TRG Trentino A.A. (TN) n. 152 del 19 giugno 2008
Urbanistica. Impianti fotovoltaici

Nella divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli insediamenti e significa in tal caso che la zona stessa dev'essere conservata a verde. Per tale ragione, anche qualora l'intento sia quello di valorizzare la vocazione rurale della zona, non per questo sono sempre e comunque esclusi gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo. Tale destinazione non preclude, infatti, la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone, ma non esclude nemmeno la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (fattispecie relativa ad installazione di impianto fotovoltaico)
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

DEL TRENTINO-ALTO ADIGE - SEDE DI TRENTO

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 247/2006 e sui relativi motivi aggiunti, proposti da LORENZI RINO, anche in qualità di legale rappresentante dell’Albergo Mezzosoldo s.a.s., rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Pontati e Francesco a Beccara con domicilio eletto nel loro studio in Trento, Via dei Paradisi, 15/2

C ONTRO

il COMUNE DI SPIAZZO, rappresentato e difeso dall’avv. Flavio Maria Bonazzacon domicilio eletto nel suo studio in TRENTO, Piazza Mosna, 8

per l’annullamento

a) quanto al ricorso introduttivo, dell’ordinanza n. 27/06 del 21.9.2006 del Responsabile del Servizio tecnico del Comune di Spiazzo, di rimessa in pristino di opere abusive (un impianto fotovoltaico) sulle pp.ff. 637 e 638 c.c. Mortaso;

b) quanto ai motivi aggiunti, del provvedimento n. 2194 del 26.4.2007 del Responsabile del servizio tecnico del Comune di Spiazzo, di diniego della sanatoria richiesta dal ricorrente per le opere anzidette.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti successivamente proposti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza delocties, della L. n. 7 agosto 1990, n. 241, il cui comma 2 prevede che "non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Tale innovativa formula della legge deve, tra l'altro, indurre all’abbandono del tradizionale principio del cosiddetto divieto di motivazione postuma ed essa è senz'altro applicabile al caso di specie, essendo l’attività repressiva in materia edilizia strettamente vincolata all’accertamento della sussistenza dell’abuso.

Ciò posto, all’esame dei singoli motivi di diniego di sanatoria va premesso che l’impianto fotovoltaico in questione è formato da numerosi pannelli che occupano quasi integralmente un’area, catastalmente censita con le pp.ff. 637 e 638, adiacenti tra loro ed a forma rettangolare allungata, il cui confine più prossimo dista circa 40 m. dall’albergo (cfr. la perizia dell’Ing. Moreschini prodotta dal ricorrente).

Sempre in base alla citata perizia, l’energia elettrica prodotta dall’impianto in 12 mesi è risultata pari a Kw 40.728 mentre quella consumata dall’albergo è stata di Kw 45.092.

Non vi è dubbio, quindi, che funzionalmente l’impianto abbia carattere pertinenziale all’albergo e non sottenda, invece, un suo autonomo impiego per la produzione di energia da immettere nella rete o a favore di terzi.

L’impianto è collocato direttamente a terra, su un terreno prativo come emerge dalla documentazione fotografica prodotta dall’amministrazione.

Ciò premesso, e venendo ai singoli motivi del diniego, sono anzitutto erronei quelli che valorizzano l’utilizzo del soprassuolo delle particelle adiacenti (parcheggio e prato) e l’esistenza di una strada interpoderale che separa le particelle interessate.

Sembra evidente, infatti, che tali elementi non influiscono sull’idoneità del collegamento elettrico dei pannelli all’edificio alberghiero, né ricevono disturbo da esso.

Nemmeno l’esistenza della servitù di fognatura rappresenta un elemento ostativo all’installazione dell’impianto fotovoltaico, atteso che, in occasione di eventuali interventi sulla fognatura, sarà sufficiente rimuovere i pannelli, che integrano una struttura meramente mobile e non ancorata al suolo tramite opere edilizie.

Maggiore consistenza presentano le altre due ragioni del diniego, che sono: 1) la domanda non è stata sottoscritta dalla comproprietaria (moglie del ricorrente); 2) l’impianto non può essere considerato pertinenziale all’albergo, non essendo né in posizione adiacente all’edificio alberghiero né localizzato sullo stesso lotto né essendo appropriata la destinazione urbanistica agricola del terreno.

Circa quest’ultimo rilievo, osserva il Collegio che nella divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli insediamenti e significa in tal caso che la zona stessa dev'essere conservata a verde. Per tale ragione, anche qualora l'intento sia quello di valorizzare la vocazione rurale della zona, non per questo sono sempre e comunque esclusi gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1.10.1997, n. 1059). Tale destinazione non preclude, infatti, la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone, ma non esclude nemmeno la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque si inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 settembre 1993, n. 968).

La zonizzazione agricola assume quindi un carattere residuale, nel significato appena descritto, salvo l'esistenza di un espresso divieto nello strumento urbanistico che prescriva l'utilizzo produttivo agricolo in via esclusiva, salvaguardando espressamente la relativa vocazione.     

Nel caso di specie, peraltro, trattandosi di un impianto tecnologico facilmente rimuovibile, che non modifica irreversibilmente il terreno sul quale è posizionato, non sussiste la rilevata difformità urbanistica rispetto alla destinazione agricola della zona, che non può inibire la realizzazione di una tale opera per la sua limitata rilevanza sul piano urbanistico (non comporta la realizzazione di un nuovo volume ed è facilmente amovibile) e per l’inesistenza di ogni negativo influsso sull'assetto territoriale agricolo e sulla sua destinazione.

Nemmeno risulta esservi (non essendo stato opposto dall'Amministrazione) un divieto o un vincolo esplicitamente contrario nello strumento urbanistico o derivante dalla normativa paesaggistica.

Al contrario, la deliberazione della Giunta provinciale n. 1529/2006, recante indirizzi interpretativi relativamente alla normativa che disciplina l’installazione dei pannelli solari termici e fotovoltaici, sancisce l’indifferenza di tali impianti rispetto alla destinazione di zona, qualora la loro funzione prevalente sia quella di ottenere il risparmio energetico delle singole unità immobiliari, comprese quelle con destinazione diversa da quella residenziale. Ed è questo, appunto, il caso che ricorre nella specie.

Circa il carattere pertinenziale dell’impianto, innegabile sotto l’aspetto funzionale, come visto sopra, resta da valutare la distanza dell’impianto dall’albergo.

Ebbene, ritiene il Collegio che la breve distanza che lo separa (40 metri) non possa essere un ostacolo alla sua configurazione come pertinenza e d’altra parte l’obiettiva esigenza di esporre i pannelli alla maggiore illuminazione solare possibile, giustifica il loro posizionamento in un’area libera, discosto dall’edificio.Sono dunque presenti entrambi gli elementi che caratterizzano la nozione di impianto tecnologico pertinenziale, al servizio di un fabbricato esistente, che sono rappresentati, da un lato, dal rapporto quantitativo con il manufatto principale (nel senso che il medesimo deve essere di entità adeguata e non esorbitante), e, dall'altro, dall’esistenza di un collegamento funzionale tra tale opera e la cosa principale (con la conseguente incapacità per la medesima di essere utilizzata separatamente ed autonomamente).

In concreto la capacità produttiva di energia elettrica dell’impianto (menzionata sopra) ne rivela la natura obiettiva di pertinenza, essendo esso in rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze dell’albergo.

Resta infine da valutare il problema della mancata dimostrazione della titolarità del terreno, di cui il ricorrente è comproprietario con il coniuge.

Ebbene, a tal riguardo il Collegio è consapevole che, secondo un affermato e condivisibile indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l'Amministrazione ha il potere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.

Si tratta, peraltro, di un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.

Perciò, conformemente a quanto previsto dall’art. 11 del t.u. dell’edilizia (d.p.r. 380/01) e, nell’ordinamento trentino, dall’art. 88 della L.p. 22/91, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi, che peraltro può essere manifestato anche per fatti concludenti. Qualora vi sia un conclamato dissenso fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, l'Amministrazione non può assentirlo, nonostante sia conforme agli strumenti urbanistici, mancando l’effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini: Cons. Stato, V, 21 ottobre 2003, n. 6529; id., 20 settembre 2001, n. 4972; TAR Toscana 23 novembre 2001, n. 1651; TAR Emilia Romagna, Parma, 21 marzo 2002, n. 183)."
Per la citata giurisprudenza, le rassegnate conclusioni trovano applicazione anche in caso di richiesta di concessione edilizia in sanatoria.
Nella fattispecie, tuttavia, la moglie comproprietaria non si è attivata per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, mentre l’interessato era nell’obiettiva difficoltà di integrare la propria domanda con l’esplicito atto di assenso della moglie, essendo in corso una causa di separazione personale dei coniugi.

A riprova di ciò, è stato prodotto in giudizio dal ricorrente il verbale sottoscritto dai coniugi il 28.11.2007 con l’omologazione della separazione consensuale da parte del Tribunale di Trento (doc. n. 2), da cui emerge che la moglie si è impegnata a trasferirgli la propria quota sul terreno in controversia.

In una tale situazione, il Comune ben avrebbe potuto e dovuto limitarsi a verificare se, dietro l'istanza di sanatoria, fosse riconoscibile l'effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento edificatorio, senza che essa determinasse un evidente contrasto con il diritto della comproprietaria, che non aveva sottoscritto la relativa istanza.

La disponibilità giuridica del bene non poteva quindi essere esclusa, per il solo fatto che non era stato manifestato il consenso esplicito della moglie.

Per tali ragioni, i provvedimenti impugnati incorrono nelle censure dedotte dal ricorrente ed il ricorso va perciò accolto.

Le spese del giudizio possono essere, tuttavia, compensate, attesa la particolarità della fattispecie.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino - Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati indicati in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 5.6.2008, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo     - Presidente

dott. Lorenzo Stevanato      - Consigliere estensore

dott. Alma Chiettini            - Consigliere

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 19 giugno 2008

        Il Segretario Generale
                                          dott. Giovanni Tanel