conferme dei principi giurisprudenziali in tema di pianificazione urbanistica che danno sostegno alle iniziative di corretta gestione del territorio.

dott. Stefano Deliperi



 

Pubblicato il 18/10/2022
N. 00678/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00549/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 549 del 2021, proposto da
Valentina Frongia, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Cocco Ortu e Giulio Steri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pula, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Barberio e Stefano Porcu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento:
- del Piano Urbanistico Comunale di Pula, adottato con deliberazione del Consiglio Comunale di Pula n. 21 del 30.3.2021 e dei relativi allegati ed elaborati, ivi compresi: Norme Tecniche di Attuazione (in breve N.T.A.); Regolamento Edilizio (in breve R.E.), con richiesta di annullamento in toto o nella parte de qua;
- del provvedimento del Comune di Pula - Settore Tecnico - Servizio Edilizia Privata di cui alla nota Prot. 13628/2021 del 7.6.2021, notificata via PEC in data 8.6.2021.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pula;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2022 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra Frongia, odierna ricorrente, è proprietaria di un immobile adibito ad abitazione sito nel Comune di Pula, località Santa Margherita, all’interno della “Comunione Pineta IsMorus”, distinta in Catasto al Foglio 57, mappale 263.
2. Il comparto, costituito dalla lottizzazione “IsMorus”, è classificato nel Piano di Fabbricazione comunale vigente quale zona omogenea “F - turistica”, regolamentata secondo specifico studio di disciplina.
3. Il Comune, con la deliberazione di Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021, ha adottato il nuovo PUC, che apporta modifiche alla normativa delle zone “F - Turistiche”.
La sig.ra Frongia ha presentato in data 22.4.2021 al Comune di Pula una DUA (Dichiarazione autocertificativa unica) con cui ha domandato il rilascio del titolo edilizio abilitativo per la realizzazione di opere pertinenziali di un immobile a uso residenziale, consistenti nella realizzazione di una piscina interrata.
4. Il Comune ha risposto con nota del 7.6.2021, con cui, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, è stata “sospesa ogni determinazione in quanto l’intervento è in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico recentemente adottato”.
4.1. In particolare, il Comune ha evidenziato che:
- “in primo luogo […] il piano urbanistico comunale di cui si allega lo stralcio è stato revocato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 11.09.2020. Di contro, non risultano allegati agli atti gli stralci relativi al vigente Programma di Fabbricazione e al Piano Urbanistico Comunale, con l’indicazione puntuale del lotto in argomento necessario ai fini delle valutazioni di competenza”;
- “inoltre, l’elaborato grafico Tavola 2 "Stato di fatto" è privo di qualsiasi riferimento inerente le distanze del fabbricato dai confini, dalla strada e dagli altri edifici limitrofi nonché di un raffronto puntuale tra lo stato assentito e lo stato di fatto. Infatti, dalla disamina degli elaborati grafico-descrittivi allegati alla C.E. n. 70/ 1981, con particolare attenzione alla Tav. 4, è emerso che la piscina fu autorizzata contestualmente alla realizzazione del fabbricato sebbene tra gli allegati alla DUA in disquisizione non se ne faccia riferimento. La proponente dovrà, pertanto, allegare un elaborato grafico - descrittivo recante la sovrapposizione tra lo stato di fatto e lo stato di progetto evidenziando puntualmente tutte le eventuali difformità riscontrate”;
- “ad ogni buon conto, si rappresenta che la normativa di dettaglio per la sottozona F2, all’interno del quale è classificato l’immobile in argomento, è stabilita dall’art. 168 delle Norme Tecniche di Attuazione allegate al PUC avente ad oggetto "Comparti di Riqualificazione Zone F2". Rientrano in questa sottozona tutti gli insediamenti realizzati con il rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, di titoli edilizi diretti in assenza della contestuale realizzazione di idonee opere di urbanizzazione primaria, sulla base di semplici planivolumetrici redatti prima dell’entrata in vigore della cosiddetta legge ponte (L n. 765/1967), fra cui, in particolare, le cosiddette "Comunioni" compresa quella di IsMorus de quo. Per tali ambiti si rende prioritaria la riqualificazione paesaggistica e funzionale con la predisposizione di un piano di razionalizzazione e di riqualificazione, esteso all’intero comparto come individuato dal PUC, di iniziativa pubblica o privata per il progressivo recupero della legittimità delle lottizzazioni di fatto”;
- “dispone, pertanto, il comma 9 del sopracitato articolo 168 che in assenza del piano di riqualificazione, nel rispetto del PPR e delle altre norme di riferimento regionali, con la specifica finalità di completare le aree sotto il profilo delle necessità urbanizzative primarie e secondarie sono ammesse esclusivamente le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, di adeguamento tecnologico igienico e funzionale, di restauro e risanamento conservativo su immobili realizzati legittimamente o per i quali sia stata ottenuta una concessione edilizia in sanatoria ai sensi della LR n. 23/85”.
5. Con l’odierno ricorso la sig.ra Frongia impugna:
- il PUC adottato dal Comune di Pula con deliberazione del Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021 e i relativi allegati ed elaborati, tra cui le Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) e il Regolamento edilizio, in quanto le nuove previsioni pianificatorie, a suo dire, ledono gravemente i suoi diritti e interessi sia per la disciplina urbanistica, generale e particolare, che si vuole imprimere alla zona urbanistica, sia per i gravosi oneri che si intendono porre a carico dei privati, sia per effetto dell’entrata in vigore delle misure di salvaguardia previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 380/2001, che non consentono alla ricorrente interventi eccedenti la manutenzione straordinaria e, nella fascia dei 300 metri dal mare, interventi che non siano finalizzati “al restauro, demolizione senza ricostruzione, e/o recupero di edifici preesistenti dotati di legittimo atto abilitativo”;
- il “parere sospensivo” espresso con la nota comunale del 7.6.2021, sia per illegittimità derivata da quella dello strumento urbanistico generale in itinere, sia per illegittimità diretta, dato che l’intervento edificatorio richiesto ricadrebbe nella nozione di “intervento pertinenziale” al di sotto della soglia critica (ossia non comportante la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale) di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R. n. 380 del 2001, e di cui all’art. 10-bis, comma 1, lett. c) della L.R. n. 23/2985, in forza del quale un intervento quale quello di cui trattasi sarebbe sempre ammissibile, da un punto di vista edilizio - urbanistico e paesistico, ai sensi dell’art. 52 delle N.T.A. del P.P.R.
5.1. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi.
1) Travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, carenza di motivazione; contraddittorietà; violazione dell’art. 11 delle preleggi; violazione dell’art. 27 Cost.
La ricorrente deduce che:
- la classificazione data dallo strumento urbanistico adottato (art. 165 delle NTA del PUC) al comparto della Comunione Pineta “IsMorus” come “sottozona F2, comparto F2.8” sarebbe illegittima per travisamento dei fatti conseguente a un difetto di istruttoria e viziata anche nella motivazione, in quanto l’insediamento in questione, in origine denominato semplicemente “IsMorus”, fu realizzato negli anni ’50 in base a un vero e proprio progetto di lottizzazione promosso dalla società Sant’Angelo Immobiliare S.p.A. (SAIA), la cui legittimità deve essere valutata tenendo conto della disciplina urbanistica vigente all’epoca in cui l’operazione immobiliare è stata realizzata e non secondo la normativa attualmente in vigore, che non può avere effetto retroattivo;
- il Comune, in considerazione dell’esistenza di varie opere di urbanizzazione nel comparto edilizio considerato (viabilità primaria e secondaria, asfalto della viabilità primaria, illuminazione della rete stradale primaria e secondaria, rete idrica realizzata sotto la rete stradale, rete elettrica realizzata lungo la rete stradale, rete telefonica realizzata lungo la rete stradale, impianti sportivi di calcio, calcetto, pallavolo, pallacanestro, bocce e tennis - n. 5 campi - realizzati in una delle zone verdi comuni), in sede di adozione del PUC avrebbe dovuto compiere una adeguata istruttoria allo scopo di verificare la congruità, o meno, delle opere presenti in rapporto alla misura degli standard ritenuta applicabile, anziché ritenerle a priori insufficienti;
- le decisioni comunali sarebbero contraddittorie, in quanto il Comune da un lato ha preso atto (art. 168, comma 5, delle NTA del PUC) della circostanza che l’area ha le caratteristiche insediative della zona B (pur essendo stata poi classificata come zona F) e, quindi, è caratterizzata da un assetto urbanistico ormai legittimamente consolidato e da una relativa densità antropica, dall’altro ha imposto la necessità di una pianificazione attuativa estesa all’intero comparto;
- il PUC sarebbe illegittimo anche perché la pianificazione urbanistica attuativa da esso prevista presupporrebbe l’illegittimità e/o l’irregolarità degli insediamenti ricadenti nelle porzioni di territorio censite nelle sottozone F1 e F2 dello strumento urbanistico adottato, mentre, a detta della ricorrente, l’insediamento denominato “Comunione Pineta IsMorus” sarebbe stato realizzato del tutto legittimamente e la trasformazione edilizia del territorio sarebbe regolare.
2) Con riguardo agli interventi ammessi nella fascia dei 300 m dalla battigia: violazione dell’art. 11 delle preleggi; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001.
La ricorrente censura sotto più profili l’art. 159, comma 11, delle NTA del PUC, il quale stabilisce che «Non è consentito alcun intervento edilizio nell’ambito della fascia dei 300 m dal mare che non sia finalizzato al restauro, demolizione senza ricostruzione, e/o recupero di edifici preesistenti dotati di legittimo atto abilitativo».
Secondo la ricorrente, infatti, la previsione in parola sarebbe illegittima in quanto:
- violerebbe l’art. 12 del P.P.R. della Regione Sardegna, a tenore del quale «Negli ambiti di paesaggio, salva l’applicazione di diverse disposizioni previste dal presente P.P.R., sono in tutti i casi ammessi:
a) gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico, di ristrutturazione e restauro che non alterino lo stato dei luoghi, il profilo esteriore, la volumetria degli edifici, la destinazione d’uso ed il numero delle unità immobiliari; è consentita la realizzazione di eventuali volumi tecnici di modesta entità, strettamente funzionali alle opere e comunque tali da non alterare lo stato dei luoghi;
b) gli interventi di cui alle lettere b), c), d) e), f), g), h), l), m), n) e p) dell’art. 13 della L.R. 11 ottobre 1985, n. 23, integrato dall’art. 1 della L.R. n. 5 del 2003»;
- violerebbe l’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, secondo cui sono ammessi gli interventi di ristrutturazione (sia pure con limiti) anche nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione;
- il divieto imposto non sarebbe proporzionato né ragionevole, poiché impone l’onere di una preventiva pianificazione attuativa estesa all’intero comparto anche in relazione a interventi edilizi limitati, astrattamente consentiti dall’art. 3, comma 1, lettere a), b) c) e d) del d.P.R. n. 380/2001;
- il PUC adottato — nonostante dagli artt. 89, 90 e 158 delle NTA si ricavi che gli obiettivi per le zone F Turistiche sono la riqualificazione architettonica, paesaggistica ed ambientale — non terrebbe conto del fatto che le ristrutturazioni meglio consentono di riqualificare, anche dal punto di vista paesaggistico, l’esistente rispetto a quanto sia possibile fare con una semplice manutenzione ordinaria e/o straordinaria; sotto tale profilo, quindi, emergerebbero profili di contraddittorietà nel PUC tra scopi perseguiti e strumenti individuati;
- i divieti in questione contrasterebbero con l’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, con l’art. 28 della L. n. 1150/1942 e implicherebbero una violazione del diritto di proprietà (come riconosciuto e garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 832 c.c.), dato che le modifiche della disciplina urbanistica non possono riguardare, in ogni caso, né gli interventi per i quali vi sia già stato l’inizio dei lavori né gli interventi ormai completati da decenni;
- l’esclusione degli interventi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria si porrebbe in contrasto con l’art. 39, comma 1, della L.R. Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 (“Rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e ricostruzione”), secondo cui «La Regione promuove il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di integrale demolizione e successiva ricostruzione degli edifici esistenti che necessitino di essere adeguati in relazione ai requisiti qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici, di sicurezza strutturale e per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche»;
- violerebbe l’art. 30 della L.R. Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1 (“Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985 e n. 16 del 2017”), che così dispone: «Gli articoli della presente legge, trattandosi di disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio coniugate con la riqualificazione, la razionalizzazione ed il miglioramento della qualità architettonica e abitativa, della sicurezza strutturale, della compatibilità paesaggistica e dell’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, anche attraverso la semplificazione delle procedure, sono cogenti e di immediata applicazione e prevalgono sugli atti di pianificazione, anche settoriale, sugli strumenti urbanistici generali e attuativi e sulle altre vigenti disposizioni normative regionali»;
- l’esclusione degli interventi di ristrutturazione, di restauro e di risanamento conservativo sarebbe, inoltre, in contrasto con gli artt. 119 ss. del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77, da ultimo introdotte dall’art. 33 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, in tema di incentivi per l’efficienza energetica e la rigenerazione urbana.
3) Illegittimità dell’obbligo di adottare piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale, per violazione degli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942 e dell’art. 30 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25 della L.R. n. 45/1989 e dell’art. 12 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 834 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi; dell’art. 23 Cost.; eccesso di potere per illogicità e manifesta ingiustizia; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della l. n. 241/1990.
La ricorrente contesta gli artt. 159, 162, 164, 165, 167 e 168, 9 e 209 delle NTA del PUC adottato, in quanto a suo dire, con riferimento alle sottozone F1 e F2, imporrebbero l’obbligo della adozione di piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo senza distinguere in alcun modo tra aree già lottizzate e urbanizzate e aree ancora da trasformare.
Deduce al riguardo la ricorrente che la previsione dell’obbligo di un preventivo piano attuativo avrebbe senso logico e giuridico solo per le aree ancora da trasformare urbanisticamente, ma non con riguardo al comparto F2.8 della “Comunione Pineta IsMorus”, dato che l’intervento immobiliare in questione risale agli anni ’50.
La prescrizione in parola, inoltre, comporterebbe un’inammissibile ingerenza nelle proprietà private legittimamente edificate anteriormente all’entrata in vigore della norma, addossando ai privati obblighi e oneri non giustificati, non indennizzati e non previsti da alcuna disposizione di legge.
Sotto diverso profilo, nonostante le opere di urbanizzazione e infrastrutturazione che insistono nel comparto edificatorio della “Comunione Pineta IsMorus” siano state già realizzate in conformità alle norme tecniche e con le caratteristiche previste dalle disposizioni vigenti all’epoca dei fatti, l’obbligo introdotto dal PUC adottato, di previa adozione di un piano attuativo per adeguare le urbanizzazioni e/o gli standard urbanistici prima di qualsiasi ulteriore intervento edilizio negli immobili esistenti, costringerebbe il privato a progettare tali opere rispettando le norme, urbanistiche, edilizie e tecniche oggi in vigore e, quindi, a stravolgere completamente l’insediamento.
4) Sull’efficacia temporale dei piani attuativi: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942; violazione dell’art. 25 Cost.
La ricorrente censura gli artt. 9, 11, 17, 162, 164, 165, 167 e 168 delle NTA, nella parte in cui introducono un termine di scadenza dell’efficacia urbanistica dei piani di lottizzazione e/o degli altri piani attuativi, fissandolo per analogia al termine decennale che la legislazione nazionale vigente prevede per la validità del c.d. piano particolareggiato (disciplinato dall’art. 17 della l. n. 1150/1942).
Tali norme si porrebbero in contrasto con gli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942, i quali individuano la scadenza dei piani attuativi in relazione al solo termine per l’esecuzione del piano attuativo e/o della convenzione di lottizzazione, ma non prevedono alcuna scadenza, anzi fanno espressamente salva la disciplina urbanistica ed edilizia impressa con detti strumenti urbanistici di c.d. terzo livello, che necessariamente resta in vigore a tempo indeterminato (al pari degli strumenti urbanistici generali cui accede) sino a quando non si proceda ad adottare una nuova disciplina urbanistica dell’intero territorio comunale. Quest’ultima, peraltro, pur nella discrezionalità che caratterizza la potestà urbanistica pianificatoria dell’Amministrazione comunale sul proprio territorio, non può porsi in aperta incoerenza con la situazione di fatto esistente e richiede, comunque, quando lo imponga la situazione del singolo compendio interessato dalla specifica previsione, una puntuale e congrua motivazione, al momento invece inesistente (cfr. T.A.R. Liguria - Genova, Sez. I, n. 1090/2016).
Soggiunge la ricorrente che la previsione dell’impossibilità di effettuare interventi edilizi diversi dalla manutenzione ordinaria e straordinaria sarebbe del pari radicalmente illegittima in quanto assimilabile a una sanzione, che però, qualora comminata in difetto dei presupposti di legge (come accadrebbe nel caso di specie), sarebbe in contrasto con l’art. 25 Cost.
5) Sulla limitazione degli interventi in difetto di piano di riqualificazione: violazione dell’art. 12 delle NTA del PPR della Regione Sardegna; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 e dell’art. 30 della l. n. 1150/1942; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12 e 15, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 25 della L.R. n. 45/1989; violazione dell’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001;
violazione del diritto di proprietà e quindi dell’art. 42 Cost. e dell’art. 832 cod. civ.; violazione dell’art. 39 della L.R. n. 8/2015; violazione dell’art. 30 della L.R. n. 1/2021.
Con il quinto motivo la ricorrente censura gli artt. 162, comma 12-a, 165, comma 7, 167, comma 6, 167-a, comma 5 e 168, comma 9, delle NTA nella parte in cui subordinano la possibilità di procedere a interventi edilizi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria alla previa adozione di un piano attuativo, sia esso il piano di riqualificazione paesaggistica sia altro piano attuativo.
Le previsioni in parola, a dire della ricorrente, violerebbero le fonti normative di rango primario, nazionali e regionali (art. 12 delle NTA del P.P.R. Regione Sardegna; art. 9, comma 2, art. 12, art. 15 e art. 30 del d.P.R. n. 380/2001; art. 28 della l. n. 1150/1942; art. 42 Cost. e art. 832 c. c.; art. 39 della L.R. Sardegna n. 8/2015; art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; artt. 119 ss. del D.L. n. 34/2020, da ultimo introdotte dall’art. 33 del D.L. n. 77/2021), che danno facoltà alla parte interessata di compiere, alle condizioni ivi previste, le attività edilizie in questione.
Il contestato divieto sarebbe inoltre irragionevole e sproporzionato, in quanto fa gravare l’onere di una pianificazione attuativa estesa all’intero comparto su un privato che vuole semplicemente ristrutturare la propria casa, nonché contraddittorio, considerato che il medesimo PUC in itinere, agli artt. 89, 90 e 158 delle NTA, individua tra gli obiettivi relativi alle zone F Turistiche la riqualificazione architettonica, paesaggistica e ambientale, ma nel contempo vieta di fatto ogni intervento edilizio che consenta di attuare tale riqualificazione, al di là del mero mantenimento dell’esistente.
6) Sulle misure di salvaguardia improprie a tempo indeterminato: violazione dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001.
La ricorrente censura gli artt. 162, comma12-a, 165, comma 7, 167, comma 6, 167-a, comma 5, e 168, comma 9, delle NTA del PUC in quanto a suo dire — subordinando la possibilità di procedere a interventi edilizi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria alla previa adozione di un piano attuativo, sia esso il piano di riqualificazione paesaggistica sia altro piano attuativo — introdurrebbero illegittimamente una misura di salvaguardia che, anziché comportare, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, la temporanea sospensione della domanda di permesso di costruire, ne determinerebbe di fatto la sospensione a tempo indefinito.
Peraltro, soggiunge la ricorrente, dal 2014 a oggi la pianificazione urbanistica sarebbe regolamentata dalle misure di salvaguardia al di fuori di ogni controllo e di ogni tollerabile limite temporale, per effetto della copiosa attività deliberativa del Consiglio comunale di Pula tradottasi nella successione nel tempo di vari PUC adottati, annullati e poi riapprovati.
7) Eccessiva stratificazione dei livelli di pianificazione: violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della l. n. 241/1990; violazione dell’art. 4 della l. n. 1150/1942, dell’art. 3 della L.R. Sardegna n. 45/1989 e del principio di tipicità degli strumenti urbanistici.
La ricorrente lamenta che gli artt. 11, 12, 13, 162 e 163 delle NTA prevedono una eccessiva stratificazione di strumenti urbanistici, in contrasto con l’esigenza di chiarezza e trasparenza e con il principio di tipicità degli strumenti urbanistici di cui all’art. 4 della l. n. 1150/1942 e all’art. 3 della L.R. Sardegna n. 45/1989.
Tale eccessiva stratificazione nella pianificazione, secondo la ricorrente, sarebbe un chiaro sintomo della consapevolezza in capo all’Ente della inadeguatezza del PUC, per difetto dei requisiti necessari per assolvere la funzione di indirizzo allo sviluppo urbanistico nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e certezza dei rapporti giuridici, a tutela dei privati che entrano in contatto con la pubblica Amministrazione, e tale inadeguatezza costituirebbe il frutto di una adozione frettolosa, nel difetto di una adeguata attività istruttoria e di una piena conoscenza delle complesse realtà del territorio comunale.
Ciò troverebbe conferma nella classificazione – asseritamente frettolosa - della “Comunione Pineta IsMorus” nelle Sottozone F1 ed F2, in base all’assunto - che a dire della ricorrente sarebbe errato in quanto non supportato da reali riscontri fattuali, nonché apodittico, perché non sostenuto da alcuna adeguata motivazione – secondo cui il comparto in questione difetterebbe di spazi collettivi e/o di standard in misura adeguata all’insediamento (assunto da cui il Comune avrebbe tratto l’infondata presunzione di illegittimità dell’insediamento de quo).
8) Illegittimità dei piani di riqualificazione paesaggistica quali piani attuativi; violazione del principio di tipicità degli strumenti urbanistici di cui all’art. 4 della l. n. 1150/1942 e agli artt. 3 e 21 della L.R. n. 45/1989.
La ricorrente censura gli artt. 11, 159, comma 3, 162, 164, 165, 167 e 168 delle NTA e l’art. 8, comma 2, lett. l, del Regolamento Edilizio adottato nella parte in cui affermano e/o presuppongono che il piano di riqualificazione paesaggistica costituisca un piano urbanistico attuativo.
Deduce la ricorrente che, in ossequio al principio generale di tipicità degli strumenti urbanistici, non compete al P.P.R. e/o al Comune di Pula la creazione di nuovi strumenti urbanistici attuativi; tali piani di riqualificazione paesaggistica, semmai, costituiscono dei meri progetti d’intervento, che devono e possono essere attuati solo attraverso l’utilizzo degli strumenti urbanistici previsti dalla normativa regionale e nazionale vigente (art. 21 della L.R. Sardegna n. 45/1989, L.R. n. 23/1985, L. n. 1150/1942) o attraverso altri strumenti espressamente previsti dalla normativa vigente quali, ad esempio, gli accordi di programma ex artt. 28 e 28-bis della L.R. Sardegna n. 45/1989, l’art. 15 della l. n. 241/1990, l’art. 34 del d.lgs. n. 267/2000 e/o i piani integrati di cui alla L.R. Sardegna n. 14/1996 e/o alla L.R. Sardegna n. 16/1994.
9) Illegittimità di singole prescrizioni per la redazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale; violazione del principio di gerarchia delle fonti, di cui all’art 1 delle preleggi come integrato dalla Costituzione; violazione dell’art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; violazione della L.R. Sardegna n. 8/2015.
La ricorrente, in subordine rispetto alle censure dedotte avverso la previsione dell’obbligo di presentare un piano di riqualificazione paesaggistica e/o altro piano attuativo per le Sottozone F1 e F2, contesta:
- l’art. 162, comma 3, delle NTA, nella parte in cui sanziona i privati che non addivengano al convenzionamento nel termine di cinque anni fissato al comma 1 del medesimo articolo, negando agli interessati l’eventuale aumento di volumetria previsto dal PUC o concedibile in relazione alla normativa regionale sovraordinata (P.P.R.);
- lo stesso art. 162, comma 3, nella parte in cui nega in modo espresso la facoltà di eseguire interventi differenti da quelli espressamente richiamati nello stesso comma “anche se previsti e ammessi da norme sovraordinate”, nonché il comma 12, lett. e), del medesimo articolo laddove stabilisce che “sono vietati altri interventi, anche se previsti e ammessi da norme sovraordinate”, e altresì gli artt. 164, comma 6, 167-a, comma 5, 168, comma 9, delle NTA, ai sensi dei quali nelle sottozone F1 ed F2, in difetto di piano di riqualificazione paesaggistica, sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria;
- l’art. 6, punti 21 e 22, l’art. 92, sub 3, e l’art. 118, sub 3 e 4, del Regolamento Edilizio, nella parte in cui introducono il generale divieto di utilizzo dei piani interrati e seminterrati ad uso abitazione, uffici o a qualsiasi altro uso che comporti la permanenza, anche solo diurna, di persone;
- l’art. 1, punto 42, n. 3, l’art. 6, punto 23, l’art. 117, punto 5, l’art. 128 e l’art. 143 del Regolamento Edilizio, nella parte in cui fissano il generale divieto di utilizzo a scopo abitativo dei sottotetti.
Tali prescrizioni, secondo la prospettazione attorea, sarebbero illegittime in quanto:
- il PUC ed il Regolamento Edilizio, in ossequio al principio di gerarchia delle fonti, non possono derogare alle norme sovraordinate (art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; artt. 30, 32, 32-bis e 33 della L.R. Sardegna n. 8/2015);
- viene imposto ai privati un obbligo che non ha fondamento nella legge e quindi viola l’art. 23 Cost.;
- viene richiesta ai privati una prestazione quasi impossibile, tanto più in considerazione dell’esiguo termine di cinque anni per adempiere, senza che ciò risponda ad alcuna metodologia di pianificazione del territorio;
- vengono violate le disposizioni della l.r. n. 8/2015 e, in particolare: l’art. 30, che consente gli interventi di incremento volumetrico del patrimonio edilizio esistente (per la parte al di fuori della fascia dei 300 m dalla battigia); l’art. 32, il quale consente gli interventi di recupero dei sottotetti; l’art. 32-bis, che consente gli interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra; l’art. 33, che consente il riuso degli spazi di grande altezza.
10) Sui piani di riqualificazione e la dichiarazione di pubblica utilità: violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 834 c.c.
La ricorrente censura l’art. 162, comma 4, delle NTA del PUC adottato nella parte in cui afferma che l’approvazione dei Piani di riqualificazione paesaggistica equivarrebbe a dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste.
Tale previsione sarebbe illegittima in quanto, per un verso, si può procedere a espropriazione per pubblica utilità solo nei casi e nelle forme previste dalla legge (art. 42 Cost., art. 834 c.c.) e, per altro verso, nessuna norma di legge prevede piani di riqualificazione paesaggistica cui consegua la dichiarazione di pubblica utilità.
11) Sull’iniziativa della pianificazione attuativa: violazione degli artt. 14 e 28 della l. n. 1150/1942; violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 267/2000; violazione degli artt. 27, 31 e 32 del d.P.R. n. 380/2001; violazione degli artt. 6 e 7 della L.R. Sardegna n. 23/1985.
La ricorrente censura l’art. 162, commi 1 e 8, delle NTA del PUC nella parte in cui lascia “prioritariamente alla iniziativa privata” l’attivazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di altro piano attuativo, la verifica della liceità dell’edificato e della infrastrutturazione esistente e l’accertamento degli abusi.
Tale previsione contrasterebbe con la normativa statale e regionale che attribuisce ai Comuni le competenze in materia di pianificazione urbanistica e in materia di accertamento e repressione degli abusi.
Deduce al riguardo la ricorrente che il soggetto principale cui è delegata la redazione dei piani attuativi, l’esecuzione delle opere di urbanizzazione e i compiti di vigilanza è sempre l’Amministrazione comunale, che ha l’obbligo di realizzarle anche nelle ipotesi in cui le stesse non vengano realizzate dal privato che ne abbia, eventualmente, assunto in convenzione il relativo onere.
12) Sull’eliminazione degli incroci a raso: difetto di competenza; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 98 e 99 del d.lgs. n. 112/1998.
Con il dodicesimo motivo la ricorrente, in subordine rispetto al motivo di impugnazione con cui contesta le previsioni del PUC che prevedono in capo ai privati l’obbligo di presentare un “piano di riqualificazione paesaggistica” e/o altro piano attuativo, censura l’art. 162 comma 8, lett. d), l’art. 164, comma 6, lett. g), l’art. 165, comma 5, lett. c), l’art. 167 comma 2, lett. f), e l’art. 168, comma 2, lett. d), delle NTA, nella parte in cui impongono ai privati di procedere all’eliminazione delle intersezioni a raso con la SS 195.
Tale adeguamento, infatti, secondo la ricorrente, non può essere posto a carico dei privati in quanto:
- interessa una strada statale che non costituisce un’opera di urbanizzazione primaria ex art. 16 del d.P.R. n. 380/2001, con oneri a carico dei lottizzanti;
- ogni opera di trasformazione viaria è di competenza dello Stato quale proprietario e/o dell’ANAS S.p.A. quale gestore delle strade statali, in forza dell’art. 98 del d.lgs. n. 112/1998, sicché il Comune di Pula difetterebbe competenza, come risulta dall’art. 99 dello stesso d.lgs. n. 112/1998;
- gli interventi in questione sarebbero virtualmente inattuabili da parte del privato a causa della necessità di coinvolgere centinaia di proprietari, per la impossibilità per i medesimi di impegnare le aree laterali rispetto alla strada SS 195 e perché nella maggior parte dei casi tali aree appartengono a soggetti non inclusi nella Comunione e/o nel comparto abitativo de quo.
13) Sulla trasformazione delle seconde case: violazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001; violazione
dell’art. 28 della L. n. 1150/1942; violazione del diritto di proprietà e quindi violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 832 cod. civ.; violazione dell’art. 11 delle preleggi.
La ricorrente censura l’art. 167, comma 2, lett. h), e l’art. 168, comma 2, lett. e) ed f), delle NTA, nella parte in cui stabiliscono che i piani attuativi per le sottozone F1 e F2 devono prevedere la trasformazione delle seconde case in strutture ricettive e/o in servizi connessi con le attività turistiche.
Tali disposizioni si porrebbero in contrasto con l’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, con l’art. 28 della L. n. 1150/1942; con l’art. 42 Cost. e con l’art. 832 c.c. e con il principio per cui le modifiche della disciplina urbanistica non possono riguardare gli interventi c.d. esauriti, ossia gli interventi edilizi per cui vi sia stato l’inizio dei lavori (che per tale motivo possono continuare a fondarsi sul titolo edilizio già ottenuto e attivato) e, a maggior ragione, quelli già completati da decenni.
Deduce la ricorrente che il Comune non può imporre una tale conversione, ostandovi la necessità di tutelare i diritti acquisiti dai privati che non possono essere rimessi in discussione introducendo una norma di rango secondario e/o di natura regolamentare con pretesa di retroattività.
14) Sul collaudo delle opere di urbanizzazione: eccesso di potere nella forma sintomatica dello sviamento di potere.
La ricorrente censura l’art. 164, comma 4, delle NTA nella parte in cui, per le sottozone F1, consente le sole opere di manutenzione ordinaria, qualora le opere di urbanizzazione non siano state collaudate, senza distinguere il caso delle opere che non è stato possibile collaudare per responsabilità del lottizzante, dal caso in cui non si è proceduto per fatto imputabile all’Amministrazione comunale e/o perché si tratta di insediamenti consolidati o, ancora perché la normativa vigente al momento della realizzazione non ne prevedeva la cessione.
La previsione in parola, nella parte in cui impone tale limitazione anche in assenza di responsabilità in capo ai lottizzanti, sarebbe illegittima per eccesso di potere nella forma sintomatica dello sviamento, in quanto manderebbe esente il Comune di Pula dalle proprie responsabilità tra cui, ad esempio, quella di aver fatto decorrere il termine di prescrizione a favore dei lottizzanti eventualmente inadempienti.
Inoltre, la limitazione degli interventi ammissibili alla sola manutenzione ordinaria non sarebbe giustificata da effettive necessità paesaggistiche, in quanto le stesse NTA, all’art 35, stabiliscono che, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, sono ammessi gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.
Aggiunge la ricorrente che il limite in questione non appare fondato su esigenze urbanistiche attuali, considerato che la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e anche la ristrutturazione non incidono di regola sul carico urbanistico.
15) Sugli oneri di urbanizzazione: violazione dell’art. 28, comma 5, della l. n. 1150/1942; violazione dell’art. 35 della L.R. Sardegna n. 45/1989; violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 834 cod. civ.; violazione dell’art. 23 Cost.
La ricorrente censura:
- l’art. 16, comma 1, lett. a), delle NTA, nella parte in cui, con riferimento ai piani attuativi di iniziativa privata, prevede in capo ai privati lottizzanti l’assunzione della totalità degli oneri per le opere di urbanizzazione secondaria e la cessione delle aree;
- l’art. 26 delle NTA, nella parte in cui consente al Comune un “utilizzo diverso” (sia pure di pubblico interesse) delle aree cedute per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
- l’art 168, comma 6, delle NTA, nella parte in cui impone ai privati, con riferimento alle sottozone F2, di assumere, in sede di pianificazione attuativa, l’obbligo di gestione per venti anni delle aree cedute per servizi.
Le previsioni richiamate sarebbero illegittime:
- per violazione degli artt. 16 e 28 della l. n. 1150/1942, i quali prevedono che le opere di urbanizzazione secondaria sono poste solo parzialmente a carico dei lottizzanti e sono cedute con vincolo di destinazione: da ciò consegue, infatti, che il Comune di Pula può acquisire le aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria solo quando vi è la necessità di procedere in tal senso, e deve assumere l’onere della loro gestione, mentre la possibilità di un diverso utilizzo delle aree cedute o comunque acquistate dal Comune per le urbanizzazioni implica la non necessità di ulteriori opere di urbanizzazioni, con il conseguente venir meno della causa giuridica di tale acquisizione;
- per violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 834 c.c., in quanto l’imposizione di cessioni non necessarie per le opere di urbanizzazione configurerebbe una espropriazione per pubblica utilità al di fuori dei casi previsti dalla legge;
- per violazione dell’art. 23 Cost., nella misura in cui gravano i privati di prestazioni in difetto (per quanto riguarda gli oneri di gestione) e/o in eccesso (per quanto riguarda le cessioni) rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente.
16) Sul divieto delle seconde case: eccesso di potere e difetto di motivazione; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; violazione dell’art. 11 delle preleggi.
La ricorrente deduce l’illegittimità per eccesso di potere e difetto di motivazione e, quindi, per violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 dell’art. 160 delle NTA, nella parte in cui consente nuovi interventi edificatori solo ad uso residenziale – turistico - ricettivo quali le strutture ricettive extralberghiere, i Residence, le Domos, le “Case e appartamenti per le vacanze” e i servizi strettamente connessi alla residenza, implicitamente escludendo la possibilità di nuovi interventi edilizi residenziali tout court.
Secondo la ricorrente tali limitazioni, imponendo una modifica alla normativa urbanistica ed edilizia riferita ad un insediamento già attuato e completo, potrebbe essere imposta solo a fronte di una puntuale, congrua e valida motivazione - non rinvenibile nel PUC adottato - che giustifichi la compressione delle aspettative dei privati al mantenimento della disciplina urbanistica consolidatasi in oltre 70 anni.
Sotto questo profilo la contestata scelta comunale contrasterebbe con il fondamentale principio, espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 295/2005; T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 1090/2016), per cui una scelta di Piano Regolatore Generale può essere considerata illogica quando attribuisce ex novo una destinazione in aperta incoerenza con la situazione di fatto e con la destinazione urbanistica precedentemente attribuita.
17) Violazione dell’art. 20, comma 3, della L.R. Sardegna n. 45/1989; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto d’istruttoria e di motivazione.
La ricorrente deduce l’illegittimità della deliberazione del Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021, di adozione del PUC, per violazione dell’art. 20, comma 3, della L.R. n. 45/1989, nonché per eccesso di potere nelle forme sintomatiche della contraddittorietà e del difetto d’istruzione e di motivazione, per aver proceduto all’adozione dello strumento urbanistico generale senza svolgere alcuna indagine concreta e senza dare atto delle risultanze dello studio affidato al geologo dott. Pani e, quindi, senza verificare, o quantomeno motivare, l’attualità dello studio idrogeologico allegato al PUC adottato nel 2014, cui a dire della ricorrente si è rinviato acriticamente.
Tale modus operandi, peraltro, colliderebbe con le affermazioni contenute nella stessa delibera, secondo cui «dall’esame di tutte le osservazioni, sia dei privati che della Regione, è emersa la necessità di sostanziali revisioni al Piano Urbanistico, mediante complesse attività di indagine e verifica» e «con determinazione n. 586 del 9.10.2019 venne conferito il servizio dello studio ex art. 8 comma 2 ter NTA del PAI attinente area PPCM e supporto riordino delle conoscenze per il settore ambientale e paesaggistico del Piano Urbanistico Comunale al Dott. Geol. Fausto Alessandro Pani».
Sotto diverso profilo il Comune avrebbe violato l’art. 20, commi 1 e 3, della L.R. n. 45/1989 nella pretesa di eludere gli oneri di avvio del processo di VAS del PUC, così come l’elaborazione dello studio comunale di assetto idrogeologico, ai sensi degli artt. 8 e 37 delle Norme tecniche di attuazione del Piano di assetto idrogeologico (PAI), facendo riferimento al precedente strumento urbanistico ormai scaduto e privo di effetti giuridici e validità.
18) Violazione dell’art. 97 Cost.
La ricorrente si duole della circostanza - lamentata da due consiglieri comunali di minoranza - che l’ordine del giorno per la seduta consiliare del 30.3.2021, relativo alla adozione del PUC, è stato comunicato ai consiglieri comunali solo cinque giorni prima e che tutti gli elaborati del PUC sono stati messi a loro disposizione nello stesso termine.
Tale termine di convocazione, seppur formalmente rispettoso delle disposizioni regolamentari, nella sostanza violerebbe i principi di buona e imparziale amministrazione di cui all’art. 97 Cost., i quali impongono che ogni provvedimento amministrativo venga adottato a seguito di una congrua istruttoria, essendo evidente, secondo la ricorrente, che in un lasso di tempo così breve nessuno sarebbe in grado di compiere un esame adeguato di un atto complesso quale è il PUC, considerata la quantità e la difficoltà tecnica degli elaborati da esaminare, peraltro in concomitanza con l’esame del bilancio.
19) Violazione dell’art. 23 del Regolamento del Consiglio Comunale.
La ricorrente lamenta che il Consiglio Comunale avrebbe violato la metodologia che la stessa assemblea aveva deliberato di adottare e alla quale, pertanto, si era autovincolata, con conseguente violazione dell’art. 23 del Regolamento consiliare da cui discenderebbe anche l’illegittimità dello strumento urbanistico generale adottato.
In particolare, la ricorrente deduce che il Consiglio comunale ha omesso la votazione punto per punto ed è passato direttamente alla votazione zona per zona, per poi passare ad approvare gli emendamenti di singoli articoli, peraltro senza calarli nel contesto dell’intero articolo e della zona interessata dagli stessi, con la conseguente modifica delle norme relative alle singole zone e la vanificazione dell’approvazione zona per zona già intervenuta.
Secondo la ricorrente le zone interessate dagli emendamenti, a quel punto, avrebbero dovuto essere riapprovate separatamente con il testo emendato e, parimenti, anche i singoli articoli avrebbero dovuto essere approvati nel testo emendato, ma ciò non è avvenuto.
20) Sul provvedimento di sospensione della pratica edilizia presentata: illegittimità derivata.
La ricorrente deduce l’illegittimità in via derivata (in conseguenza dell’illegittimità degli artt. 159 e 168 delle NTA, ai sensi dei quali il Comune ha ritenuto applicabili le misure di salvaguardia ex art. 12 del d.P.R. n. 380/2001) del provvedimento di cui alla nota del 7.6.2021, di sospensione della pratica edilizia presentata dall’interessata con riguardo alla realizzazione di una piscina pertinenziale.
21) Sul provvedimento di sospensione della pratica edilizia presentata: illegittimità diretta; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R. n. 380/2001; violazione dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
La ricorrente censura in via diretta il provvedimento di cui alla nota del 7.6.2021, per i profili già esposti nei precedenti motivi di ricorso nn. II e V, in quanto a suo dire gli interventi di ristrutturazione e comunque gli interventi oggetto della DUA “sospesa” sarebbero immediatamente realizzabili anche nella fascia dei 300 metri dal mare, pur in difetto dei piani attuativi in presenza di un fabbricato legittimamente realizzato quale è quello della ricorrente, che peraltro si trova a oltre 400 metri dal mare.
Il gravato provvedimento di sospensione della pratica edilizia sarebbe inoltre illegittimo perché sarebbe irragionevole e contrario al principio di proporzionalità far ricadere su un privato che intenda semplicemente ristrutturare la propria casa, realizzando una piscina pertinenziale, l’onere di una pianificazione attuativa estesa all’intero comparto.
Si tratterebbe di interventi edificatori sussumibili nella categoria del “restauro e risanamento conservativo” di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 (come modificato dall’art. 65-bis della l. n. 96 del 2017) anziché nella categoria di cui alla successiva lettera d) della stessa disposizione.
E tali categorie di interventi edilizi sono sempre ammissibili, anche ai sensi degli artt. 12 e 15 delle N.T.A. del P.P.R. Sardegna.
L’intervento edilizio consistente nella creazione di una piccola piscina interrata, come quello di cui è causa, da realizzare nel cortile dell’immobile a uso abitativo di proprietà della ricorrente, in una posizione comunque non visibile dallo spazio pubblico, darebbe dunque origine a un manufatto sussumibile sia tra le pertinenze civilistiche (ex art. 817 c.c.), sia tra le c.d. “pertinenze urbanistiche” (in quanto “intimamente correlato” all’edificio principale, “preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio”, “sfornito di un autonomo valore di mercato” e insuscettibile di incidere sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume”).
In altri termini, secondo la ricorrente, nulla osterebbe, né da un punto di vista edilizio e urbanistico, né da un punto di vista paesaggistico, alla realizzazione della piccola piscina in questione, quale pertinenza dell’immobile descritto, essendo ricadente internamente al lotto e non visibile da punti di vista pubblici.
Sarebbero peraltro inconferenti le presunte mancanze di documentazione evidenziate nella nota gravata, in quanto gli stralci degli strumenti urbanistici precedenti sono già nella disponibilità dell’Amministrazione procedente.
Sotto diverso profilo, le ulteriori presunte carenze progettuali addotte a motivo dell’emissione dell’impugnato “parere sospensivo” sarebbero inesatte, tendenziose e defatigatorie, così come la pretesa presentazione di un ulteriore «elaborato grafico- descrittivo recante la sovrapposizione tra lo stato di fatto e lo stato di progetto evidenziando puntualmente tutte le eventuali difformità riscontrate», dato che l’inquadramento della piccola piscina pertinenziale nel lotto sarebbe perfettamente ricostruibile sulla base degli elaborati grafici già presenti, e che - come rilevato dalla stessa Amministrazione comunale procedente - la scelta di realizzare la piscina pertinenziale non costituisce neppure una innovazione in senso proprio, giacché il manufatto in questione era già previsto nel titolo edificatorio originario in base al quale è stato costruito il villino adibito ad abitazione all’interno della “Comunione Pineta IsMorus”.
6. Si è costituito il Comune intimato, il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso (poiché l’impugnazione riguarda il PUC adottato e, quindi, non ancora consolidato - né efficace - nelle scelte definitive, che avverranno solo con l’approvazione definitiva), oltre a resistere nel merito.
7. Alla camera di consiglio del giorno 29 luglio 2021 la Sezione, con l’accordo delle parti, ha rinviato al merito la discussione della causa.
8. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno ribadito le proprie difese con memorie e repliche.
9. Alla pubblica udienza del giorno 16 marzo 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
10. Il ricorso è infondato.
Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.
11. In via preliminare, occorre ricordare i principi che presiedono all’attività di pianificazione territoriale, come anche da ultimo ripresi dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. II, 2 dicembre 2020, n. 7636) e già condivisi da questo Tribunale (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 30 aprile 2021, n. 322):
- l’esercizio della funzione pianificatoria (quale è quella sottesa all’adozione degli atti impugnati) si caratterizza per l’ampio margine di discrezionalità attribuito all’Amministrazione, con possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino come manifestamente illogiche o contraddittorie (Cons. Stato, Ad. Plen, 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571);
- in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l’Amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell’individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l’uso del proprio territorio (e anche nel rivedere le proprie, precedenti previsioni urbanistiche), valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico; tali scelte, peraltro, non richiedono una particolare motivazione, conformemente - del resto – all’amplissima previsione di cui al comma 2 dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2017, n. 2403; Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4867);
- ne consegue che in vista dell’adozione di atti di pianificazione incombe sull’Amministrazione solo l’onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all’esercizio del relativo potere, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità; occorre dunque tener conto della congruenza delle scelte con le linee di sviluppo del territorio illustrate nella relazione tecnica e nei documenti accompagnatori, rispetto alla quale l’onere motivazionale degli strumenti di piano si attenua risolvendosi nella mera indicazione della congruità con le direttrici di sviluppo del territorio esposte nella relazione tecnica o, più in generale, nei documenti che accompagnano la predisposizione del piano stesso (T.A.R. Sardegna – Cagliari, Sez. II, n. 499/2022);
- la scelta, compiuta in sede di pianificazione generale, di imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona, non necessita di particolare motivazione, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854);
- le evenienze generatrici di affidamento “qualificato”, sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, sono ravvisabili nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie, o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione, in mancanza dei quali non è configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un’aspettativa generica, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all’utilizzazione più proficua dell’immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione, in relazione alla quale non può essere invocato il difetto di motivazione, a ciò ostando la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854 cit.; Sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104);
- non grava quindi sull’Amministrazione l’onere di motivare ulteriormente le statuizioni relative a ciascuna posizione individuale: laddove, infatti, si opinasse in tal senso, l’attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 1461 del 28.2.2020 n. 1461).
Le scelte effettuate dalla p.a. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono dunque accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale per cui, nel merito, appaiono insindacabili e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse; in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 704 del 14.10.2020; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 30 marzo 2020, n. 255; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 20.12.2018, n. 1231; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.5.2012, n. 2952).
Oltretutto, in materia urbanistica, non opera il principio del divieto di reformatio in pejus, in quanto in tale materia, come visto, l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte, che relega l’interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina ad interesse di mero fatto non tutelabile in sede giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2017, n. 1326).
La giurisprudenza ha, altresì, evidenziato che all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (così, Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656).
E ciò in quanto l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.
In tale contesto, spetta all’Ente esponenziale effettuare una mediazione tra i predetti valori e gli altri interessi coinvolti, quali quelli della produzione o delle attività antropiche più in generale, che comunque non possono ritenersi equiordinati in via assoluta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710; 22 febbraio 2017, n. 821; 13 ottobre 2015, n. 4716).
12. Ciò premesso in diritto, occorre tener presente in punto di fatto, ancora in via preliminare, che la “Comunione Is Morus”, come efficacemente rappresentato dalla difesa comunale, risulta sorta in assenza di piano attuativo e non è provvista delle necessarie urbanizzazioni primarie.
Ciò, in particolare, trova riscontro nelle sentenze di questo Tribunale, Sez. II, n. 664/2013 e 908/2013 (confermate dalle sentenze del Consiglio di Stato n. 6802/2020 e n. 6814/2020), nelle quali si è rilevato che:
- si tratta di una “comunione immobiliare in gran parte edificata e parzialmente dotata di opere di urbanizzazione”; “tale edificazione è avvenuta sulla base di concessioni dirette rilasciate negli anni scorsi dal Comune di Pula che, incomprensibilmente, senza porsi il problema del dimensionamento delle opere di urbanizzazione esistenti, ha consentito l’edificazione di circa 150 fabbricati residenziali”;
- “non può ulteriormente tollerarsi […] l’ulteriore edificazione di unità immobiliari in assenza - e tale circostanza è incontestata tra le parti - di un’adeguata rete di raccolta dei liquami fognari con idoneo impianto di depurazione”;
- tale “situazione di fatto” si è determinata “per effetto dell’incontrollato rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, di titoli edilizi diretti in assenza della contestuale realizzazione di idonee opere di urbanizzazione primaria, prima fra tutte la citata rete fognaria”;
- è evidente la “clamorosa carenza nell’ambito della comunione immobiliare "Pineta IsMorus" (ex S.A.I.A.) di un’opera di urbanizzazione (la rete fognaria) che, avuto anche riguardo alla delicatezza e al particolare pregio ambientale del sito, avrebbe dovuto costituire conditio sine qua non per l’attuazione della lottizzazione da parte della Sant’angelo Immobiliare Alberghiera S.p.A.”;
- “in presenza della descritta situazione di fatto, determinatasi per effetto del consistente sviluppo edificatorio della zona, l’amministrazione comunale di Pula, che l’ha consentito, non può limitarsi a pretendere che i proprietari dei residui lotti non edificati - verosimilmente nel disinteresse di coloro che hanno già edificato - propongano dei piani attuativi estesi a tutta la comunione immobiliare, ma dovrà anche farsi parte attiva nella soluzione del problema del progressivo recupero della legittimità della lottizzazione, se del caso anche attraverso la predisposizione di piani attuativi ad iniziativa pubblica, per realizzare una primaria e ormai imprescindibile opera di urbanizzazione, verificando nell’occasione, se del caso ponendovi rimedio, l’adeguatezza e l’idoneità delle altre opere di urbanizzazione già esistenti”.
13. Da quanto appena esposto emerge fin da subito la correttezza della scelta comunale di inserire il compendio in questione nella sottozona “F2 - Insediamenti turistici spontanei ante Legge ponte” del PUC, che viene così descritta nell’art. 165 delle NTA del Piano:
“1. Rientrano in questa sottozona gli insediamenti realizzati sulla base di semplici planovolumetrici redatti prima dell'entrata in vigore della Legge ponte (L n. 765/1967), fra cui, in particolare, le cosiddette "Comunioni", insediate prevalentemente nella zona di Santa Margherita. In linea di massima corrispondono alle sottozone Fb del PdF.
2. L'edificazione in questi Comparti è avvenuta senza piano attuativo e con concessione diretta sui lotti derivati da un semplice frazionamento, con indici e normativa simili a una zona B.
3. Tali insediamenti di solito realizzati con opere di urbanizzazione generalmente insufficienti o non collaudate dovranno essere oggetto di interventi di riqualificazione e di completamento delle urbanizzazioni e dei servizi pubblici nonché di riconversione ove possibile dell'edificato all'uso turistico ricettivo”.
14. Al riguardo, è stato affermato in giurisprudenza che in una qualsiasi zona, fortemente urbanizzata, in cui la funzione pianificatoria sia stata sinora completamente negletta, si pone con maggiore urgenza la necessità di un intervento programmatorio dell’Amministrazione comunale, onde procedere alla verifica della conformità delle opere d’urbanizzazione primaria alle esigenze della popolazione già residente, nonché di realizzare le opere d’urbanizzazione secondaria ancora compatibili con la già avvenuta edificazione spontanea, reperendo le aree a ciò necessarie sia tra i lotti ancora inedificati, sia tra quelli, abusivamente edificati, per i quali non sia stata o non possa essere concessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate (così T.A.R. Napoli, Sez. II, n. 19364 del 7.11.2008).
La giurisprudenza, inoltre, ha evidenziato la necessità dello strumento attuativo anche in presenza di zone parzialmente urbanizzate, che sono comunque esposte al rischio di compromissione dei valori urbanistici e nelle quali la pianificazione di dettaglio può conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5488 del 7.1.2014; cfr. Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2008, n. 35880) e ha ribadito che anche in presenza di una zona (in tesi) già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi in cui la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell’ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l’urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all’edificazione) (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7843 del 9.12.2020).
In altri termini, non è sufficiente un qualunque stadio di urbanizzazione, anche di fatto, per eludere l’obbligo della previa redazione dello strumento attuativo (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3119 del 19.6.2014).
15. Nel quadro fattuale così delineato, e alla luce dei richiamati orientamenti giurisprudenziali elaborati in materia, non può dunque ritenersi illogica né viziata da travisamento la scelta operata dal Comune, nel gravato PUC, di prevedere che la zona venga disciplinata mediante un piano attuativo a iniziativa dei privati o, in caso di inerzia degli stessi, da altro piano approvato d’ufficio, al fine precipuo di realizzare le urbanizzazioni mancanti, adeguare quelle esistenti e favorire le cessioni secundumlegem, in guisa tale da conformare l’area alle prescrizioni di cui all’art. 28 della Legge n. 1150/1942.
In quest’ottica, è quindi agevole cogliere la ratio sottesa alle previsioni contenute:
- nell’art. 168, comma 2, delle NTA, secondo cui “Per tali ambiti si rende prioritaria la riqualificazione paesaggistica e funzionale con la predisposizione di un piano di razionalizzazione e di riqualificazione, esteso all’intero comparto come individuato dal PUC, di iniziativa pubblica o privata per il progressivo recupero della legittimità delle lottizzazioni di fatto …”;
- nell’art. 162, nel quale si prevede, al comma 1, che i piani in questione dovranno essere convenzionati (se di iniziativa privata) entro il termine di cinque anni dall’approvazione definitiva del PUC, decorso il quale sarà l’Amministrazione a predisporre d’ufficio i piani di riqualificazione (comma 3).
16. Ciò posto, e passando sinteticamente al merito delle singole censure, non ha pregio il primo motivo, in quanto, come già rilevato supra, al punto 13, la scelta comunale di inquadrare il comparto in questione come zona F2 è del tutto coerente con le caratteristiche e la situazione di fatto dell’area, siccome sopra descritte al punto 12.
17. Il secondo motivo, concernente gli interventi realizzabili in zona F nella fascia entro i 300 m dalla battigia, è inammissibile per carenza di interesse, in quanto il lotto della ricorrente (come attestato nella relazione paesaggistica di progetto - doc. 9 del Comune), non ricade in tale fascia e, pertanto, non risente degli effetti della norma contestata.
18. Il terzo motivo è infondato perché, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, l’obbligo della adozione di piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo, come rilevato sopra, è coerente con la situazione di fatto in cui versa il compendio di cui è causa e con l’esigenza di dare soluzione al “problema del progressivo recupero della legittimità della lottizzazione”, già evidenziato da questo Tribunale nelle pronunce sopra richiamate n. 664/2013 e n. 908/2013.
19. Il quarto motivo, concernente l’efficacia temporale dei piani attuativi, è inammissibile per carenza di interesse attuale e concreto, posto che la “Comunione IsMorus”, come già rilevato sopra, non è dotata di piani attuativi scaduti per effetto del termine decennale di durata fissato dal PUC.
20. Il quinto e il sesto motivo, con cui parte ricorrente contesta, rispettivamente, la limitazione degli interventi ammessi in difetto di un piano di riqualificazione e le misure di salvaguardia asseritamente a tempo indeterminato, sono infondati in quanto le previsioni in questione, oltre ad essere coerenti con lo stato dei luoghi della “Comunione IsMorus”, mirano ad assicurare che gli interventi di ristrutturazione edilizia vengano realizzati in presenza delle necessarie opere di urbanizzazione primaria (previa approvazione dei piani attuativi necessari per la riqualificazione).
21. Il settimo motivo, riferito alla presunta “eccessiva stratificazione di strumenti urbanistici”, è inammissibile sia per genericità sia perché le censure sono formulate in termini meramente ipotetici ed eventuali, sicché risultano inidonee ad evidenziare la concreta lesività delle disposizioni contestate.
22. L’ottavo motivo, concernente l’asserita violazione del principio di tipicità degli strumenti urbanistici, è inammissibile per carenza d’interesse, perché la ricorrente non dimostra in quali termini le previsioni contestate (nell’equiparare i piani di riqualificazione ai piani attuativi) risulterebbero immediatamente e concretamente lesive nei suoi confronti.
23. Parimenti è inammissibile il nono motivo, con cui vengono contestate singole prescrizioni per la redazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale, posto che la ricorrente non ha dimostrato di essere lesa concretamente dalle disposizioni oggetto di censura.
24. Anche il decimo motivo, diretto a censurare la previsione (art. 162, comma 4, delle NTA) secondo cui “L’approvazione dei Piani di riqualificazione di iniziativa Comunale equivale a dichiarazione di pubblica utilità relativamente alle aree per servizi e comunque a tutte le cessioni in essi individuate”, è inammissibile per carenza di interesse, perché le doglianze sono formulate in astratto, senza che la ricorrente dimostri di subire alcuna lesione concreta e attuale dalla disposizione impugnata.
25. L’undicesimo motivo, con cui la ricorrente si duole del fatto che i piani di riqualificazione sono prioritariamente di iniziativa privata, è infondato (a prescindere da ogni indagine circa la sua eventuale inammissibilità per carenza d’interesse), poiché le previsioni contestate si limitano a concedere ai privati una mera facoltà, senza che venga ad esse imposto alcun obbligo, e ciò non contrasta con alcuna disposizione di legge.
26. Il dodicesimo motivo, concernente le disposizioni che fanno carico ai privati di procedere alla eliminazione degli incroci a raso con la SS 195, è inammissibile per carenza d’interesse, in quanto le previsioni in parola vanno interpretate, correttamente, nel senso che l’onere dei privati circa la messa in sicurezza degli accessi dalla “Comunione IsMorus” alla strada statale antistante riguarda solo le porzioni di proprietà privata – tenuto conto, peraltro, che ai sensi dell’art. 162, comma 8, lett. d) delle NTA, i nuovi accessi andranno a innestarsi con “la prevista "viabilità di servizio" parallela alla strada statale” - e in quest’ottica le previsioni in questione non arrecano alcuna lesione alla ricorrente.
27. Il tredicesimo motivo, concernente la trasformazione delle seconde case in strutture ricettive o servizi connessi con le attività turistiche, si fonda su una errata interpretazione della norma di cui all’art. 168, comma 2, lett. e) ed f), delle NTA, e perciò è infondato, in quanto altra norma delle NTA (art. 163) chiarisce che la trasformazione in strutture ricettive costituisce una priorità e non un obbligo per i proprietari (e ciò in linea, del resto, con quanto previsto dall’art. 90 delle NTA del P.P.R.).
28. Il quattordicesimo motivo è inammissibile per carenza d’interesse concreto e attuale perché riguarda previsioni dedicate alle sottozone F1, mentre la proprietà della ricorrente e la “Comunione IsMorus” nel suo complesso ricadono in zona F2, sicché non vengono attinte dalla disciplina contestata.
29. Il quindicesimo motivo, concernente la disciplina sugli oneri di urbanizzazione contenuta negli artt. 16, 26 e 168 delle NTA, è inammissibile per carenza d’interesse, tenuto conto - come peraltro evidenziato dalla difesa comunale - che:
- l’art. 16, comma 1, lett. a), si limita a prevedere “la concessione e il trasferimento gratuito al Comune delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre alle altre cessioni eventualmente previste dalle presenti NTA”, senza specificare chi debba realizzare le urbanizzazioni secondarie;
- l’art. 26 chiarisce che le aree di cessione avranno una destinazione coerente con l’art. 6 del c.d. “Decreto Floris”, che disciplina gli standard urbanistici;
- l’art. 168, comma 6, si limita ad anticipare disposizioni che il Comune intende inserire nelle convenzioni da stipulare all’esito dell’approvazione dei piani di riqualificazione.
30. Il sedicesimo motivo, concernente le previsioni che escludono la possibilità di nuovi interventi edilizi residenziali, è infondato in quanto attiene a scelte rimesse alla sfera discrezionale dell’Amministrazione, in questa sede non sindacabili in quanto non manifestamente irragionevoli né viziate da travisamento.
Al riguardo, come già osservato sopra, la giurisprudenza ha chiarito che nella formazione dello strumento urbanistico e nelle scelte che presiedono all’approvazione di varianti generali, l’Amministrazione vanta di regola un’ampia potestà discrezionale per cui, salva l’esistenza di un piano attuativo approvato e convenzionato, nessun affidamento deriva dalla diversa destinazione pregressa della medesima area: l’autorità pianificatoria può anche apportare modificazioni “peggiorative” rispetto agli interessi del proprietario, in capo al quale è configurabile nulla più che una generica aspettativa al mantenimento della destinazione urbanistica gradita (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 263 del 5.3.2018).
Peraltro, nella fattispecie la scelta comunale è coerente con gli indirizzi posti per gli insediamenti turistici dall’art. 90 del P.P.R., secondo cui “I Comuni, nell’adeguamento degli strumenti urbanistici al P.P.R., si attengono ai seguenti indirizzi: a. prevedere lo sviluppo della potenzialità turistica del territorio attraverso l'utilizzo degli insediamenti esistenti quali centri urbani, paesi, frazioni e agglomerati, insediamenti sparsi del territorio rurale e grandi complessi dei territorio minerario”.
31. Il diciassettesimo motivo, concernente l’asserita mancata elaborazione di un nuovo studio di assetto idrogeologico o comunque l’omessa valutazione circa l’attualità dello studio idrogeologico allegato al PUC adottato nel 2014, non coglie nel segno alla luce del tenore testuale della norma di cui all’art. 20, comma 1, della L.R. n. 45/1989 (come sostituito dall’art. 23, comma 1, della L.R. 11 gennaio 2019, n. 1), invocata dalla ricorrente.
Tale norma, invero, stabilisce che “Entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della Legge di semplificazione 2018, i comuni, singoli o associati, deliberano l’avvio del procedimento per la formazione del PUC. Contestualmente i comuni, singoli o associati, comunicano all’autorità competente in materia ambientale l’avvio del processo di VAS del PUC e, laddove non si sia ancora dato corso, avviano l’elaborazione dello Studio comunale di assetto idrogeologico ai sensi degli articoli 8 e 37 delle Norme tecniche di attuazione del Piano di assetto idrogeologico (PAI)”.
Orbene, dalla semplice lettura della disposizione in parola emerge che l’avvio della elaborazione dello “Studio comunale di assetto idrogeologico” è imposto ai comuni “laddove non si sia ancora dato corso”.
Nel caso di specie, quindi, lo studio in questione non è necessario, poiché uno studio analogo era stato già approvato pochi anni prima (nel 2014).
32. Il diciottesimo motivo, concernente il termine di convocazione dell’adunanza consiliare, non ha alcun pregio perché la tempistica prevista dal Regolamento consiliare è stata pienamente rispettata, come del resto riconosciuto dagli stessi ricorrenti.
Né alcun rilievo può assumere la circostanza che nella stessa adunanza dedicata all’esame del PUC era previsto anche l’esame del bilancio.
33. Il diciannovesimo motivo, concernente l’asserita violazione della metodologia adottata per la votazione del piano, non merita accoglimento in quanto dalla delibera consiliare n. 21 del 30.3.2021 risulta che la votazione del PUC è avvenuta nel sostanziale rispetto di quanto previsto dall’art. 23 del Regolamento del Consiglio comunale.
Tale norma, infatti, così stabilisce:
“2. Nel caso si tratti di proposta composta da diversi articoli, o capitoli o voci, il Consiglio, qualora un Consigliere lo richieda, procede alla votazione dei singoli articoli, capitoli, voci.
3. Ogni Consigliere ha diritto in ogni momento di proporre emendamenti che vengono discussi secondo l’ordine di presentazione. Prima si procede alla votazione degli emendamenti soppressivi; seguono i modificativi, infine gli aggiuntivi. Gli emendamenti ad un emendamento sono votati prima
dello stesso punto. Gli emendamenti dei singoli Consiglieri sono votati prima di quelli delle Commissioni.
4. Qualora si sia proceduto alla votazione per articoli, capitolo o voci, la proposta viene successivamente sottoposta a votazione nella sua globalità”.
Nella fattispecie risulta documentalmente che il voto è stato espresso prima sulle singole zone (v. pagg. 21-51 della delibera), quindi sugli emendamenti (v. pagg. 53-90 della delibera), infine sul piano nel suo complesso (v. pag. 91 della delibera), quindi la procedura prevista è stata sostanzialmente rispettata.
34. Dall’infondatezza dei motivi che precedono consegue l’infondatezza del ventesimo motivo, con il quale la ricorrente deduce l’illegittimità in via derivata del provvedimento di sospensione della pratica edilizia concernente la realizzazione della piscina interrata.
35. Il ventunesimo motivo, con il quale la ricorrente sostiene che la realizzazione della piscina sarebbe compatibile con la normativa edilizia regionale e nazionale, non merita accoglimento, poiché all’ammissibilità di tale intervento ostano, per un verso, le previsioni del piano adottato (e in particolare, come visto sopra, l’art. 168, comma 9, delle NTA), in assenza della previa approvazione di un piano attuativo di riordino dell’area, nonché, per altro verso, la disciplina delle misure di salvaguardia di cui all’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, a tenore del quale “In caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda”.
In ragione di ciò, quindi, il Comune altro non poteva fare se non sospendere la pratica edilizia in questione.
36. In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso va in parte respinto e in parte va dichiarato inammissibile, nei sensi sopra esposti.
37. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, tenuto conto del complesso della vicenda e della particolarità delle questioni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati:
Dante D'Alessio, Presidente
Oscar Marongiu, Consigliere, Estensore
Gabriele Serra, Referendario