T.A.R. Puglia (BA) Sezione III n. 162 del 11 febbraio 2016
Urbanistica.Rilascio del titolo abilitativo edilizio ed interessi privatistici

In sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici solo a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti, o immediatamente conoscibili, o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici. Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la necessità di procedere a un'accurata ed approfondita disanima dei rapporti tra i vicini o i condomini, rientrando la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta pretesa di lesioni di diritti soggettivi, quali quelli di luce e veduta, nell’ambito delle controversie tra privati, che gli stessi privati potranno difendere nelle opportune sedi, e non all’aspetto della legittimità degli atti autorizzatori dell’esercizio dello ius edificandi anche in sede di sanatoria

N. 00162/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00071/2013 REG.RIC.

N. 00309/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 71 del 2013, proposto da:
Berardino Picca, Maria Ragno, rappresentati e difesi dall'avv. Raffaele Daloiso, presso il cui studio elett.te domiciliano in Bari alla Via Abate Gimma n. 231;

contro

Comune di Molfetta, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Colella, con domicilio eletto presso Mara Caponio in Bari, corso Mazzini n.136/D;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Commissione Locale per il Paesaggio - Soprintendenza per Beni Architettonici e Paes. Province di Ba, Fg e Bat, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici siti in Bari alla Via Melo n. 97 è domiciliato ex lege;

nei confronti di

Francesco De Palma, Leonardo Sallustio, Leonardo Antonio Pisani, Ilario Mastropasqua, Paolo Azzollini, Pietro Drago, rappresentati e difesi dall'avv. Nicolò De Marco, presso il cui studio elett.te domiciliano in Bari alla Via Abate Gimma n. 189;

 

sul ricorso numero di registro generale 309 del 2013, proposto da:
Francesco De Palma, Leonardo Sallustio, Leonardo Antonio Pisani, Pietro Drago, Paolo Azzollini, Ilario Mastropasqua, rappresentati e difesi dall'avv. Nicolò' De Marco, presso il cui studio elett.te domiciliano in Bari, Via Abate Gimma, 189;

contro

Comune di Molfetta;

nei confronti di

Berardino Picca, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Daloiso, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari, Via Abate Gimma n. 231; Maria Ragno, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaele Daloiso, con domicilio eletto presso Nino Matassa in Bari, Via Andrea Da Bari n. 35;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 71 del 2013:

- del permesso di costruire n.2040/2012 rilasciato in data 10 ottobre 2012 con riferimento alla pratica edilizia n. 4676/2011per l'intervento qualificato come "risanamento e ripristino di immobile sito alla via Morte nn. 36 - 38, Isolato 12 del Centro Antico;

- dell'autorizzazione paesaggistica n. 28 del 28 luglio 2012, con cui sono stati assentiti, sotto il profilo paesaggistico, i lavori da eseguirsi sull'immobile sito in via Morte 36-38;

- del parere della Soprintendenza per i Beni Artistici e Paesaggistici per le Province di Bari, BAT e Foggia del 10 luglio 2012, prot. n. 9886;

- di ogni altro atto ai predetti comunque connesso presupposto e/o consequenziale;.

 

 

quanto al ricorso n. 309 del 2013:

- del permesso di costruire n.7964 del 28.05.2003 e successiva variante n.572 del 9.12.2005, nonché variante n.1659 del 28.05.2010, nella parte in cui sarebbe stata assentita l'aperture di finestre, con veduta nella proprietà dei ricorrenti.

- nonché di ogni altro atto connesso e/o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non noto.

 

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Molfetta e di Francesco De Palma, Leonardo Sallustio, Leonardo Antonio Pisani, Ilario Mastropasqua, Paolo Azzollini e Pietro Drago, nonché della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paes. delle Province di Ba, Fg e Bat, nonché di Berardino Picca e di Maria Ragno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Raffaele Daloiso, Domenico Colella e Nicolò De Marco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

La presente controversia riguarda la legittimità dei titoli edilizi rilasciati alle parti in causa (reciprocamente ricorrenti e controinteressati nei due ricorsi in epigrafe indicati) in relazione a due immobili di rispettiva proprietà.

In particolare, i sigg. ri De Palma, Sallustio, Pisani, Mastropasqua, Azzollini e Drago sono divenuti aggiudicatari dell’immobile sito nel centro antico di Molfetta, alla via Morte - Isolato 12 – ai civici nn. 36/38, ricompreso nel piano di recupero del centro antico (di seguito, anche solo P.R.C.A.) riadottato nel 1994, oggetto di cessione da parte del Comune mediante avviso pubblico.

Tale immobile fa parte di un più ampio complesso edilizio, pure di proprietà De Palma ed altri, che si estende fino al civico n. 50, sviluppandosi su tre piani fuori terra ove un tempo sorgeva un edificio quasi interamente crollato intorno agli anni settanta.

I lavori di “risanamento e ripristino” (come da domanda di permesso di costruire) sono stati assentiti con permesso di costruire (di seguito anche solo “P.d.C.”) n. 2040/2012, previa autorizzazione paesaggistica (n. 28/2012) e parere della competente sovrintendenza (in data 10/7/2012) e sono risultati ancora in corso all’atto dell’ultimo sopralluogo del CTU nel mese di giugno 2015.

Tale edificio è realizzato a ridosso e in parte in aderenza all’immobile di proprietà Picca/Ragno (anch’esso facente parte dell’Isolato 12 del P.R.C.A.), con accesso e affaccio sulla “retrostante” (rispetto all’immobile De Palma) via S. Andrea; tale immobile (che si sviluppa su tre/quattro piani, oltre lastrico solare ed interrato e deriva dalla fusione di tre fabbricati contigui), è stato realizzato sulla scorta del permesso di costruire n. 7964/2003 e successive varianti n. 572/2005 e 1659/2010. I lavori risultano ultimati nel febbraio 2011.

Tanto premesso in fatto:

1) con il ricorso n. 71/2013, i sigg. Picca e Ragno impugnano il permesso di costruire n. 2040/2012, unitamente all’autorizzazione paesaggistica ed al parere della Sovrintendenza, deducendone l’illegittimità sotto vari profili:

a) violazione dell’art. 10 D.P.R. 380/01 e art. 4 delle n.t.a. del piano di recupero del centro antico di Molfetta. Il progetto e l’istruttoria svolta non rispetterebbero le previsioni di piano: le tavole 3p e 10p del piano prevedono per l’edificio in questione solo interventi di “ricostruzione” (ricadendo, peraltro, l’edificio in area libera, ex tav. 3P), laddove, nell’istanza del 10/7/11, i richiedenti hanno qualificato l’intervento come di “restauro e risanamento conservativo”. Inoltre, la tavola 3P allegata a N.T.A. consentirebbe la realizzazione di un edificio composto dal solo piano terra e primo piano (cioè due soli piani fuori terra), laddove quello oggetto di causa si compone di tre piani fuori terra, così superando - con i suoi “presumibili” 10,50 mt. - sia l’altezza massima consentita sia quella di mt. 8 indicata nella relazione tecnica. Infine, il Comune avrebbe del tutto omesso l’istruttoria necessaria alla verifica dei diritti dei terzi confinanti, con particolare riferimento alle vedute dell’immobile dei ricorrenti (del primo, secondo e terzo piano, assentite nei diversi titoli ottenuti) che verrebbero incluse nella realizzanda chiostrina;

b) violazione degli artt. 11 e 12 delle N.T.A., stante la difformità dello stato dei luoghi rappresentato da quello realmente esistente, nonché insufficienza della documentazione depositata a corredo dell’istanza;

c) violazione dell’art. 146 d. l.vo 42/04 e 5.01 del P.U.T.T.: la pratica edilizia sarebbe del tutto carente della necessaria documentazione, di talché sia il parere della Sovrintendenza sia l’autorizzazione paesaggistica comunale risentono delle incongruenze del progetto rispetto alle previsioni di piano;

d) eccesso di potere per violazione delle norme sulle distanze e violazione del D.M. 9/6/99 Ministero Sanità, in relazione alle deteriori condizioni igienico sanitarie che si determinerebbero per effetto della chiusura di alcune finestre a mezzo della realizzanda chiostrina.

2) con il ricorso n. 309/2013, i ricorrenti (De Palma e altri) hanno chiesto, invece, l’annullamento del P.d.C. n. 7964/2003 e successive varianti nn. 572/05 e 1659/2010, nella parte in cui consentono ai controinteressati Picca/Ragno l’apertura di due vedute con affaccio sulla loro proprietà.

Deducono che le finestre del primo e secondo piano (per quanto è dato comprendere, cfr. pag. 7, cpv. 1 del ricorso) fossero in origine aperture di collegamento tra due vani appartenenti ad un medesimo immobile poi - in parte - crollato (la parte corrispondente ai civici 36/38 oggetto di causa). La falsa rappresentazione dello stato dei luoghi (descrizione di una veduta che, in realtà prima era una porta di comunicazione interna) avrebbe determinato un difetto di presupposto che inficia il titolo. Inoltre, i vani, con le contestate aperture, sarebbero stati acquistati da Antichitalia (dante causa dei controinteressati Picca/Ragno) solo con scrittura privata (non autenticata) del 19/4/11, quindi, non sarebbero neppure di proprietà della società istante al momento della richiesta dell’ultimo titolo edilizio in variante (28/5/2010). Inoltre, secondo il piano di recupero, l’apertura di finestre sarebbe possibile solo ove sia prevista una chiostrina, ma non anche in caso di affaccio sull’altrui proprietà.

In ogni caso, l’apertura non rispetterebbe la distanza prevista di 1,5 mt. dal confine con l’altrui proprietà, mentre, d’altro canto, l’altezza del fabbricato ricostruito dai ricorrenti sarebbe già prevista superiore a quella dell’edificio Picca/Ragno dalla tav. 10p, allegata la piano di recupero del 1977.

Il Comune di Molfetta (solo nel giudizio n. R.G. 71/13) e i controinteressati hanno resistito alle domande.

Con ordinanza del 16/1/15 n. 98, il Collegio ha proceduto alla riunione dei ricorsi e disposto l’espletamento di C.T.U.

Concessa la proroga richiesta dall’ausiliario (determinata da una possibile transazione della lite), depositata tempestivamente la C.T.U., all’udienza del 14/1/2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

La domanda demolitoria spiegata dai ricorrenti Picca/Ragno non può essere accolta.

Quanto al primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano che, a fronte dell’intervento di classe IV (“ricostruzione di aree libere”) previsto sull’isolato 12 dalla tav. 10p del P.R.C.A, il P.d.C. 2040/2012 sia stato rilasciato per un intervento di “risanamento e ripristino”, in conformità all’istanza presentata. Trattandosi di intervento di ricostruzione di classe IV, invece, sarebbe soggetto agli indici e parametri previsti dalle N.T.A. per tale diverso tipo di intervento.

Sul punto va - in primis - evidenziato che l’art. 6 delle N.T.A. dispone che “ogni classe di intervento ovviamente comprende, non escludendoli, quelli di classe con precedente numerazione”, di talché l’ “invocata” classe IV risulta contenere anche gli interventi di “risanamento e ripristino” della precedente classe II.

In ogni caso, la censura non coglie nel segno anche per le seguenti ragioni.

L’art. 4 delle N.T.A. del P.R.C.A. riadottato descrive le classi e i tipi di intervento consentiti, prevedendo, appunto, che in classe IV (“ricostruzione di aree libere”) ricadono gli interventi di ricostruzione tanto di edifici da destinare ad attività pubbliche, quanto di edifici privati a carattere residenziale o terziario. Gli indici costruttivi “invocati” da parte ricorrente sono previsti solo per l’ipotesi di intervento in “area completamente libera”, definizione che mal si attaglia all’area oggetto di intervento. Come ricavabile ex actis (in particolare, dall’accurata descrizione fattane dal CTU), l’area in esame, prima dell’inizio dei lavori, presentava ancora i resti di un edificio crollato intorno agli anni ’70 e, specificamente, “porzioni di muri portanti ortogonali alla muratura di facciata, della quale invece è rimasta la parte basamentale del piano terra e parte della cortina superiore. Sono inoltre visibili resti degli orizzontamenti del piano terra voltati mentre i solai lignei dei piani superiori sono crollati totalmente” (cfr. pag. 28 dell’elaborato peritale).

Tale circostanza impedisce di qualificare l’area come “completamente libera”, con applicazione dei relativi indici.

È emerso, invece, dall’elaborato peritale che l’intervento edilizio contestato sia rispettoso delle prescrizioni recate proprio dall’art. 4 delle N.T.A. in relazione agli interventi di classe IV (previsti sull’isolato 12 in base alla tav. 0 e tav. 10p, in atti).

Ed invero, per tali interventi, l’art. 4 prescrive al comma 3, che “le altezze massime non dovranno superare la media delle altezze degli edifici circostanti ..” e l’edificio De Palma + altri, alto mt. 11, risulta inferiore alla media degli edifici circostanti, pari a mt. 12,50 (secondo quanto accertato dall’ausiliario).

Quanto al numero dei piani, poi, il medesimo art. 4 al comma 4 dispone: “oltre all’altezza massima di cui innanzi dovrà essere rispettato, per quanto possibile, anche il numero dei piani dei fabbricati limitrofi”. Come agevolmente rilevabile dalla sua stessa formulazione, la disposizione è certamente priva di carattere “imperativo” rispetto al numero dei piani, di talché non è illegittimo l’assenso alla realizzazione dell’edificio in parola che prevede (nel rispetto del limite di altezza massima) tre piani fuori terra: lo stesso numero di piani dei fabbricati con esso confinanti sui lati corti.

Il combinato disposto delle norme richiamate rivela che l'intento del pianificatore è stato quello di assicurare che l'edificato del centro antico non presenti difformità in termini di altezze, tali da creare dislivelli e discontinuità tra i prospetti di fabbricati contigui. Il che spiega la portata certamente prescrittiva della norma che impone il vincolo dell'altezza e quella solo – per così dire - di orientamento ("per quanto possibile") della norma sul numero dei piani. In altri termini, la divisione interna di un fabbricato in piani risulta indifferente, purché non sia superata l'altezza media degli edifici limitrofi.

Le prescrizioni delle N.T.A. risultano corredate da una serie di tavole tra le quali si segnalano - stante la loro specifica incidenza sull'isolato 12 - la tav. 0 (Individuazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica e dei servizi pubblici collettivi) e la tavola 10p (Interventi operativi sugli isolati prefigurati sui profili architettonici - Isolato 12), la cui funzione - ragionevolmente - è quella di integrare le norme tecniche, fornendo la disciplina di dettaglio degli interventi da realizzare su specifici isolati.

Quanto alla ricostruzione dell'edificio parzialmente crollato in via Morte (comprendente, quindi anche la porzione di cui ai civici 36/38 – oggetto di causa), l'indicazione della tavola 10p è di realizzare due soli piani fuori terra, con il limite rappresentato dall'altezza dell'adiacente edificio sito ai civici 52/54.

Analoga indicazione in termini di numero di piani si trae dalla tavola 0, che prevede un intervento di ricostruzione del piano terra e del primo piano, con l'ulteriore specificazione che il fabbricato compreso tra il civico 36 e il civico 50 ha destinazione polifunzionale – commerciale - teatrale (il PdC rilasciato a De Palma + altri indica proprio la destinazione commerciale-direzionale).

Tanto premesso, ritiene il Collegio che la prospettata antinomia tra quanto previsto nelle tabelle ex tavv. 0 e 10p e quanto graficamente ipotizzato in tav. 10p non sia circostanza dirimente ai fini della delibazione sulla legittimità del titolo gravato, siccome - ai sensi del surrichiamato art. 4 delle N.T.A. - le indicazioni dei numeri di piano non possono intendersi come vincolanti. Vale a dire che le tavole non possono che essere lette in coerenza con la prescrizione normativa la quale, come detto, reca mere indicazioni in ordine al numero dei piani, derogabili in sede di attuazione.

Di talché, pur a fronte delle previsioni di tavola, il Comune non avrebbe potuto legittimamente negare il titolo edilizio agli odierni controinteressati sull'asserito mancato rispetto del numero di piani, siccome - per quanto innanzi detto - le norme di piano non recano sul punto prescrizioni con carattere di inderogabilità (nel rispetto del limite dell'altezza), ma solo un'indicazione nel senso della possibile conformità al numero di piani degli edifici limitrofi.

Se ciò non bastasse, si consideri, altresì, che il contrasto risultante in seno alla tav. 10p tra quanto previsto nella tabella (ricostruzione del piano terra e primo piano) e quanto graficamente rappresentato immediatamente sotto, non può che risolversi in favore del grafico che è l’ elaborato che esprime in modo più dettagliato la volontà del pianificatore e va considerato, pertanto, il più attendibile strumento rappresentativo della stessa. Nella fattispecie, infatti, non vi è questione di contrasto tra indicazione grafica e prescrizione normativa (nel qual caso, effettivamente, secondo la giurisprudenza, sarebbe quest’ultima a prevalere), in quanto – al contrario – il grafico che illustra il progetto di ricostruzione dell’immobile compreso tra i civici 36 e 50 appare perfettamente in linea con la – sola, tra quelle invocate dalle parti - prescrizione inderogabile e, cioè, quella relativa all’altezza massima.

Né va escluso che l’indicazione di due soli piani fuori terra (sia pure occupanti tutta l’altezza consentita) sia dipesa dalla destinazione commerciale impressa all’immobile.

Infondato e generico si palesa il motivo sub b): la documentazione allegata all’istanza contiene, infatti, il rilievo fotografico dello stato di fatto dell’edificio e il rilievo del prospetto esistente all’epoca, né d’altro canto, risultano specificati gli elementi della realtà che sarebbero stati oggetto di indicazioni “generiche ed imprecise” in sede di produzione documentale finalizzata al rilascio del titolo. Priva di pregio (in relazione all’interesse dei ricorrenti) si palesa, invece, la doglianza relativa alla mancata allegazione dello stralcio delle ipotesi di intervento previste e indicazione del volume architettonico e delle coperture.

Del tutto generica si rivela la doglianza sub c), non avendo i ricorrenti specificato – al di là delle prospettate “illegittimità formali” - in che termini sarebbero stati concretamente lesi gli interessi pubblici (paesaggistici, architettonici e culturali) tutelati dalle Amministrazioni interessate.

Infondato, infine, è pure il motivo sub d), non pertinente palesandosi il richiamo al D.M. Sanità 9/6/99, che disciplina le condizioni che consentono di derogare alle altezze minime nelle abitazioni nel rispetto delle condizioni igienicosanitarie.

Riguardo alla pretesa violazione del regime delle distanze (oggetto di doglianza nei motivi sub A e D di cui innanzi), va preliminarmente ricordato che, ai sensi dell’art. 11 comma 3 del D.P.R. n. 380/01, “Il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”; sicché nella prassi i titoli edilizi vengono rilasciati “salvi i diritti di terzi” e, secondo la consolidata giurisprudenza, non sussiste un obbligo generalizzato per la P.A. di verificare che non sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia. Nel caso di specie, parte delle lesioni prospettate dai ricorrenti parrebbero configurarsi - non tanto e non solo - in relazione al rilascio del titolo edilizio, ma piuttosto in relazione all’asserita sussistenza di un diritto di veduta e di un diritto di distanza dalla veduta, come tali tutelabili innanzi al G.O.

Sul punto va osservato in diritto che “ai fini del rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio e, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, non si assume il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso (Cons. Stato Sez. IV, 06-03-2012, n. 1270). In sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio il Comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici solo a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti, o immediatamente conoscibili, o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici” (Cons. Stato Sez. VI, 28-09-2012, n. 5128; Cons. Stato Sez. VI, 20-12-2011, n. 6731; Sez. VI, 04-09-2012, n. 4676; Cons. Stato Sez. IV, 04-05-2010, n. 2546). Non vi è, infatti, da parte dell’Amministrazione la necessità di procedere a un'accurata ed approfondita disanima dei rapporti tra i vicini o i condomini, rientrando la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta pretesa di lesioni di diritti soggettivi, quali quelli di luce e veduta, nell’ambito delle controversie tra privati, che gli stessi privati potranno difendere nelle opportune sedi, e non all’aspetto della legittimità degli atti autorizzatori dell’esercizio dello ius edificandi anche in sede di sanatoria (con riferimento ai condomini: Cons. Stato Sez. IV, 26-07-2012, n. 4255) - così, da ultimo, Tar Campania, Napoli, sez. 8, sent. 19/5/15 n. 2763.

Quanto innanzi esposto non si pone in posizione di discontinuità rispetto alle pronunzie della Sezione (v. sentenze nn. 1572/2015 e 113/2016) su ricorsi che pure riguardano la tutela di “beni della vita” nascenti dal diritto di proprietà su immobili: trattasi di giudizi che non hanno come oggetto immediato quei beni, bensì la legittimità di provvedimenti amministrativi in rapporto alla normativa e agli atti di pianificazione urbanistica, in ossequio al principio per il quale la lesione di tali beni può avere tutela, davanti al G.A., solo ove coincidente con la lesione di valori tutelati, nell’interesse pubblico, dalla normativa urbanistico-edilizia.

Tanto premesso, osserva il Collegio che dalla tav. 7 del P.R.C.A. e dall’immagine aerea del centro antico di Molfetta (cfr. tav. A 01 allegata alla CTU) si evince che l’isolato 12 era (ed, in effetti, tuttora è) un unico “blocco” compreso tra due arterie pressoché parallele (via Morte e via S. Andrea), composto da due “file” di edifici che si “spalleggiano”, con gli affacci e gli accessi sulle predette pubbliche vie. Gli edifici appaiono tutti costruiti in aderenza tra loro, sia sulla loro parte posteriore che lateralmente.

Appare, poi, dirimente che l’art. 7 lett. n) delle N.T.A. - non impugnato dai ricorrenti - preveda espressamente la formazione di nuove chiostrine nello spessore dei corpi di fabbrica degli isolati, prescrivendo che il lato corto non sia inferiore a mt. 1,50 e consentendovi l’affaccio anche di vani di rappresentanza, oltre che delle cucine e dei servizi. Sul punto va evidenziato, sulla base delle misurazioni eseguite dal CTU, che le dimensioni della chiostrina rispettano la prescrizione di cui alla predetta norma tecnica (cfr. tav. A04, allegata alla CTU).

Tali circostanze, valutate alla luce delle coordinate ermeutiche innanzi riportate, inducono a ritenere corretto l’operato del Comune che ha assentito la realizzazione dell’edificio dei controinteressati, nonostante la presenza di aperture dell’edifico dei ricorrenti, destinate ad essere “inglobate” in chiostrine.

Per tutte le suesposte ragioni la domanda non può essere accolta.

Il ricorso n. 309/2013 va, conseguentemente, dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, considerati i confini dell’interesse dei ricorrenti delineati alla pag. 8 dell’atto introduttivo, in cui si specifica, appunto, che l’interesse al ricorso non sussiste ove venga dichiarata la legittimità dell’inclusione delle finestre dell’immobile Picca/Ragno nella chiostrina interna al fabbricato.

La complessità delle questioni affrontate e l’obiettiva controvertibilità della normativa tecnica applicabile al caso in esame giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite ad eccezione

delle spese di C.T.U. (liquidate con separato decreto) che si pongono definitivamente a carico dei ricorrenti Picca Berardino e Ragno Maria, in virtù del principio della soccombenza nella causa n. 71/2013 che ha dato origine al contenzioso nel suo complesso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente decidendo sui ricorsi riuniti nn. 71/13 e 309/13, respinge il primo e dichiara improcedibile per sopravenuto difetto di interesse il secondo.

Compensa le spese di lite.

Pone definitivamente a carico di Picca Berardino e Ragno Maria le spese di C.T.U. liquidate con separato decreto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Desirèe Zonno, Presidente FF

Viviana Lenzi, Referendario, Estensore

Cesira Casalanguida, Referendario

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)